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Autore: Fiamminga    04/03/2016    2 recensioni
John e Sherlock si trovano a condividere l’appartamento, mentre uno sta ancora cercando di ottenere la sua tanto agognata laurea in medicina e l’altro perde tempo a investigare crimini improbabili per dar fastidio ad un giovanissimo ispettore Lestrade che non sa più dove mettere le mani. In tutto questo si aggiunge una strano feeling e strane situazioni che mineranno il confine dell’amicizia su cui i due coinquilini hanno messo i paletti. Ah, e secondariamente rischiano di essere uccisi da un tale di nome Moriarty, ma sono situazioni di routin.
Genere: Fluff, Romantico, Slice of life | Stato: completa
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: Jim, Moriarty, John, Watson, Sebastian, Moran, Sebastian, Moran, Sherlock, Holmes
Note: What if? | Avvertimenti: nessuno
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V. BURNING
 
 






Se guardava fuori dalla finestra, riusciva a vedere l'orribile alone arancione nel cielo di Londra. Sherlock aveva detto che non gli importava delle stelle, eppure a lui sarebbe piaciuto vedere almeno in quel momento una piccola luce vera nel cielo. Pensare che quella luce che colpiva i suoi occhi, tremolante, fredda e antica come l'universo forse aveva visto lei stessa le meraviglie del cosmo l'aveva sempre fatto rabbrividire. Ora la luce era arancione.
Un movimento vicino a lui. Nell'oscurità Sherlock andò a chiudere le tende della finestra e non vi fu più un filo di luce, il buio era pesante e spesso come se si potesse tagliare, eppure l'altro si muoveva con sicurezza, e si andò a sedere sul letto senza l'esitazione che altri (lui) avrebbero avuto. Il materasso si sbilanciò e per forza di gravità la testa di John scivolò vicino al suo bacino. Sentiva il calore del corpo e il suono del suo respiro poco più forte del movimento leggero delle lenzuola. Si chiese se la gravità lo spingeva a terra o verso Sherlock. I copri si attraggono, giusto? Le anime possono fare la stessa cosa? Tempo addietro si sarebbe prima chiesto se Sherlock avesse un anima, ora sapeva che l'aveva: una piccola e spaventata anima messa all'angolo che guarda ogni cosa come una potenziale minaccia, nascosta dietro una mente geniale che per lei aveva costruito fortezze impenetrabili.
Mosse la testa per strofinarsi vicino a lui e modellare il cuscino in modo che potesse star comodo. Leggendo i suoi pensieri, Sherlock mosse una mano nelle tenebre che andò ad accarezzargli la testa e sorreggerla, mentre si sedeva distendendo le gambe, con la schiena interamente appoggiata alla testiera del letto – Dovresti dormire- il suo era un sussurro flebilissimo.
-E come faccio? - rispose John con un timbro di voce normale. – sei qui affianco a me-
-Non mi fai andare via-
-E non lo farò mai-
Sherlock emise un suono gutturale sarcastico, mentre faceva schioccare la lingua. Girò la testa di lato e ispirò dell'aria come se volesse dire qualcosa, ma non parlò. Forse era rimasto a bocca aperta. Rimase in silenzio a lungo, e John chiuse gli occhi, non aspettandosi più che parlasse. Si rannicchiò sotto le coperte, concentrato nell'udire il suono del suo respiro. Pian piano il suo si modellò su quello di Sherlock e presero a respirare insieme. Piano, lentamente, ma insieme. Forse che anche i cuori battessero insieme? Voleva poterlo tirare giù a sé e poggiare un orecchio sul suo petto per accorgersene. Invece rimase immobile: non sapeva ancora quali fossero i limiti della loro nuova strana relazione. Cullato dà una sensazione dolce amara di aspettativa e speranza e respiri calmi quasi si addormentò.
-Perché mi ami? -
Sorrise. Era una domanda da Sherlock, lo ammetteva – Non c'è un perché all'amore. Se ci fosse, non sarebbe tale-
Poteva quasi sentirlo fare una smorfia –Che smielato-  ma poi rimase in silenzio. –Non c'è proprio niente che puoi dire? Io personalmente non ho mai amato nessuno, ma ho sempre creduto che non fosse qualcosa di puramente immotivato. Per quanto irrazionali, ho scoperto che le emozioni hanno sempre una causa, come un crimine un movente.
John rise –Cause? Si, immagino che ci sia sempre una causa, ma un perché no, non c'è-
-Allora dammi una causa. -
Ancora silenzio. Con uno sfregoli di ruvide lenzuola anche John si mise a sedere con una mano lo cercò. Toccò una sua mano, risalendo piano sul braccio fino alla spalla; gli carezzò il collo e poi una guancia, facendo scorrere pianissimo il polpastrello del pollice sul suo zigomo sinistro per poi trovare le labbra. Si chinò piano a baciarlo. Sherlock non si ritrasse ma non rispose né lo toccò a sua volta: attendeva una risposta.
-Sei Sherlock Holmes. La causa di tutto sei solo tu con tutte le tue azioni. Ci sono cose che posso non sopportare, altre che mi danno fastidio, altre di cui vorrei dimenticarmi. Ma non le cambierei perché amo anche quelle. - Si scostò poi un poco e si sedette sulle ginocchia, tenendo la sua mano, per avere la certezza di star parlando con qualcuno in quell'oscurità pesante – Se mi chiedi poi cosa mi ha fatto innamorare di te, allora non lo so- rimase in silenzio un poco, a pensare – Potrei dire quando hai dedotto per la prima volta la mia vita. O quando ti ho sentito suonare il violino per la prima volta. Non credo che lo ricorderai, erano le quattro di notte e facevi un fracasso infernale. Potrei dire che è stato a natale, quando mi hai guardato come se fosse un alieno quando ti ho detto che eravamo amici. Ma penso che alla fine è stato quando Jim ti ha dato il suo numero di telefono-
-Hai cancellato il suo numero immediatamente- c'era un sorriso nella sua voce.
-Io ho molti amici. Mi conosci, non sono una persona che considera amico chiunque, tu ne sei un esempio, ma non sono mai stato esclusivo. Mi sono sorpreso molto di quel gesto. Solo dopo ho capito che ero geloso marcio di lui-
-E per quale ragione? - la voce di Sherlock sembrava volergli dare dell'idiota: era altezzosa e pungente –Lui non è nessuno. -
-Ma mi era sembrato forse più adatto a te-
-Che sciocchezze! - ancora lo stesso tono.
John ne sorrise – Ma insomma, era sicuramente più bello e interessante di me. Anche il suo lavoro poteva essere preferibile al mio. E non hai mai parlato con lui. Se foste entrati in contatto, forse avrebbe potuto scalzarmi. È questo che mi lasciò perplesso a suo tempo, insomma, non mi sarei mai comportato così con nessun altro. A dire la verità non l'ho mai fatto nemmeno con le donne. Credo di essermi accorto di amarti da quel momento-
-Jim è noioso. Lo è sembrato immediatamente, mentre tu non lo sei mai stato, nemmeno la prima volta, anche sei stato così facile da leggere. Non ti avrei mai sostituito con Jim. Tu sei molto più interessante di lui-
John si sporse per baciarlo per la seconda volta -Grazie-
-E di cosa? Non l'ho mica detto per farti piacere! -
-Ed è per questo che è bello- Lo baciò di nuovo e Sherlock rimase zitto. – Perciò adesso cosa si fa? Hai altre domande? O vogliamo parlare di altro? -
-Ho delle domande. Ma le farò un'altra volta- dopo un attimo chiese: - cosa intendi con altro? -
-Di noi, di quello che vuoi. O che non vuoi-
-Non sono sicuro di volere qualcosa-
-Non fare il bugiardo, Sherlock, parla chiaro-
Si udì un sospiro – Lo sai come la penso in materia di sentimenti-
-Sì, lo so abbastanza bene-
-Non voglio che questa cosa mi distragga dal mio lavoro. Non voglio che sia visibile agli altri. Non voglio che occupi troppo spazio nella mia testa-
-Va bene-
-Perciò posso concederti di baciarmi ogni tanto. Direi una volta al giorno-
-Posso obbiettare su questo ultimo punto? -
-E cioè? -
-Vorrei poterlo fare la mattina, con il buon giorno- propose John –E la sera, con la buona notte. Mi pare abbastanza ragionevole. Non è niente che non si faccia anche in famiglia-
-Mm- spostamento d'aria. Forse Sherlock annuiva –Giusto -
-Posso riservarmi la discrezione di un altro bacio al giorno, nel caso ce ne fosse bisogno? -
-E quando mai ce n'è bisogno? -
-Non lo so, ma quando mi verrà in mente ti posso avvisare. Potrebbero esserci circostanze diverse-
-No-
-Va bene. E la mano? -
-Assolutamente no. Te lo posso concedere quando siamo così, da soli a letto, forse prima di andare a dormire-
-Quindi vuoi che dormiamo insieme? -
-Potremmo farlo, se ti ricorderai che non ho i tuoi stessi turni di dormi-veglia. Potrei andare a dormire alle cinque del mattino. -
-Mi sta bene. Quindi riduciamo al minimo il contatto fisico? -
-Necessariamente. Troppi ormoni in circolo mi distraggono dal lavoro. Il mio cervello ha altro da fare che secernere dopamina. Posso sfruttare quel tempo in altri modi-
-Me ne rendo conto. Possiamo però considerare i tuoi momenti di noia? -
-Sì, direi di sì. Cosa proponi? -
- Di curare i tuoi momenti di noia. Se avrai mai bisogno di attenzione, in momenti di noia potremmo impiegare il tempo insieme-
-In che modo? -
-Nel modo che vuoi tu. Non necessariamente in modo fisico-
-Mi pare equo-
John rise –No, equo non lo è per niente, ma mi sono innamorato di Sherlock Holmes quindi mi devo prendere tutto il pacchetto se voglio la sorpresa all'interno-
-Che metafora banale-
-Ti posso baciare? -
-Cosa centra? -
-Centra che ti voglio baciare-
-Abbiamo concordato due baci a giornata-
-Ma siamo in un momento di noia, giusto? Se vuoi impiegare il tempo diversamente allora possiamo farlo. Però sappi che vorrei baciarti. Più di due volte. Forse molto più di due volte. -
-Te ne concedo uno-
-Certo, va bene-
Sherlock non aveva abbastanza esperienza in materia di baci per poter poi rinfacciare a John che quello era decisamente troppo lungo e troppo profondo per essere considerato un solo bacio.   
 
                                                                  *
 
Vivere con Sherlock non era mai stato facile, ma ormai si era abituato. Anche se con difficoltà, alla fine rimanere a contatto con lui era diventata una cosa per lui naturale. Adesso che avevano questo strano qualcosa di non ben identificato si chiedeva fino a che punto poteva arrivare la sua sopportazione, non tanto per le questioni di tipo sentimentale (si aspettava una certa ritrosia e reticenza, infondo era ovvio) ma non aveva calcolato l'evidente beneficio che il suo coinquilino-amico-quasi qualcosa di romantico (ragazzo? No, era troppo banale) avrebbe tratto. Non bastava che anche prima di tutto quel delirio si fosse preso cura di lui come se fosse stato sua madre, ma ora che avevano istaurato questa sorta di legame doveva fare lo schiavo. Ma ovviamente. Sherlock non era mai stato una persona che riusciva a relazionarsi con gli altri in modo normale, per cui John aveva la netta sensazione che avesse frainteso.
Non facevano nulla che non avessero mai fatto. Sul dormire insieme almeno era stato realistico: in effetti non dormivano insieme. Sherlock rimaneva sveglio fino ad orari improponibili a fare chissà quale deduzioni, scrivendo per email dal suo pc a Mycroft per trovare un modo per risolvere il pasticcio in cui li aveva messi con Moran e il misterioso Consulente investigativo. In effetti, era estremamente concentrato. Anche John lo era, ma su altre questioni: in effetti, in teoria doveva ancora laurearsi, perciò passava un sacco di tempo a studiare e a ricontrollare la tesi. Di conseguenza non aveva molte energia per cercare di convincere Sherlock a mangiare, lavarsi, vivere, in qualche modo, perché non lo faceva neppure lui. Aveva cominciato a mettere la sveglia per ricordarsi che doveva mangiare (e anche Sherlock) e che doveva dormire (e anche Sherlock) con scarsi risultati dal suo coinquilino. Nel giro di quattro giorni avevano parlato in modo civile solo quando John, preso da una crisi isterica, gli aveva buttato in faccia il cappotto e se l'era trascinato da Angelo per fare qualcosa di diverso e mangiare qualcosa di commestibile che non fosse take-away. Durante quel pranzo almeno si erano guardati negli occhi, fortunatamente e avevano parlato di qualcosa che non fosse la tesi o uno psicopatico che volesse ucciderli. John aveva insistito per farlo sedere di fianco a lui e non di fronte, così gli aveva preso due dita nella mano, quando in momento di silenzio e riflessione stavano aspettando i loro piatti. Sherlock l'aveva guardato in modo eloquente, tirando un po' indietro la mano ma John era stato categorico. Con la sensazione calda della loro pelle a contatto si era rilassato appoggiandosi allo schienale della sedie e guardando fuori della grande finestra che dava sulla strada. Nemmeno la candela che Angelo aveva messo sul tavolo gli dava fastidio.
-Che bello vedervi di nuovo insieme, signor Holmes! - disse allegro il proprietario, offrendo ai due, gratis, un bicchiere di vino.
Quando erano tornati al 221b si era voltato verso il suo alto compagno e lo aveva baciato. Sherlock aveva fatto una smorfia – e questo per cos’era? - gli aveva chiesto.
-Per sapere com'era il vino sulle tue labbra-
Altra smorfia – Che sdolcinatezza inutile. Hai sfruttato il bacio della buona notte per una stupidaggine-
John alla fine l'aveva baciato anche quella sera, ma mentre se ne stava addormentato sul letto. Non gli era mai capitato di essere così poco espansivo e affettuoso nei confronti di chi desiderava, ma capiva i motivi di Sherlock.
-Quando non avremo più la minaccia di un pazzo che ci vuole far fuori mi permetterai di fare qualcosa di più? -
-A cosa ti riferisci? -
-Pensavo di andare in vacanza-
-e perché mai? -
-Io mi sto per laureare. Dopo di ché immagino comincerò una vita piuttosto densa tra lavoro e te, e i casi. Penso dovremmo andare da qualche parte, insieme-
-Sarebbe noioso- aveva sbottato Sherlock – Immagino che vorrai proporre una di quelle misteriose attività contro la mia noia di cui mi hai parlato-
-Può darsi. Verresti quindi con me? Anche solo per un paio di giorni? -
Sherlock non gli aveva risposto subito.
-Pensavo di andare in campagna, ho sentito anche che hanno aperto questo bellissimo museo sull'apicoltura e …-
-Le api sono interessanti. Potremmo andarci-
John era tornato a sui suoi libri, all'angolo del manuale, aveva scarabocchiato delle api che ronzavano intorno alla prima lettera del paragrafo. Prese a colorarle di giallo con l'evidenziatore, con un sorriso.
Alla fine, dopo quattro giorni che andavano avanti così, ricevette un email dal suo professore referente che gli chiedeva di andare da lui per revisionare un ultima volta la tesi. Era abbastanza felice di uscire e fare qualcosa di diverso. Per giorni chiuso in casa con Sherlock apprensivo e concentrato e lui sulle spine doveva almeno cambiare vista.
-Vado in università- aveva detto a Sherlock, dalla cucina, mentre l'altro stava sulla sua poltrona a confrontare documenti di qualche natura. Non gli rispose ma fece un gesto con la mano di nervosismo. – Si, certo, sto zitto-
Decise che non era opportuno andarsene in giro per Londra in modo troppo isolato, perciò invece di prendere il taxi (facilmente dirottabile) meglio un bel bus rosso. Si fermò all'agenzia a cui aveva chiesto le referenze del viaggio e comprò i biglietti per la vacanza che avrebbero fatto (i biglietti erano senza data precisa, per sicurezza) e poi si diresse verso il Bart, dove era sicuro di trovare il professore. Chiese alla portineria e una ragazza affabile gli disse che da lì a poco avrebbe finito la lezione nell'aula A2. Perciò aspettò che il fluire dei ragazzi finisse all'apertura della grande sala.
Entrò con discrezione, mentre gli ultimi ragazzi uscivano. L'aula era una di quelle antiche, con i rivestimenti di legno e i posti disposti ad anfiteatro, ogni postazione poteva ben vedere la grande lavagna su cui campeggiavano diversi nomi e formule già conosciute e il lucido proiettato mostrava la sezione di un tessuto cardiaco.
Il professor Jackson era ancora alla cattedra davanti a lui, parlava con affabilità con uno studente di spalle. Quando si accorse di lui si sporse un po' di lato e gli sorrise. –Ah, Watson, sei arrivato. Il tuo compagno stava giusto aspettando te-
John osservò la figura nascosta da un cappellino rosso e si chiese chi mai potesse essere. La sua statura era abbastanza comune, anche se le spalle larghe da dietro lasciavano immaginare un fisico atletico. Lo sconosciuto si mosse e lo guardo e John capì che non era affatto uno sconosciuto. I suoi occhi azzurri e profondi lo osservarono per un attimo. –John- gli disse.
-Moran! - il panico che montava nelle ossa. Guardò il professore allarmato, e poi Sebastian fece un sorriso –Finalmente sei arrivato, questo idiota non la finiva più- e poi, con un attimo, da dentro il cappotto, estrasse un pistola con un lungo silenziatore d'argento. –No! -
Non fece in tempo a fermarlo che Sebastian Moran sparò un colpo dritto in mezzo agli occhi al professore, il quale non ebbe nemmeno il tempo di accorgersi dell'orribile morte che fece. Il colpo lo fece sbalzare all'indietro, e le sue braccia si aprirono con un movimento oscillante, come un pupazzo strapazzato all'aria. La consistenza elastica dello schienale della poltrona però lo rispinse in avanti e la sua testa cadde come un melone sul legno lucido della scrivania. Gli appunti per la lezione si tinsero di rosso e di materia celebrale.
John indietreggiò, spaventato e disgustato, ma quando sentì il sordido rumore della porta pensate di legno che si chiudeva si voltò, ancora più sull'attenti.
Un braccio coperto da un elegante completo nero aveva chiuso la parta alle sue spalle. Era un'ombra che si era nascosta dietro di lui e ora gli sorrideva, ma non più con quella smorfia un po' insicura che aveva sempre avuto per tutto il tempo da che l'aveva conosciuto: ora era il ghigno largo del gatto che aveva preso il topo in trappola e che non aspettava niente di più che giocarci un po' più a lungo.
-Jim? -
-Ciao, Johnny-boy -
 
 
Dall'altra parte di Londra, Sherlock si alzò agitando un foglio in mano e gridando: -John! John! Ho trovato la pista! - stringeva in mano una ricevuta di pagamento con la data sottolineata. –John? - Non trovando nessuno si affacciò dalle scale, continuando a chiamarlo come un pazzo preso da euforia (non che la descrizione fosse lontana dalla realtà).
-Sherlock! Cosa c'è da gridare?!- mrs. Hudson si fermò sulle scale con il vassoio in mano dove traballava una sola tazza di tè. Il detective la osservò e poi guardò allarmato la vecchia padrona di casa –John è uscito? -
-Si, ci siamo incontrati sul pianerottolo, cinque minuti fa-
Come un fulmine, Sherlock si diresse in camera del suo compagno e non trovando niente di diverso in una prima veloce e acuta occhiata aprì il suo pc e trovò come ultima pagina ancora aperta l'email di tale professor Jackson.
Agguantò immediatamente il telefono e non si diede pena di perder tempo a scrivere ma chiamò immediatamente suo fratello Mycroft. Gli rispose la sua segretaria Anthea ma le lasciò un messaggio urgente e urlante, mentre afferrava il cappotto, la pistola e si precipitava via dal 221b rubando un taxi ad un signorina ben agghindata. La ricevuta di pagamento di materiale didattico del Bart a nome Jackson era rimasta accartocciata sul secondo gradino delle scale.
 
*
 
 
 
 
 
Epifania.
Non si può identificarla in modo diverso. Ecco arrivare quella sensazione di illuminazione divina che colpisce la testa ma parte dal basso. È una strana emozione quella che segue: parte così da dentro le ossa della spina dorsale e fulmina il corpo e rischiara la mente con un onda di pura comprensione. Spesso, questi momenti si dimenticano, o poi svaniscono nel tempo del battito del cuore. Dipende se lo chiedi a Joyce o a Proust. Cuore e cervello? In quel momento sono entrambi: così John raggiunse la comprensione, con il sorriso ghignate di Jim.
Ovvio.
Talmente ovvio che si sentì immensamente stupido.
Immaginò che Sherlock si sarebbe strappato i capelli per non averlo capito. O lo aveva capito? Non che avessero parlato molto in quegli ultimo giorni. Così un'intermittenza del cuore si mescolava all'illuminazione. Rivedendo quell'uomo davanti a lui ripercorse come un film al contrario tutto ciò che era successo, la prima volta che si erano guardati, quel numero sul cellulare di Sherlock, il suo interessamento per la sparatoria con Moran, persino gli attimi di amicizia e sostegno a casa di Mary. E tutto per una semplice passione.
O, perché certo, lo poteva capire dai suoi occhi e dal loro scintillio di vittoria e di aspettativa. Forse immaginava che avrebbe cercato di fuggire. O forse no: infondo si conoscevano più di quanto volesse, probabilmente sapeva che non avrebbe fatto niente. La pistola di Moran era ancora inerme puntata a terra, contro la coscia del suo proprietario. Era evidente che non lo volevano uccidere: una trappola, di conseguenza. Sapeva che Sherlock ci si sarebbe buttato senza pensare, quasi felice di poter abboccare per parlare con il suo criptico, sfuggente e passionale (troppo, troppo passionale) consulente criminale.
John alzò un sopracciglio e Jim rise della sua reazione, battendo le mani. – Sì, esattamente quello che mi aspettavo! -
-Dovevi necessariamente organizzare questo piano psicotico per dichiararti a Sherlock, Jim? - gli chiese, poi, ricordando, alzò le mani –Scusa, se Jim è il tuo nome. -
-O, sì, è il mio nome. Puoi chiamarmi Jim Moriarty, per servirti- fece teatralmente il segno di togliersi il cappello mentre si avvicinava, le scarpe lucide che picchiettavano sul pavimento di legno dell'aula antica.
-Potevi risparmiare il mio professore referente. Ora come discuterò la tesi? - lo osservò dritto negli occhi e l'altro continuò a sorridere. –Non me ne volere, Johnny. Non ne avrai comunque bisogno. Prima di domani avrai un buco in mezzo agli occhi- si voltò a guardare il cadavere e tirò via delle carte spruzzate di rosso sangue e lesse gli appunti –Almeno non sembra così competente, sicuramente non abbiamo privato il mondo di un genio-
Gli rivolse un altro sorriso e poi fece un segno con la testa a Moran, il quale alzò la mano. John sentì il freddo del canna premergli contro la base della nuca, ma non si mosse. –Questo non ti porterà a niente, lo sai? -
Jim parve interessato alla sua opinione. –E perché mai? -
-Sherlock non abboccherà-
-Oh- il suo ghigno passò dall'essere fintamente sorpreso e attento ad uno più malizioso. –Lo farà. Sei tu che hai troppa fiducia nel tuo piccolo detective. - si sedette con un salto sula scrivania, dando una manata al corpo per liberare altro spazio. Poi accavallò elegantemente le gambe, sbottonandosi la giacca, un gesto fin troppo simile a quello che faceva Sherlock.
Il professor Jackson ruzzolò a terra insieme a quello che rimaneva dei suoi appunti.
-D'altronde, cosa pensi di potergli offrire? Non ti ha forse tolto di mezzo non appena doveva vedersela con me? Pensaci. Da me può avere tutto lo stimolo che vuole. Materiale illimitato. E anche se non volesse più stare con altri, il dilemma della mia stessa personalità lo affascina fin troppo. Passando a te invece, cosa dovremmo dire? Un ragazzo represso incapace di dominare le sue pulsioni meno della sua mente, che zoppica in silenzio a leccarsi le ferite del povero cuoricino infranto al primo rifiuto, che non riesce ad andare avanti, che non cambia, che non muta. Hai una faccia sola e non c'è nulla di interessante in te. Sei un pesce rosso nella boccia, insieme a tanti altri. Lo squalo ti mangerà- fece una risata isterica scuotendo la testa. – O Ti fotterà- e venne preso da una vera e propria crisi di risate. Si tenne la pancia mentre gli batteva una mano sulla schiena –Oppure no, nel tuo caso. Non sei capace nemmeno di farti scopare da lui. Quanto ci vuole ad aprire un paio di gambe, Jonny? -
Scivolò dalla cattedra e gli strinse un braccio intorno al collo, con il movimento che avrebbe avuto un amico ma con la forza di un assassino. – Tu, mio caro, non sei niente- si spostò da lui occhieggiando la porta e battendo le mani, prendendole a sfregare convulsamente –Eppure per qualche strana ragione tiene a te come un bambino alla sua caramella. Conosci il detto, no? Dovrebbe essere facile. In effetti lo è.- lo indicò con un gesto della mano –Potrei farti a pezzi e prenderti per me, mangiarti come una bella caramella- rise di nuovo mordendosi le labbra e infilando le mani in tasca. Dio, era disgustosamente teatrale – Come un vero cattivo. Ogni favola ne ha bisogno. Ma nessuno dice quanto sia difficile rubare il bambino alla caramella- 
-Non preoccuparti, per adesso rientri molto bene del clicé del villain psicopatico-
-Grazie, mi impegno-  altro gesto teatrale, e poi si controllò l'orologio e con nuova allegria si mise a guardare Moran – Questa volta ammazzalo davvero- ma il suo tono era tagliente. John sentì la canna della pistola avere (per una frazione di secondo) un piccolo tremore, poi ritornò ferma in posizione. Non poteva vedere l'altro uomo ma sentiva cosa stava provando. La rabbia che traspariva si sentiva dentro il naso, sotto la pelle, come un lupo con i denti scoperti e con il pelo rizzato non si sente ma si percepisce.
Sherlock aveva detto che Sebastian Moran era per Moriarty quello che lui era per il suo detective. Fino a che punto poteva essere vero? Non gli serviva girarsi per domandarglielo: quell'uomo che doveva ammazzarlo era instabile, fremeva di gelosia fin dentro il midollo delle ossa.
Non gli servì poter vedere la sua faccia all'entrata nell'aula di Sherlock per capire che avrebbe voluto uccidere lui al posto di John. Solo a quel punto un lungo brivido freddo percorse la sua schiena.
Il detective appariva perfettamente calmo, senza nemmeno un capello fuori posto, o le guance arrossate dal freddo: una statua greca dagli occhi di ghiaccio. Jim si voltò verso di lui e fece il suo ghigno. Dava le spalle a John che non poté vedere altro che lo sguardi di Sherlock rimanere puntato sul nemico, senza spostarsi su di lui nemmeno una volta. Ebbe un altro fremito.
-Moriarty- lo salutò. Jim fece un sorriso a trentadue denti. – Ed eccoti qui, alla fine-
-Volevi parlarmi? - chiese Sherlock come se non ci fosse nient'altro tranne loro. –Potevi risparmiarti tutti questi giochetti. Anche solo venire a presentarti sarebbe bastato. -
-Non è mia abitudine. Gli squali si scrutano prima di azzannarsi a vicenda, vero, Johnny? - L'interpellato rimase in silenzio.
-Delle persone sono morte per questo-
- È quello che fanno le persone- rispose Jim con un tono da psicopatico. John non seppe a cos'altro paragonarlo. Era folle e basta. –E comunque era gente inutile. I loro piccoli cervellini non li potevano far uscire dalla loro piccola bolla. Non dovresti pensare a loro-
-Questo vuol dire che uccideresti anche chi ci riesce, ad uscire dalla bolla? -
Lo sguardo di Moriarty si fece sornione. - Andiamo dritto al punto, non è vero? - si voltò a guardare John con un ghigno, per poi osservare Sherlock con la testa leggermente inclinata di lato. –Dipende da dove vuoi andare. - a passi lenti si avvicinò al detective. –Se decidi di ritornare nella tua piccola bolla fatti di tazze di te e di John o nuotare nel mare con squali di gran lunga più cattivi di te. -
Jim era più basso di Sherlock, ma il suo sguardo, per quanto basso, era incombente. Tuttavia l'altro non distolse lo sguardo dal criminale. – E questo a sua volta dipende da cosa mi saprai proporre-.
Rimasero lì a fissarsi per un lunghissimo istante, prima che Jim non allungò una mano ad artigliargli i ricci neri della testa per abbassarla fino a lui. Con un moto di orrore, a John sembrò che lo stesse baciando, invece Sherlock si ritrasse con il labbro inferiore arrossato dal sangue. Jim continuava a tenergli la testa e ad osservarlo. –Domanda legittima- rispose. Poi si scostò e allargò le braccia. –Cosa vuoi? Posso dartela. Ho il mondo nella mia mano. Posso arrivare d'ovunque. Posso fare qualsiasi cosa. Avere chiunque. E se trovo qualcuno sulla mia strada lo uccido. Dimmi cosa desideri e io te lo darò-
Sherlock fece per dire qualcosa ma Jim lo interruppe prima: - Ovviamente tranne il nostro caro Johnny-boy. Lui è di Sebastian, adesso. O per lo meno per i prossimi minuti. Non è vero, Seb? -
Moran, per tutta risposta, afferrò per il collo John e lo costrinse in ginocchio, la pistola puntata dritta sulla sua testa. –Ma insomma, a che servirebbe? Ce ne sono tanti di cani da compagnia. Il mio Sebastian è uno di quelli. È bravo, quando non diventa sentimentale, ma è una prerogativa dei cagnolini, Sherlock. Si attaccano a te e ti sbavano addosso. -  i due geni guardarono i loro rispettivi compagni con espressione diversa.
Jim aveva un sorriso sarcastico, Sherlock era impenetrabile. Quando i suoi occhi si incontrarono con quelli di John l'altro capì la fredda determinazione che l'altro stava cercando di mantenere. –Del resto non sono più interessanti di noi. - continuò Jim, prendendo sotto braccio Sherlock. – Puoi osservarli per un po' nel loro ambiente naturale e poi passare ad altri interessi. Se è un po' di compagnia quella che cerchi, non te ne mancherebbe, anzi, sarebbe migliore. Persino se la cercassi di notte, per scaldarti il letto- commentò con la voce più profonda e roca. Sherlock si voltò a guardarlo, lo sguardo profondo e di pietra. – E immagino che se accettassi di lasciare quella che tu definisci la mia bolla, dovrei dimostrare qualcosa. - Jim poggiò la testa alla sua spalla, continuando a guardare gli altri due. –Dovresti pur dimostrarmi la tua volontà-
-Hai bisogno di convinzioni? Proprio tu? -
-Non le chiamerei convinzioni- l'altro sorrise, lasciando la presa sul suo braccio e andando ad aprire la porta, spalancandola davanti a loro –Voglio più che altro farti vedere il cammino. Metterti sulla buona strada. E la cosa migliore che potresti fare, adesso, è quella di sparire dal radar di tuo fratello, o mi sbaglio? -  si voltò verso di lui con espressione falsamente contrita – E credo proprio che finiremo col ammazzarlo. -
Sherlock fece il primo, vero, sorriso –Non che mi dispiaccia- si voltò anche lui verso la porta e tirò dalla tasca interna del cappotto un piccolo localizzatore spezzato. – Questo non impedirà tuttavia a lui di provare a fermarci-
-Ragione per cui ce ne andremo- Jim mise le mani in tasca e fece un segno con la testa. –Lascialo qui e basta-
Si riferiva al localizzatore o ad altro? John strinse gli occhi in un momento di panico. Rimanere da solo con Moran, sempre più disilluso dal suo stesso padrone. Ebbe la certezza che quel giorno sarebbe morto, e forse, avrebbe voluto che Sherlock si voltasse almeno una volta. Anche solo per guardarlo negli occhi per non rischiare di morire con l'immagine della sua schiena ma quella dei suoi occhi. Invece l'altro fece cadere l'aggeggio distrutto a terra e lo calpestò passandoci sopra con sicurezza, seguendo Jim, il quale invece si voltò appena per chiudere la porta e fare un sorriso sghembo a Moran e sussurrare: -Addio Johnny-boy! -
E sparirono via.
Rimase un silenzio pesante, per qualche attimo, rotto solo dai respiri veloci di John. Si sarebbe aspettato che Sebastian gli sparasse immediatamente, invece rimase solo lì, immobile come una statua di sale. Dopo alcuni minuti, John si azzardò a girare piano la testa, ma lui non lo guardava: Moran osserva la lavagna senza davvero vederla. –Cosa ti aspettavi? - gli chiese, rivoltando di nuovo la testa e osservando ancora una volta la porta da cui i due uomini erano usciti. –Pensavi di essere il suo amante, o qualcosa del genere? - John si rilassò sulle sue ginocchia, incurvando la schiena e poggiando le mani sul grembo. –Cosa ti ha fatto fare per lui, che tu non ti aspettavi? -
Moran abbassò la pistola. –E tu che ne sai? -
-Non lo immagini? - tornò a guardarlo. I loro occhi azzurri si incontrarono, ma avevano espressioni diverse. Sebastian era torturato dal dolore e dalla furia. –Cosa significa essere di seconda categoria … Lo possiamo sapere solo noi. - mentre parlava guardava la pistola appoggiata al fianco dell'altro. – Utili a sostenere i loro bassi istinti, presi e portati via dal mondo normale. Non ricordo più nemmeno come si vive senza tutto questo. E quando ho provato a separarmene ho sofferto come un cane. Ma siamo questo, giusto, secondo Moriarty. Qui a scannarci e ucciderci mentre loro sono lì, su quel gradino più alto rispetto al nostro. Senza pretendere che anche il nostro cuore sia capace di cadere a pezzi, o la nostra mente di annegare. -
-Come una droga- commentò con un sussurro Moran –Come se non potessimo farne a meno-
-già- John si mosse lentamente, per girarsi vero di lui –Sherlock una volta mi disse che questa era proprio la mia droga. Come lui aveva la sua. E non ero io. C'è chi si dà all'investigazione e chi al crimine. E poi siamo noi qui a pagare per loro-  continuava a guardare quella pistola mentre Sebastian era ancora distratto –Essere geloso di Sherlock non ti brucia dentro? -
-E non bruci forse anche tu per gelosia? Moriarty diceva il vero. Non sei niente di più di un pesce rosso-
-E tu sei il cane da guardia- John fece un sorriso sarcastico ma amaro –Ma cosa mi importa, stai per uccidermi-
-Dovrei- Moran lo guardò profondamente, afferrandolo per i capelli. John soppresse un gemito – I pensieri sovversivi non mi aiuteranno- guardò il suo viso come se nel suo viso potesse trovare la risposta alle sue domande –A dire il vero, non ho il potere di risparmiarti la vita. Se non sono io sarà qualcun altro- 
John vide la canna della pistola davanti ai suoi occhi. Un piccolo buco nero, un punto, in cui poteva venir risucchiata una vita, la sua … e smise di aspettare.
*
Sherlock riuscì a sentire distintamente il colpo di pistola dal tetto dell'università. Gli riempì le orecchie come se fosse l'onda d'urto di una bomba atomica. Jim si voltò verso di lui e fece un sorriso, osservando la sua espressione –O, dai, mi farò perdonare per questo-  si affacciò oltre il cornicione e osservò la gente passare, ignara. –Non fare quell'espressione addolorata, te ne trovo un altro, se vuoi-
Sherlock si avvicinò all'altro, a separarli c'era solo il calore del corpo di Jim –Cosa ti fa credere che ora ti seguirò, se hai già ucciso John? - chiese –Avresti dovuto lasciarlo vivere e ricattarmi-
Jim sorrise e si appoggiò al cornicione –E perché? Non è la costrizione che voglio, non è la resa. Voglio una decisione. Con me o contro di me, Sherlock. E ora che non hai un bel paio di braccia calde a cui tornare ti sarà più facile riflettere. Potresti scegliere la vendetta. Fai come vuoi. Ogni tua decisione mi soddisfa-
-Ma non c'era bisogno di ucciderlo! - lo afferrò per il bavero della giacca, ma l'altro ghignò.
-Quanto amore, signor Holmes –
 







Eccoci arrivati. Spero che anche questo capitolo vi sia piaciuto! Il prossimo sarà l'ultimo, ci si sente la settimana prossiama!
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
   
 
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