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Autore: Ghost Writer TNCS    04/03/2016    1 recensioni
Nello stato di Hospea il tipo di magia più diffuso è quello degli evocatori, il cui potere si tramanda di generazione in generazione nei vari clan. Ogni clan ha i suoi animali caratteristici, e il suo prestigio è direttamente proporzionale alla forza delle creature a cui è legato.
Rex è un giovane evocatore, ma non uno qualunque: lui può richiamare i demoni, un potere straordinario che si credeva ormai perduto. Una simile abilità lo rende più potente di molti suoi coetanei, allo stesso tempo però attira su di lui astio e diffidenza, e questo per via della stirpe che, un decennio prima, ha seminato morte e terrore coi suoi famigli demoniaci: il famigerato clan degli Oblio.
Eppure questo a lui non importa. Rex vuole dare prova dell’utilità del suo potere e finalmente può farlo in una missione, tuttavia ben presto diventa chiaro che non si tratta di un semplice recupero: gli ingranaggi del destino si sono messi in moto e degli antichi poteri stanno per tornare alla luce.
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Genere: Avventura, Azione, Fantasy | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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6. Dinastia infame

Il dolore alla guancia destra era acuto e pulsante, probabilmente anche per l’incredulità che lo accompagnava. Anche sua madre gli aveva tirato qualche schiaffo in passato – quale bambino non combina almeno una marachella di tanto in tanto? – però non ne aveva mai ricevuto uno così forte. E poi perché quella demone l’aveva colpito? D’accordo, forse non era stato molto elegante fissarle la scollatura, però in quel caso la reazione sarebbe stata un tantino eccessiva.

Sentì qualcosa di caldo scorrere sulla pelle ancora dolorante, ma era abbastanza sicuro che non fossero lacrime. Si toccò con una mano e la vide macchiarsi di sangue: non solo il colpo era stato violento, ma gli artigli di lei gli avevano lacerato la pelle, aprendo tre tagli netti e piuttosto profondi.

Guardò la demone per chiedere la ragione di quel gesto, ma gli occhi lilla di lei erano increduli e spaventati, come se avesse appena visto un fantasma. Rex non fece in tempo ad aprire bocca per dirle che stava bene, che la demone rilasciò da sé la propria evocazione e si dissolse.

Il ragazzino rimase imbambolato a fissare il vuoto, incapace di elaborare una reazione a quanto appena successo: aveva appena evocato una demone molto bella che sembrava più una persona che un animale, questa demone era stata in grado di sconfiggere in un attimo un posseduto che aveva steso facilmente Sehvenn, poi lei lo aveva colpito e per finire aveva annullato di sua iniziativa il legame che l’aveva fatta comparire. Di questi quattro eventi, nessuno era coerente con quanto aveva imparato.

«Rex… stai bene?»

La voce del suo insegnante lo riscosse e si voltò. «Sì, sto bene, non è niente.»

Sehvenn si sforzò di tirarsi su e con passo incerto si avvicinò al ladro. Avrebbe voluto dare un’occhiata ai tagli del ragazzino e sincerarsi delle condizioni di Eden e Nora, ma prima doveva mettere al sicuro la pietra arcana. Non poteva rischiare che il fuorilegge rinvenisse e se ne impossessasse di nuovo, e lo stesso valeva per l’armédée.

Per prima avvolse la pietra nella sua giacca in modo da essere sicuro di non toccarla – in realtà non pensava di correre dei rischi in caso di un contatto diretto, ma dopo quanto successo, non aveva nessuna intenzione di mettere alla prova la sorte – dopodiché, sempre stando molto attento a non toccarla direttamente, ripose l’armédée nella scatola coi sigilli che il monaco gli aveva consegnato.

Una volta sistemate le due minacce, utilizzò le sue ultime gocce di energia per evocare uno spettro che sorvegliasse il ladro, a quel punto andò a sincerarsi delle condizioni dei suoi alunni. Per fortuna nessuno di loro era ferito gravemente e dopo un quarto d’ora di riposo furono in grado di rimettersi in marcia per tornare al piccolo villaggio.

Il ladro venne consegnato all’ufficiale di polizia affinché scontasse la sua pena, l’armédée venne restituita al tempio insieme alle raccomandazioni per metterla più al sicuro, per quanto riguarda la pietra arcana invece Sehvenn preferì non rivelare niente a nessuno e la portò con sé lungo il viaggio di ritorno fino a scuola.

L’insegnante si raccomandò ancora una volta con i suoi alunni di mantenere il segreto, quindi li salutò e osservò mentre si allontanavano verso casa. Non appena li ebbe persi di vista, rientrò nell’edificio scolastico e si diresse senza indugio verso l’ufficio del dirigente.

«Hai fatto bene a non dire niente a nessuno, le pietre arcane sono troppo potenti, non è bene che si sappia che c’è n’è una in circolazione.» affermò l’anziano hystricide mentre la osservava. All’apparenza sembrava un comunissimo sasso, forse appena più lucido e spigoloso, ma bastava un minimo di sensibilità magica per accorgersi della differenza. «La metterò in un posto sicuro, dove nessuno potrà trovarla.»

Sehvenn annuì, ma per quanto fosse curioso, non chiese quale fosse quel posto: meno persone sapevano, e meglio era.

«Bene, se non le dispiace, tornerei a casa; ci penserò domani a scrivere il resoconto della missione.»

«D’accordo, te lo concedo. Arrivederci, Hayato.»

L’insegnante non nascose il proprio sbadiglio. «Arrivederci.»

***

Rex camminava tranquillo per la strada che percorreva quasi ogni giorno tra scuola e casa, ormai poteva dire di conoscerla a memoria e le vetrine dei negozietti non avevano quasi più segreti.

Non ci faceva più caso, però il fatto di poter tornare da solo lo faceva sentire molto fiero. Prima, quando ancora faceva parte di una classe normale, doveva aspettare fino a tardi che sua madre lo venisse a prendere, adesso invece il maestro Sehvenn lo faceva sempre tornare a casa per conto suo come Eden e Nora.

A proposito di sua madre: di sicuro gli avrebbe chiesto spiegazioni per i tre tagli che aveva sulla guancia, ma non sapeva ancora se dirgli la verità.

“Ho evocato una demone che sembrava una persona, mi ha tirato uno schiaffo e mi ha fatto questi con i suoi artigli.” Cavolo, era talmente assurdo che sembrava una bugia!

Ripensandoci, gli era già capitata una situazione simile, solo che quella volta era lui a voler sapere la verità da sua madre. Oltretutto l’atmosfera che lo aveva accolto al suo rientro a casa non era stata poi così diversa dal solito…

«Ciao mamma!» esclamò il ragazzino mentre richiudeva la porta alle sue spalle.

«Ciao Rex! Sbrigati, la cena è pronta!»

«Arrivo!»

Il giovane si cambiò velocemente, si lavò le mani e poi andò in cucina. Si sedette a tavola e fece comparire Riku, che subito si guardò intorno e raggiunse la sua ciotola.

Sua madre versò a tutti e tre il pasticcio di patate e poi si sedette con loro. Il piccolo demone mangiava praticamente tutto quello che mangiavano loro, quindi la donna aveva preso l’abitudine a riempire un po’ di più la pentola per soddisfare anche lo stomaco della creatura.

«Allora Rex, com’è andata oggi?»

«Mmh, al solito…» Mosse il cucchiaio all’interno del piatto, smuovendo la sostanza gialla e disomogenea all’interno. Gli era sempre piaciuto il pasticcio di patate, ma in quel momento non si sentiva molto affamato.

«Qualcosa non va?»

Lui sollevò lo sguardo dal cibo, concentrandolo negli occhi verdi della donna. «Mamma, chi è mio padre?»

Aveva perso il conto delle volte che aveva fatto quella domanda, e tutte le volte aveva ricevuto una risposta vaga o una scusa per cambiare discorso. Ma questa volta era deciso a farsi dire la verità.

Riscontrando una certa titubanza da parte della madre, decise di insistere: «Ho undici anni ormai, non sono più un bambino… Mamma, lo voglio sapere!»

La donna prese un profondo respiro. «D’accordo, hai ragione.» Osservò il pasticcio di patate nel suo piatto. Anche lei non aveva più molta fame. «Io… ecco… non lo so il suo nome… Quando è successo… io…» Le parole non volevano uscire, ma non poteva negare a suo figlio la verità. «Io… ero ubriaca… Già, ubriaca fradicia… Non ricordo nemmeno bene quello che è successo, so solo che era un evocatore… un evocatore potente… un evocatore di demoni.» Guardò suo figlio negli occhi, ma il suo sguardo era offuscato da un alone di muta colpevolezza. «Immagino l’avrai capito, comunque era uno del clan Shitsunen… Io, ecco…»

La frase venne lasciata a metà, e Rex non riuscì a rompere quel silenzio. Non sapeva cosa dire. Ormai era praticamente certo di essere un discendente del clan dell’Oblio, però non credeva… non credeva che suo padre fosse un perfetto sconosciuto.

Si sentiva confuso. Finalmente sapeva la verità, però non era una delle verità che si era immaginato, e quindi non sapeva nemmeno come sentirsi. Arrabbiato? O magari triste? No, non provava niente. Suo padre era un perfetto sconosciuto, anzi no: era uno sconosciuto del clan più disprezzato della Storia. Eppure non gli importava.

«Rex, io… Mi dispiace, non volevo…» Si sforzò di trovare le parole giuste: «Ecco, non volevo che pensassi che… insomma… che non ti volevo… Lo sai che ti voglio bene…» I suoi occhi si fecero lucidi e la sua voce divenne ancora più incerta: «A quel tempo non avevo niente… Non avevo voglia di fare niente… E bevevo… Poi però sono rimasta incinta di te e… ed è cambiato tutto.» Gli sorrise. Un sorriso che sapeva essere bello e luminoso nonostante le lacrime che le rigavano le guance. «Ho capito quello che volevo… ed è quello che voglio anche adesso: io voglio che tu sia felice, Rex. Quando sei nato… è stato il momento più bello della mia vita.» Si accorse di stare ridendo e piangendo allo stesso tempo, e questo la fece sorridere ancora di più. «Rex, tu sei tutto per me, sei mio figlio e… e la mia forza… Farei qualsiasi cosa per te.»

Entrambi si alzarono e si abbracciarono.

«Ti voglio bene, Rex.»

Il ragazzino, anche lui con gli occhi lucidi, si strinse ancora di più a lei. «Anch’io ti voglio bene, mamma.»

A quel punto anche Riku svolazzò verso di loro e abbracciò la donna.

«Anche lui ti vuole bene.» commentò Rex, divertito dallo slancio di emotività del demone.

Lei sorrise e accarezzò il muso della creatura, quindi si asciugò le lacrime prima di guardare negli occhi il figlio. «Rex, a volte mi fai arrabbiare, ma lo so che sei un bravo ragazzo. Ti sei sempre comportato bene e voglio che tu continui a farlo, però devi capire che, anche se farai il bravo, la gente potrebbe guardarti male. Non per colpa tua, ma solo perché sei un evocatore di demoni. Ma tu non devi odiarli per questo, hai capito? Non devi combattere l’odio con altro odio.»

Rex annuì e Riku, appollaiato sulla spalla, fece altrettanto.

«Promettimelo.»

«Te lo prometto.»

La donna lo abbracciò stretto. «Lo so che in certo momenti sarà difficile, ma tu dovrai essere forte. Io ti voglio bene, e te ne vorrò sempre. Sono fiera di essere tua madre, e sono felice che tu sia mio figlio.»

Il ragazzino si strinse a lei. «Anche io sono felice di essere tuo figlio.»

Era stato in quel momento che aveva capito che in realtà non gli importava più di tanto sapere chi fosse suo padre o da dove venisse il suo potere. Non gli importava di essere l’ultimo discendente del clan più temuto della Storia e non gli importava di essere considerato l’Erede degli Oblio.

Aprì la porta di casa e si tolse le scarpe.

«Ciao mamma!»

La voce della donna lo raggiunse dalla cucina: «Ciao Rex! Lavati le mani che è quasi pronto!»

«Ok, arrivo subito.»

Magari adesso la gente aveva paura dei suoi famigli, ma era convinto che, un giorno, anche lui avrebbe potuto camminare tranquillamente in compagnia di Riku senza suscitare la diffidenza di nessuno. A conti fatti era questo il suo più grande desiderio.


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