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Autore: edoardo811    04/03/2016    3 recensioni
Il mondo è finito. Come reagiresti se sentissi tu queste parole? Come reagiresti se potessi accertarti con i tuoi stessi occhi che queste parole sono vere?
Questo è ciò con cui Rachel è costretta a convivere ogni giorno. Quando vede la gente morire di fame per strada, quando vede l'ennesima banda di tagliagole generare il caos, quando è costretta a combattere fino allo stremo per la propria vita e per quella delle poche persone care che le sono rimaste.
Per quanto tempo può la volontà di una persona riuscire a resistere alle crudeltà che la vita riserva?
Si dice che l'ultima candela sia sempre quella che impiega più tempo a spegnersi, ma cosa potrebbe accadere quando anche la speranza cessa di esistere?
Rachel con i suoi poteri potrebbe distruggere l'intero creato. Che cosa se ne farà?
Li userà per aiutare il mondo... o per aiutare semplicemente sé stessa?
Genere: Angst, Azione, Dark | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Raven, Red X, Robin, Slade
Note: AU, Cross-over | Avvertimenti: Incompiuta, Tematiche delicate, Violenza
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'InFAMOUS: The Series'
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Capitolo 8: ... BENVENUTA SUB CITY...

 

Erano circa le due del mattino quando riuscirono finalmente a scorgere prime luci della periferia di Suburb City, la grande città più vicina ad Empire, situata ad un centinaio di chilometri di distanza dal confine con il New Jersey.

Per tutto il tragitto le altre auto avevano continuato imperterrite a non farsi vedere. Era come se fossero tutti spariti dal resto del mondo.

Certo, non c’era tanto di anomalo in tutto ciò. Quello era un tratto di strada non molto frequentato, complice anche il fatto che Empire e Sub City, entrambe due grandi metropoli, avevano sempre goduto di una loro autonomia e non avevano mai necessitato scambi con l’esterno.

Ma alla luce di tutto ciò che era successo, dopo l’esplosione, la quarantena ed eccetera, Rachel si sarebbe aspettata di vedere qualcuno. Invece niente, solo quei due ragazzi alla stazione di servizio. Ragazzi che avrebbe volentieri fatto a meno di incontrare, se solo non le avessero almeno dato la benzina.

Come se non bastasse, pure il sogno che aveva fatto continuava a tormentarla. Non tanto la prima parte di esso; quello, per quanto sgradevole, era solo un brutto ricordo che a volte riemergeva. Era quello che aveva visto dopo che non le dava pace. La baraccopoli nel Dedalo, quella voce scorbutica, quelle mani grinzose, il fatto che non fosse lei a controllare il suo corpo...

Forse avrebbe dovuto chiedere in proposito di ciò a qualcuno. Un’idea, un’opinione, qualsiasi cosa che avesse potuto aiutarla ad interpretare quel sogno, ma non voleva rischiare di sembrare una pazza. Se si fosse messa a decantare tutte le stranezze che aveva visto nel mondo onirico, probabilmente l’avrebbero chiusa in un manicomio, se ancora esistevano da qualche parte.

La cosa migliore che restava da fare era tenersi quelle informazioni per sé, e divulgarle solo nel caso in cui sogni come quelli fossero divenuti un fenomeno abituale. E poi, più ci pensava e più le veniva difficile ricordarsi cosa avesse visto con esattezza. Era tutto così... confuso.

«Ci fermiamo qui?» domandò Tara guardando fuori dal finestrino, mentre la periferia della città era sempre più vicina.

Lucas annuì. «Vediamo se sono disposti ad ospitare alcuni poveri rifugiati di Empire.»

Penetrarono nella metropoli. Superata la zona industriale, strade prive di traffico, lampioni sfarfallanti e automobili abbandonate sul ciglio della strada li accolsero.

Gli edifici non erano come quelli di Empire, erano tutti in buone condizioni, così come le auto, e sui marciapiedi non c’erano né crepe, né erbacce, né cadaveri.

Fu sorprendente per tutti loro vedere una città che aveva l’aspetto di una vera città, dopo aver vissuto ad Empire. Sembrava davvero che nulla di tutto quello che era successo alla loro vecchia casa avesse sfiorato Sub City.

Eppure non c’era nessuno in giro. E con nessuno, si intendeva proprio nessuno. La strada era deserta, così come i marciapiedi, e tutte le luci nelle case erano spente. Ad Empire, a qualsiasi ora, qualcuno in giro lo si incontrava sempre. Lì no.

Quel dettaglio non poté non arrivare agli occhi di Rachel. «Ma... dove sono tutti?»

«Non lo so... tenete gli occhi aperti» rispose Lucas, anche lui guardingo. «Magari c’è solo qualche coprifuoco...»

Proseguirono. Giunsero a quella che con tutta probabilità era la parte storica della città. Un cartello di indicazioni li accolse, recitando le parole: "Old Sub".

Gli edifici erano più rudimentali, la strada era interamente piastrellata e i lampioni avevano l’aspetto di quelli più antichi, a cherosene. E nemmeno qui c’era l’ombra di qualcuno.

Tutto ciò suonava terribilmente sgradevole alla vista di Rachel. Cos’era, a Sub City era esploso un altro ordigno che aveva cancellato la vita, ma non le costruzioni? Rabbrividì quando si pose quel quesito.

La macchina si fermò all’improvviso. Il motore si spense, così come i fanali. Rachel sussultò, mentre Amalia si incavolò direttamente, ma anche lei aveva un tono di voce piuttosto nervoso. «Che cavolo fai, Rosso?!»

«Io nulla, è questa macchina che è un cesso con quattro ruote» sbottò il moro alla guida. Tentò diverse volto di riaccendere l’auto, ma sempre senza successo. Dopo l’ennesimo tentativo a vuoto sferrò un colpo al volante, grugnendo irritato, poi aprì la portiera. «Forza, andiamo avanti a piedi. Cerchiamo un posto per passare la notte, domattina cercherò di capire che diavolo ha che non va l’auto. Poi potremo dare un’occhiata migliore alla città.»

«Usciamo... qui?» domandò Ryan, svegliatosi da poco, guardandosi intorno con aria piuttosto titubante.

«Hai idee migliori, genio?» domandò Lucas, uscendo e sbattendo la porta senza nemmeno attendere una risposta. Fu parecchio scorbutico, ma Rachel sapeva il perché; faceva così tutte le volte che era teso. E se anche lui era angosciato per qualcosa, allora non era nulla di buono.

«Ehm... no.» Il rosso seguì nel frattempo l’esempio di Red X, così fecero anche le tre ragazze. Anche se Rachel non era molto entusiasta. Ma di sicuro andarsene dalla strada era una proposta molto più allettante che rimanerci, anche in auto.

Sul muro esattamente di fronte a loro, a malapena illuminato dalla luce dei lampioni, trovarono un’enorme scritta con le bombolette, di colore nero. All’inizio la corvina pensò che si trattasse di qualche stupido atto di vandalismo, ma quando lesse quelle parole, queste si conficcarono nella sua mente come una lancia:

 

I vigliacchi sognano, i sognatori cambiano il mondo.

 

Rachel deglutì. Rimase con gli occhi fissi a quella frase, cercando di cogliere il significato celato sotto di esse.

«Tsk. Piccoli ribelli crescono...» commentò Lucas, arrivandole di fianco all’improvviso. Scosse la testa. «Che spreco di vernice spray...»

La conduit non fu molto d’accordo con quelle parole, ma decise di tenersi quell’opinione per sé. Chiunque fosse l’artefice di quel graffito, non poteva certo essere un adolescente ribelle.

Prese il suo zaino dal retro del pick-up, poi insieme ai suoi compagni, chi armato di tutto punto e chi no, si avviò verso l’ignoto di quella città.

 

***

 

Incontrò decine di graffiti simili a quello che aveva visto per primo. Ognuno di essi recitava più o meno le stesse parole del primo, segno che chiunque fosse l’autore, si era dato parecchio da fare.

Sperare in un mondo migliore è un diritto, lottare per averlo è un dovere.

Scegli la giusta causa. Cosa sei, vigliacco o sognatore?

La vita ci è stata data per un motivo. Noi sappiamo quale.

Queste erano solo alcune delle frasi che la corvina aveva letto. Ognuna di loro l’aveva lasciata di sasso. C’era qualcosa di tremendamente sbagliato in tutto ciò. In quei graffiti, nel silenzio di quelle strade, in tutte quelle abitazioni senza nemmeno una luce accesa all’interno. Sperò di non trovarsi in un’altra città piena di psicopatici, ma più cercava di scacciare quel pensiero, più quello la infastidiva.

Anche Lucas sembrava sapere che nell’aria c’era qualcosa di strano, perché non aveva smesso di guardarsi intorno con fare sospettoso per nemmeno un attimo.

Si trovarono di fronte ad una casa a due piani non molto distante dal luogo in cui la macchina li aveva lasciati a piedi. Una specie di monolocale incastrato tra due condomini grossi il triplo di lui, con una facciata parecchio rudimentale e un arco a volta sull’ingresso.

Un cartello sbiadito, appeso sotto alla finestra accanto all’ingresso, recitava le parole "Vendesi, per informazioni telefonare al..." e poi il numero di telefono in questione. A giudicare dalla polvere e dallo sporco sulle finestre, era ovvio che chiunque avesse voluto vendere quella casa non aveva avuto molta fortuna.

Dopo essersi assicurato che non fossero presenti sistemi di allarme di qualche tipo, Lucas scassinò la serratura di ingresso ed entrarono.

Una sensazione di piacevole tepore accolse il corpo di Rachel, quando la ragazza fu all’interno. Le spesse mura fortunatamente avevano trattenuto un po’ di calore. E anche la puzza di chiuso, ma a quello la corvina era abituata.

Di fronte all’ingresso c’era la scala che portava al piano superiore. I ragazzi posarono a terra i loro bagagli, mentre Lucas cercò un interruttore per la luce. Quando lo trovò lo premette, ma nulla accadde. Imprecò, poi guardò i compagni. «Fuori i cellulari, dovremmo arrangiarci alla vecchia maniera.»

Si spostarono per la casa, utilizzando le luci dei cellulari a mo’ di torce.

A sinistra della scala il salotto, a destra la cucina. Di sopra il bagno e due camere da letto. Di elettricità, gas o acqua nemmeno l’ombra, ma c’era da aspettarselo essendo una casa in vendita.

«Dunque, che si fa?» domandò Amalia quando furono tutti di nuovo nel salotto, per decidere.

«Beh...» Lucas sollevò le spalle. «Voi ragazze dormite in una stanza, noi ragazzi nell’altra.»

«C’erano solo due letti matrimoniali, Rosso! Noi ragazze siamo in tre, come facciamo a starci?»

«Se vi stringete ci state senza problemi. Oppure preferisci fare coppie miste?» domandò allora X, con un sorrisetto idiota rivolto alla stessa Amalia. «Sorteggiamo. Magari finiamo io e te nello stesso letto, che ne dici?»

«Te lo scordi!»

Lucas sogghignò alla mora, poi tornò serio. «Ok, ok... allora io resto qui sul divano, voi potete andare. Amalia e Ryan da una parte, Tara e Rachel dall’altra, ok?»

Rachel  si irrigidì. L’idea di dormire insieme a Tara non era molto ok per, ma decise di non discutere. Di tutt’altro avviso sembrava invece Komand’r.

 «Molto meglio» disse la mora, sorridendo al ragazzo con aria di superiorità, per poi dare le spalle a tutti loro. «Prendiamo la stanza a destra. Sogni d’oro.» E si allontanò.

Lucas scosse impercettibilmente la testa, vedendola mentre saliva le scale. «Che stronzetta... ehm... senza offesa, Ryan...»

«Tranquillo...» replicò il rosso, con un sospiro. «Non sei primo e non sarai certo l’ultimo a chiamarla così... con lei ci vuole solo un po’ di pazienza.» Salutò tutti loro con un cenno della mano. «Beh, buona notte.»

«’Notte.»

Anche Tara sbadigliò. «Aspettami, vengo anch’io.»

Si allontanò, raggiungendo Ryan. Non appena gli si avvicinò, il rosso distolse lo sguardo da lei, grattandosi una guancia chiaramente imbarazzato. Salirono anche loro le scale, mentre Corvina si sedette sul divano.

«Tu non vai?» le domandò il ragazzo, inarcando un sopracciglio.

«Non ho molto sonno...» Tra incubi, pensieri che la tormentavano ed eccetera, dormire era diventata l’ultima preoccupazione per lei. E poi, aveva già dormito per quasi un giorno, giusto ventiquattro ore prima, non le serviva davvero riposare ancora.

«Ok, beh, ti consiglio comunque di riposare... domattina avremmo un bel po’ da fare...» Lucas si avvicinò alla finestra, guardando fuori con aria piuttosto corrucciata.

«Cosa ne pensi di Sub City?» domandò Rachel, seguendo i suoi movimenti con lo sguardo ed intuendo cosa stesse frullando per la sua mente.

Il moro sospirò, allontanandosi dal vetro. «È tutto... troppo tranquillo.» Spostò gli occhi su di lei, serio in volto. «Vediamo di superare in fretta la notte. Non mi piace questo posto al buio.»

«Pensi che ci taglieranno la gola mentre dormiamo?» La conduit abbozzò un sorriso per sdrammatizzare, ma la prima che si sentiva tesa era lei.

Una lieve risata uscì dalla gola del ragazzo. «Diavolo, speriamo di no. Non sono ancora pronto per svegliarmi elegante...»

Si appoggiò alla parete, sbadigliando. Rachel se ne accorse, e realizzò solo allora che se c’era uno che doveva essere stanco, quello era proprio lui. «Perché non vai tu a dormire un po’?»

«Perché sei seduta sul mio letto...»

«No, intendevo di sopra. Ti serve un letto, non questo affare.» Rachel molleggiò sul cuscino del divano, per poi fare una smorfia. «Sembra di stare su della carta vetrata...»

«Sei sicura?» interrogò ancora lui. «Perché davvero, se vuoi posso...» Si interruppe, per strofinarsi una palpebra, gesto che lo tradì definitivamente. «Se vuoi posso...»

«Tranquillo. Vai a riposarti. Sei quello che ne ha più bisogno. Io non sono stanca, non sarà un problema per me stare qui.»

Il ragazzo annuì. «Ok... ma non appena hai sonno vieni pure a...»

«Vai. Ora.» Rachel si alzò dal divano e iniziò a spintonarlo verso le scale, guidata dalla lieve luce che filtrava dalla finestra. «E sbrigati.»

Lucas continuò ad insistere e a dirle di non preoccuparsi troppo per lui, ma era ovvia la sua stanchezza. Corvina sorrise comunque, di fronte a quella testardaggine.

«Un momento, lo sai che l’unico posto libero è nel letto con Tara, vero?»

«Sì. Perciò vedi di tenere a freno gli ormoni» fece la ragazza, dandogli un piccolo pugno scherzoso sul braccio.

Red X ridacchiò, cominciando a salire le scale. «Non garantisco nulla.»

Rachel roteò gli occhi, ma il sorriso non svanì dalle sue labbra. Chissà che faccia avrebbe fatto Tara vedendoselo comparire nel letto. Le venne da ridere a pensarci.

Tornò in salotto, sul divano. Aveva detto che era fatto di cartavetro, ma in realtà non era poi così scomodo. Quello che aveva omesso di dire a Lucas era che in realtà, restando lì in salotto, voleva assicurarsi che nessuno entrasse. Voleva fare la guardia, in pratica.

Si sedette e si abbandonò con la testa sullo schienale, sospirando e chiudendo gli occhi. L’ultima cosa che voleva in quella città erano altri problemi. Sub City era l’ignoto, il futuro, per lei, e di certo non voleva che anche quella città si rivelasse essere l’ennesima delusione.

Ed era abbastanza sicura di non essere l’unica ad averne fin sopra ai capelli dei problemi. Aveva trascorso relativamente poco tempo con i suoi nuovi compagni Amalia, Ryan e Tara, ma aveva subito intuito come stavano le cose. A neppure loro sarebbe piaciuto finire in altri casini.

Eppure, c’erano troppe cose che ancora le suonavano strane. La morte di Alden e Sasha, la fine così repentina della quarantena, quei due ragazzi alla stazione di servizio e ora la calma irreale e i bizzarri graffiti che aveva notato nelle strade di Sub City.

Era stanca di ripeterselo, ma c’era qualcosa che non andava.

I suoi occhi caddero poi sul tavolino da caffè di fronte al divano. Qui, un foglio bianco era posato. La ragazza lo prese e scoprì che non era bianco, era solo girato. Lo voltò e lo esaminò con attenzione.

Raffigurava un immagine e alcune scritte. Non riuscì a distinguere nessuna delle due, a causa della penombra. Strizzò gli occhi e cercò di mettere a fuoco, ma un rumore improvviso la fece sobbalzare.

Si voltò di scatto, allarmata. Lo udì di nuovo. Sembrava una specie di tonfo. Sollevò lo sguardo, e realizzò che era arrivato dal piano superiore. A quel punto si tranquillizzò. Sicuramente era stato uno dei suoi compagni. Magari qualcuno che era caduto dal letto.

Riportò l’attenzione al foglio ed estrasse il cellulare dalla tasca, per illuminarlo. L’immagine apparve ben nitida. Raffigurava un uomo con indosso una maschera da hockey, sembrava di ferro. Era nera da una parte, arancione dall’altra. Aveva solo un occhio aperto, azzurro, dalla parte arancione. Dalla parte nera, invece, sotto al foro non si intravedeva nulla. Ciocche di capelli grigi argentati ricadevano in parte sulla zona superiore della maschera. Il suo sguardo era severo e colpì la ragazza come una scarica elettrica.

Rachel ebbe un sussulto quando lo vide, ma non era ancora finita. Lesse le scritte:

 

Obbedire o morire.

Gli Underdog non scenderanno a patti.

 

Corvina deglutì. Un altro tonfo proveniente dal piano superiore la fece saltare dal divano. Il telefono le scivolò dalla mano e cadde a terra, insieme al manifesto, spegnendosi e immergendo la stanza nel buio. Il suo cuore cominciò a battere all’impazzata.

Si chinò a terra, per cercare di recuperare il cellulare e scacciare quel buio maledetto, ma un altro tonfo la fece irrigidire di colpo. Le scappò un gemito. Trovò il telefonino e lo riaccese. Probabilmente la batteria si era spostata, per questo si era spento all’improvviso.

Riacquistò un barlume di sicurezza quando l’ambiente tornò illuminato.

Un altro tonfo, questa volta accompagnato dal rumore di alcuni passi. Rachel cominciò a guardarsi intorno, illuminando ogni angolo del salotto con la luce del dispositivo, perle di sudore freddo cominciarono a scivolarle lungo la fronte. Cominciò ad agitarsi.

Il buio non le era mai dispiaciuto, soprattutto da quando aveva ottenuto i suoi poteri oscuri, ma in quel momento pensò l’esatto contrario.

I rumori dal piano superiore non cessarono. La ragazza sollevò allora una mano e si concentrò. Una fioca luce nera le illuminò il palmo. Inspirò profondamente, poi si avvicinò alle scale.

«R-Ragazzi?» chiamò ad alta voce. Forse quei rumori erano solo uno stupido scherzo. Una parte di lei pregò davvero che lo fosse, l’altra asserì che avrebbe ucciso i suoi compagni, se davvero erano loro l’origine di quei tonfi.

Nessuno rispose. I suoi ambigui tacquero per un breve istante, ma poi se ne udirono altri.

«O-Ok...» sussurrò Rachel. «Ora sono preoccupata...»

Puntò la mano di fronte a sé e la luce nera si fece più intensa. Sicura di poter contare sui suoi poteri lasciò che il bagliore oscuro svanisse, dopodiché, illuminando la strada con il cellulare, cominciò a salire le scale.

I rumori non cessarono e, anzi, si fecero sempre più insistenti.

Arrivò al piano superiore, con il cuore che stava per esploderle nel petto. Un’ondata di aria gelata la travolse, facendola rabbrividire. Non capì come fosse possibile ciò fino a quando non notò la finestra al fondo del corridoio che dava sulle scale spalancata, con la tenda che sventolava a causa della corrente. Sgranò gli occhi. Non ricordava che qualcuno l’avesse aperta e dubitava che i suoi compagni lo avessero fatto prima di andare a dormire.

Un altro tonfo e la ragazza sobbalzò di nuovo. «L-Lucas? Sei tu?»

Mosse la luce verso il corridoio. Tre porte bianche anonime e la moquette blu del pavimento apparvero alla sua visuale. Nient’altro.

«C’è... c’è qualcuno?» Rachel pregò che la sua voce non sembrasse troppo spaventata.

Avanzò. I suoi amici non rispondevano e i rumori andavano avanti. Sperò definitivamente che tutto quello si trattasse di uno scherzo. Si avvicinò alla prima porta, quella che portava alla camera in cui avrebbero dovuto trovarsi Tara e Lucas.

Bussò un paio di volte. «R-Ragazzi? Tutto bene?» Nessuna risposta, solo l’ennesimo bizzarro rumore.

Altri passi, questa volta venivano dalle sue spalle. Rachel si voltò di colpo, trasalendo e puntando la luce in tutte le direzioni. Non vide nessuno.

Si appoggiò alla porta, sospirando esausta e asciugandosi la fronte sudata con il dorso della mano. «Ok, ok, calmati Rachel, calmati...»

Entrambe le sue mani si illuminarono di nero all’improvviso e alla ragazza scappò un mezzo gridolino spaventato. Lasciò andare la presa dal cellulare e questo cadde nuovamente a terra con lo schermo rivolto verso l’alto.

Rachel inspirò ed espirò profondamente per diverse volte, fino a quando il bagliore oscuro delle sue mani non svanì. Ci mancavano solamente i suoi poteri che si comportavano in maniera autonoma. Ma era normale, agitata com’era.

Non riusciva a capire perché si sentisse così vulnerabile all’improvviso. Aveva affrontato così tanti pericoli che ormai nulla avrebbe più dovuto spaventarla, invece...

Altri tonfi, altri passi. Un brivido gelato le percorse la spina dorsale, e non era per colpa della finestra aperta. Quei rumori si insinuarono nelle sue orecchie, nella sua mente, come dei parassiti. Rimbombano tutti accanto a lei, come dei sussurri provenienti dall’ombra, come il fruscio di un milione di insetti che correvano da tutte le parti. A quel punto la corvina gridò, staccandosi dalla porta. «Ragazzi! Se è un scherzo non è divertente! Finitela!»

I rumori tacquero di nuovo. E poi ricominciarono. Rachel si mise le mani nei capelli. «Smettetela! Vi ho detto di smetterla!!»

Si fiondò contro la porta, spalancandola e illuminando entrambe le braccia di nero, pronta a scatenare tutti i suoi poteri. «Ho detto di...»

Tacque all’improvviso, mentre i suoi arti superiori ritornavano immediatamente normali. La finestra della camera da letto era anche aperta, e tra le tende svolazzanti riusciva a passare abbastanza luce da permetterle di vedere il letto matrimoniale completamente vuoto e con coperte e lenzuola tutte a soqquadro. Di Tara e Lucas nessuna traccia. «Ra... ragazzi?» domandò, questa volta di nuovo titubante.

Si avvicinò al materasso, guardandolo sbigottita. «Ma... ma cos...»

Qualcuno la afferrò all’improvviso dalle spalle. Rachel gridò per la sorpresa, ma il suo urlo fu ben presto offuscato da un panno bagnato che le fu premuto sopra bocca e naso.

Corvina si dimenò come un’ossessa, per divincolarsi da quella presa di ferro. Fece per usare i poteri, poi commise l’errore di respirare. Un odore acre, pungente, si insinuò nelle sue narici, percorrendole fino al cervello. Sentì tutto il setto nasale bruciare, come se stesse andando a fuoco, e un forte senso di nausea la assalì.

Senza rendersene conto smise di lottare per liberarsi, ma la presa attorno a lei si allentò comunque. Cadde a terra, tossendo e boccheggiando alla ricerca di aria pulita che le permettesse di scacciare l’odore nauseabondo che le impregnava il naso.

Strisciò sul pavimento ed alzò lo sguardo. Da ogni angolo buio della stanza cominciarono ad uscire delle inquietanti figure vestite di nero. Rachel aveva la vista appannata, non riusciva a concentrarsi, ad usare i poteri o a mettere a fuoco anche solo uno di quegli individui. Ma di sicuro non erano i suoi amici.

A quel pensiero qualcosa scattò dentro di lei come una molla. Tentò di chiamare i suoi compagni, temendo che qualcosa fosse successo anche a loro, ma quando aprì la bocca anziché le parole uscirono solo dei rantolii.

Le figure scure si avvicinarono a lei. Ovunque guardasse, vedeva solo stivali, pantaloni e grossi impermeabili neri. La circondarono.

Rachel gemette. Non riusciva più a ragionare in modo lucido, non riusciva più a capire cosa stesse succedendo, dove fosse, come si chiamasse.

Un altro paio di stivali neri apparve di fronte a lei. La ragazza si aggrappò ad essi e tossendo e rantolando cercò di rialzarsi. Riuscì a malapena a drizzare la testa e a vedere il volto pallido del proprietario di quelle calzature, colui che dall’alto la stava osservando.

Il suo volto era confuso, una macchia indistinta dove occhi, naso e bocca erano altre macchie indistinte più scure. Eppure, nonostante non riuscisse a vederlo, riusciva perfettamente a sentire le sue iridi puntate su di lei.

Aprì ancora la bocca e cercò di parlare, ma non uscì altro che l’ennesimo verso senza alcun senso. A quel punto, la macchia che quel tizio aveva al posto della bocca si incurvò in una strana posizione. Riuscì a metterlo a fuoco per un breve istante, e realizzò che quello era un sorriso. Un sorriso distorto a causa della vista appannata, quasi un ghigno, rivolto proprio verso di lei.

Rachel provò ancora di dire qualcosa, poi le sue palpebre si chiusero contro il suo volere e accasciò la testa sul pavimento.

 

 

 

Suburb City, eh già. Questo risponderà al quesito che alcuni di voi si saranno sicuramente posti: userò ambientazioni reali oppure immaginarie? Immaginarie, anche se, comunque, tutto quanto sta accadendo nell'Est degli Stati Uniti. Diciamo che mi sto ispirando anche in questo caso ad Infamous, in cui le città rappresentate (Empire e New Maries) sono inventate, ma comunque ispirate a città vere. 

Quindi, sì Suburb City me la sono inventata io, ma non aspettatevi che mi metta a descriverla mattone dopo mattone, eh, alla fine è una città come le altre. Tuttavia spero che la descrizione della "Old Sub" abbia reso abbastanza l'idea. Anche se, comunque, presenterà alcuni elementi in comune sia con Infamous, che con i Teen Titans veri e propri. Immagino che uno degli elementi in comune con questi ultimi lo abbiate già intuito leggendo il capitolo... 

E spero anche che la parte in cui Rachel viene messa k.o. sia di vostro gradimento. Ho cercato di renderla più angusta e dark possibile, anche se non sono proprio un esperto del settore e immagino che si sia già notato.

Presto le cose si faranno davvero intricate, restate sintonizzati, perché ho intenzione di creare un intreccio con la I maiscola. Il prossimo capitolo è uno di quelli a cui tengo di più.

Dunque, fatemi sapere cosa ne pensate, se trovate errori segnalatemeli e niente, spero di sopravvivere alla prossima settimana di scuola e di poter ritornare sano e salvo alla prossima!

 

   
 
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