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Autore: Celtica    03/03/2016    28 recensioni
| Storia pubblicata su Amazon: Myricae - il giorno che ti ho perso |
Un cane, quando viene abbandonato, si sente in colpa.
Pensa di essere stato lui, di aver sbagliato, di aver agito male. Cerca il padrone perduto, lo aspetta, lo desidera e lo teme.
Davanti a lui può esserci la fine, o un nuovo inizio.
Esattamente come nella vita di Marta, la ragazza che l'ha abbandonato, e di Tobia e Luna, due amanti dei cani.
Lui è il filo conduttore che li lega.
Storia in pausa, ma ancora per poco.
Genere: Angst, Drammatico, Generale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: Tematiche delicate
Capitoli:
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Cap 1

Al tuo cane,
perché ti ha amato e ti amerà
fino al suo ultimo giorno.


Capitolo primo

Vado a casa e casa non ce l’ho.
Vado a casa e casa non la so.
Ho provato a stare senza te…
Son perduto e son tradito.
Ma ti sto annusando,
e ti sto cercando … e non so mica dove sei.
Stanco più stanco al vento.
Che piove già… Sta gocciolando.
In questa notte sola che… Cancella i passi e il tempo.
Cancella me, cancella il mondo.
(Tobia di Zucchero)



L’aria ha l’odore della pioggia.
È sollevando il muso al cielo che se ne accorge. Presto si bagnerà. Non ha un riparo, non sa dove nascondersi. E l’acqua gli porterà via quell’unica traccia rimasta.

Come tornerà a casa?
È sicuro che il suo padrone lo stia chiamando.

Grida più forte! Pensa, mentre avanza lungo la strada.

Quando il portellone dell’auto si è aperto, ricorda di essere sceso con un salto, di aver scodinzolato vedendo le campagne.
Non lo portavano mai in campagna, conosceva appena il profumo dell’erba, o il tocco morbido della terra bagnata; e ricordava il colore degli alberi contro il cielo, ma arbusti diversi, che non riuscivano a riempire di verde il parco. Nulla rispetto all’immensità che lo circonda.
Se loro fossero ancora con lui, ora potrebbe dedicarsi a tutti gli odori che ha intorno, potrebbe mettersi a scavare la terra e strofinarla con il muso. Potrebbe inseguire pietre, mordere bastoni, correre contro il vento.

Sono passate ore da quando l’auto è ripartita.

Lui si chiede come sia possibile che lo abbiano dimenticato lì… Ha corso con tutta la forza che aveva quando li ha visti andare via.
Come hanno fatto a non vederlo?
La ruota ha strisciato appena contro la sua gamba, lo sa, ha dovuto leccare quel punto a fondo perché smettesse di bruciare.

Si sente perduto. Ha paura, ha paura di non ritrovarli, ha paura che possano accorgersi che lui non è con loro. Si arrabbieranno, ne è sicuro.

Sa di aver sbagliato spesso, nell’ultimo periodo.
La casa era sempre piena di grida, di indici puntati contro di lui. Di mani sollevate, pronte a colpirlo.
A niente serviva mettere la coda tra le gambe, chinare la testa e chiedere perdono. Scodinzolava per scusarsi, in modo lieve, quasi per timore di creare disturbo.

Dove sei…

Comincia a sentirsi stanco.
La paura, il vento che gli arruffa il pelo, la solitudine, sono tutte cose che lo distruggono dentro. Mette una zampa davanti all’altra, sperando di vedere casa.
Ma sta iniziando a non sentire più nulla… L’odore del suo padrone è scomparso. È durato un istante, l’istante in cui erano entrambi fuori dall’auto, un momento prima che il suo amato risalisse senza di lui.

Cosa dirà Marta quando non lo vedrà rientrare? Loro non possono stare soli, lui deve proteggerli.

Prende a correre, di nuovo, come se il galoppo riuscisse a riportarlo a casa.
Sposta tutto il peso su una zampa e, mentre salta, resta un istante senza toccare terra. È uno sforzo, per lui che non è abituato a correre.
Rallenta, passa dal trotto all’ambio finché non si ferma.

Sta facendo buio. Sta iniziando a piovere.

Pensa al suo amore, il suo padrone lontano, che non sa ancora di essere solo. Cosa dirà… Cosa farà quando, aprendo il portellone, troverà il bagagliaio vuoto?
Finalmente capisce: deve aspettare.

Presto, molto presto, i fari dell’auto lo accecheranno, il suo padrone tornerà a prenderlo, e Marta sarà di nuovo felice, con lui.
È certo di essere stato perdonato dopo il loro gioco, dopo la sgridata della Mamma. È più che sicuro che Marta gli si getterà al collo e lo stringerà forte, riderà di nuovo con lui, come quando era solo un cucciolo.
Ha sette mesi adesso, un bisogno impellente di mordere, di muoversi, di giocare.

Siede a lato della strada, nella cunetta, e ripensa a ciò che ha passato in quei suoi mesi di vita. Ricorda il sapore del latte di sua madre, ricorda i suoi fratelli, che lo schiacciavano sotto di loro, ricorda l’uomo, quello alto, che l’ha malamente separato dalla sua famiglia.

Ricorda i primi giorni, il buio della scatola, il viso di Marta… La cosa più dolce. Ricorda i biscottini a forma d’osso, il naso premuto nella sua pipì, quando il suo padrone voleva solo insegnargli…

E ricorda la pioggia.
Una pioggia diversa da questa, una pioggia vista attraverso un vetro, quasi desiderata, quasi temuta.
Eppure Marta l’ha sempre odiata… Odiava andare a scuola quando pioveva, odiava separarsi da lui.

Fino a quel giorno.

Aveva cambiato i denti da poco, e ricorda, ricorda quasi con dolcezza la risata tenera che faceva Marta ogni volta che ne trovava uno da latte. Ricorda il suo bisogno di affondare in qualcosa, in qualunque cosa. Ricorda il sapore cattivo della prima ciabatta rubata, della prima pallina fatta a pezzi, della gamba del tavolo rosicchiata.
Tutto è cominciato da lì.

Fino a quel giorno…

Marta giocava con lui, si lasciava rincorrere, ma certe volte, certe volte esagerava. La prima volta, afferrandogli il pane secco davanti al naso, lui era rimasto immobile, limitandosi a guardarla con delusione.
Ma alla seconda volta era partito l’avvertimento.

Non toccarlo.
È mio.

Era suo. Marta non avrebbe dovuto toccarlo. E più lui la avvertiva, più mostrava le zanne, più lei sembrava divertirsi a fargli i dispetti.

Fino-a-quel-giorno.

Giocavano, Marta gli tirava la palla nel parco, la Mamma li seguiva a distanza. Ma quando lui aveva guadagnato la palla, quando l’aveva stretta tra le fauci e aveva cercato di fuggire, Marta gli aveva preso la coda.

Era stato istinto.

La palla era finita nell’erba, bagnata di bava, e le sue labbra nere erano corse al braccio magro di lei.
Può ancora udire il grido di Mamma, il colpo contro di lui, il sapore del sangue quando Marta ha tirato via il braccio, strappando la pelle.

Quella sera stessa l’aveva passata rinchiuso in cantina, mentre loro, e l’auto, erano via. Al ritorno Marta aveva una fascia bianca intorno al braccio e un muso lungo puntato contro di lui.
Era stato suo padre a farlo uscire e a spingerlo in casa.

Nulla è più stato lo stesso, da quel giorno.

Se chiude gli occhi sente ancora l’odore di Marta, quello strano profumo che sembra mischiare fiori e fumo. Si chiede quando potrà tornare ad annusarla.
Rimane immobile, l’acqua gli inzuppa il pelo, ma lui tiene la testa bassa. E aspetta.

I cani, quando amano, amano in modo costante,
inalterabile, fino all’ultimo respiro.
(E.Von Arnim)

Sfoglia il libro di poesie, e si sente sopra una nuvola.
Tobia la guarda, seduto accanto a lei, mentre il docente di Economia Politica è intento a spiegare Il Dilemma del Prigioniero. Ma Luna non ascolta, si lascia accarezzare dalle parole di Montale.

“Giravano al largo i grovigli dell’alighe e tronchi d’alberi alla deriva.
Nella conca ospitale della spiaggia non erano che poche case di annosi mattoni, scarlatte, e scarse capellature di tamerici pallide più d’ora in ora; stente creature perdute in un orrore di visioni.”

«Che fai?» sussurra Tobia, incrociando le braccia mentre si china su di lei.

È alto, e Luna lo vede piegare la schiena per arrivare al suo orecchio.

«“Fine dell’infanzia”.»
«Dal titolo non…»

I ragazzi davanti a loro si voltano, ed è allora che Tobia sembra accorgersi del silenzio. Il docente li sta guardando.
Luna lo vede aprire la bocca in un largo sospiro, prima di riprendere con i suoi esempi sulla nozione.
Lei la conosce già, ha passato il pomeriggio precedente a leggerla sul libro, e pensa che sia spiegata molto meglio.
Non è il migliore dei docenti, per lei, ma a Tobia sembra piacere.
Lei preferisce persone più appassionate.

Quando la lezione finisce, i ragazzi si affollano alla porta, ma loro due rimangono seduti. Aspettano, sanno che è inutile gettarsi nella confusione per niente.

«Alla fine tua madre ha preso un cane?» domanda Luna, scostando le ciocche ribelli dalla guancia. Le accompagna lentamente dietro l’orecchio e, come al solito, qualche capello rimane incastrato all’anello.

È Tobia ad aiutarla a liberare la mano. Le sue sono grandi, callose, con le unghie corte.
Luna ha una fissazione per le mani.

«No…» Sembra più un mugolio che una risposta, e Tobia abbassa gli occhi. «Non le piacciono i cani.»

«Ma perché!» si infervora lei, mentre si stanno alzando. «Cioè, io proprio non la capisco! Tuo padre l’ha lasciata, almeno lo sa che un cane non si separerebbe mai da lei? Lo sa che un cane piuttosto ne morirebbe? Cavolo, diglielo! Digli che lo vuoi!»

Tobia si sistema la giacca marrone prima di parlare. Sembra sapere che è meglio aspettare che il “treno”, come la chiama lui, finisca il suo discorso.

«Sei tu che lo vuoi, Luna» confessa infine.

«Tu no?»

C’è delusione nella sua voce, e Tobia sembra accorgersene. Non riesce mai a sostenere il suo sguardo, arrossisce ogni volta che Luna alza il viso per guardarlo negli occhi.
È molto più bassa di lui, eppure sembra lei la gigante quando parlano.

«Sì» mormora Tobia, grattandosi il naso. «Anch’io…»

Luna non sembra accorgersi della sua voce incrinata. Rimane ancorata a ciò che ha detto un momento prima. Tira indietro i capelli e solleva il mento con fare di sfida.

«E perché hai detto così? Perché hai detto che sono io che lo voglio? Mica posso costringerti.»

Tobia sembra farsi piccolo piccolo, ed è impressionante vedere quel ragazzone arrossire nell’aula vuota.
Non c’è nessuno ad ascoltarli.

«Ma mi hai convinto tu… Tempo fa.»

Luna passa lo sguardo intorno a loro: l’aula enorme, ora vuota, è solo una sfilza di sedie con ribaltina, muri bianchi e scrostati, una cattedra rossa che fa contrasto con il pavimento a puntini neri.
Dai finestroni alti entra una luce opaca, che schiarisce i suoi capelli ramati, ma non riesce ad attraversare il nero che Tobia ha in testa.

«Convinto? Non ci dovrebbe essere qualcuno che ti convince ad amare gli animali…»

Tobia solleva le braccia al cielo: sembra un’invocazione, e Luna capisce di avergli fatto perdere la pazienza. Di nuovo.

«Miseria, Luna!» grida lui, e finalmente sembra trovare la forza di guardarla negli occhi. «Non ne ho mai avuti! Non so cosa significhi! Sei tu che non parli d’altro! È la tua ossessione! Dovresti preoccuparti di più di chi hai intorno, invece che pensare solo e soltanto ai cani!»
Lo vede prendere la sacca e uscire di filato dall’aula.

Luna si sente in colpa. Il fuoco che ha albergato dentro di lei sembra ormai svanito. Tobia è in grado di fare questo, a volte.
Mette lo zaino in spalla e lo segue, raggiungendolo in cima alle scale. Un paio di ragazzi sono in fondo alla rampa, vicinissimi, come se stessero per baciarsi, ed è allora che Tobia la guarda.

Ma è un istante, e subito distoglie gli occhi da lei.

«Mi dispiace…»
«No che non ti dispiace!» grida ancora Tobia, scendendo le scale di fretta. «Sempre così con te! Non si può dire niente!»

I due di prima li guardano con astio, come se avessero interrotto qualcosa. E Tobia, in genere così riservato, se ne accorge.
Purtroppo per loro.

«E voi? Andatevene in albergo, va!» grida, davanti a loro.

Luna si sente in imbarazzo: sono due che seguono Diritto Privato con lei. Sorride come a scusarsi, mentre l’indice corre alla tempia. Si sfiora la fronte con il dito quando è in difficoltà. Sempre.

È quando sono fuori che lo raggiunge.
Gli sfiora il braccio per sentirsi puntare i suoi occhi azzurri addosso. Sono ancora carichi di furia.
Luna non sa perché, ma Tobia si arrabbia solo con lei. Con nessun altro.

«Mi dispiace.»

«L’hai già detto, Luna. Possibile che ti ripeta sempre?» Tobia sospira, sposta la sacca da una mano all’altra, e sembra averla già perdonata. «Ti ho detto che lo voglio. Voglio-un-cane. Ma non ho il coraggio di andare in canile… Non saprei come scegliere, da quello che mi hai raccontato stanno tutti lì a guardarti. Mi sentirei in colpa dopo aver scelto, capisci?»

Luna assume di nuovo il suo cipiglio di guerra.
Porta le mani ai fianchi e si sente pronta ad affrontare l’ennesima battaglia. Vuole convincerlo, non c’è verso.

«E cosa pensi? Che cada dal cielo? Certo che è brutto, lo so. Ma darai la casa a un cane, capisci? Ne salverai uno, e sarà come aver salvato l’umanità intera.»

Tobia sorride divertito.
«Che c’entra l’umanità? Credevo parlassimo di cani.»
«È lo stesso» risponde lei, convinta.

Dall'assassinio degli animali
all'assassinio degli uomini il passo è piccolo.
(Lev Tolstoj)


Marta torna a casa da scuola.
Si sente triste e un po’ colpevole. Ma sa che sua madre, presto, le farà tornare il sorriso. Hanno detto addio al suo cane, ma era giovane, ha detto papà, e avrà un futuro bello anche da solo. Lontano da loro.
Quando attraversa il giardino, l’occhio corre alla casetta dell’animale. È vuota, ora. È triste.
Capisce di essere davvero una persona sensibile a preoccuparsi del cane. L’ha pur sempre morsa, le sue amiche le hanno chiesto perché non l’ha fatto abbattere.

“Ti hanno messo i punti? Dio, che schifo. Ma perché lo avete preso, poi? Puzzava.”

La porta si apre davanti a lei, una grande porta rossa con vetri decorati, e il sorriso lucente di sua madre la accoglie.
Marta sistema meglio i capelli lisci, Anna l’ha avvertita che il biondo sta iniziando a svanire e, davvero, non riesce a pensare ad altro.
Deve andare a farsi sistemare il taglio, il colore, tutto!

Ma poi il ricordo del cucciolo invade il suo campo visivo. È preda di una visione, forse. Le sembra di vederlo, quando le correva incontro, scodinzolando, gli occhi illuminati alla sola sua presenza.
Era sempre felice quando lei tornava da scuola.

«Com’è andata? Stai meglio? Fammi vedere il braccio» È l’esordio di sua madre.

«Ma’, ti prego, non sei un medico. Ho la fascia, la cambio stasera, ok? Mi cambio che devo andare da Becca.»
«Che hanno i tuoi capelli?» chiede sua madre, mentre l’atrio, pulito e ordinato, è sgombro dall’odore di cane. «Se me lo dicevi prendevo appuntamento anche per me.»
«Vado con Anna.»

Marta ricorda la prima volta che ha sentito quell’odore… È stato quando il loro cucciolo ha cominciato a crescere, ne è certa. Quando è arrivato non “sapeva di niente”.
Ma poi, un giorno, se n’è accorta.
E il suo naso ha fatto tutto il resto, l’ha abituata, mentre ora, ora che lui non c’è, Marta si accorge del profumo dei prodotti di casa. Profumo di pulito. Mancanza di qualcosa…

«Potevo venire con voi!»

Marta sbuffa e fa cenno di no con la testa.
Sale le scale, coprendo la voce di sua madre con il rumore degli stivali. Deve vestirsi, cambiarsi, non vuole che Anna le faccia altre battute.
Certe volte la detesta, ma è la sua migliore amica…

Il corridoio, vuoto, è strano. Il tappeto è sempre lì, i peli, per quanto sua madre possa aver tentato di toglierli, sono al solito posto.
Manca solo lui.
Marta pensa che dovrà farci l’abitudine o, al più, prendere un altro cane.

È notte quando l’auto si ferma.
La donna scende quasi con timore, lo guarda e capisce.
Si chiede come si possa, si chiede perché.

In questa notte sola che cancella i passi e il tempo.
Cancella me… Cancella il mondo.
Guardo fuori, dove va la strada e i perduti orrori.
“Vieni… La notte è aperta per te.
Questa notte di porte, di carezze e di stelle aperte di notte.”
Amore in mano al vento.
Non piove, ma… Sta gocciolando.
(Zucchero)

nn

Note dell’autrice:

Rieccomi con una nuova storia!
Non so perché, ma sono già molto affezionata a questi personaggi e a ciò che succederà. Per ora mi limito a presentarveli, è vero, ma dal prossimo avrete uno scorcio dell’ambientazione, delle relazioni che li legano e ulteriori indizi.
Sì, perché vi ho fornito molti, molti indizi su ciò che accadrà. Anche sul finale a dire il vero.
Non sono solita mettere note, a meno che non sia assolutamente necessario, ma ci sono diverse cose che, sono certa, potrete individuare facilmente.
Vi aspetto per sapere quale sia la vostra prima impressione su questa storia e, spero, per il prossimo capitolo!

Celtica

P.S.: il titolo è ispirato alla raccolta di poesie di Pascoli.

   
 
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