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Autore: Lily Liddell    03/03/2016    0 recensioni
Cosa succede quando due menti malate si incontrano?
Questa è la storia di due individui completamente diversi con una passione in comune: le storie di Lewis Carroll; un serial killer e una ragazza sulla soglia dell'età adulta che fatica a trovare il suo posto nel mondo.
E' la storia di una squadra di agenti speciali che indaga su una serie di omicidi. E' la storia di una dottoressa che pur di seguire la sua paziente finisce in un mondo che non le appartiene.
Se volete trovare risposta alla prima domanda, allora procedete con cautela. Qui siamo tutti matti.
Genere: Horror, Mistero, Thriller | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het, Slash, FemSlash
Note: nessuna | Avvertimenti: Contenuti forti, Violenza
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CAPITOLO I
 
Un anno dopo.
 
Sono il narratore inaffidabile della mia stessa storia; non ho più idea di chi io sia.
Assolutamente incontrollabile e incontrollata. Sono come una boa alla deriva; galleggio sulla superficie dell’acqua temendo di essere portata via dalla corrente, senza sapere che in realtà sono legata saldamente al fondo del mare, al cemento, da una spessa corda.
Il mio Cappellaio è il cemento che mi tiene, la sua voce è la corda e il mare è la mia follia, sempre più in tempesta, sempre più forte e ho paura che presto la corda non sarà più sufficiente.
Bramo momenti di lucidità come questo, sono sempre più rari e sempre più brevi. Metto per iscritto i miei pensieri, le mie paure e ci sono giorni in cui non riconosco nemmeno la mia grafia.
Pagine di diario – piene di parole cariche di significato – si alternano a pagine su pagine di parole senza senso, disegni orribili e incubi ricorrenti.
Allucinazioni mostruose si presentano a me durante le ore del giorno, spesso non riesco a distinguerle dalla realtà.
La capacità che avevo di riconoscere ciò che è reale da quello che non lo è sta svanendo poco a poco, lentamente, al passo del briciolo di consapevolezza che mi è rimasta di ciò che ero.
Credo di aver ucciso qualcuno – non ricordo il motivo e nemmeno come si sono svolti i fatti. Nella memoria ho solo marchiato a fuoco il sangue che scorreva, che ricopriva le mie mani e il mio volto.
Per quanto io sappia che uccidere sia sbagliato, non mi sento colpevole. Dev’esserci qualcosa di sbagliato nella mia testa – questo è evidente – ma non sono responsabile delle mie azioni.
Sono intrappolata in un corpo che non mi appartiene, non ne controllo i movimenti, non ne posseggo i ricordi. Temo di non essere sola, qui dentro.
Divento sempre più convinta che ci sia qualcun altro con me; giorno dopo giorno, il sospetto che le voci esistano davvero diventa sempre più concreto.
Vorrei poter trovare un modo per comunicare con loro, ma da quando non c’è più il Coniglio, questo non è possibile.
Ero arrivata alla consapevolezza di essere il Coniglio e non so per quanto tempo io lo sia veramente stata – al momento non sono più sicura di nulla, nemmeno di essere Alice.”
 
La voce dell’agente Victoria Lutwidge s’interruppe all’improvviso, assieme alle parole scritte nero su bianco, sulla pagina ingiallita del diario che reggeva fra le mani.
Un’altra voce riempì il piccolo studio – nel quale anche tre persone erano troppe. « Continua così ancora per diverse pagine » disse l’altra donna, alzandosi dalla sua poltrona di pelle scura e facendo il giro della scrivania perfettamente organizzata. « Era fra le sue cose, nel magazzino dove l’hanno trovata e arrestata. Da quando è stata presa in custodia non ha più scritto o detto una sola parola » aggiunse, appoggiando gli occhialetti dalla montatura leggera sulla fronte.
Due segni rossi adesso le segnavano i lati del naso sottile e leggermente ricurvo, ricoperto di lentiggini chiare.
La dottoressa Cecily Carter lavorava da quindici anni in quell’ospedale psichiatrico giudiziario, e non avrebbe potuto paragonare nessun altro suo paziente ad Alice Carmichael.
Jonathan Lowee, che ormai si avviava verso i cinquant’anni, era in piedi accanto alla sua collega. Sollevò gli occhi dal diario e li poggiò sulla dottoressa; le gambe cominciavano ad indolenzirsi, quel colloquio stava andando avanti da quasi un’ora e lui era rimasto in piedi per far sedere Lutwidge – di appena due anni e mezzo più anziana di lui. Si chiese se era veramente necessario parlare in quel buco, considerando quanto fosse grande la struttura in cui si trovavano.
« Grazie per la collaborazione, dottoressa » nel suo tono di voce era palese una certa impazienza di andarsene. Cominciava ad averne abbastanza di quel posto, per di più i manicomi gli davano i brividi.
Lutwidge chiuse il diario e lo passò direttamente alla dottoressa, poi scambiò uno sguardo veloce con il collega e inspirò aspramente. Si alzò facendo leva sui braccioli della sedia su cui era seduta e strinse la mano alla donna di fronte a lei, limitando il contatto visivo all’essenziale – nemmeno lei era completamente a suo agio in una situazione del genere.
« È possibile che dovremmo provare ad interrogare la ragazza » l’avvisò, mentre percorrevano in fila indiana lo spazio dalla scrivania alla porta.
Carter l’aprì e si appiattì contro la parete, facendo passare prima Lutwidge e poi Lowee. « Siete i benvenuti, ma non contate troppo sulla sua collaborazione. In quattro mesi non ho sentito la sua voce nemmeno una volta ».
 
*
 
La fredda brezza mattutina risvegliò le membra stanche di Lowee; il cielo era grigio e l’aria asciutta. La struttura dalla quale erano appena usciti si trovava al centro di un parco privato, al momento non c’era nessuno nei paraggi.
« Non sappiamo chi sia la vittima citata nel diario » osservò Lutwidge mentre si avviava alla loro auto. « Non sappiamo nemmeno se esiste veramente o no. Lei stessa ha scritto di soffrire di allucinazioni ».
« Per quanto ne sappiamo, il diario potrebbe essere tutta una copertura; ci sono fin troppe informazioni utili scritte lì ».
« Secondo la dottoressa Carter non c’è modo che la ragazza abbia inscenato una messa in scena tale ».
Lowee non era completamente convinto, avrebbe dovuto constatare con i suoi occhi prima di poter decidere che posizione prendere in quella faccenda.
Quello che sapeva, era che negli ultimi tre mesi erano morte quattro ragazze – di cui loro sapevano – e che un serial killer era ancora a piede libero.
La ragazza, Alice Carmichael, era stata presa in custodia diversi mesi prima e giudicata incapace di intendere e di volere. Era stata rinchiusa e poi dimenticata.
Aveva ucciso almeno un uomo – Alan Spike, attore di una piccola compagnia teatrale – ed era stata complice nell’assassinio di altre due persone, se non di più – inclusi il suo precedente psichiatra, Joseph Roberts, e suo padre adottivo.
La madre adottiva era il loro prossimo obiettivo.
Di solito si occupavano di casi diversi. Solitamente avevano a che fare con creature sovrannaturali: vampiri, lupi mannari, lepricauni, e cose simili… questa volta si trattava di un serial killer.
Tecnicamente, sarebbe dovuta essere roba da Intelligence, ma l’ultima vittima faceva parte della loro Comunità, Lowee stesso conosceva di persona la ragazza e la sua famiglia. La madre era una loro collega, di conseguenza la loro Direttrice aveva deciso di incaricare loro per scoprire se quella storia fosse solo un’orribile coincidenza o se c’entrasse del paranormale.
Con base alla stazione Centrale della Sicurezza di New Keepsville, i restanti tre membri della squadra stavano lavorando sodo per trovare altre informazioni utili.
Lowee non era il miglior pilota sulla piazza – nonostante la sua autostima gli dicesse il contrario – e Lutwidge detestava essere il suo passeggero.
Prendendo larga una curva particolarmente stretta, Lowee accelerò ulteriormente. « È un viaggio inutile » disse. « Dobbiamo parlare con la ragazza, metterla sotto pressione, capire se è veramente qualcosa a cui dobbiamo pensare noi, o se dobbiamo sbolognare il caso alla polizia ».
Se non finiamo all’obitorio prima noi – pensò la collega, stringendo forte la maniglia della portiera.
Il suo cuore mancò un battito all’ennesima curva presa da Lowee.
« Per parlare con la ragazza ci serve un permesso scritto dell’ospedale, Carter ce lo farà avere ma nel frattempo non dobbiamo prendere sotto gamba i dettagli ».
Lutwidge sapeva perfettamente che era molto probabile che la madre adottiva sarebbe stata un buco nell’acqua, ma preferiva quello piuttosto che restare in Centrale a girarsi i pollici.
Mentre la dottoressa preparava le condizioni ideali per un colloquio con la ragazza, lei non voleva perdere d’occhio quello che la circondava.
Alice Carmichael aveva un lunghissimo referto psichiatrico che lei stava ancora leggendo e che risaliva al suo primo ricovero. Si chiese quante cose fossero cambiate da allora.
Era rimasta quasi tre mesi nell’istituto di igiene mentale di Roberts prima di perdere il controllo completamente.
Non le era mai stata diagnosticata ufficialmente un disturbo di personalità multipla, ma alla luce delle nuove informazioni ricavate dal diario, non poteva escluderlo.
Secondo il referto psichiatrico, Alice era stata un’adolescente paranoica e particolarmente problematica.
Adottata all’età di otto anni, dopo due anni passati nel sistema di adozioni in seguito alla morte violenta dei genitori naturali, aveva subito dimostrato di avere disturbi mentali più o meno lievi.
Dal momento che tutti i casi in cui potessero essere presenti eventi paranormali venivano vagliati dal personale addetto, e che la cartella di Alice dopo vari passaggi era finita fra le mani della loro Direttrice, adesso stava a loro cercare di stabilire se era effettivamente un caso che riguardava la loro divisione.
La ragazza era stata in cura presso diversi istituti, alla fine erano riusciti a tenerla sotto controllo con l’aiuto di Roberts. Nell’ultimo periodo, prima del declino, aveva smesso di assumere i suoi medicinali.
Adesso seguiva una cura fatta da psicofarmaci piuttosto generici, dal momento che non si riusciva a definire con esattezza il suo disturbo.
Quello che era certo, era che dal momento in cui era stata accettata all’interno della struttura non aveva avuto nemmeno una volta atteggiamenti violenti nei confronti di nessuno.
Le cause potevano essere centinaia. Poteva trattarsi sul serio di sdoppiamento di personalità, quanto poteva trattarsi di possessione demoniaca – e fra le due cose, passavano tantissime altre ipotesi, che avrebbero dovuto prendere in considerazione.
Nell’ultimo periodo apatia e disinteresse erano le uniche cose che dimostrava, alienata completamente dal resto dell’universo, viveva nel suo mondo delle meraviglie.
Il Cappellaio – così lo chiamava lei – era l’uomo malato a cui attribuivano gli ultimi omicidi. Non conoscevano la sua vera identità, ma ai media ormai era noto come Cappellaio Matto. Studiando i fascicoli e i referti della ragazza, gli agenti della Centrale avevano già scoperto che inizialmente si era pensato che le azioni di Alice fossero state condizionate dal suo incontro con l’uomo, ma in seguito erano riusciti a capire grossolanamente la cronologia degli eventi.
Come avesse fatto il Cappellaio ad entrare all’interno della struttura in cui era seguita Alice, ancora era un mistero. In seguito al rapimento della ragazza – anche se ormai erano praticamente certi che lei lo avesse seguito di sua spontanea volontà – i due avevano commesso una serie di brutali omicidi. La percentuale di colpevolezza di uno e dell’altra era ancora da definire.
Anche il motivo per cui lui avesse scelto proprio la ragazza come compagna era ancora sconosciuto. Speravano che in un modo o in un altro sarebbero riusciti a fare chiarezza sulla faccenda.
Alice e il Cappellaio avevano passato quasi sei mesi insieme, prima che lei venisse presa. La polizia locale era riuscita a rintracciare uno dei loro nascondigli, ma il Cappellaio non c’era. Alice invece dormiva – era stata messa sotto arresto e portata via senza che lei battesse ciglio.
A quel punto, il caso era passato a loro. Una volta stabilita la natura dei disturbi della ragazza, avrebbero potuto comportarsi di conseguenza. Sfruttare le sue potenziali capacità per aiutare la Centrale a risolvere il caso, o riconsegnarla nelle mani della dottoressa Carter, e far concludere le indagini alla polizia.
La spalla di Lutwidge sbatté violentemente contro il finestrino e avvertì una fitta di dolore acuto. Strinse i denti ed evitò di fiatare.
Un’altra sbandata del genere e gli avrebbe piantato una pallottola in testa – si promise – ma sapeva che non lo avrebbe mai fatto. In una gamba, forse… 
   
 
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