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Autore: madataraxy    05/03/2016    0 recensioni
STORIA SUGLI URBAN STRANGERS.
"è meglio provare dolore che non provare niente. Genn, siamo stati creati per vivere, sbagliare, farci del male, provare emozioni. Non privarti delle belle cose della vita per paura che esse ti possano procurare dolore. Prima o poi dovrai soffrire, fai si che valga la pena di sentire quel dolore. Vivi la vita come se fosse un bel momento eterno".
Alessio non è il tipo di ragazzo che fa discorsi pieni di significato, lunghi e degni di nota, e se doveva essere sincero con se stesso, neanche quello che aveva appena fatto era un discorso lungo, e non si sentiva neanche un poeta, ma era riuscito a far ritornare luminosi gli occhi del suo compagno, rimasti spenti troppo a lungo, e questo gli bastava.
Genere: Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het
Note: AU | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Contesto generale/vago
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IL VIAGGIO VII

Rimasero in quell'edificio per tutto il pomeriggio.

-Devo andare in bagno.

La solita scusa che si usa quando la conversazione diventa troppo noiosa e difficile da mantenere senza la presenza di un qualche sbadiglio.

Dire che Gennaro si stesse annoiando sarebbe troppo poco.

Persone che parlavano di cose troppo complesse e serie.

Lui era partito per divertirsi.

Uscì da quella stanza attraverso una grande porta in legno che portava diverse sfumature del colore grigio.

I suoi soliti e amabili, anfibi neri si trascinarono dispersi.

Cercò di riuscire il più possibile nel tentativo di non mostrarsi come una persona goffa, cose che in realtà lui è.

Si ricorda  quando era piccolo, che detestava fare educazione fisica, quando i suoi compagni giocavano a pallamano e a lui non piaceva correre, quindi si faceva eliminare e se ne stava in disparte.

Poi crebbe, così come crescono tutti, e "mamma fammi la giustifica che salto le prime due ore perché c'è ginnastica", o altrettanto comunemente "dai, Anto - fedele compagno di scuola -, balziamo insieme, così io salto quella roba e tu non vieni interrogato in fisica".

E Alessio che lo invitava alle sue partite di calcio, quelle partite mezze organizzate dell'oratorio, in cui era già tanto se le porte non fossero scassate del tutto, e lui non poteva fare a meno che sentirsi una di quelle donzelle che vanno a vedere i propri uomini giocare, pur non avendo mai visto Alessio come suo "uomo", ma il castano non aveva nessuna bella ragazza da invitare e Gennaro aveva bisogno di uscire di casa qualche volta.

Cammina sempre immerso nei suoi pensieri.

Gli si scompigliano i capelli, come ogni volta che fa qualunque cosa.

Ha un ciuffo troppo lungo, che gli impedisce la vista di ciò che gli sta attorno.

Decide che forse dovrebbe tagliarsi i capelli, magari quando torna a casa, nella sua realtà. Andrà dal parrucchiere in cui va anche suo padre.

Fuori è già buio.

In quel posto, ovunque tu voglia andare, trovi la presenza di enormi finestre.

D'un tratto, dal nulla, i lampioni sulla strada si illuminano, e Gennaro si sofferma su una finestra.

Guarda fuori, posando una mano sul vetro.

I suoi polpastrelli vengono accolti da un gelido freddo, e, avvicinatosi troppo, si accorge che il suo respiro crea degli aloni appannando il vetro.

Vede la ragazza su cui è andato a sbattere in precedenza.

Sembra più bella, illuminata dalle correnti serali.

Porta una giacca nera, a chiodo, quelle tipo rocker anni '60, e la mente del biondo viaggia in universi paralleli. Già si immagina la ragazza, mentre, sdraiata sul suo letto, beata, ascolta musica terribilmente bella, che sa a memoria ogni canzone dei Nirvana, e mentre Kurt canta, muove il labiale.

Poi, la ragazza, si gira, e, fuori al freddo, vede Gennaro che la osserva.

Forse ha sorriso.

Pensa lui.

O forse no.

Quanti dubbi.

Sta parlando con un ragazzo su una moto, e di tanto in tanto, posa il suo sguardo sul biondo, che sa di doversene andare e smettere di guardarla come se fosse un maniaco o roba simile, ma semplicemente rimane lì, indifeso, senza la minima forza di spostarsi.

Percepisce uno strano calore alle gambe, e si rende conto che, involontariamente, si è poggiato su un calorifero. Prova a metterci una mano sopra, per riscaldarsi, ma quell'oggetto inanimato, lo ustiona.

-Merda.

Un sussurro.

Costretto ad abbandonare la visione di quella ragazza, si china e cerca di abbassare la temperatura, girando un po' a caso quella manopola che ha visto per prima.

E di nuovo si ritrova con la mente focalizzata, in tutti i modi, su qualcosa.

Come se non potesse fare altro, lasciare che la sua testa decida su cosa debba concentrarsi e come.

C'è silenzio, forse se ne sono andati via tutti.

-Cosa stai facendo?

Così si ruppe la calma.

E ancora una volta.

Detesta come lui possa apprezzare in quel modo, le voci delle persone.

Perché quella Sofia, quella Sofia dai capelli azzurri, con dei strani tatuaggi ed un invitante piercing al labbro, ha una voce che si potrebbe paragonare al più buon profumo che un fiore possa avere.

-Io, stavo cercando di non ustionarmi con il calorifero.

-Non sarebbe bastato spostarsi?

-Già, forse sarebbe bastato.

Una forza parallela li fece avvicinare, fino a farli ritrovare viso contro viso.

-Quindi sei la più brava studentessa dell'università.

-Questo è quello che si dice in giro.

Ma Gennaro lo sapeva, che la sua mente si focalizza su una cosa, e il resto accade senza che lui ci pensi davvero.

Quindi i tutti i suoi pensieri sono indirizzati alle labbra della ragazza, felpate, coperte da un rossetto scuro, e non riesce a fermarsi, che le parole escono dalla sua bocca da sole.

-Non è stupido studiare astrologia?

Sofia torce il naso, ecco che ha rovinato tutto, sembrava troppo bello per essere vero, quando tutto fila liscio come nelle favole.

-Non è stupido.

-Beh, vi basate su cose che potrebbero anche non essere reali.

-Potrebbero come non potrebbero. Tu sei cattolico?

-Sì.

-E ti basi su un entità che potrebbe essere reale come non potrebbe esserlo, è una questione di fiducia.

Lo capisce, è sempre questione di fiducia, di quella parola che avrebbe dovuto utilizzare con la Sofia di Napoli.

Però continua a non esserne certo, e dal suo volto trapelano tutti i suoi dubbi.

-Vieni, ti porto in un posto.

Lo tiene per mano, trascinandolo, e da dietro, lui, vede la figura di Sofia, camminare sicura, con la sua infinità di capelli che riposano liberi sulle sue spalle, che si muovono ad ogni passo che la ragazza compie.

Giungono difronte ad una porta, piccola, stranamente piccola contando che in quel posto, ogni cosa sembra di dimensioni enormi.

E anzi che essere la solita porta grigia, è dipinta di viola, e davanti c'è critto qualcosa che non riesce a leggere.

Quindi entrano.

Lui non lo sa se ha fatto bene a fidarsi di quella sconosciuta, forse non avrebbe dovuto, in fondo, sua madre gliel'ha sempre detto "non fidarti degli sconosciuti".

Ma è questione di fiducia, e per una volta, a quella parola, Gennaro, ci si vuole affidare.

Entrano, e quel posto sembra magia.

Entrano e, all'inizio, sembra solo un posto strano, perché ci sono appunti, immagini, fogli, scritte, sparse ovunque sul muro.

Ma poi, si guarda in alto, e si scopre.

Come fece Galileo Galilei, che semplicemente rivolse il telescopio verso l'alto.

Il soffitto di quel posto era inesistente. O quasi.

C'era ma non c'era.

Un soffitto di vetro, che ti da la possibilità di guardare le stelle.

Sofia e Gennaro si sdraiarono.

-La senti?

-Cosa?

-Questo fascino. Io ho deciso di affidarmi al fascino della non conoscenza.

-Penso che tu abbia fatto la scelta giusta.

-Dici?

-Già, e forse voglio farla anche io. Non ti conosco.

E prima che la ragazza si potesse porre qualsiasi tipo di domanda, si ritrovò coinvolta in un bacio.

Gennaro e la fiducia.

Due parole che poco spesso si trovano vicine, ma le cose cambiano.

Lui ha deciso di cambiare.

La fiducia non fa male, e non porta sconforto.

La fiducia ti fa credere, e non c'è niente di meglio che affidarsi a qualcuno, ovvero, credere in quel qualcuno.

   
 
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