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Autore: Shichan    05/03/2016    1 recensioni
Miyuki sa meglio di chiunque altro che a volte è più facile annientare gli altri che soffocare se stessi, eppure ora guarda Eijun e pensa sarebbe comodo conoscere un modo per non dover fare né l'una né l'altra cosa.
Mei è pieno del suo talento, passa le dita sul pianoforte come se le passasse sul proprio corpo, perché lo strumento non è un tramite ma espressione pura di sé.
Satoru è stato così abituato alla figura che vedeva nello specchio, da trovare insopportabile il pensiero di poter essere qualcosa di diverso - o di volerlo diventare: finge meglio di quanto lui stesso creda, tranne che con Haruichi.
Per tutti e tre, respirare non è mai stato così difficile.
[MiSawa, FuruHaru, MiyuMei (passata); tematiche delicate, consigliata la lettura delle note al primo capitolo]
Genere: Introspettivo, Sentimentale, Slice of life | Stato: in corso
Tipo di coppia: Shonen-ai | Personaggi: Altri, Eijun Sawamura, Kazuya Miyuki, Mei Narumiya, Satoru Furuya
Note: AU | Avvertimenti: Tematiche delicate
Capitoli:
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Il brano per pianoforte suonato e descritto nel capitolo è l’Etude Op.10 N.4 di Chopin (consigliato, per l’ascolto, la versione di Pollini).

 

 

 

«Oh. Quindi da quel momento non vi siete ancora visti?»
La domanda di Haruichi è semplice, ed è certo che l’amico non stia tentando di sottolineare quanto strana risulti la cosa. Sono tornati a scuola già da una decina di giorni, ma l’ultimo sabato è saltato – con tanto di comunicazione alla famiglia da parte di Miyuki – e Eijun sa che non è per quanto si sono detti, ma non può fare a meno di chiedersi se sia tutto a posto. Picchietta con le bacchette contro il bordo del contenitore del suo bentou e borbotta qualcosa di non meglio comprensibile.
Haruichi gli rivolge un sorriso e, con pochi movimenti, deposita in quello stesso contenitore una piccola porzione di omelette; Eijun alza lo sguardo su di lui confuso, chiedendosi se abbia una faccia da funerale tale da invogliare qualcuno a cedergli del cibo per tirarlo su di morale, ma incontra niente più del sorriso incoraggiante che Haruichi gli rivolge sempre, anche durante le partite o gli allenamenti. In qualche modo, almeno in parte sembra tornare tutto a posto.
«Perché nel pomeriggio non vieni da me?» domanda osservandolo «Per oggi le attività del club sono sospese, io e Satoru pensavamo di studiare insieme. E sicuramente faremo la cioccolata calda, a un certo punto.» azzarda, come se quello fosse un motivo più che valido per accettare l’invito. Haruichi ha questa capacità di trattarlo con riguardo senza farlo sentire un perfetto imbecille a cui qualcuno sta facendo da bambinaia. Storce il naso, sospira quasi rassegnato e finge di darsi un’aria d’importanza: «Beh, non mi va l’idea di un intero pomeriggio con quell’altro, ma se proprio devo…» lascia cadere la frase, recuperando l’omelette gentilmente offerta e mangiandola senza troppe cerimonie.
Haruichi ridacchia, perché per quanto Eijun si finga infastidito dalla presenza altrui, sa meglio di chiunque altro che in campo – e, per assurdo, soprattutto fuori da esso dove la rivalità lascia spazio a una quotidianità del tutto normale – Eijun sia forse una delle persone che più apprezza Satoru, o che quantomeno lo conosce al punto da saper individuare i suoi pregi e non solo l’essere poco loquace e il sembrare in alcuni casi niente più di un arrogante.
Ci hanno messo tre anni, ma Haruichi non scambierebbe un solo giorno della loro amicizia.

Ciò che Eijun non si aspetta, è di ritrovare in casa Kominato altri ospiti: lui e Satoru varcano la soglia subito dopo Haruichi, si liberano delle scarpe  e vengono indirizzati verso il soggiorno. È una volta lì, in procinto di entrare e già pronti a posare le borse a terra, che Eijun si blocca sul posto perché ad accoglierlo non c’è solo il saluto di Ryousuke – il fratello maggiore di Haruichi – ma anche di Miyuki; è chiaro che nessuno dei due fosse al corrente della presenza dell’altro, e se Eijun fosse stato portato dalla sorpresa a credere che Haruichi ne sapesse più di lui, capisce immediatamente di aver sbagliato quando l’amico guarda spaesato il fratello. Sembra cercare in lui una risposta che, tuttavia, Ryousuke non gli può dare.
Il primo a lasciarsi scivolare nella stanza è Satoru, con la sua invidiabile indifferenza verso tutto e tutti, come se non sentisse il bisogno di alcun chiarimento né la tensione che invece appare palpabile tra Miyuki e Eijun. È il più grande a parlare, rivolgendo un saluto generale a tutti e tre e soffermandosi su Haruichi: «Stavo giusto chiedendo a Ryou-san come stesse andando la vostra squadra.» dà voce all’argomento più scontato – e l’unico che, in effetti, può portarlo a una conversazione innocua su un argomento di comune interesse con il minore dei Kominato.
«Bene, so che il coach voleva organizzare un’amichevole dopo le vacanze invernali, ma non so se ne abbia già fissate o meno.» replica, rivolgendosi poi a Satoru ed Eijun «Possiamo spostarci in camera mia, e—»
«Lascia stare, Haruichi.» lo richiama il maggiore, abbandonando la posizione seduta vicino al tavolino basso: «Non stareste granché comodi, a studiare in camera. Io e Kazuya stavamo giusto facendo una pausa prima di riprendere con il saggio che dobbiamo scrivere per l’università.» assicura, facendogli cenno di seguirlo in cucina per preparare qualcosa da offrire agli ospiti. C’è un’occhiata discreta di Haruichi all’indirizzo dei due compagni di classe – più di Eijun che di Satoru, ma lo maschera bene – prima di seguire il fratello. Il silenzio che cala è a dir poco scomodo; sorprendentemente è Furuya a romperlo, dopo aver tirato fuori come se niente fosse i quaderni e l’occorrente.
«Miyuki-senpai» pronuncia «sei bravo in matematica?»
«Direi di sì.» è la replica pronta che l’altro gli rivolge con un sorrisetto. Se sia lui che Eijun si aspettavano l’altro stesse per chiedere un aiuto, sono entrambi presi in contropiede dal «Aiuta Eijun, per favore. Ci rallenta.» pronunciato da Satoru con un’espressione indecifrabile in viso che non permette di capire se lo stia facendo per aiutare Eijun, per prenderlo in giro, o per una capacità tutta sua di parlar chiaro.
Miyuki si apre in una risata che Eijun riconosce come quella che accompagna le sue prese in giro: «Sawamura, la tua bravura in matematica ti ha reso famoso.» ironizza con un sorrisetto sghembo e al diretto interessato basta, perché è quello che si dicono sempre, il modo in cui interagiscono ogni volta ed è molto meglio dell’imbarazzo di chi non sa come comportarsi ora che le cose tra loro stanno cambiando. Soprattutto perché Eijun non ha idea del modo in cui lo stiano facendo, se sia o meno quello giusto o se porterà a qualcosa.
«Perché tu sei un pessimo insegnante!» rimbecca con il tono alto che lo contraddistingue, e Satoru sospira rassegnato al suo fianco guadagnandosi un «Tu sta’ zitto!» con tanto di spallata – che è niente più di un muto ringraziamento.
Non ci vuole molto perché i padroni di casa li raggiungano: l’odore di cioccolata calda riempie la stanza quasi prima dell’ingresso dei due fratelli, accompagnati dal profumo più lieve ma ben percepibile di biscotti allo zenzero. Il piatto viene messo al centro del tavolo, le tazze ognuna davanti a uno degli ospiti; passano quasi quaranta minuti in silenzio, ognuno con il proprio quaderno o libro davanti al viso, l’espressione più o meno concentrata, la penna che scivola sul foglio con una pausa qua e là. L’assenza di chiacchiere sembra quasi innaturale, come un tacito accordo cui nessuno sembra intenzionato a venire meno. Quando accade, è con un sospiro esasperato di Eijun e un solidale: «Ti serve una mano, Eijun?» di Haruichi. Riceve in risposta lo scuotere di una testa e uno sguardo concentrato che neanche passa su di lui, rimanendo sulle pagine che gli rimandano indietro un’espressione aritmetica sviluppata solo a metà. Haruichi sorride, limitandosi a tornare ai suoi compiti.
È Miyuki che, dieci minuti e nessun progresso dopo, si allunga appena sopra il tavolino e punta l’indice sull’ultima parte scritta da Eijun: «Qui non puoi svolgerla in questo modo.» gli fa notare, gli occhi che rimangono sul quaderno altrui «Fa’ attenzione, è un errore che fai spesso. Ti ricordi cosa abbiamo rivisto prima degli esami invernali?»
«Mh…» Eijun corruga la fronte e si acciglia appena – la cosa richiede un doppio sforzo di memoria, dal momento che matematica non è esattamente la sua materia – dopodiché recupera la gomma da cancellare, toglie l’ultima parte, e la corregge. Non sembra proprio sicuro di quanto fatto, a giudicare da come indugia con la punta della matita sul foglio per poi alzare lo sguardo incerto su Miyuki. Quello che trova è un sorriso soddisfatto, l’indice puntato in precedenza sulla carta che va a picchiettare contro la fronte di Eijun; c’è un secondo incurvarsi di labbra e sa di presa in giro pura e semplice, ma bonaria: «Allora qualcosa di quello che dico ti rimane in testa.» ironizza.
Eijun vorrebbe fargli presente che non è simpatico, per niente, e comincia imbronciandosi. Non arriva a pronunciare quell’affermazione condita anche da qualche insulto perché Ryousuke li guarda entrambi e non si risparmia il commento che ammutolisce Sawamura in meno di un secondo: «Se volete fare i piccioncini forse è davvero meglio la stanza di Haruichi.»
C’è un momento in cui il silenzio sembra gelo e nessuno si azzarda a dire nulla; la prima risposta palese è il colorito assunto da Eijun, qualcosa di inequivocabile. La seconda è l’espressione di Miyuki, che il primo a notare è Haruichi, dal momento che Sawamura è troppo preso a fissare i suoi esercizi di matematica e Satoru sembra concentrato sul suo biscotto allo zenzero: Miyuki guarda Ryousuke in un tacito “so che ti stai divertendo” – probabilmente perché in quello sono molto simili, bravi a leggere le persone al punto da potersi permettere il lusso di insinuare con facilità sicuri di cogliere nel segno. C’è però anche qualcosa che Haruichi non è sicuro di riuscire a riconoscere davvero, ma sembra ammorbidire in qualche modo quell’espressione a cui non ha mai potuto né saputo associare l’affetto puro e semplice, né la tenerezza di fronte a qualcosa che suscita un moto di amore, di qualunque natura e forma esso sia.
«Non essere geloso, Ryou-san.»
C’è un messaggio implicito ma chiaro, nelle sue parole, una risposta ovvia a una domanda che Eijun non aveva ancora avuto il coraggio di fare direttamente a Kazuya.
«La volete smettere?!» sbraita Sawamura, imbarazzato – ma Haruichi nel guardarlo è abbastanza sicuro che si tratti di una vergogna che trabocca felicità.

Satoru fa un tratto di strada con loro, e a conti fatti li abbandona soltanto quando manca un isolato alla stazione. Eijun e Miyuki continuano ancora, e non ci sono silenzi scomodi mentre parlano del torneo per il quale il club scolastico di cui fa parte Eijun si sta preparando. Non ha bisogno di spiegare a Kazuya gli allenamenti o le parti tecniche, perché quello è un universo di cui ha fatto parte anche l’altro, fino all’anno prima, e che si trascina ancora dietro adesso per quanto a livello meno agonistico.
«È stato massacrante!» ribatte con una nota di disperazione nel tono di voce, di chi non vuole mai più provare la sensazione delle gambe che gli cedono o delle braccia pesanti come mattoni: «Certo, ho comunque battuto Satoru ma lui non conta. Non ha resistenza e poi è ovvio  io sia migliore.» commenta con quell’arroganza in cui non sembra credere davvero, per quanto pronunci la cosa con tutta la convinzione del mondo. Miyuki lascia che sulle labbra rimanga il sorrisetto formatosi quando Eijun ha cominciato a parlare, lascia a quello il compito di accogliere qualsiasi cosa di cui l’altro vuole parlargli e non per fare la parte della persona interessata anche se non lo è, quanto più perché Eijun brilla di luce propria ogni volta che parla di quello sport. Anche se gli racconta di un allenamento sfiancante, o del campo estivo dell’anno precedente dove era convinto di morire sulla salita di montagna che dovevano percorrere avanti e indietro per almeno dieci volte, Eijun sembra aver amato ogni singolo istante.
Quella passione è una cosa che ha fatto parte di Miyuki, qualcosa che era convinto avrebbe dovuto abbandonare quando ha scelto di dare precedenza all’università e non a una possibile carriera sportiva, e si era convinto avrebbe perso qualcosa di sé – l’unica cosa che è convinto lo rendesse Miyuki Kazuya, l’unica capace di definirlo: ancora adesso non è sicuro di aver qualcosa che inquadri con la stessa precisione o pronunci per lui la verità assoluta sulla sua esistenza.
«Ma sei durato per tre anni.» gli fa quindi presente, un tono strano che Eijun non sa riconoscere e che lo porta a indirizzare lo sguardo su di lui, facendogli inarcare un sopracciglio. A volte non è sicuro se riuscirà mai a capire Miyuki, altre gli sembra che siano così simili da non doversi nemmeno impegnare per comprendere.
«Dopo pensi di continuare? Dopotutto hai intenzione di prendere una facoltà focalizzata sulle attività motorie. Non sarebbe strano, né difficile.»
«Non lo so. Forse.» pronuncia Sawamura, le mani in tasca e la sinistra che giochicchia con il cellulare: «Ovvio che voglio continuare con il baseball, perché mi piace. Però all’inizio potrebbe anche essere difficile, no? Insomma, non so nemmeno come saranno le lezioni. Però potrei, perché no.» ammette, accarezzando l’idea con la mente e sorridendo, anche se lo sguardo va verso l’alto, verso un cielo dove non si vedono troppe stelle perché coperto e perché le troppe luci delle strade di Tokyo impediscono di vedere oltre le illuminazioni degli edifici più alti.
«Come sei giudizioso, Sawamura.» lo prende in giro Kazuya, ridacchiando divertito nonostante sia colpito dal modo di pensare altrui – non stupito, perché sembra il tipo di cosa che Eijun e nessun altro potrebbe fare: arrivare al dunque e improvvisare. Miyuki non ha idea di come l’altro riesca a essere così, se si tratti solamente di una questione caratteriale o di una forma mentale acquisita con il tempo e grazie all’ambiente famigliare in cui è cresciuto. Se così fosse, la spiegazione sarebbe più semplice da trovare: ha visto abbastanza della famiglia di Eijun da capire come si possa essere così.
«C’è mai qualcosa che mi dici senza prendermi per il culo?» sbotta l’altro in un borbottio, stringendosi leggermente nelle spalle, il cartello luminoso a indicare la stazione raggiunta che li accoglie insieme alle scale dirette sottoterra. Le scendono insieme senza che ci sia risposta da parte dell’altro, e per quanto ne sa Eijun, questo significa che la replica è implicita: “no, non dirò mai niente senza sfotterti in maniera più o meno palese”.
Pochi altri passi e devono dividersi, le case in due direzioni diverse.
«Ohi, Miyuki» lo richiama e non ci gira intorno, perché non sa farlo. È una cosa stupida e lo sa, potrebbe valergli la più grande presa in giro degli ultimi anni di vita, ma come ha detto Haruichi: gli deve una risposta, giusto? Non più in merito alla loro relazione, non del tutto almeno, ma in fondo chiedere non costa nulla. Beh, a parte sentirsi un po’ stupido. Ma si sente così anche quando si ritrova a pensare di continuo a qualcosa che riguarda Miyuki – e inutile pensarci per giorni e giorni, perché questo è uno di quei casi in cui non riuscirebbe a entrare nella testa dell’altro nemmeno se l’aprisse in due per sbirciarci dentro.
«…potresti non chiamarmi più “Sawamura”, sai.»   
Kazuya lo guarda. Non ci vuole certo un genio per capire cosa sottintende quella richiesta e, in verità, non ha nemmeno un vero e proprio motivo per rifiutare. Tra i ragazzi della loro età non è nemmeno così strano, essere meno attaccati alle formalità rispetto ai propri genitori o – ancora di più – ai loro nonni. Direttamente o meno, loro sono accomunati da più cose di quante ne abbiano realmente vissute insieme: lo sport, tanto per cominciare, sebbene non siano mai stati nella stessa squadra. Lo studio, dal momento che Miyuki fino a prova contraria è ancora lo studente più grande che gli dà ripetizioni. Ed è quel qualcosa a cui entrambi non hanno ancora dato un vero nome, qualcosa che per alcuni andrebbe sotto la semplice definizione di “frequentarsi”, per altri di “stare insieme”, per altri ancora “il mio ragazzo”.
Miyuki non ha intenzione di rimangiarsi quel “proviamoci” che gli ha rivolto, e usare un nome non significa alcuna promessa per la vita, dopotutto. È solo strano perché ha la sensazione che per Eijun sia importante, molto più di quanto lo sarebbe per chiunque altro al suo posto – molto più di quanto lo sia stato per chi al suo posto c’è stato davvero, dalla senpai frequentata un tempo, a chi è stato una frequentazione breve e passeggera, poco rilevante.
Chiamarlo per nome significherebbe rendere chiaro a chiunque che hanno un rapporto intimo, una conoscenza profonda, perché è così che è in ogni angolo del Giappone; Miyuki non è preoccupato da cosa la gente possa pensare, anche perché per quanto ne sanno potrebbero essere anche niente più di due amici d’infanzia. Anche se, e questo un po’ lo fa sorridere, Sawamura non è proprio il tipo capace di mascherare le sue emozioni.
Allunga una mano ed è la prima volta che prende quella di Eijun nella propria, escludendo il contatto prima del bacio-non-bacio: non è una presa salda, anzi, somiglia più a quella di un bambino dal momento che tiene solo due dita di Eijun. È come volerlo trattenere lì, ma non essere sicuro di volerlo fare; come volergli comunicare in quel modo i suoi pensieri, ma non volersi ancora sbottonare del tutto.
Le abitudini sono dure a morire. Quella stretta così vaga è come lo specchio dei suoi sentimenti verso Eijun: forse vuole che funzioni tra loro. Forse non vuole davvero.
«Ancora un po’.» lo pronuncia con tono basso, e non sa se è per un vago senso di colpa che non credeva di poter provare ancora in un contesto simile, o perché semplicemente non ha bisogno di alzare la voce per farsi sentire.
Non aggiunge altro, ma Eijun sembra capire la richiesta implicita: “aspetta”.

Gennaio si rivela un vero inferno: gli esami di ammissione per l’università incombono, ed è un susseguirsi di gruppi di studio e agitazione. Miyuki si ritrova ancora più spesso a casa Sawamura, ma non c’è altro che studio e qualche pausa per evitare che il cervello di Eijun esploda a causa di troppe informazioni. In quei momenti parlano soprattutto della preparazione al torneo scolastico che stanno portando avanti, delle condizioni fisiche dei giocatori, di come Eijun avrebbe tutto il diritto di allontanarsi dalla squadra visto che è del terzo anno e in piena preparazione esami, il periodo più importante nella vita di un liceale.
Sawamura, come c’è da aspettarsi, trova la proposta ridicola e Miyuki non fatica a immaginarselo in mezzo a compagni d’anno e insegnanti che gli consigliano vivamente di preoccuparsi della sua media e lui che sbraita di responsabilità da senpai e cose simili. Quando la verità, poi, è solo che Sawamura è proprio quel tipo di persona: gioca finché ha la forza di muoversi, urla finché ha fiato in gola, non si arrende e basta – Miyuki sa che non si applica solo al baseball, quell’insieme di qualità che ormai gli accosta con naturalezza.
Eijun gli racconta di come anche Haruichi e Kanemaru, del suo anno e rispettivamente il capitano e il vicecapitano della squadra, non abbiano pensato neanche per un attimo di ritirarsi nonostante siano in pieno studio anche loro; ha ovviamente accennato a Furuya che continua ad allenarsi e lui – Eijun – non si può certo permettere di essere da meno. Poi è il turno dei piccoli aneddoti, come Okumura che sembra scatenare in Eijun un istinto materno in qualche modo perché “voi ricevitori siete bestie strane, che problemi avete?!”. A Kazuya non dispiace ascoltarlo, perché è innamorato del baseball quanto lo è Sawamura, in fondo.
Così gennaio arriva alla sua metà, portando con sé gli esami veri e propri, quelli che non sono una simulazione da tentare all’infinito migliorando di volta in volta; Eijun è un fascio di nervi che si scioglie solo quando sono fuori dall’aula, lungo il corridoio e infine sul tetto dove non importa che faccia anche troppo freddo, lui spalanca le braccia e inspira a pieni polmoni e gli sembra che tutta la forza vitale lo abbandoni.
È Haruichi a dargli modo di pensare ad altro mentre camminano verso la stazione in un raro giorno libero da allenamenti, visto l’esame sostenuto – anche se Haruichi ha pochi dubbi in merito al fatto che Eijun troverà comunque il modo di fare qualche lancio entro sera, nonostante la stanchezza e qualsiasi imprevisto nel resto della giornata: «Eijun sei occupato nel week-end la prossima settimana?» gli chiede mentre la banchina dove aspettano entrambi il treno si mostra, molto meno affollata del solito.
Sawamura scuote la testa, lo sguardo che tradisce una punta di curiosità che Kominato non manca di soddisfare: «Il figlio di un amico di famiglia partecipa a una competizione musicale. Abbiamo ricevuto biglietti per tutta la famiglia, ma mio padre non può esserci a causa del lavoro: ti va di venire?»

Eijun ha accettato, perché non aveva nulla da perdere e perché un po’ lo incuriosisce, un mondo così diverso dal suo; non potrà apprezzarlo come un vero intenditore ma, si dice mentre si sistema meglio sulla poltroncina, non farà certo un torto a qualcuno. Lui si trova tra Haruichi e sua madre, Ryousuke che siede dall’altro lato del fratello: la signora Kominato tra un musicista e l’altro ogni tanto gli sussurra qualche suggerimento – è appassionata di musica classica e ha suonato uno strumento ai tempi del liceo, gli ha accennato mentre arrivavano all’auditorium che li ospita, perciò è l’unica ad aver seguito molti concorsi come quello. Molti ragazzi, gli ha spiegato, li ha visti gareggiare esibendosi altre volte, e sebbene non li ricordi tutti alcuni non possono che rimanere impressi. Eijun crede di capire, perché alcuni sono così bravi che persino un profano come lui riesce a rendersene conto mentre li ascolta.
Il turno dell’amico dei Kominato è ancora lontano, ma lui sente la madre di Haruichi tendersi di fianco a lui e quando la guarda sembra molto più giovane e piena di sincera aspettativa; Haruichi posa una mano sulla spalla dell’amico e gli sorride come a suggerirgli di non badarci troppo, che è sempre così: «Il prossimo a esibirsi è Narumiya-kun. Mamma è una sua fan.»
Lo sguardo di Eijun va al palco, di nuovo, proprio mentre Narumiya avanza verso il pianoforte; il primo pensiero è che possa avere origini straniere, perché è così strano vedere qualcuno con capelli così biondi e occhi tanto chiari, in Giappone. Ha una zazzera disordinata che stona con il completo elegante indossato in maniera impeccabile, ma la cosa che Eijun nota davvero è lo sguardo: Narumiya sembra totalmente diverso dai concorrenti che lo hanno preceduto, perché ha nell’espressione qualcosa che Eijun ha imparato a riconoscere sul campo di baseball, negli avversari più validi incontrati in tre anni. Narumiya non ha paura, non teme il giudizio dei presenti ma soprattutto non teme il fallimento: ha nelle movenze e negli occhi la sicurezza dei propri mezzi, e quando siede e guarda il pianoforte, lo fa come se rivedesse un vecchio amico anziché lo strumento che può segnare un successo tanto quanto un insuccesso.
Si siede allo sgabello e le punte delle dita sfiorando i tasti bianchi, carezzandoli in un saluto, quasi; Eijun non ha idea di quale brano suonerà – ha provato a leggere il programma all’inizio, per ingannare l’attesa, ma non intendendosi di musica classica è stato come non farlo.
Quando Narumiya comincia a suonare, Sawamura si ritrova a sobbalzare sulla sua poltroncina: un inizio veloce, quasi violento, che lui non si aspettava. Le mani del pianista si muovono a una velocità che lui non credeva nemmeno fosse possibile raggiungere. C’è una forza strana nel modo in cui tocca i tasti – è forte la musica, forte lo sguardo di Narumiya sui tasti bianchi e neri, ma al tempo stesso gli sembra che le mani non si posino mai con violenza sullo strumento, tutt’altro. Un controsenso di cui Eijun non riesce a capacitarsi, mentre gli occhi rimangono incollati a quelle mani che scorrono alternandosi tra bianco e nero senza sostarvi mai abbastanza, e a un cambio veloce che non si aspetta e che quasi somiglia a una brusca inversione di marcia in macchina, Eijun sente qualcosa stringergli lo stomaco: gli occhi di Narumiya sembrano pieni di quella che lui non saprebbe definire in altro modo se non con “ossessione”. Un bisogno fisico di suonare sembra possedere il pianista che si esibisce a neanche dieci metri da lui.
Sente per puro caso la madre di Haruichi muoversi di fianco a lui, ma non ha la forza di spostare lo sguardo dal musicista: sul suo viso si è fatto strada un sorriso ferino, e all’improvviso Narumiya è più di un pianista ossessionato dall’idea di arrivare alla fine di quel brano, è un predatore che sta mettendo alle strette una preda inerme instillandole nella mente niente meno del puro terrore.
C’è un momento di falsa delicatezza, che dura troppo poco per lasciarsi ingannare davvero ma abbastanza a lungo da far sperare per poi inghiottire quel solo istante di debolezza; ripartono veloci, le mani di Narumiya e Eijun sente al tempo stesso di non poter allontanare gli occhi da lui e l’istinto di voler andare via da quella stanza, lontano dalla musica che gli riempie le orecchie e gli fa quasi girare la testa.
E allora, quando sembra che il brano sia concluso, Eijun comprende esattamente ciò che Narumiya sta gridando con tutto il corpo: guardami, guardami, guardami.
Lui lo guarda, perché non c’è altro che possa fare – e quando il brano finisce e il silenzio ingloba un’intera sala di respiri trattenuti e stupore malcelato, si sente stordito e spaesato. Lo richiama all’attenzione la mano della mamma di Haruichi sulla propria spalla,
gli applausi che sembrano esplodere all’improvviso e il palco improvvisamente troppo vuoto nonostante il musicista seguente stia già prendendo posto al pianoforte.


Kuramochi non sa bene quando sia diventata un’abitudine avere, come punto d’incontro, il posto in cui lavora: passa già abbastanza tempo in quel ristorante con i propri turni, ma in un modo o nell’altro finisce per ritrovarsi lì anche come cliente – come ora, con Eijun che gli siede di fronte e controlla il menù con gli occhi che brillano, neanche avesse davvero bisogno di curiosare tra pietanze che conosce quasi a memoria. Il suo turno è finito esattamente mezz’ora fa, ma Sawamura si era già presentato lì e Kuramochi non sa di cosa voglia parlargli, tuttavia sarebbe stato inutile spostarsi in un altro locale. Senza contare che ha fame, e i racconti di Eijun non sono mai concisi; specie quando ha nello sguardo quel qualcosa che di solito Youichi gli vede dopo una partita di baseball, ossia così tanta adrenalina a scorrergli in corpo da non stupirsi se l’altro passa in bianco quasi tutta la notte.
Considerando che non aveva partite, non è sicuro di voler sapere la causa di tanta esagitazione, ma si sforza di domandare comunque perché una cosa meno sopportabile di Sawamura in piena fase di esaltazione è la suddetta fase senza che gli venga data una valvola di sfogo.
«Allora?» lo esorta, occhieggiandolo: «Cos’è successo?» non ci gira intorno, anche se teme fortemente di sentire l’altro iniziare un racconto fin troppo dettagliato su un qualche appuntamento con Miyuki; poco male, si dice, almeno avrà un motivo per sfottere Kazuya.
Eijun si sofferma ancora per qualche istante sulle pagine del menù, dopodiché lo richiude soddisfatto e la sua attenzione è tutta per l’altro, un sorriso ampio a incurvargli le labbra e illuminargli il viso. La cosa di cui Kuramochi non si è mai dovuto preoccupare è leggere l’umore o le espressioni altrui: Eijun è sempre stato così trasparente, fin dal loro primo incontro, che non ce n’è davvero mai stato il bisogno.
«Youichi-san!» esclama con il tono troppo alto, come sempre, ma al quale sono davvero in pochi a girarsi a guardarli – l’orario non è quello di punta, per il ristorante, mentre tra i dipendenti ormai tutti conoscono Sawamura al punto da sapere che spesso sembra incapace di tenere il tono di voce alto nella norma e non come se ti chiamasse da due isolati più in là. Kuramochi storce appena il naso, visto che a dividerli non ci sono due isolati ma un tavolo, e lo guarda senza dire nulla: «Conosci Narumiya Mei?» chiede l’altro pieno di entusiasmo e questo, questo è inaspettato e lo fa irrigidire; per sua fortuna a volte Eijun non è esattamente ricettivo come persona.
«Narumiya?» domanda con cautela, perché non riesce a pensare a un solo contesto in cui Eijun possa fargli quella domanda sembrando piuttosto soddisfatto della sua scoperta anziché irritato, o deluso, o qualcos’altro sul genere. Lo vede annuire, ma deve aspettare che il suo collega prenda le loro ordinazioni e torni verso la cucina, per avere una risposta concreta: «Harucchi mi ha invitato ad andare con lui, sua madre e suo fratello a vedere una specie di competizione di musica. Narumiya ha suonato il piano lì!» comincia con il suo racconto – nemmeno così lungo in verità, fatto di un’esagitazione tipica di un vero fan sfegatato e poco altro, perché a conti fatti non c’è altro che Eijun sappia davvero di Mei. E quando lo apprende, Kuramochi sente di lasciarsi sfuggire tra le labbra un mezzo sospiro sollevato perché davvero, non vuole entrare in una questione tanto spinosa per la seconda volta. Gli è bastata quella in cui è finito per forza di cose: l’essere l’unico amico di Miyuki.
Non parlano di altro per tutta la sera, se non di quanto forte sia stato ascoltare Narumiya dal vivo, della sua bravura che persino Eijun ha potuto capire anche senza essere un esperto, del modo in cui è salito sul palco, della sua musica; Kuramochi si ritrova a fingere di dover immaginare qualcuno che, tutto sommato, ricorda piuttosto bene anche senza averci mai avuto molto a che fare, non direttamente. Eijun parla di Narumiya come di qualcuno di distante, in un mondo a parte – e non sbaglia di molto, almeno per quel che riguarda le discipline in cui mettono tutto ciò che hanno; per il resto Sawamura non sospetta nemmeno di aver incontrato la persona più simile a lui che potesse capitargli davanti, simile per tanti, troppi motivi.
Youichi non glielo dice: non gli consiglia di chiedere a Miyuki, non gli fa presente di sapere perfettamente di chi stia parlando, non gli suggerisce di tenersene alla larga per quanto sia difficile che possano avere un incontro ravvicinato di qualche tipo. Lo lascia straparlare, lo riprende e insinua prese in giro di poca importanza come farebbe in qualsiasi altro momento – ed è contento, Kuramochi, di essere poco avvezzo alle bugie ma che Eijun sia ancor meno portato a riconoscerle.
Quando lo lascia entrare in casa quasi tre ore più tardi, e lui rientra nella propria abitazione, non ha davvero la forza di chiamare l’unica altra persona che potrebbe tenerlo al telefono per più di mezz’ora a parlare di quella stessa persona. Così l’unica cosa che fa è scrivergli, lanciandogli maledizioni per averlo costretto a una serata di bugie e lo minaccia di non azzardarsi nemmeno a chiamarlo fino al giorno dopo; solo dopo quella manciata di caratteri, aggiunge l’unica cosa che può far capire a Miyuki che la sua non è una mail piena di soli insulti.

“Eijun ha incontrato Narumiya.”

   
 
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