La Complainte
de la Butte.
Huitieme Chapitre:
Sortir.
Saltellava da un
piede all’altro come se fosse su un pavimento di carboni ardenti, gettando sconsolati sguardi all’interno
dell’armadio. “Non ho nulla da mettermi…” piagnucolò per l’ennesima volta.
Kagura alzò gli occhi al cielo, prima
di spingerlo via dal guardaroba, e tuffandosi in mezzo ai numerosi capi
d’abbigliamento appesi. Dopo pochi minuti di studio dei vestiti, prese un paio
di grucce e li gettò sul letto, sbrigativa.
“Pantaloni
bianchi. Sicuramente. Sono quelli che ti stanno meglio. A te lascio la
decisione sulla camicia. “ decretò.
“Dici?” Jakotsu sembrava perplesso.
“Come se fosse cosa da poco… Non so cosa
mettermi sopra… La camicia nera di seta?”
“Così sembreresti
Tony Manero…”
“Azzurra?”
“Marinaio in
libera uscita”
“Rossa?”
“Non ti ci vedo, Compagno Jakotsu.”
Il ragazzo
sembrava ormai sull’orlo di una crisi isterica. “Vedi che non ho nulla da
mettermi?”
Lei si meravigliò
ulteriormente del nervosismo del ragazzo: era tutto il giorno che andava avanti
e indietro dal negozio guardando l’orologio ogni dieci minuti. Avevano chiuso
con un quarto d’ora d’anticipo perché lui doveva
prepararsi, e arrivato a casa si era
barricato in bagno, cercando in tutti i modi di rubarle la crema idratante, impazzendo
nel constatare che aveva finito il suo profumo preferito e quasi scoppiando a
piangere alla rottura della spazzola per capelli.
“Te l’ho già detto
che sei quasi troppo gay per essere vero?”
“Ho già predetto
che morirai zitella?”
“Jackie, per la miseria,
hai un appuntamento con una persona che conosci da anni e anni, non con Johnny
Depp!” esclamò, additando il poster che il ragazzo aveva affisso alla parete e
che venerava come un’immagine sacra.
Ma lo stato d’ansia
non accennava a diminuire. “Ma è
diverso!” piagnucolò. “E se mi vestissi in un modo che non gli piacesse? E se
l’appuntamento andasse male? Se parlassi a vanvera? Se dicessi cose stupide e
se mi comportassi in un modo che tu non definiresti dignitoso? ”
Per l’ennesima
volta della giornata, a Kagura non rimase altro da
fare che sospirare esasperata. “Non esci con Hannibal
Lecter!”
“Parli cosi perché
non l’hai mai visto arrabbiato.” Mugugnò l’altro. “E tra l’altro è molto più carino…”
Kagura, dopo aver dato un’altra
occhiata all’interno dell’armadio, sospirò:
“ Vada per la camicia nera, ma niente pantaloni bianchi. Infilati questo
paio di jeans, che sarai pure a tuo agio.”
Il sorriso tornò
sulle labbra del ragazzo. “Con il cravattino bianco?”
“Dovrai passare
sul mio cadavere per uscire da questa stanza.”
Ridendo
all’affermazione, il ragazzo si decise a infilarsi i jeans. “Tu questa sera
cosa farai?”
“Che tu ci creda o
no, stasera esco.” Rispose lei, senza nascondere una punta di soddisfazione.
Lui la guardò
sorpreso. “Non mi dire che hai un appuntamento pure tu!”
“Tsk! Ma secondo la tua testolina…!
Stasera parteciperò ad una mostra di sculture di bronzo. Ho adocchiato il
volantino ieri mentre andavo a dipingere.”
“Magari, chissà… incontrerai pure l’uomo della tua vita.”
“Certo, lo scultore
del bronzo. Mi ha sempre affascinato come metallo, sai.” rispose ironicamente,
guardandosi allo specchio fingendo un’aria trasognata.
Lui ridacchiò:
“meglio di un uomo che sembra uscito dall’età del bronzo, no?”
“Mah. Tra quello e
il blasonato principe azzurro che tutte sembrano cercare non saprei chi
scegliere.”
La mostra di
sculture di bronzo si era rivelata una noia mortale. Persino per un’anima così sensibile all’arte
com’era Kagura. Quelle figure filamentose e contorte
sembravano esprimere tutt’altri concetti rispetto a quelli esposti sulle
targhette dei titoli.
“Frammento della
solitudine” lesse in uno, per poi studiare perplessa la scultura: una mezza
sfera dal centro dipinto di rosso. Provò
a cambiare prospettiva di vista, ma il risultato della sua interpretazione non
cambiò. Gettò uno sguardo veloce agli altri partecipanti alla mostra, quattro o
cinque personaggi con i medesimi sguardi perplessi, mentre lo scultore, un
sosia male interpretato di Andy Warhol, spiegava con enfasi la propria arte ad
una ragazza che annuiva con aria non troppo convinta.
La donna si trovò
ad invidiare il suo amico, e cercò di immaginarsi l’andazzo
dell’appuntamento. Fissò l’orologio. Le
dieci e mezzo. A quell’ora dovevano già aver finito di cenare, o per lo meno
essere al dolce.
Si era messa
d’accordo con Jakotsu di farle da ancora di
salvataggio se gli avvenimenti avessero preso una piega tragica: ad un suo
squillo sul cellulare, lei l’avrebbe chiamato fingendo allarme per un malore
improvviso e richiedendo il suo aiuto.
Frugò nella
borsetta fiorata e controllò il cellulare. Nessun messaggio, nessuno squillo.
Allora le cose stavano andando per il verso giusto. E bravo Jackie. Pensò, con una punta di orgoglio. Forse Jakotsu sarebbe riuscito finalmente a dimenticare la
precedente storia. Per quanto si sforzasse a negare l’evidenza, ormai Kagura lo conosceva troppo bene. Ma presto le cose avrebbero preso una piega
diversa.
E lei, quando
sarebbe riuscita a dimenticare Sesshomaru?
Sospirò,
sfiorandosi inconsapevolmente il ventre. Forse, una volta partorito, sarebbe
stata assorbita talmente tanto dal nuovo arrivato che non avrebbe più avuto
tempo per pensare a lui.
O forse, ancora
meglio, sarebbe riuscita ad incontrare l’uomo della sua vita. Parigi era
grande, il mondo era immenso, e c’erano tanti pesci nel mare; tanto per
utilizzare uno dei motti di Jakotsu.
Beh, non l’avrebbe
trovato di certo in quel vernissage
semideserto.
Uscì dalla
minuscola galleria che ospitava l’evento, indecisa sul da farsi. Era da sola,
di sera, e di certo mettersi a bighellonare tra le vie di Montmartre non era di
certo la scelta più sensata.
Il suono di un
messaggio arrivato sul cellulare la fece trasalire.
“Qui
tutto benissimo! Non aspettarmi in piedi, probabilmente farò mooolto tardi. Tutto bene a te, ma cherie?”
La donna sorrise,
e si affrettò a rispondere: Anche qui tutto bene. La mostra è uno schifo.
Faccio due passi e poi credo che tornerò a casa. Non osare tornare prima
dell’alba!
Mentre inviava il
messaggio, però, si rese conto di non avere assolutamente voglia di rientrare:
stare a casa da sola la rendeva preda della malinconia e di pensieri tristi.
Guardandosi attorno, ponderò l’idea di sedersi in un qualche locale, di bere un
cocktail analcolico fissando i presenti e di trarne spunto per qualche disegno.
Certo, non avrebbe disdetto nemmeno un po’ di compagnia. Stranamente quella
sera aveva voglia di chiacchierare, e non solo con il suo coinquilino. Si rese
conto che, clienti a parte, erano quasi due settimane che parlava solo con lui,
e anche i contatti con le altre persone che Jakotsu
le aveva presentato erano molto sporadici.
Quindi, giusto per
avere qualche probabilità di trovare qualcuno con cui scambiare due parole,
decise di dirigersi verso il locale di Renkotsu.
Ad onor del vero, Renkotsu non le andava affatto giù. Le sembrava viscido ed
opportunista, e non si sforzava di celare la sua irritazione quando Jakotsu era presente. Come poteva essere simpatico un uomo
che non sopportava una forza della natura come era il suo amico?
Tuttavia, quello
era l’unico posto dove aveva qualche possibilità di incontrare qualcuno di
conosciuto. Entrò nel locale e si sedette al solito posto, sul bancone, notando
la poca gente presente. Oltre ad un paio
di coppiette, abituali clienti del locale, e un gruppetto di mezza dozzina di
uomini in libera uscita, vi era solo una ragazza dai corti capelli a caschetto,
neri, che fissava sconsolata il suo bicchiere mezzo vuoto. Anche lei era
appoggiata al bancone, giusto un paio di metri lontana da lei. Nessuno della
solita compagnia di Jakotsu.
Renkotsu le fece un cenno di saluto.
“Sedotta ed abbandonata?” Le domandò, ironico.
Kagura si sforzò di sorridere. “Oggi
serata libera.” Rispose, ordinando un cocktail alla frutta, analcolico.
“E il tuo cavalier servente dov’è stasera?”
Alzò le spalle,
fingendo noncuranza. “Una cena.”
Lui fissò la
ragazza mora, che si trovava davanti a sé, e le disse, in tono di scherno: “Mi
dispiace, Yura, ma pare che stasera tu sia davvero
l’unica sfortunata in giro.”
Lei gli rispose
con un sospiro. A Kagura fece un po’ pena. Doveva
avere poco più di vent’anni, carina, con un bel fisico asciutto e curato.
Indossava un abitino nero e corto. Forse era reduce da un appuntamento finito
male. Non trovando nulla di meglio da fare, cambiò sgabello e si sedette in
quello vicino al suo.
Salutò. Lei alzò a
malapena la testa, mugugnando un saluto.
“Non ti ho mai
vista da queste parti.” Disse Kagura, non riuscendo a
trovare nessun’altro argomento migliore per intavolare una conversazione.
D’altronde lei non è che ne avesse una grande esperienza, di conversazioni
informali e di conoscenza nei bar. Ma, su imitazione inconsapevole del suo
compagno, si era ripromessa di diventare un po’ più aperta ed amichevole nei
confronti della gente che la circondava. E di sorridere più spesso. D’altronde,
era un periodo in cui l’ottimismo e la positività potevano davvero influenzare
la sua vita.
“E’ da un sacco
che non ci passo” rispose lei, segnando l’orlo del bicchiere con l’unghia
laccata. “Da quando mi sono messa con Hiten, uno stronzo che frequentava altri locali.”
“Finita male, eh?”
“Mi ha mollata per
un’altra. Peggio di così…” sospirò la ragazza. “E il bastardo non ha nemmeno avuto le palle
di venirmelo a dire in faccia. Mi ha dato appuntamento per stasera in un
ristorante, e ha mandato suo fratello Manten, brutto
come la paura, a fare da ambasciatore, che tra l’altro si è offerto di
sostituirlo.”
“E… non hai pensato che il suo amico potesse dirti una
bugia?”
Yura scosse la testa. “L’ho chiamato,
dopo. Era con lei e mi ha risposto
scocciato. E mi ha offerto suo fratello come sostituto. Come se fossi merce di
scambio, capisci? Merce di scambio senza senso estetico, tra l’altro.”
“Fils de putaine…”
“Lo puoi ben
dire.”
Renkotsu allungò a Kagura
l’ordinazione. “Vedo che avete già fatto amicizia.” Ridacchiò. “Forse tu non
sai con chi stai parlando, Yura.”
La ragazza gli
prestò attenzione.
“Lei è Kagura, e probabilmente tu sei l’unica di tutta Parigi, o
quantomeno di tutta Montmartre a non sapere che è la nuova assistente e
coinquilina di Jakotsu.” L’uomo si sfiorò la pancia.
“E futura madre del suo pargolo, a quanto pare”
Kagura lo guardò con odio, mentre Yura la fissava allibita. “Quindi Jakotsu
non è gay?” sembrava quasi offesa.
“Se così non
fosse, allora avrei anche dei dubbi sulla rotondità del globo terrestre”
rispose. “E per quanto riguarda il bambino, stai tranquilla: non c’è stata nessuna generosa donazione. E’
stato concepito con metodo tradizionale, ricorrendo all’attrezzo da lavoro di
un altro esponente della razza maschile.”
Lo sguardo che le
restituì la ragazza fu sorprendentemente compassionevole. “Anche tu sei
incappata in un altro stronzo?”
“Beh… non proprio. Ma è una storia tediosa e complicata.”
Yura sembrava aver riacquistato un
po’ di tranquillità e anche il suo morale sembrava essersi sollevato. “Sai, a
me piaceva tanto Jakotsu, ma quando ho provato a fare
il primo passo, beh, lui è scoppiato a ridere e mi ha fatto notare di non
essere attratto dalle donne.”
“Io sinceramente
non so come faccia.”si intromise Renkotsu, mantenendo
lo sguardo ipnotizzato sulla scollatura generosa della ragazza. “E comunque eri
l’unica a non averlo notato.”
Kagura pensò che non notare le
preferenze di Jakotsu significava essere sordi e
ciechi contemporaneamente.
“E poi abbiamo
litigato perché non gli piaceva il taglio che gli ho fatto.” Aggiunse la
ragazza, quasi mortificata. “Sai, ero la sua parrucchiera. E anche quella del
barman qui presente.”
Renkotsu mostrò fiero la pelata sotto la
bandana nera, e Kagura ripensò alla zazzera ribelle
dell’amico. Forse Yura non era solo beatamente
ingenua, ma anche abbastanza inaffidabile come pettineuse.
Tuttavia, finse
interesse per il suo mestiere, così da togliere dalla piazza un argomento che
si prospettava abbastanza imbarazzante.
Lei si complimentò
per come erano pettinati e ben curati i suoi capelli, e la invitò nel salone di
bellezza dove lavorava. La donna finse
di prendere in considerazione l’invito, ma comunque di rimandarlo a breve
termine per impegni maggiori.
Parlarono per il
resto della serata del più e del meno, e poi fecero anche parte della strada di
ritorno insieme.
Prima di salutarsi
Yura la pregò di salutare Jakotsu
e di chiedergli infinitamente scusa per il taglio di capelli.
Tornando
nell’appartamento deserto, Kagura si sentiva
orgogliosa di sé stessa e contenta, tutto sommato, per la serata trascorsa. La
sua nuova conoscenza era un po’ pesante, questo era vero, ma comunque aveva
dimostrato a sé stessa di poter essere una persona più aperta di quello che
credeva di essere.
Pensò di informare
subito Jakotsu, ma il fatto di non trovarlo in casa
le fece intuire che un suo messaggio sarebbe stato di disturbo, e quindi si
ripromise di riparlarne con lui la mattinata seguente. Sempre che si presenti in negozio. Pensò sorridendo e trovandosi ad
invidiarlo per l’ennesima volta. Si coricò sul suo lettino, scoprendosi
improvvisamente stanca. Si accarezzò il ventre, come buonanotte, e si
addormentò, per la prima volta dopo mesi, senza dedicare un ultimo pensiero a Sesshomaru.
“Bon Jour!”
Esclamò Jakotsu, spalancando la porta del negozio, in
quel momento fortunatamente deserto, e saltellando dietro al bancone, dalla sua
amica, schioccandole un bacio sulla guancia. “Ti sono mancato? Hai avuto paura
a dormire tutta sola?”
Gli rispose che
aveva dormito come un sasso, e che a malapena aveva sentito la sveglia suonare.
“Allora, com’è andata?”
Jakotsu alzò gli occhi al cielo,
mordicchiandosi il labbro inferiore con aria elettrizzata e sognante.
“MA-GNI-FI-QUE!” sorrise con aria ebete, sedendosi su uno degli sgabelli.
“Prima di tutto, la cena: splendida, ottima. A base di pesce. E HA PAGATO LUI!
Non me l’aspettavo! Meglio così comunque, per pagare la cena che abbiamo
consumato avrei dovuto vendere un rene. Poi siamo andati a bere un cocktail.
Abbiamo evitato Renkotsu e i suoi commentini
acidi e siamo andati in un wine bar lì vicino. Un locale piccolo, ma molto
accogliente. Abbiamo continuato a parlare un po’ di tutto, soprattutto – e qui
tu storcerai il naso – di lavoro.
Giuro di aver mantenuto
un comportamento dignitoso. Poi il
discorso è, disgraziatamente, caduto su Bankotsu. Ho
cercato di fingere noncuranza, ma quando Suikotsu mi
ha detto che avrebbe fatto il servizio matrimoniale per poco non collassavo a
terra. Lui l’ha notato, e mi ha spinto a continuare l’argomento.”
“Stai scherzando,
vero? Hai parlato del tuo ex al primo appuntamento con un altro? Ma che ti
passa per la testa, Jackie! Lo so persino io che è la prima cosa da evitare!”
“Si, lo so, lo so.
Ma lui insisteva! Io ho edulcorato molto la cosa. Però…
più parlavo e più si arrabbiava.. . non con me, ma con Bankotsu!
E mi ha detto che gli era insopportabile il pensiero che lui mi avesse fatto
soffrire così tanto.”
“E quindi?”
“E quindi non sono
più riuscito a resistere e mi sono letteralmente spalmato su di lui!”
Prevedibile. Kagura non poté fare a meno di ridere. “Meno male che
volevi aspettare che facesse lui la
prima mossa. Che fine ha fatto la preda che c’è in te?”
“Non esiste. Sono
un predatore, non c’è niente da fare. E comunque, Suikotsu
non si tirava indietro, anzi! Allora mi ha detto che era meglio andare a bere
qualcosa a casa sua. Ha aggiunto di avere una bottiglia di vino italiano che mi
avrebbe fatto impazzire.”
“Oh… adesso si dice vino
italiano?” commentò la donna.
“Beh, c’era anche
il vino italiano. Però quello che mi ha fatto impazzire è stato qualcos’altro.”
Ridacchiò malizioso. “Nella scala da 1 a 10 gli do un bel 9 come voto. Focoso
come piace a me.”
Furono interrotti
da un cliente che chiedeva uno dei piccoli poster sui tetti parigini esposti in
vetrina. Kagura provvide a servirlo, mentre l’altro
fingeva di trafficare con il computer con aria impegnata.
Quando il cliente
uscì, Jakotsu le domandò come mai non avesse ancora
esposto il suo dipinto sul Canal Saint Martin.
“Veramente
l’abbiamo esposto ieri, suonato.” Fece finta di rimproverarlo, colpendolo
gentilmente sulla fronte con il palmo della mano. “L’ho solamente già venduto.
Stamattina, dieci minuti dopo l’apertura. Se tu fossi stato in orario avresti
partecipato al mio piccolo trionfo personale.”
Lui la fissò a
bocca spalancata. “Così presto? Kaguretta, sei un
genio!” L’abbracciò con trasporto. “Te l’avevo detto che quello era un piccolo
capolavoro!”
Kagura ne fu estremamente compiaciuta,
arrossendo sino alla radice dei capelli. “Beh, era solo una turista tedesca che
non voleva portarsi a casa il solito poster” ammise, con falsa modestia.
Ma Jakotsu
non ne voleva sentir ragioni. “Devi farne subito un altro. Se hai l’ispirazione
vai pure, ti lascio la giornata libera.” L’abbracciò di nuovo, facendo una
piroetta. “Diventeremo ricchi e famosi Kaguretta!”
Lei si staccò dall’abbraccio
quasi a forza, frastornata. “L’unica cosa che ho adesso è la nausea…”
E.C.