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Autore: Ornyl    02/03/2016    0 recensioni
Così Davide ebbe il sopravvento sul Filisteo con la fionda e con la pietra e lo colpì e uccise, benché Davide non avesse spada. Davide fece un salto e fu sopra il Filisteo, prese la sua spada, la sguainò e lo uccise, poi con quella gli tagliò la testa.
Samuele I, 17, 4-7
Si consiglia l'ascolto di:
https://www.youtube.com/watch?v=qQcuASCavRM
https://www.youtube.com/watch?v=mtwqZpV3K1c
Genere: Introspettivo | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna
Note: nessuna | Avvertimenti: Tematiche delicate
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Sono cinque anni che va avanti questa guerra terribile, fratricida, fredda sotto questo cielo depauperato del suo blu chiaro e delle sue nuvole bianco latte, nuvole ormai grigiastre come i visi dei morti e nere come i lontani sbuffi che vengono dalle ciminiere dei Campi della Morte; è la guerra della Guardia di Piombo contro di noi, sciocchi e sporchi partigiani radunati in altrettanto sciocchi e sporchi gap, al freddo e in casacche di cotone scadente nelle nostre baracche lontane dai residui fumanti delle nostre case e, per chi è stato meno fortunato, delle nostre famiglie.
Sono cinque anni che va avanti questa guerra terribile e logorante, eppure, come spesso dice Jul, sono riuscita a trovare un nome carino anche a questa: dice che l'ho chiamata guerra matrioska perchè al suo interno ne comprende tante, tra cui la mia. La mia guerra personale che dura però da due, da quando sono entrata nel gap 46, e che dopo battaglie estenuanti ogni tanto si traduce in qualche scaramuccia che al posto di rendermi più forte mi lascia più ferita, mi sporca, mi corrode.
Jul non ci ha azzeccato, però solo questa volta. Questa guerra non è all'interno dell'altra, ma è al mio interno, distinta e separata dal fragore delle cannonate e dallo schioppo dei fucili come quando noi del gap ci divertiamo con i piompini o quando sono i piombini a divertirsi con noi. Una guerra che esige lacrime e lamenti senza gas lacrimogeni o senza torture, dove per torturarti utilizzano le parole e non l'elettroshock o le incisioni sulla viva carne, quelle che preferirei fatte da parte di qualche piombino stronzo o dai collaborazionisti della landa; è una guerra interna al gap, interna a me, e che vede due soli partigiani bastardi l'uno contro l'altra, Golia contro una piccola, denutrita Davide senza stella a sei punte, una guerra che ti emoziona e ti elettrizza come farfalle nello stomaco, farfalle di vivo e brulicante terrore quanto nascosto, quanto celato ai membri del gap e alla tua famiglia lontana, farfalle come quelle di metallo che nascondo sotto il mio cuscino la sera e che hanno sostituito le foto di mamma e di papà.
 
Quando conobbi Can nevicava.
Ero nella zona dei vecchi teatri a raccogliere neve, così come prescrivevano -e prescrivono ancora- gli anziani del gap. Riempivo le taniche di neve, infilando l'imbuto nelle loro bocche e versando con la paletta quella neve pesante e grigiastra che avremmo riscaldato due volte per scioglierla e pulirla, unica fonte d'acqua più o meno potabile dopo i bombardamenti agli impianti elettrici e alla rete fognaria. Ricordo un pesante picchiettio sulla mia spalla, un picchiettio che mi fece urlare e brandire la pala come se fosse una spada.
-Non ti spaventare, piccolo troll in eskimo!- aveva esclamato una voce pastosa e dolciastra trascinata da un alito puzzolente di fumo -Strano non esserci mai incontrati prima, eh?-
Can, età imprecisata, sottoufficiale improvvisato e tecnico del gap, il mago delle molotov e delle bombe ad orologeria.
Can, età imprecisata, sottoufficiale improvvisato e tecnico del gap, il satiro a cui nessun membro del gap osa dire no per i suoi attacchi d'ira nervosa e inquietante, la voce dolciastra che si trasforma in un vocione tonante che ti metteva addosso una rabbia paurosa e piangente, la triste rabbia di chi odia e di chi non sa tenere in mano una pistola per uccidere Can, perchè Can al gap è indispensabile e senza bombe ad orologeria col cazzo che i piombini saltano in aria.
Ogni tanto mi chiedo perchè Can abbia raggiunto un ruolo del genere, poi cerco di rispondermi durante i miei dialoghi silenziosi col soffitto gonfio di umidità del dormitorio femminile. Mi chiedo se il gap sappia qualcosa dei suoi nomi nella lista nera della sua sporca coscienza, quei nomi legati ai membri che aveva cercato di toccare e sottomettere. Perchè toccare e sottomettere, per Can, sono la stessa identica cosa, ed io ne sono venuta a conoscenza durante le mie nottate di guardia, davanti il pianoro della città e dietro i suoi occhi giallastri e malati, gonfi di desideri rabbiosi e satireschi, specchi di quello che nasconde in quella sua testa di cazzo.
Ogni tanto mi chiedo perchè i piombini non l'abbiano ancora scoperto, o perchè il gap non sappia un accidenti di quello che ha fatto e che potrebbe continuare a fare, di quello di cui è stato capace.
Di quello che mi ha fatto, di quello che mi potrebbe continuare a fare, di quello di cui è stato capace nei miei confronti.
Sono flash, lampi scuri, come esplosioni. Sono ricordi rapidi e pesanti come proiettili conficcati nel mio cervello, proiettili di parole e di gesti che le pinze del medico da campo non toglieranno mai dalla mia testa.
Una lama sul collo.
Due occhi irati e sorridenti.
Un vocione da orco che piagnucolava presunti meriti, presunte premure, presunti favori e presunto amore.
E che forse non ero la prima nè l'ultima. E che forse sarei diventata la sua preferita, la piccola recluta in eskimo coperto di neve a cui insegnare a maneggiare le armi e le bombe e le sue membra giganti, attaccate a quel corpo di quasi due metri d'altezza.
Golia bramava la piccola, denutrita Davide e glielo faceva capire.
Golia bramava la piccola, denutrita Davide e le aveva messo paura, ma quella paura era legata al terribile amore che Golia provava nei suoi confronti. Ecco perchè l'aveva fatta piangere di notte, ecco perchè l'aveva spinta a baciare la canna di un fucile e quasi a premere il grilletto, ecco perchè l'aveva seguita durante le sue perlustrazioni insieme alle altre ragazze del gap, ecco perchè urlava di notte biascicando il suo nome, ecco perchè aveva deciso di trasformare quei due anni di guerra continua in altra guerra, in altro dolore, in altra paura.
Perchè per Golia omnia vincit amor, perchè Golia aveva le farfalle nello stomaco per la piccola, denutrita Davide. E Davide aveva proprio intenzione di fargliele provare, vivide farfalle di lame e metallo, coltelli sottili come le sottili, malate intenzioni che aveva avuto nei suoi confronti.
 
La mia felpa rossa, col cappuccio tirato sulla testa, mi tiene al caldo insieme all'eskimo. L'ascia attaccata al mio zaino grava parecchio, ma poco mi importa. Io quella guerra la farò finire in qualsiasi modo, ad ogni condizione necessaria alla sua fine, che sia la mia o la sua morte sopra quel manto di neve grigiastra e in mezzo a quella foresta di sterpi abbandonata pure dai mutocani e dai conigli selvatici, quelle carcasse pelose che dobbiamo andare a cercare al mercato nero o a strappare ai piombini.
Guardo in alto, poi in basso, confondo i miei passi girando intorno agli stessi posti, quasi sentissi il suo odore acre di fumo di sigaretta e di polvere da sparo. Questa volta è la piccola, denutrita Davide a cercare Golia, e la piccola, denutrita Davide non sa nemmeno perchè sia andata a cercarlo e perchè abbia improvvisamente deciso che debba morire in quel giorno, in mezzo a quella neve, dopo due anni di guerra.
Sarà che ho dormito poco stanotte, sarà che io ho l'incubo di morire per mano sua mentre Can sogna di sposarmi alla fine della guerra, sarà che forse la piccola, denutrita e ignorata Davide dentro di me ha deciso di ripescare la sua fionda e di colpire al centro il gigante.
Sarà che Jul mi ha vista piangere e ha pianto anche lei.
Sarà che siamo in guerra e gli omicidi commessi in essa non sono catalogabili nè come reati, nè come peccati, e male che vada giustizieranno anche me per aver tradito il gap uccidendo uno dei membri più importanti
Sarà che della morte ormai non ho più paura.
-Aha!- una risata mi richiama da dietro e mi si gela il sangue nelle vene -Cappuccetto rosso nella sua foresta! Sei una visione in mezzo a tutta questa neve, devo riconoscerlo!-
Can tiene un sacco pieno di sterpi tra le mani quasi fosse una vittima sacrificale sul procinto di essere soffocata.
-Quell'ascia lì, non è troppo pesante per le tue spalle rachitiche? Ci vieni con me a raccogliere sterpi, così accendiamo un bel fuoco-
Can dice sempre che ho il più bel paio di occhi del gap, del pianoro, forse dell'intera città. I più bel paio di occhi di prima della guerra, della guerra intera, e, quando finirà, del dopoguerra.
-Tranquillo. Vado da sola-
Impazzirai, Can.
Impazzirai come ti ho sempre fatto impazzire ai miei no.
Can mi sorride, ma i suoi piccoli, giallastri occhi sono già ardenti di rabbia.
-Che caspita devi fare con quelle braccine anoressiche e quell'ascia più grande di te, avanti? Vieni con me-
-Al gap mi hanno detto di andare sola, qualora dovessi incontrarti. E poi mettere tutti insieme-
La risata di Can è grassa, sporca, rumorosa. Fa tremare gli sterpi e le mie ossa.
-Signorinella, io sono il gap. E lo sai-
Ridi ancora, Can. Ridi perchè sai che io non faccio altro che vomitare lacrime e sangue.
-Perchè indietreggi e hai quegli occhietti rabbiosi? Sì, sono sempre belli, tesoro, ma non mi piace quando me li rivolgi in questo modo, okay?-
Se mi afferri il polso, carissimo Can, il mio polso smagrito per la fatica e per la carestia, sei capace di spezzarmelo e di farmi urlare. Non sei sottoufficiale invano, Can, per niente. Per questa forza sovraumana, fisica e mentale che sia, capace di demolire fisicamente e psicologicamente i piombini che catturiamo e i tuoi stessi compagni, te lo sei meritato davvero. Bravo Golia, bravo anche mentre mi vieni avanti con quella mano che tenta di afferrarmi il braccio.
Non so quando e come sia finita la mia giovinezza, o se forse sia mai iniziata e l'abbia davvero vissuta.  I brividi generati dalla guerra, dalle sue esplosioni e dai suoi spari possono considerarsi emozioni giovanili, simili a quelle che provavano i ragazzi prima della guerra quando io ero ancora in collegio? Forse ci sono giovinezze e giovinezze, tutte soggettive, tutte personali, proprio come diceva mamma quando invidiavo la spavalderia dei miei coetanei e delle mie coetanee, quelle che hanno aderito al partito e quelli che sono morti al fronte per servire quel lardoso testa di cazzo ficcatosi in chissà quale bunker che chissà quando troveremo.
La mia al posto dei succhiotti ha le ferite e le escoriazioni, al posto delle sfrenate corse in automobili nuove di zecca ha le passeggiate notturne col pickup del commando, al posto del sesso ha le notti insonni tra una sparatoria e l'altra, tra un'esecuzione e l'altra, tra un'arma lucidata e un una bomba detonata.
Tra un morto e l'altro.
Se c'è qualcosa che ho imparato al gap è quello di distrarre il nemico con lo sguardo: sfrontato, rabbioso e silenzioso. E poi utilizzare le braccia di nascosto, furtivamente, ed afferrare le armi a disposizione. E colpire, colpire dritto davanti a sè.
Una scarica di adrenalina e di rabbia ad aiuta le mie braccia ad afferrare l'ascia e ad affondare la sua grossa e spessa lama sul fianco di Can. Can mi lancia uno sguardo che è la migliore cura per le mie notti insonni, per i miei pianti nervosi nei cessi del commando, per il mio autolesionismo. Perchè è colpa mia se Can ha rivolto a me la sua attenzione, perchè è colpa mia se Can non riesce a smettere, perchè io non so dire di no, non so allungare le mani e rispondere a quei gesti, perchè non so urlare e rispondere a quelle parole.
I suoi occhietti gialli, malati e infantili mi lanciano uno sguardo che è un caleidoscopio di rabbia e paura. Perchè la tua rabbia la conosco, Golia, ma finalmente mi hai dato l'occasione di conoscere anche la tua paura.
Tanto l'hai sempre avuta, figlio di puttana.
Le tue grosse braccia cercano di afferrarmi e l'ascia, bambino cattivo, ti va a finire su un polso. Il tuo sangue è uguale al mio, lo stesso colore per due tipi di sangue, per il sangue dell'angoscia e il sangue della vendetta.
Colpisco l'altro fianco. Urla come un toro al macello, rabbioso di tradimento e impaurito dal proprio sangue. La neve si tinge di macchie nere, poi rosse e poi rosa.
Il nero è angoscia, paura, la mia e la sua.
Il rosso è la bandiera del commando, la rivoluzione, il mio e il suo sangue.
Rosa è il colore del mio vestito preferito, quello che mettevo quando tornavo dal collegio.
Il suo sterno è una fontana su un corpo disteso sulla neve, ansimante di quegli ultimi sospiri che intendo troncare mentre una pozza di sangue si spande sotto di esso. Voglio fare urlare la neve, voglio farla indignare per averla insozzata di questo sangue così sporco, impuro e corrosivo, il sangue di chi ha provato a sporcarmi, sconsacrarmi e corrodermi.
Quando mi siedo a cavalcioni sulla sua pancia ruvida e squarciata sento il suo corpo perdere tutto il calore, perdere gli ultimi raggi di quella misera e fottuta vita da brigante che sta svanendo sopra quel letto di neve sporca di sangue.
Can mi sorride, prova ad allungare le braccia insanguinate verso di me.
-Sei bella, anche con il viso sporco del mio sangue. Puttanella schifosa-
Ansima, ansima con quel fottuto sorriso malato e perverso che mi ha rubato l'adolescenza e la giovinezza, quell'adolescenza e quella giovinezza occupate già dalla guerra degli altri, dalla morte dei miei ex compagni sotto i proiettili dei piombini, dei miei ex amici sotto le bombe degli Alleati Occidentali. Ansima, ansima e mi fa più schifo e orrore che mai, quell'orrore che porta la rabbia a cedere ad una strana e indegna pietà verso chi ha provato a strapparmi quegli ultimi sprazzi di luce in quel mio mondo devastato dalla guerra.
-Sto morendo felice, con le tue gambette secche che mi stringono il collo.. -
La sua testa che si spacca sotto l'ascia è uno spettacolo che mi imbratta e mi pulisce. La professoressa del liceo ripeteva spesso che, per i popoli antichi, il sangue lavasse il sangue. E a distanza di millenni, i popoli antichi di cui parlava hanno più ragione che mai su questo sangue come acqua pulita e fresca, acqua che deterge dentro e fuori e acqua che mi libera.
Un prato bianco fiorito di petali di sangue è uno spettacolo dolcemente agghiacciante per chi è libero di vivere e di morire, di sussurrare e di urlare, di gioire della morte di un uomo come se fosse il suo peggior nemico.
Can è morto, urlo agli sterpi.
Il vento mi risponde con un ululato.
Sta ricominciando a nevicare.
   
 
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