Capitolo 8:
... BENVENUTA SUB CITY...
Erano
circa le due del mattino quando riuscirono finalmente a scorgere
prime luci della periferia di Suburb City, la grande città
più vicina ad Empire,
situata ad un centinaio di chilometri di distanza dal confine con il
New
Jersey.
Per tutto
il tragitto le altre auto avevano continuato imperterrite a
non farsi vedere. Era come se fossero tutti spariti dal resto del
mondo.
Certo,
non c’era tanto di anomalo in tutto ciò. Quello
era un tratto
di strada non molto frequentato, complice anche il fatto che Empire e
Sub City,
entrambe due grandi metropoli, avevano sempre goduto di una loro
autonomia e
non avevano mai necessitato scambi con l’esterno.
Ma alla
luce di tutto ciò che era successo, dopo
l’esplosione, la
quarantena ed eccetera, Rachel si sarebbe aspettata di vedere qualcuno.
Invece
niente, solo quei due ragazzi alla stazione di servizio. Ragazzi che
avrebbe
volentieri fatto a meno di incontrare, se solo non le avessero almeno
dato la
benzina.
Come se
non bastasse, pure il sogno che aveva fatto continuava a
tormentarla. Non tanto la prima parte di esso; quello, per quanto
sgradevole,
era solo un brutto ricordo che a volte riemergeva. Era quello che aveva
visto
dopo che non le dava pace. La baraccopoli nel Dedalo, quella voce
scorbutica,
quelle mani grinzose, il fatto che non fosse lei a controllare il suo
corpo...
Forse
avrebbe dovuto chiedere in proposito di ciò a qualcuno.
Un’idea,
un’opinione, qualsiasi cosa che avesse potuto aiutarla ad
interpretare quel
sogno, ma non voleva rischiare di sembrare una pazza. Se si fosse messa
a
decantare tutte le stranezze che aveva visto nel mondo onirico,
probabilmente
l’avrebbero chiusa in un manicomio, se ancora esistevano da
qualche parte.
La cosa
migliore che restava da fare era tenersi quelle informazioni
per sé, e divulgarle solo nel caso in cui sogni come quelli
fossero divenuti un
fenomeno abituale. E poi, più ci pensava e più le
veniva difficile ricordarsi
cosa avesse visto con esattezza. Era tutto così... confuso.
«Ci
fermiamo qui?» domandò Tara guardando fuori dal
finestrino, mentre
la periferia della città era sempre più vicina.
Lucas
annuì. «Vediamo se sono disposti ad ospitare
alcuni poveri
rifugiati di Empire.»
Penetrarono
nella metropoli. Superata la zona industriale, strade
prive di traffico, lampioni sfarfallanti e automobili abbandonate sul
ciglio
della strada li accolsero.
Gli
edifici non erano come quelli di Empire, erano tutti in buone
condizioni, così come le auto, e sui marciapiedi non
c’erano né crepe, né
erbacce, né cadaveri.
Fu
sorprendente per tutti loro vedere una città che aveva
l’aspetto di
una vera città, dopo aver vissuto ad Empire. Sembrava
davvero che nulla di
tutto quello che era successo alla loro vecchia casa avesse sfiorato
Sub City.
Eppure
non c’era nessuno in giro. E con nessuno, si intendeva
proprio nessuno. La strada era
deserta, così
come i marciapiedi, e tutte le luci nelle case erano spente. Ad Empire,
a
qualsiasi ora, qualcuno in giro lo si incontrava sempre. Lì
no.
Quel
dettaglio non poté non arrivare agli occhi di Rachel.
«Ma... dove
sono tutti?»
«Non
lo so... tenete gli occhi aperti» rispose Lucas, anche lui
guardingo. «Magari c’è solo qualche
coprifuoco...»
Proseguirono. Giunsero a quella che con tutta probabilità era la parte storica della città. Un cartello di indicazioni li accolse, recitando le parole: "Old Sub".
Gli
edifici erano più rudimentali, la strada era
interamente piastrellata e i lampioni avevano l’aspetto di
quelli più antichi,
a cherosene. E nemmeno qui c’era l’ombra di
qualcuno.
Tutto
ciò suonava terribilmente sgradevole alla vista di Rachel.
Cos’era, a Sub City era esploso un altro ordigno che aveva
cancellato la vita,
ma non le costruzioni? Rabbrividì quando si pose quel
quesito.
La
macchina si fermò all’improvviso. Il motore si
spense, così come i
fanali. Rachel sussultò, mentre Amalia si
incavolò direttamente, ma anche lei
aveva un tono di voce piuttosto nervoso. «Che cavolo fai,
Rosso?!»
«Io
nulla, è questa macchina che è un cesso con
quattro ruote» sbottò
il moro alla guida. Tentò diverse volto di riaccendere
l’auto, ma sempre senza
successo. Dopo l’ennesimo tentativo a vuoto sferrò
un colpo al volante,
grugnendo irritato, poi aprì la portiera. «Forza,
andiamo avanti a piedi.
Cerchiamo un posto per passare la notte, domattina cercherò
di capire che
diavolo ha che non va l’auto. Poi potremo dare
un’occhiata migliore alla città.»
«Usciamo...
qui?» domandò Ryan, svegliatosi da poco,
guardandosi
intorno con aria piuttosto titubante.
«Hai
idee migliori, genio?» domandò Lucas, uscendo e
sbattendo la
porta senza nemmeno attendere una risposta. Fu parecchio scorbutico, ma
Rachel
sapeva il perché; faceva così tutte le volte che
era teso. E se anche lui era
angosciato per qualcosa, allora non era nulla di buono.
«Ehm...
no.» Il rosso seguì nel frattempo
l’esempio di Red X, così
fecero anche le tre ragazze. Anche se Rachel non era molto entusiasta.
Ma di
sicuro andarsene dalla strada era una proposta molto più
allettante che
rimanerci, anche in auto.
Sul muro
esattamente di fronte a loro, a malapena illuminato dalla
luce dei lampioni, trovarono un’enorme scritta con le
bombolette, di colore
nero. All’inizio la corvina pensò che si trattasse
di qualche stupido atto di
vandalismo, ma quando lesse quelle parole, queste si conficcarono nella
sua
mente come una lancia:
I
vigliacchi sognano, i sognatori cambiano il mondo.
Rachel
deglutì. Rimase con gli occhi fissi a quella frase, cercando
di
cogliere il significato celato sotto di esse.
«Tsk.
Piccoli ribelli crescono...» commentò Lucas,
arrivandole di
fianco all’improvviso. Scosse la testa. «Che spreco
di vernice spray...»
La
conduit non fu molto d’accordo con quelle parole, ma decise
di
tenersi quell’opinione per sé. Chiunque fosse
l’artefice di quel graffito, non
poteva certo essere un adolescente ribelle.
Prese il
suo zaino dal retro del pick-up, poi insieme ai suoi
compagni, chi armato di tutto punto e chi no, si avviò verso
l’ignoto di quella
città.
***
Incontrò
decine di graffiti simili a quello che aveva visto per primo.
Ognuno di essi recitava più o meno le stesse parole del
primo, segno che
chiunque fosse l’autore, si era dato parecchio da fare.
Sperare
in un mondo migliore è un diritto, lottare per averlo
è un dovere.
Scegli
la giusta causa. Cosa sei, vigliacco o sognatore?
La
vita ci è stata data per un motivo. Noi sappiamo quale.
Queste
erano solo alcune delle frasi che la corvina aveva letto.
Ognuna di loro l’aveva lasciata di sasso. C’era
qualcosa di tremendamente
sbagliato in tutto ciò. In quei graffiti, nel silenzio di
quelle strade, in tutte
quelle abitazioni senza nemmeno una luce accesa all’interno.
Sperò di non
trovarsi in un’altra città piena di psicopatici,
ma più cercava di scacciare
quel pensiero, più quello la infastidiva.
Anche
Lucas sembrava sapere che nell’aria c’era qualcosa
di strano,
perché non aveva smesso di guardarsi intorno con fare
sospettoso per nemmeno un
attimo.
Si
trovarono di fronte ad una casa a due piani non molto distante dal
luogo in cui la macchina li aveva lasciati a piedi. Una specie di
monolocale
incastrato tra due condomini grossi il triplo di lui, con una facciata
parecchio rudimentale e un arco a volta sull’ingresso.
Un
cartello sbiadito, appeso sotto alla finestra accanto
all’ingresso,
recitava le parole "Vendesi, per informazioni telefonare al..." e poi
il numero di telefono in questione. A giudicare dalla polvere e dallo
sporco
sulle finestre, era ovvio che chiunque avesse voluto vendere quella
casa non
aveva avuto molta fortuna.
Dopo
essersi assicurato che non fossero presenti sistemi di allarme di
qualche tipo, Lucas scassinò la serratura di ingresso ed
entrarono.
Una
sensazione di piacevole tepore accolse il corpo di Rachel, quando
la ragazza fu all’interno. Le spesse mura fortunatamente
avevano trattenuto un
po’ di calore. E anche la puzza di chiuso, ma a quello la
corvina era abituata.
Di fronte
all’ingresso c’era la scala che portava al piano
superiore.
I ragazzi posarono a terra i loro bagagli, mentre Lucas
cercò un interruttore
per la luce. Quando lo trovò lo premette, ma nulla accadde.
Imprecò, poi guardò
i compagni. «Fuori i cellulari, dovremmo arrangiarci alla
vecchia maniera.»
Si
spostarono per la casa, utilizzando le luci dei cellulari a
mo’ di
torce.
A
sinistra della scala il salotto, a destra la cucina. Di sopra il
bagno e due camere da letto. Di elettricità, gas o acqua
nemmeno l’ombra, ma
c’era da aspettarselo essendo una casa in vendita.
«Dunque,
che si fa?» domandò Amalia quando furono tutti di
nuovo nel
salotto, per decidere.
«Beh...»
Lucas sollevò le spalle. «Voi ragazze dormite in
una stanza,
noi ragazzi nell’altra.»
«C’erano
solo due letti matrimoniali, Rosso! Noi ragazze siamo in tre,
come facciamo a starci?»
«Se
vi stringete ci state senza problemi. Oppure preferisci fare
coppie miste?» domandò allora X, con un sorrisetto
idiota rivolto alla stessa
Amalia. «Sorteggiamo. Magari finiamo io e te nello stesso
letto, che ne dici?»
«Te
lo scordi!»
Lucas
sogghignò alla mora, poi tornò serio.
«Ok, ok... allora io resto
qui sul divano, voi potete andare. Amalia e Ryan da una parte, Tara e
Rachel
dall’altra, ok?»
Rachel si irrigidì.
L’idea di
dormire insieme a Tara non era molto ok per, ma decise di non
discutere. Di
tutt’altro avviso sembrava invece Komand’r.
«Molto
meglio» disse la mora,
sorridendo al ragazzo con aria di superiorità, per poi dare
le spalle a tutti
loro. «Prendiamo la stanza a destra. Sogni
d’oro.» E si allontanò.
Lucas
scosse impercettibilmente la testa, vedendola mentre saliva le
scale. «Che stronzetta... ehm... senza offesa,
Ryan...»
«Tranquillo...»
replicò il rosso, con un sospiro. «Non sei primo e
non
sarai certo l’ultimo a chiamarla così... con lei
ci vuole solo un po’ di
pazienza.» Salutò tutti loro con un cenno della
mano. «Beh, buona notte.»
«’Notte.»
Anche
Tara sbadigliò. «Aspettami, vengo
anch’io.»
Si
allontanò, raggiungendo Ryan. Non appena gli si
avvicinò, il rosso
distolse lo sguardo da lei, grattandosi una guancia chiaramente
imbarazzato.
Salirono anche loro le scale, mentre Corvina si sedette sul divano.
«Tu
non vai?» le domandò il ragazzo, inarcando un
sopracciglio.
«Non
ho molto sonno...» Tra incubi, pensieri che la tormentavano
ed
eccetera, dormire era diventata l’ultima preoccupazione per
lei. E poi, aveva
già dormito per quasi un giorno, giusto ventiquattro ore
prima, non le serviva
davvero riposare ancora.
«Ok,
beh, ti consiglio comunque di riposare... domattina avremmo un
bel po’ da fare...» Lucas si avvicinò
alla finestra, guardando fuori con aria
piuttosto corrucciata.
«Cosa
ne pensi di Sub City?» domandò Rachel, seguendo i
suoi movimenti
con lo sguardo ed intuendo cosa stesse frullando per la sua mente.
Il moro
sospirò, allontanandosi dal vetro. «È
tutto... troppo
tranquillo.» Spostò gli occhi su di lei, serio in
volto. «Vediamo di superare
in fretta la notte. Non mi piace questo posto al buio.»
«Pensi
che ci taglieranno la gola mentre dormiamo?» La conduit
abbozzò
un sorriso per sdrammatizzare, ma la prima che si sentiva tesa era lei.
Una lieve
risata uscì dalla gola del ragazzo. «Diavolo,
speriamo di
no. Non sono ancora pronto per svegliarmi elegante...»
Si
appoggiò alla parete, sbadigliando. Rachel se ne accorse, e
realizzò solo allora che se c’era uno che doveva
essere stanco, quello era
proprio lui. «Perché non vai tu a dormire un
po’?»
«Perché
sei seduta sul mio letto...»
«No,
intendevo di sopra. Ti serve un letto, non questo affare.»
Rachel
molleggiò sul cuscino del divano, per poi fare una smorfia.
«Sembra di stare su
della carta vetrata...»
«Sei
sicura?» interrogò ancora lui.
«Perché davvero, se vuoi posso...»
Si interruppe, per strofinarsi una palpebra, gesto che lo
tradì
definitivamente. «Se vuoi posso...»
«Tranquillo.
Vai a riposarti. Sei quello che ne ha più bisogno. Io non
sono stanca, non sarà un problema per me stare
qui.»
Il
ragazzo annuì. «Ok... ma non appena hai sonno
vieni pure a...»
«Vai.
Ora.» Rachel si alzò dal divano e
iniziò a spintonarlo verso le
scale, guidata dalla lieve luce che filtrava dalla finestra.
«E sbrigati.»
Lucas
continuò ad insistere e a dirle di non preoccuparsi troppo
per
lui, ma era ovvia la sua stanchezza. Corvina sorrise comunque, di
fronte a
quella testardaggine.
«Un
momento, lo sai che l’unico posto libero è nel
letto con Tara,
vero?»
«Sì.
Perciò vedi di tenere a freno gli ormoni» fece la
ragazza,
dandogli un piccolo pugno scherzoso sul braccio.
Red X
ridacchiò, cominciando a salire le scale. «Non
garantisco nulla.»
Rachel
roteò gli occhi, ma il sorriso non svanì dalle
sue labbra.
Chissà che faccia avrebbe fatto Tara vedendoselo comparire
nel letto. Le venne
da ridere a pensarci.
Tornò
in salotto, sul divano. Aveva detto che era fatto di cartavetro,
ma in realtà non era poi così scomodo. Quello che
aveva omesso di dire a Lucas
era che in realtà, restando lì in salotto, voleva
assicurarsi che nessuno
entrasse. Voleva fare la guardia, in pratica.
Si
sedette e si abbandonò con la testa sullo schienale,
sospirando e
chiudendo gli occhi. L’ultima cosa che voleva in quella
città erano altri
problemi. Sub City era l’ignoto, il futuro, per lei, e di
certo non voleva che
anche quella città si rivelasse essere l’ennesima
delusione.
Ed era
abbastanza sicura di non essere l’unica ad averne fin sopra
ai
capelli dei problemi. Aveva trascorso relativamente poco tempo con i
suoi nuovi
compagni Amalia, Ryan e Tara, ma aveva subito intuito come stavano le
cose. A
neppure loro sarebbe piaciuto finire in altri casini.
Eppure,
c’erano troppe cose che ancora le suonavano strane. La morte
di Alden e Sasha, la fine così repentina della quarantena,
quei due ragazzi
alla stazione di servizio e ora la calma irreale e i bizzarri graffiti
che
aveva notato nelle strade di Sub City.
Era
stanca di ripeterselo, ma c’era qualcosa che non andava.
I suoi
occhi caddero poi sul tavolino da caffè di fronte al divano.
Qui, un foglio bianco era posato. La ragazza lo prese e
scoprì che non era
bianco, era solo girato. Lo voltò e lo esaminò
con attenzione.
Raffigurava
un immagine e alcune scritte. Non riuscì a distinguere
nessuna delle due, a causa della penombra. Strizzò gli occhi
e cercò di mettere
a fuoco, ma un rumore improvviso la fece sobbalzare.
Si
voltò di scatto, allarmata. Lo udì di nuovo.
Sembrava una specie di
tonfo. Sollevò lo sguardo, e realizzò che era
arrivato dal piano superiore. A
quel punto si tranquillizzò. Sicuramente era stato uno dei
suoi compagni.
Magari qualcuno che era caduto dal letto.
Riportò
l’attenzione al foglio ed estrasse il cellulare dalla tasca,
per illuminarlo. L’immagine apparve ben nitida. Raffigurava
un uomo con indosso
una maschera da hockey, sembrava di ferro. Era nera da una parte,
arancione
dall’altra. Aveva solo un occhio aperto, azzurro, dalla parte
arancione. Dalla
parte nera, invece, sotto al foro non si intravedeva nulla. Ciocche di
capelli grigi
argentati ricadevano in parte sulla zona superiore della maschera. Il
suo
sguardo era severo e colpì la ragazza come una scarica
elettrica.
Rachel
ebbe un sussulto quando lo vide, ma non era ancora finita.
Lesse le scritte:
Obbedire
o morire.
Gli
Underdog non scenderanno a patti.
Corvina
deglutì. Un altro tonfo proveniente dal piano superiore la
fece saltare dal divano. Il telefono le scivolò dalla mano e
cadde a terra,
insieme al manifesto, spegnendosi e immergendo la stanza nel buio. Il
suo cuore
cominciò a battere all’impazzata.
Si
chinò a terra, per cercare di recuperare il cellulare e
scacciare
quel buio maledetto, ma un altro tonfo la fece irrigidire di colpo. Le
scappò
un gemito. Trovò il telefonino e lo riaccese. Probabilmente
la batteria si era
spostata, per questo si era spento all’improvviso.
Riacquistò
un barlume di sicurezza quando l’ambiente tornò
illuminato.
Un altro
tonfo, questa volta accompagnato dal rumore di alcuni passi.
Rachel cominciò a guardarsi intorno, illuminando ogni angolo
del salotto con la
luce del dispositivo, perle di sudore freddo cominciarono a scivolarle
lungo la
fronte. Cominciò ad agitarsi.
Il buio
non le era mai dispiaciuto, soprattutto da quando aveva
ottenuto i suoi poteri oscuri, ma in quel momento pensò
l’esatto contrario.
I rumori
dal piano superiore non cessarono. La ragazza sollevò allora
una mano e si concentrò. Una fioca luce nera le
illuminò il palmo. Inspirò
profondamente, poi si avvicinò alle scale.
«R-Ragazzi?»
chiamò ad alta voce. Forse quei rumori erano solo uno
stupido scherzo. Una parte di lei pregò davvero che lo
fosse, l’altra asserì
che avrebbe ucciso i suoi compagni, se davvero erano loro
l’origine di quei
tonfi.
Nessuno
rispose. I suoi ambigui tacquero per un breve istante, ma poi
se ne udirono altri.
«O-Ok...»
sussurrò Rachel. «Ora sono
preoccupata...»
Puntò
la mano di fronte a sé e la luce nera si fece più
intensa. Sicura
di poter contare sui suoi poteri lasciò che il bagliore
oscuro svanisse,
dopodiché, illuminando la strada con il cellulare,
cominciò a salire le scale.
I rumori
non cessarono e, anzi, si fecero sempre più insistenti.
Arrivò
al piano superiore, con il cuore che stava per esploderle nel
petto. Un’ondata di aria gelata la travolse, facendola
rabbrividire. Non capì
come fosse possibile ciò fino a quando non notò
la finestra al fondo del
corridoio che dava sulle scale spalancata, con la tenda che sventolava
a causa
della corrente. Sgranò gli occhi. Non ricordava che qualcuno
l’avesse aperta e
dubitava che i suoi compagni lo avessero fatto prima di andare a
dormire.
Un altro
tonfo e la ragazza sobbalzò di nuovo. «L-Lucas?
Sei tu?»
Mosse la
luce verso il corridoio. Tre porte bianche anonime e la
moquette blu del pavimento apparvero alla sua visuale.
Nient’altro.
«C’è...
c’è qualcuno?» Rachel pregò
che la sua voce non sembrasse
troppo spaventata.
Avanzò.
I suoi amici non rispondevano e i rumori andavano avanti.
Sperò definitivamente che tutto quello si trattasse di uno
scherzo. Si avvicinò
alla prima porta, quella che portava alla camera in cui avrebbero
dovuto
trovarsi Tara e Lucas.
Bussò
un paio di volte. «R-Ragazzi? Tutto bene?» Nessuna
risposta,
solo l’ennesimo bizzarro rumore.
Altri
passi, questa volta venivano dalle sue spalle. Rachel si
voltò
di colpo, trasalendo e puntando la luce in tutte le direzioni. Non vide
nessuno.
Si
appoggiò alla porta, sospirando esausta e asciugandosi la
fronte
sudata con il dorso della mano. «Ok, ok, calmati Rachel,
calmati...»
Entrambe
le sue mani si illuminarono di nero all’improvviso e alla
ragazza scappò un mezzo gridolino spaventato.
Lasciò andare la presa dal
cellulare e questo cadde nuovamente a terra con lo schermo rivolto
verso
l’alto.
Rachel
inspirò ed espirò profondamente per diverse
volte, fino a
quando il bagliore oscuro delle sue mani non svanì. Ci
mancavano solamente i
suoi poteri che si comportavano in maniera autonoma. Ma era normale,
agitata
com’era.
Non
riusciva a capire perché si sentisse così
vulnerabile
all’improvviso. Aveva affrontato così tanti
pericoli che ormai nulla avrebbe
più dovuto spaventarla, invece...
Altri
tonfi, altri passi. Un brivido gelato le percorse la spina
dorsale, e non era per colpa della finestra aperta. Quei rumori si
insinuarono
nelle sue orecchie, nella sua mente, come dei parassiti. Rimbombano
tutti
accanto a lei, come dei sussurri provenienti dall’ombra, come
il fruscio di un
milione di insetti che correvano da tutte le parti. A quel punto la
corvina
gridò, staccandosi dalla porta. «Ragazzi! Se
è un scherzo non è divertente!
Finitela!»
I rumori
tacquero di nuovo. E poi ricominciarono. Rachel si mise le
mani nei capelli.
«Smettetela! Vi ho detto
di smetterla!!»
Si
fiondò contro la porta, spalancandola e illuminando entrambe
le
braccia di nero, pronta a scatenare tutti i suoi poteri. «Ho
detto di...»
Tacque
all’improvviso, mentre i suoi arti superiori ritornavano
immediatamente
normali. La finestra della camera da letto era anche aperta, e tra le
tende svolazzanti
riusciva a passare abbastanza luce da permetterle di vedere il letto
matrimoniale completamente vuoto e con coperte e lenzuola tutte a
soqquadro. Di
Tara e Lucas nessuna traccia. «Ra... ragazzi?»
domandò, questa volta di nuovo
titubante.
Si
avvicinò al materasso, guardandolo sbigottita.
«Ma... ma cos...»
Qualcuno
la afferrò all’improvviso dalle spalle. Rachel
gridò per la
sorpresa, ma il suo urlo fu ben presto offuscato da un panno bagnato
che le fu
premuto sopra bocca e naso.
Corvina
si dimenò come un’ossessa, per divincolarsi da
quella presa di
ferro. Fece per usare i poteri, poi commise l’errore di
respirare. Un odore
acre, pungente, si insinuò nelle sue narici, percorrendole
fino al cervello.
Sentì tutto il setto nasale bruciare, come se stesse andando
a fuoco, e un
forte senso di nausea la assalì.
Senza
rendersene conto smise di lottare per liberarsi, ma la presa
attorno a lei si allentò comunque. Cadde a terra, tossendo e
boccheggiando alla
ricerca di aria pulita che le permettesse di scacciare
l’odore nauseabondo che
le impregnava il naso.
Strisciò
sul pavimento ed alzò lo sguardo. Da ogni angolo buio della
stanza cominciarono ad uscire delle inquietanti figure vestite di nero.
Rachel
aveva la vista appannata, non riusciva a concentrarsi, ad usare i
poteri o a
mettere a fuoco anche solo uno di quegli individui. Ma di sicuro non
erano i
suoi amici.
A quel
pensiero qualcosa scattò dentro di lei come una molla.
Tentò di
chiamare i suoi compagni, temendo che qualcosa fosse successo anche a
loro, ma
quando aprì la bocca anziché le parole uscirono
solo dei rantolii.
Le figure
scure si avvicinarono a lei. Ovunque guardasse, vedeva solo
stivali, pantaloni e grossi impermeabili neri. La circondarono.
Rachel
gemette. Non riusciva più a ragionare in modo lucido, non
riusciva più a capire cosa stesse succedendo, dove fosse,
come si chiamasse.
Un altro
paio di stivali neri apparve di fronte a lei. La ragazza si
aggrappò ad essi e tossendo e rantolando cercò di
rialzarsi. Riuscì a malapena
a drizzare la testa e a vedere il volto pallido del proprietario di
quelle
calzature, colui che dall’alto la stava osservando.
Il suo
volto era confuso, una macchia indistinta dove occhi, naso e
bocca erano altre macchie indistinte più scure. Eppure,
nonostante non
riuscisse a vederlo, riusciva perfettamente a sentire le sue iridi
puntate su
di lei.
Aprì
ancora la bocca e cercò di parlare, ma non uscì
altro che
l’ennesimo verso senza alcun senso. A quel punto, la macchia
che quel tizio
aveva al posto della bocca si incurvò in una strana
posizione. Riuscì a
metterlo a fuoco per un breve istante, e realizzò che quello
era un sorriso. Un
sorriso distorto a causa della vista appannata, quasi un ghigno, rivolto proprio verso di lei.
Rachel
provò ancora di dire qualcosa, poi le sue palpebre si
chiusero
contro il suo volere e accasciò la testa sul pavimento.