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Autore: Evilcassy    26/03/2009    1 recensioni
Che la fortuna aiutasse gli audaci, Kagura Onigumo ne aveva già avuto prova. Scappata illesa (e creduta morta)a Parigi, ora cercava di rifarsi una vita completamente nuova, diversa, e soprattutto, LIBERA. E quando si trovò davanti alla vetrina di uno studio fotografico, a Montmartre, dove un cartello affisso segnalava la ricerca di una commessa, pensò che la ruota della fortuna avesse iniziato a girare per il verso giusto. Per Lei. - Spin-Off di This Time Around - [/SOSPESA -INCOMPLETA]
Genere: Commedia | Stato: completa
Tipo di coppia: Yaoi | Personaggi: Bankotsu, Jakotsu, Kagura
Note: AU | Avvertimenti: nessuno
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- Questa storia fa parte della serie '- This Time Around -'
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La Complainte de la Butte.

Huitieme Chapitre: Sortir.

Saltellava da un piede all’altro come se fosse su un pavimento di carboni ardenti,  gettando sconsolati sguardi all’interno dell’armadio.  “Non ho nulla da mettermi…” piagnucolò per l’ennesima volta.

Kagura alzò gli occhi al cielo, prima di spingerlo via dal guardaroba, e tuffandosi in mezzo ai numerosi capi d’abbigliamento appesi. Dopo pochi minuti di studio dei vestiti, prese un paio di grucce e li gettò sul letto, sbrigativa.

“Pantaloni bianchi. Sicuramente. Sono quelli che ti stanno meglio. A te lascio la decisione sulla camicia. “ decretò.

“Dici?” Jakotsu sembrava perplesso.  “Come se fosse cosa da poco… Non so cosa mettermi sopra… La camicia nera di seta?”

“Così sembreresti Tony Manero…

“Azzurra?”

“Marinaio in libera uscita”

“Rossa?”

“Non ti ci vedo, Compagno Jakotsu.”

Il ragazzo sembrava ormai sull’orlo di una crisi isterica. “Vedi che non ho nulla da mettermi?”

Lei si meravigliò ulteriormente del nervosismo del ragazzo: era tutto il giorno che andava avanti e indietro dal negozio guardando l’orologio ogni dieci minuti. Avevano chiuso con un quarto d’ora d’anticipo perché lui doveva prepararsi,  e arrivato a casa si era barricato in bagno, cercando in tutti i modi di rubarle la crema idratante, impazzendo nel constatare che aveva finito il suo profumo preferito e quasi scoppiando a piangere alla rottura della spazzola per capelli.

“Te l’ho già detto che sei quasi troppo gay per essere vero?”

“Ho già predetto che morirai zitella?”

“Jackie, per la miseria, hai un appuntamento con una persona che conosci da anni e anni, non con Johnny Depp!” esclamò, additando il poster che il ragazzo aveva affisso alla parete e che venerava come un’immagine sacra.

Ma lo stato d’ansia non accennava a diminuire.  “Ma è diverso!” piagnucolò. “E se mi vestissi in un modo che non gli piacesse? E se l’appuntamento andasse male? Se parlassi a vanvera? Se dicessi cose stupide e se mi comportassi in un modo che tu non definiresti dignitoso? ”

Per l’ennesima volta della giornata, a Kagura non rimase altro da fare che sospirare esasperata. “Non esci con Hannibal Lecter!”

“Parli cosi perché non l’hai mai visto arrabbiato.” Mugugnò l’altro. “E tra l’altro è molto più carino…

Kagura, dopo aver dato un’altra occhiata all’interno dell’armadio, sospirò:  “ Vada per la camicia nera, ma niente pantaloni bianchi. Infilati questo paio di jeans, che sarai pure a tuo agio.”

Il sorriso tornò sulle labbra del ragazzo. “Con il cravattino bianco?”

“Dovrai passare sul mio cadavere per uscire da questa stanza.”

Ridendo all’affermazione, il ragazzo si decise a infilarsi i jeans. “Tu questa sera cosa farai?”

“Che tu ci creda o no, stasera esco.” Rispose lei, senza nascondere una punta di soddisfazione.

Lui la guardò sorpreso. “Non mi dire che hai un appuntamento pure tu!”

Tsk! Ma secondo la tua testolina…! Stasera parteciperò ad una mostra di sculture di bronzo. Ho adocchiato il volantino ieri mentre andavo a dipingere.”

“Magari, chissà… incontrerai pure l’uomo della tua vita.”

“Certo, lo scultore del bronzo. Mi ha sempre affascinato come metallo, sai.” rispose ironicamente, guardandosi allo specchio fingendo un’aria trasognata.

Lui ridacchiò: “meglio di un uomo che sembra uscito dall’età del bronzo, no?”

“Mah. Tra quello e il blasonato principe azzurro che tutte sembrano cercare non saprei chi scegliere.”

 

La mostra di sculture di bronzo si era rivelata una noia mortale.  Persino per un’anima così sensibile all’arte com’era Kagura. Quelle figure filamentose e contorte sembravano esprimere tutt’altri concetti rispetto a quelli esposti sulle targhette dei titoli.

“Frammento della solitudine” lesse in uno, per poi studiare perplessa la scultura: una mezza sfera dal centro dipinto di rosso.  Provò a cambiare prospettiva di vista, ma il risultato della sua interpretazione non cambiò. Gettò uno sguardo veloce agli altri partecipanti alla mostra, quattro o cinque personaggi con i medesimi sguardi perplessi, mentre lo scultore, un sosia male interpretato di Andy Warhol, spiegava con enfasi la propria arte ad una ragazza che annuiva con aria non troppo convinta.

La donna si trovò ad invidiare il suo amico, e cercò di immaginarsi l’andazzo dell’appuntamento.  Fissò l’orologio. Le dieci e mezzo. A quell’ora dovevano già aver finito di cenare, o per lo meno essere al dolce.

Si era messa d’accordo con Jakotsu di farle da ancora di salvataggio se gli avvenimenti avessero preso una piega tragica: ad un suo squillo sul cellulare, lei l’avrebbe chiamato fingendo allarme per un malore improvviso e richiedendo il suo aiuto.

Frugò nella borsetta fiorata e controllò il cellulare. Nessun messaggio, nessuno squillo. Allora le cose stavano andando per il verso giusto. E bravo Jackie. Pensò, con una punta di orgoglio. Forse Jakotsu sarebbe riuscito finalmente a dimenticare la precedente storia. Per quanto si sforzasse a negare l’evidenza, ormai Kagura lo conosceva troppo bene.  Ma presto le cose avrebbero preso una piega diversa.

E lei, quando sarebbe riuscita a dimenticare Sesshomaru?

Sospirò, sfiorandosi inconsapevolmente il ventre. Forse, una volta partorito, sarebbe stata assorbita talmente tanto dal nuovo arrivato che non avrebbe più avuto tempo per pensare a lui.

O forse, ancora meglio, sarebbe riuscita ad incontrare l’uomo della sua vita. Parigi era grande, il mondo era immenso, e c’erano tanti pesci nel mare; tanto per utilizzare uno dei motti di Jakotsu.

Beh, non l’avrebbe trovato di certo in quel vernissage semideserto.

Uscì dalla minuscola galleria che ospitava l’evento, indecisa sul da farsi. Era da sola, di sera, e di certo mettersi a bighellonare tra le vie di Montmartre non era di certo la scelta più sensata.

Il suono di un messaggio arrivato sul cellulare la fece trasalire.

“Qui tutto benissimo! Non aspettarmi in piedi, probabilmente farò mooolto tardi. Tutto bene a te, ma cherie?”

La donna sorrise, e si affrettò a rispondere:  Anche qui tutto bene. La mostra è uno schifo. Faccio due passi e poi credo che tornerò a casa. Non osare tornare prima dell’alba!

Mentre inviava il messaggio, però, si rese conto di non avere assolutamente voglia di rientrare: stare a casa da sola la rendeva preda della malinconia e di pensieri tristi. Guardandosi attorno, ponderò l’idea di sedersi in un qualche locale, di bere un cocktail analcolico fissando i presenti e di trarne spunto per qualche disegno. Certo, non avrebbe disdetto nemmeno un po’ di compagnia. Stranamente quella sera aveva voglia di chiacchierare, e non solo con il suo coinquilino. Si rese conto che, clienti a parte, erano quasi due settimane che parlava solo con lui, e anche i contatti con le altre persone che Jakotsu le aveva presentato erano molto sporadici.

Quindi, giusto per avere qualche probabilità di trovare qualcuno con cui scambiare due parole, decise di dirigersi verso il locale di Renkotsu.

 

Ad onor del vero, Renkotsu non le andava affatto giù. Le sembrava viscido ed opportunista, e non si sforzava di celare la sua irritazione quando Jakotsu era presente. Come poteva essere simpatico un uomo che non sopportava una forza della natura come era il suo amico?

Tuttavia, quello era l’unico posto dove aveva qualche possibilità di incontrare qualcuno di conosciuto. Entrò nel locale e si sedette al solito posto, sul bancone, notando la poca gente presente.  Oltre ad un paio di coppiette, abituali clienti del locale, e un gruppetto di mezza dozzina di uomini in libera uscita, vi era solo una ragazza dai corti capelli a caschetto, neri, che fissava sconsolata il suo bicchiere mezzo vuoto. Anche lei era appoggiata al bancone, giusto un paio di metri lontana da lei. Nessuno della solita compagnia di Jakotsu.

Renkotsu le fece un cenno di saluto. “Sedotta ed abbandonata?” Le domandò, ironico.

Kagura si sforzò di sorridere. “Oggi serata libera.” Rispose, ordinando un cocktail alla frutta, analcolico.

“E il tuo cavalier servente dov’è stasera?”

Alzò le spalle, fingendo noncuranza. “Una cena.”

Lui fissò la ragazza mora, che si trovava davanti a sé, e le disse, in tono di scherno: “Mi dispiace, Yura, ma pare che stasera tu sia davvero l’unica sfortunata in giro.”

Lei gli rispose con un sospiro. A Kagura fece un po’ pena. Doveva avere poco più di vent’anni, carina, con un bel fisico asciutto e curato. Indossava un abitino nero e corto. Forse era reduce da un appuntamento finito male. Non trovando nulla di meglio da fare, cambiò sgabello e si sedette in quello vicino al suo. 

Salutò. Lei alzò a malapena la testa, mugugnando un saluto.

“Non ti ho mai vista da queste parti.” Disse Kagura, non riuscendo a trovare nessun’altro argomento migliore per intavolare una conversazione. D’altronde lei non è che ne avesse una grande esperienza, di conversazioni informali e di conoscenza nei bar. Ma, su imitazione inconsapevole del suo compagno, si era ripromessa di diventare un po’ più aperta ed amichevole nei confronti della gente che la circondava. E di sorridere più spesso. D’altronde, era un periodo in cui l’ottimismo e la positività potevano davvero influenzare la sua vita.

“E’ da un sacco che non ci passo” rispose lei, segnando l’orlo del bicchiere con l’unghia laccata. “Da quando mi sono messa con Hiten, uno stronzo che frequentava altri locali.”

“Finita male, eh?”

“Mi ha mollata per un’altra. Peggio di così…” sospirò la ragazza. “E il bastardo non ha nemmeno avuto le palle di venirmelo a dire in faccia. Mi ha dato appuntamento per stasera in un ristorante, e ha mandato suo fratello Manten, brutto come la paura, a fare da ambasciatore, che tra l’altro si è offerto di sostituirlo.”

E… non hai pensato che il suo amico potesse dirti una bugia?”

Yura scosse la testa. “L’ho chiamato, dopo. Era con lei e mi ha risposto scocciato. E mi ha offerto suo fratello come sostituto. Come se fossi merce di scambio, capisci? Merce di scambio senza senso estetico, tra l’altro.”

Fils de putaine…

“Lo puoi ben dire.”

Renkotsu allungò a Kagura l’ordinazione. “Vedo che avete già fatto amicizia.” Ridacchiò. “Forse tu non sai con chi stai parlando, Yura.”

La ragazza gli prestò attenzione.

“Lei è Kagura, e probabilmente tu sei l’unica di tutta Parigi, o quantomeno di tutta Montmartre a non sapere che è la nuova assistente e coinquilina di Jakotsu.” L’uomo si sfiorò la pancia. “E futura madre del suo pargolo, a quanto pare”

Kagura lo guardò con odio, mentre Yura la fissava allibita. “Quindi Jakotsu non è gay?” sembrava quasi offesa.

“Se così non fosse, allora avrei anche dei dubbi sulla rotondità del globo terrestre” rispose. “E per quanto riguarda il bambino, stai tranquilla:  non c’è stata nessuna generosa donazione. E’ stato concepito con metodo tradizionale, ricorrendo all’attrezzo da lavoro di un altro esponente della razza maschile.”

Lo sguardo che le restituì la ragazza fu sorprendentemente compassionevole. “Anche tu sei incappata in un altro stronzo?”

Beh… non proprio. Ma è una storia tediosa e complicata.”

Yura sembrava aver riacquistato un po’ di tranquillità e anche il suo morale sembrava essersi sollevato. “Sai, a me piaceva tanto Jakotsu, ma quando ho provato a fare il primo passo, beh, lui è scoppiato a ridere e mi ha fatto notare di non essere attratto dalle donne.”

“Io sinceramente non so come faccia.”si intromise Renkotsu, mantenendo lo sguardo ipnotizzato sulla scollatura generosa della ragazza. “E comunque eri l’unica a non averlo notato.”

Kagura pensò che non notare le preferenze di Jakotsu significava essere sordi e ciechi contemporaneamente.

“E poi abbiamo litigato perché non gli piaceva il taglio che gli ho fatto.” Aggiunse la ragazza, quasi mortificata. “Sai, ero la sua parrucchiera. E anche quella del barman qui presente.”

Renkotsu mostrò fiero la pelata sotto la bandana nera, e Kagura ripensò alla zazzera ribelle dell’amico. Forse Yura non era solo beatamente ingenua, ma anche abbastanza inaffidabile come pettineuse.

Tuttavia, finse interesse per il suo mestiere, così da togliere dalla piazza un argomento che si prospettava abbastanza imbarazzante.

Lei si complimentò per come erano pettinati e ben curati i suoi capelli, e la invitò nel salone di bellezza dove lavorava.  La donna finse di prendere in considerazione l’invito, ma comunque di rimandarlo a breve termine per impegni maggiori.

Parlarono per il resto della serata del più e del meno, e poi fecero anche parte della strada di ritorno insieme.

Prima di salutarsi Yura la pregò di salutare Jakotsu e di chiedergli infinitamente scusa per il taglio di capelli.

Tornando nell’appartamento deserto, Kagura si sentiva orgogliosa di sé stessa e contenta, tutto sommato, per la serata trascorsa. La sua nuova conoscenza era un po’ pesante, questo era vero, ma comunque aveva dimostrato a sé stessa di poter essere una persona più aperta di quello che credeva di essere.

Pensò di informare subito Jakotsu, ma il fatto di non trovarlo in casa le fece intuire che un suo messaggio sarebbe stato di disturbo, e quindi si ripromise di riparlarne con lui la mattinata seguente. Sempre che si presenti in negozio. Pensò sorridendo e trovandosi ad invidiarlo per l’ennesima volta. Si coricò sul suo lettino, scoprendosi improvvisamente stanca. Si accarezzò il ventre, come buonanotte, e si addormentò, per la prima volta dopo mesi, senza dedicare un ultimo pensiero a Sesshomaru.

 

“Bon Jour!” Esclamò Jakotsu, spalancando la porta del negozio, in quel momento fortunatamente deserto, e saltellando dietro al bancone, dalla sua amica, schioccandole un bacio sulla guancia. “Ti sono mancato? Hai avuto paura a dormire tutta sola?”

Gli rispose che aveva dormito come un sasso, e che a malapena aveva sentito la sveglia suonare. “Allora, com’è andata?”

Jakotsu alzò gli occhi al cielo, mordicchiandosi il labbro inferiore con aria elettrizzata e sognante. “MA-GNI-FI-QUE!” sorrise con aria ebete, sedendosi su uno degli sgabelli. “Prima di tutto, la cena: splendida, ottima. A base di pesce. E HA PAGATO LUI! Non me l’aspettavo! Meglio così comunque, per pagare la cena che abbiamo consumato avrei dovuto vendere un rene. Poi siamo andati a bere un cocktail. Abbiamo evitato Renkotsu e i suoi commentini acidi e siamo andati in un wine bar lì vicino. Un locale piccolo, ma molto accogliente. Abbiamo continuato a parlare un po’ di tutto, soprattutto – e qui tu storcerai il naso – di lavoro.  

Giuro di aver mantenuto un comportamento dignitoso. Poi il discorso è, disgraziatamente, caduto su Bankotsu. Ho cercato di fingere noncuranza, ma quando Suikotsu mi ha detto che avrebbe fatto il servizio matrimoniale per poco non collassavo a terra. Lui l’ha notato, e mi ha spinto a continuare l’argomento.”

“Stai scherzando, vero? Hai parlato del tuo ex al primo appuntamento con un altro? Ma che ti passa per la testa, Jackie! Lo so persino io che è la prima cosa da evitare!”

“Si, lo so, lo so. Ma lui insisteva! Io ho edulcorato molto la cosa. Però… più parlavo e più si arrabbiava.. . non con me, ma con Bankotsu! E mi ha detto che gli era insopportabile il pensiero che lui mi avesse fatto soffrire così tanto.”

“E quindi?”

“E quindi non sono più riuscito a resistere e mi sono letteralmente spalmato su di lui!”

Prevedibile. Kagura non poté fare a meno di ridere. “Meno male che volevi aspettare che facesse lui la prima mossa. Che fine ha fatto la preda che c’è in te?”

“Non esiste. Sono un predatore, non c’è niente da fare. E comunque, Suikotsu non si tirava indietro, anzi! Allora mi ha detto che era meglio andare a bere qualcosa a casa sua. Ha aggiunto di avere una bottiglia di vino italiano che mi avrebbe fatto impazzire.”

Oh… adesso si dice vino italiano?” commentò la donna.

“Beh, c’era anche il vino italiano. Però quello che mi ha fatto impazzire è stato qualcos’altro.” Ridacchiò malizioso. “Nella scala da 1 a 10 gli do un bel 9 come voto. Focoso come piace a me.”

Furono interrotti da un cliente che chiedeva uno dei piccoli poster sui tetti parigini esposti in vetrina. Kagura provvide a servirlo, mentre l’altro fingeva di trafficare con il computer con aria impegnata.

Quando il cliente uscì, Jakotsu le domandò come mai non avesse ancora esposto il suo dipinto sul Canal Saint Martin.

“Veramente l’abbiamo esposto ieri, suonato.” Fece finta di rimproverarlo, colpendolo gentilmente sulla fronte con il palmo della mano. “L’ho solamente già venduto. Stamattina, dieci minuti dopo l’apertura. Se tu fossi stato in orario avresti partecipato al mio piccolo trionfo personale.”

Lui la fissò a bocca spalancata. “Così presto? Kaguretta, sei un genio!” L’abbracciò con trasporto. “Te l’avevo detto che quello era un piccolo capolavoro!”

Kagura ne fu estremamente compiaciuta, arrossendo sino alla radice dei capelli. “Beh, era solo una turista tedesca che non voleva portarsi a casa il solito poster” ammise, con falsa modestia.

Ma Jakotsu non ne voleva sentir ragioni. “Devi farne subito un altro. Se hai l’ispirazione vai pure, ti lascio la giornata libera.” L’abbracciò di nuovo, facendo una piroetta. “Diventeremo ricchi e famosi Kaguretta!”

Lei si staccò dall’abbraccio quasi a forza, frastornata. “L’unica cosa che ho adesso è la nausea…

 

 

 

 

 

E.C.

   
 
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