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Autore: Tender Falling Rain    06/03/2016    10 recensioni
One shot post-manga. Che cosa ci vorrà, alla fine, perché Ranma e Akane si mettano finalmente insieme? Un miracolo? Forse. Ma forse le cose non devono essere così complicate. Forse potrebbero essere semplici. Forse tutto quello che ci vuole è uno spazzolino.
Fanfiction tradotta. Link all'originale inglese: https://www.fanfiction.net/s/5934003/1/Simplicity
Traduzione di Miss Hinako.
Revisione testo di Spirit99.
Genere: Introspettivo, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Akane Tendo, Ranma Saotome
Note: Traduzione | Avvertimenti: nessuno
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NdT: Ciao a tutti! Ecco a voi la seconda one-shot di Tender falling rain. Questa è stata un po' più complicata da tradurre, perché è piena di frasi subordinate, aggettivi, avverbi ecc. e i periodi a volte sono un po' pesanti. Però è molto bella, bisogna leggerla con un po' più di attenzione, ma vi assicuro che ne vale la pena.

Proprio per la difficoltà maggiore, non posso proprio esimermi dal ringraziare la mia fantastica beta pro-tempore, Spirit99, che ha gentilmente accettato di aiutarmi con questa one-shot e con la prossima. Davvero, non avete idea di cos'era questa cosa, prima che lei ci mettesse mano. Io ho fatto un po' di resistenza, perché sono una testarda, ma credo che alla fine abbiamo raggiunto un buon compromesso. Sarete voi a giudicare, comunque!

Insomma, la storia non l'ho scritta io e me l'hanno pure corretta. Che merito hai, mi direte voi? Ehi, io l'ho scelta! Sì, lo so che ho buon gusto, potete smettere di applaudire adesso ;)
Essendo una storia abbastanza famosa, alcuni di voi la conosceranno già di sicuro. Ma magari sarà carino lo stesso leggerla in italiano dopo tanti anni, almeno spero. Buona lettura!

“Sono in ritardissimo!” si agitò Akane, correndo lungo strade che una volta le erano state familiari. I piedi poggiavano appena sul marciapiede, mentre aggirava abilmente barriere e blocchi stradali senza mai allentare il passo, rimbalzando a tratti contro un muro o saltando temporaneamente su una recinzione, per evitare di rallentare a causa del solito traffico degli incroci. Le strane occhiate lanciatele dagli occasionali pedoni vaganti non facevano altro che ricordarle di essere lontana da casa. Non così tanto da dover superare i confini della città, ma essendo dalla parte opposta del distretto rispetto a casa sua, era abbastanza lontana perché le persone che risiedevano nella zona non fossero abituate alle solite buffonate di Ranma e dei pazzi che gli ronzavano intorno come le falene con la luce. Era per questo motivo che Akane, con le sue modeste prodezze atletiche, si ritrovava al centro di un’attenzione piuttosto insolita.

“Non sto mica correndo sulle recinzioni o sui tetti,” borbottò fra sé, oltrepassando un ragazzino che ridacchiò e le sorrise raggiante, mentre la madre imbarazzata provava invano ad impedirgli di fare il maleducato e puntare il dito. Certo, avrebbe potuto se avesse voluto. Lo sapeva fare. Non aveva la velocità e l’equilibrio di Ranma e persino lei doveva ammettere di avere una certa tendenza all’imbranataggine, che rendeva questi metodi di spostamento un po’ rischiosi. Ma non era questo il vero motivo per cui li evitava. A differenza di Ranma, con i suoi vistosi ed esotici vestiti cinesi, che richiamavano l'attenzione a gran voce proprio come la sua altrettanto chiassosa ed insopportabile personalità, Akane preferiva essere silenziosa e discreta, una condotta che le circostanze le permettevano raramente di mantenere.

Non aveva mai cercato di essere al centro dell’attenzione. Non le era mai neanche piaciuto. Non voleva essere l’unico chiodo che sporgeva, destinato ad essere preso a martellate¹. Eppure, c’erano alcuni tratti del suo carattere che non mancavano mai di distinguerla dagli altri. Aveva la stoffa del leader, proprio come sua sorella Nabiki, solo che preferiva usare questo particolare talento per aiutare gli altri piuttosto che per manipolarli e fregargli i risparmi di una vita. Trovava anche difficile guardare dall’altra parte quando vedeva qualcuno che stava male oppure era nei guai, cosa leggermente insolita fra i suoi coetanei. Se le circostanze l’avessero richiesto, non avrebbe esitato a combattere per difendere anche quelli con cui litigava in continuazione. In più, la sua prestanza atletica le aveva portato un bel po’ di popolarità a scuola. Ma tutto questo era stato gestibile prima di Ranma. Prima di Ranma, lei si era distinta in questi ambiti, ma allo stesso tempo era riuscita in qualche modo ad integrarsi. Aveva avuto amiche normali, alla scuola media, e aveva passato molti giorni spensierati insieme a loro, facendo compere, leggendo riviste di moda, ridendo e spettegolando a bassa voce sui ragazzi carini e sulle relazioni amorose dei compagni di classe. In una parola, era stato meraviglioso.

Più di Ranma, era Kuno il responsabile della distruzione di quell’esistenza spensierata e pacifica. Quando aveva annunciato che per uscire con lei sarebbe stato necessario sconfiggerla prima in combattimento, aveva rovinato tutte le sue possibilità di avere una vita scolastica normale o una relazione normale. Non poteva certo mimetizzarsi e fingere di non essere un’artista marziale, quando tutti quei ragazzi combattevano con lei quotidianamente. Non che lei volesse nascondere di essere un’artista marziale. Le arti marziali erano una parte importantissima della sua identità, ma non costituivano tutto il suo essere. Lei voleva essere più di questo. Voleva che qualcosa, nella sua vita fuori dal comune, fosse... normale.

Poi era arrivato Ranma, con tutto il trambusto, l’avventura e in generale la sfortuna che lo circondavano. Non poteva dire che le fosse dispiaciuto poi così tanto. La sua vistosa personalità, che urlava "guardami, guardami" e trasudava sicurezza e determinazione, era stranamente attraente ed invitante. Era una delle cose che lei amav... che le piacevano di lui. E gli era grata perché in qualche modo, in mezzo al caos che lui aveva creato, era riuscita a mimetizzarsi ancora una volta. Nella sua nuvola di pandemonio, la maschera di normalità di Akane era stata libera di scivolare via completamente e lei si era ritrovata sempre più in linea con la sua vera identità. Era stato così stranamente rassicurante.

Eppure, quella sera, si sentiva combattuta. Quando c’era Ranma, lei era considerata normale per contrasto, ma nel momento in cui usciva dalla sua area d’influenza, si ritrovava di nuovo a spiccare in mezzo alla folla. Ed essendosi ormai abituata alla sua ritrovata identità, trovava difficile rimettersi la maschera e indossare i panni della studentessa media. Eppure, allo stesso tempo era confortante, come scivolare nell’acqua fresca del mare (acque basse, naturalmente, non voleva mica annegare). Le ricordava di giorni più semplici. Giorni in cui non doveva preoccuparsi di cadere in una trappola ad ogni angolo, tesa da rivali o potenziali corteggiatori. Giorni in cui non doveva combattere per la sua vita. Giorni in cui non doveva combattere per l’uomo che amav... con cui era fidanzata. Giorni in cui non c’era nessun Ranma.

Girò un altro angolo e guardò di sfuggita il solitario ed inconsueto gioiello che aveva intorno al polso. Persino quell’ornamento semplice e gradevole, un orologio da polso col cinturino d’argento, che le sue migliori amiche le avevano comprato come regalo per il suo sedicesimo compleanno, era rimasto rinchiuso nel buio di un portagioielli. I gioielli davano solo fastidio quando uno doveva costantemente combattere e fare a pugni ogni santo giorno e una cosa così preziosa, con le iniziali delle tre amiche incise sul dorso, aveva un valore sentimentale troppo forte per poterla perdere. Quella sera poteva indossarlo, però. Si abbinava bene con la maschera e il costume stanchi e polverosi di Akane Tendo, la normale studentessa delle superiori, che andava ai pigiama party e aveva gli stessi ideali di tutte le altre ragazze.

Continuando a correre, si sforzò di leggere il quadrante dell’orologio, che oscillava di qua e di là al ritmo dei suoi movimenti, e rilasciò un profondo sospiro. “Sono veramente in ritardo,” si lamentò ancora una volta. Si era sforzata così tanto per essere puntuale, ma limitarsi a varcare la soglia della porta era stato praticamente impossibile. Aveva presto scoperto che Nabiki aveva venduto l’indirizzo di Yuka ad Happosai per un considerevole profitto e lui si stava preparando ad imbucarsi al pigiama party di quella poveretta della sua amica. Non l’avrebbe mai scoperto, se il vecchio pervertito non avesse fatto una cosa piuttosto insolita. Aveva rubato quasi tutti i suoi pigiami. Be’, questa parte non era così strana, ma il fatto che si fosse portato via tutti quelli assolutamente modesti e decenti, lasciando solo quei pochi pigiamini striminziti che le erano stati regalati da amiche e familiari impiccioni e che lei non aveva praticamente mai indossato, era veramente insolito. Era seguito un combattimento, in cui lei aveva cercato di recuperare il foglio di carta con le indicazioni per la casa di Yuka e anche un paio di pigiami un po’ più sobri. Aveva speso diversi minuti ad inseguire il piccolo maniaco per tutta la casa senza ottenerne nulla, finché per fortuna non era intervenuto Ranma, che aveva distratto il vecchio con le solite tattiche e aveva così dato tempo ad Akane di prenderlo a cazzotti e recuperare quello che le apparteneva.

Akane sorrise inconsciamente, ripensandoci. Ranma... Il suo cavaliere dalla... non così scintillante armatura. Aveva modi un po’ rudi e la sua metaforica armatura avrebbe avuto bisogno di una bella lucidata, ma che lui raffinasse i suoi modi e lucidasse la sua armatura oppure no, lei sarebbe stata felice di prenderselo così com’era. Il sorriso vacillò leggermente, mentre diventava pienamente consapevole di questo pensiero. Quando aveva cominciato a preferire una vita insieme a lui alla normalità a cui attualmente stava correndo incontro?

Rallentò, raggiungendo la sua destinazione, e diede un’occhiata alla finestra, dove poté distinguere le sagome delle sue amiche che ridevano allegramente sedute in salotto, parlavano, si sistemavano i capelli l’una con l’altra, si truccavano e si mettevano lo smalto... Sospirò, sopraffatta da una strana sensazione di perdita. Quella era stata la sua vita, una volta. La vita di un’adolescente spensierata, che non doveva preoccuparsi di combattimenti, matrimoni e di quella pesante espressione, "per sempre". Non era necessariamente una vita migliore e non l’avrebbe scambiata con quella che aveva adesso, ma era stato bello. Indugiò per un istante, in piedi nella pallida luce riflessa dalla finestra, e osservò in silenzio, sapendo che anche se fosse entrata in casa sarebbe sempre rimasta un’osservatrice esterna dei loro festeggiamenti. Era troppo distante da loro. Ormai aveva pochissimo in comune con quelle ragazze spensierate. Però poteva fingere, mettere su una bella recita e l’avrebbe fatto volentieri. Dopo tutto, questa poteva benissimo essere la sua ultima possibilità di vivere la vita di una normale ragazza delle superiori.

L’aveva quasi sposato, avrebbe voluto sposarlo. Sapeva anche troppo bene quali sarebbero state le conseguenze. Ci pensò sopra con molta attenzione. Sapeva che avrebbe dovuto rinunciare per sempre alla vita che adesso stava spiando, per non poter mai più tornare indietro. Eppure, lo avrebbe fatto ugualmente quel passo, senza rimpianti, senza alcuna incertezza. Ma poi eccola lì di nuovo, pronta a riabbracciare quella vita ancora una volta, anche se solo per una notte. Una volta sposata, non ci sarebbero stati più pigiama party. Ci sarebbero state un sacco di cose a cui rinunciare se avesse detto "Lo voglio".

Forse avevo davvero deciso troppo in fretta. Suppongo che Ranma mi abbia salvato anche da questo. Sospirò, ignorando emozioni che erano uno spiacevole misto di delusione e sollievo. Decise di non pensarci più. Dopo tutto, era proprio questa la ragione per cui aveva atteso con tanta ansia questa serata. Era una gradita distrazione dalle complicazioni della sua vita.

Dopo essere rimasta lì impalata a sufficienza, si decise ad attraversare silenziosamente il cancello e a correre sugli scalini di cemento, fino alla porta di casa della sua amica Yuka. Bussò e si aggiustò la sacca gialla con il cambio d’abito, in modo che le cadesse comodamente sulla spalla.

“Arrivo!” urlò una voce dall’interno e, man mano che la proprietaria della voce si avvicinava, si sentì sempre più forte il suono dei suoi passi. La porta si aprì di botto ed un rettangolo di luce si riversò fuori dallo stipite e le accecò gli occhi già adattati al buio della notte, facendola sussultare. “Akane!” urlò ancora una volta la voce cantilenante di Yuka, che uscì e buttò le braccia al collo della ragazza dai capelli scuri. Continuò a ridere allegramente per tutto il tempo e Akane si sentì un po’sconcertata da quell’abbraccio improvviso.

“Buon compleanno!” ridacchiò Yuka.

“Ehm, è il tuo compleanno, Yuka,” rispose cauta Akane.

“Davvero? Ma guarda un po’! Tanti auguri a me! Dovrei festeggiare con un drink.”

Akane incurvò un sopracciglio e si avviò verso l’interno con la sua amica. “Mi sa proprio che l’hai già fatto.”

“Davvero? Dici?” Akane rise leggermente e lei e Yuka entrarono in salotto, dove le altre ragazze si erano già accampate. “Ehi, ragazze! Guardate chi c’è! Akane!”

Le ragazze mormorarono un coro di saluti e Akane rispose educatamente, prima di rivolgersi di nuovo all’amica alticcia. “Buon diciassettesimo compleanno, Yuka. Mi dispiace di aver fatto così tardi, ma... Eh?” Fu allora che notò che Yuka era già scappata via e si era seduta accanto ad un’altra amica, ammirando meravigliata i colori della collana di perline che quest’ultima stava creando.

“Non preoccuparti,” ridacchiò Sayuri, comparendo all’improvviso accanto ad Akane. “È così ubriaca che a malapena sa che giorno è, figuriamoci l’ora.”

“Non l’ho mai vista così, prima,” rifletté curiosa Akane.

Sayuri si accigliò e le sussurrò all’orecchio. “È colpa di quel buono a nulla del suo ragazzo. O meglio ex. Yamata-san le ha dato un biglietto d’auguri, dove diceva che anche se lei gli piace, lui pensa che forse dovrebbero frequentare altre persone per un po’.”

“Ha rotto con lei con un biglietto d’auguri?” chiese incredula Akane, un po’ più forte di quanto avrebbe voluto. Si accorse troppo tardi del suo errore, sentendo Yuka che scoppiava a piangere.

“Uaaah! Non mi ama più,” frignò Yuka e Akane sussultò, precipitandosi accanto all’amica.

“Ehi, va tutto bene, Yuka! Chi lo vuole, quello?”

“Già,” intervenne Sayuri. “Puoi decisamente avere di meglio!”

“Davvero?”

“Ma certo!” insistettero le due ragazze.

“E comunque chi ha bisogno dei ragazzi,” continuò Sayuri. “Sono tutti degli idioti! Giusto, Akane?”

“Eh? Oh, be’, ehm... Sì, lo sono... a volte,” terminò lei debolmente.

Sayuri la guardò con sospetto, ma fu distolta dai suoi pensieri quando Yuka cominciò a ridere. “Sono davvero degli idioti a volte, non è così? E anche Yamata lo è! L’altro giorno eravamo usciti insieme, ho chiesto del tè al limone e lui mi ha portato una limonata! Ve lo immaginate? Insomma, è come se non mi ascoltasse per niente!”

Sayuri e le altre ridacchiarono. Akane sembrava confusa. E qual è il problema? si chiese. Era un errore in buona fede. Con il tempo, aveva imparato ad essere paziente riguardo a piccole cose come questa nella sua relazione, se la si poteva chiamare così, con Ranma. Ovviamente, Yuka e le altre ragazze non avevano mai avuto una relazione abbastanza lunga per poterlo sapere. Era anche vero, però, che Ranma non sarebbe mai stato così insensibile da rompere con lei con un biglietto d’auguri. Poteva essere piuttosto ottuso a volte, ma lei era sicura che non avrebbe mai fatto una cosa del genere.

“Ma ci sono anche dei lati positivi coi ragazzi,” continuò Yuka in tono sognante. “La settimana scorsa siamo andati al cinema insieme e lui mi ha pagato il biglietto e anche i popcorn!”

“Aaah, che carino. Io sono fortunata se il mio ragazzo si paga il biglietto del pullman per venire all’appuntamento! Davvero, non ha molti soldi in tasca,” borbottò una ragazza che Akane riconobbe come una compagna di classe.

Un’altra ragazza, dai lunghi capelli ricci, sorrise con sicurezza. “Il mese scorso, Honda-san mi ha comprato delle rose per il nostro trimesiversario.”

Diverse altre ragazze squittirono eccitate. Akane si limitò ad osservare il loro scambio di battute, incerta su cosa dire o fare.

“Oh, adesso che mi ricordo,” chiese Sayuri alla ragazza coi capelli ricci. “Mika-chan, ti volevo chiedere... come vi siete messi insieme, tu e Honda-san?”

La ragazza, Mika, non era una loro compagna di classe e Akane non la riconobbe come una studentessa del Furinkan, quindi fu sorpresa nel vedere che la sua amica Sayuri sembrava essere così in confidenza con lei da poterle fare domande così personali. Si accigliò internamente, rendendosi conto che le sue amiche dovevano aver fatto tantissime nuove conoscenze, in sua assenza. Lei non si era vista molto, in giro.

Mika arrossì, raccontando la storia di quando, il giorno di San Valentino, aveva preparato un cioccolatino speciale per il suo ragazzo e si era dichiarata e di come lui aveva accettato di essere il suo ragazzo. Un coro di "Aaah" riempì la stanza e Akane ascoltò distrattamente la conversazione intrapresa dalle ragazze, preferendo invece sedersi sul pavimento, appoggiarsi al divano e sfogliare da sola un vecchio album di foto di Yuka, con le pagine piene di tante piccole foto purikura, zeppe di sticker colorati. Si ricordò le innumerevoli ore e i tanti soldi spesi, negli anni passati, a posare per quelle stupide e minuscole foto e a decorarle con i bordi e le immagini offerti dalla macchina, per poi stamparle e dividersele fra di loro. Voltò pagina e trovò una foto a figura intera di Yuka, Sayuri ed una ragazza dai capelli lunghi, che riconobbe vagamente come se stessa.

Fissò la foto sbalordita, trovando incredibile che la ragazza che stava guardando fosse così diversa da quella che era adesso. Non era solo il fatto che indossasse l’uniforme della scuola media, invece del solito completo azzurro del Furinkan. Né il fatto che i suoi capelli fossero lunghi e legati con un nastro giallo. C’era qualcosa di diverso nei suoi occhi. In quegli occhi spensierati e vacui non vide niente dell’esperienza e di quello che la vita le aveva insegnato nell’ultimo anno. Al posto della donna forte, testarda e determinata che riteneva di essere adesso, vide una ragazzina ingenua ed infantile, che non pensava ad altro che alle arti marziali e allo shopping. Non c’era nemmeno l’ombra di un pensiero sulla vita, la morte o l’amore.

“E tu, Akane?”

“Eh?” farfugliò Akane, sollevando bruscamente lo sguardo. “Che c’è?”

Le ragazze ridacchiarono, sorprese di averla colta alla sprovvista. “Tu e Ranma. Di certo ne avrai di storie piccanti da raccontare.”

“Già! Voi due siete fidanzati, giusto?”

Akane si accigliò. Aveva sperato sinceramente di poter evitare di parlare di Ranma e di pensare a lui, almeno per una sera. “È... complicato,” mormorò, sperando di chiudere così la questione.

“Oh, andiamo! Di sicuro voi due siete usciti insieme parecchie volte, no?”

Akane sussultò, perché la domanda toccava un punto dolente per lei. “È... complicato,” mormorò ancora, incapace di pensare a molto altro da dire sulla questione.

“Ma vi siete baciati, giusto?”

Lei arrossì febbrilmente e cominciò a balbettare una risposta all’ennesima domanda imbarazzante e scomoda. “Be’... come dicevo, è... complicato.”

Ad un tratto, l’aria si riempì del suono di una risata e Akane guardò la ragazza dai capelli ricci, Mika. “Vuoi farci intendere che hai quasi diciassette anni, vivi con un ragazzo con cui sei fidanzata e ancora non hai mai baciato nessuno? Noi pensavamo che tu fossi più avanti di noi, Akane. E invece sembra che tu sia l’ultima del gruppo.”

Qualche altra risatina riempì la stanza. Akane strinse gli occhi e serrò le labbra in una linea sottile. Decise che questa nuova ragazza, Mika, non le piaceva affatto. Dopo tutto, erano perfette estranee e la ragazza la stava già guardando dall’alto in basso, dando anche giudizi sulla sua relazione con Ranma. Sentiva già abbastanza prediche sul suo rapporto con Ranma da altre persone che conosceva; ci mancava solo che adesso dovesse sorbirsi pure le opinioni di una perfetta estranea. Stava quasi per dirgliene quattro ma, sfortunatamente, le altre ragazze erano troppo prese dal nuovo gossip sulla vita amorosa di Akane per lasciarle dire una parola sull’argomento.

“Davvero non l’hai ancora baciato, Akane?” chiese Yuka incredula.

“E stavi quasi per sposarlo? Oh, Akane!” ridacchiò Sayuri. “Ne hai di strada da fare.”

Akane fissò le amiche che ridevano forte e sentì la rabbia che cominciava a montare. “Aspettate un attimo! Che importa se non ci siamo baciati? Una relazione è fatta di molte altre cose!” si difese animatamente.

“Uh uh, certo, Akane,” rise Yuka, con le lacrime agli occhi dal divertimento. “Tutto quello che vuoi!”

“È vero!” continuò Akane. “Che mi dite degli interessi comuni, del rispetto, dell’amicizia?”

Le ragazze si guardarono l’un l’altra con dei sorrisetti d’intesa. “Sì certo... tutto molto bello, ma...”

“Voglio dire, certo, i vostri ragazzi vi comprano i dolci, vi tengono la mano e fanno tutti gli sdolcinati con voi, ma avete parecchio da imparare se pensate che questa sia una relazione! Per caso uno dei vostri ragazzi farebbe mai l’impossibile per recuperare una cosa che avete perso o mangerebbe mai qualcosa che avete cucinato, sapendo che farà veramente schifo? Resterebbe insieme a voi dopo avervi visto dare il peggio di voi stesse? Vi perdonerebbe se faceste una stupidaggine? E se fosse lui a fare una stupidaggine, per caso si scuserebbe e farebbe qualsiasi cosa per farsi perdonare? Le vostre relazioni resisterebbero ad una vera litigata, anche una sola? I vostri ragazzi lotterebbero per proteggervi? Ucciderebbero per voi? Morirebbero per voi?”

Le ragazze si guardarono l’un l’altra nervosamente, ma Akane non prestò loro alcuna attenzione e continuò con la sua tirata. “Voglio dire, certo, io e Ranma forse non abbiamo un rapporto perfetto, ma almeno ne abbiamo passate abbastanza per sapere cosa significa davvero avere una relazione. Non si tratta solo di baciarsi e uscire insieme e di tutti i regali che può farvi. Si tratta di esserci l’uno per l’altra, e mettere i sentimenti dell’altro prima dei propri, e fidarsi l’uno dell’altra e lavorare insieme come una squadra!”

Il silenzio riempì la stanza e Akane quasi sorrise nel vedere gli sguardi pensierosi che tutte le ragazze sembravano avere in comune. Cominciò a sentirsi piuttosto orgogliosa di se stessa per essere riuscita a colpirle. Ma fu in quel momento che l’irritante Mika dai capelli ricci decise di parlare ancora.

“Ma Akane, io ho sentito dire che Ranma aveva altre tre fidanzate. È vero?”

Akane sospirò e abbassò la testa sconfitta. “È... complicato...”

“Non capiranno mai,” borbottò Akane fra sé, uscendo di casa e avviandosi verso la piccola veranda. “Quella stupida di Mika. Come fa a sapere tutte quelle cose della mia vita, comunque?”

Aprì ancora una volta il piccolo album di foto che stringeva in mano. Dopo la pagina della foto a figura intera che ritraeva lei e le sue migliori amiche, c’erano altre pagine di collage di foto purikura. All’inizio, Akane continuava ad essere presente nella maggior parte di esse, ma lentamente cominciò a vedere sempre meno il suo viso. Le foto diventarono principalmente di Yuka e Sayuri, con qualche amica occasionale che faceva una comparsata qua e là. Poi ci fu Mika al centro dell’attenzione nella maggior parte delle foto, che sembravano essere state scattate tutte negli ultimi mesi. Akane sospirò. “Non bastava che conoscesse tutti i dettagli della mia vita attuale, doveva pure prendere il mio posto in quella precedente.” Dall’interno della casa echeggiavano le risate e l'acuta voce da soprano di Mika si alzò fino a coprire gli strilli, per continuare una storia che stava raccontando.

“Immagino di non essere altro che il pettegolezzo del giorno, adesso.” Akane si avviò sdegnosamente verso l’esterno della veranda, allontanandosi ancora di più dalle sue amiche, e si sedette sugli scalini d’ingresso, guardando fuori nella notte, osservando la strada e i pedoni occasionali che passavano di lì a tarda ora. Si sentiva piuttosto disillusa, al momento. Tutto quello che voleva era una serata libera, in cui non avrebbe dovuto litigare con nessuno né difendere l’onore di qualcuno e non avrebbe nemmeno dovuto pensare al suo stupido fidanzato. Ma sfortunatamente, non si poteva proprio sfuggire all’influenza di Ranma Saotome. Dovunque andasse, una parte di lui la seguiva, persino ad un pigiama party fra ragazze dall’altro lato della città, dove perfette estranee gettavano uno sguardo critico proprio sulla loro relazione.

E la scoperta più sorprendente di tutte fu che non le dispiaceva per niente. A dire la verità, gli sfottò e le prese in giro che le ragazze le avevano rovesciato addosso senza pietà erano un po’ seccanti. Ma il pensiero di Ranma era lontano dall’essere sgradito. Anche prima che le ragazze introducessero l’argomento del suo fidanzato, si era trovata costantemente a vagare con la mente e pensare a lui. Cos’avrebbe fatto, quella sera? Stava pensando a lei? Sentiva la sua mancanza? Era arrabbiato con lei perché era sgattaiolata via senza salutare? A dire il vero era uscita in silenzio per evitare Happosai, non Ranma, ma il pensiero di essersene andata così bruscamente la infastidiva lo stesso. Ma a lui importava, poi? Non è che non se ne era neanche accorto che lei era uscita?

Si morse il labbro, rendendosi conto con imbarazzo di aver passato gran parte del tempo pensando a lui, spesso senza neanche accorgersene. Era semplicemente naturale per lei, perché lui era parte integrante della sua vita. Era difficile trovare qualcosa, nella sua vita, che appartenesse a lei e a lei soltanto. E per motivi che non aveva ancora ammesso completamente, non voleva che le cose cambiassero. Per niente. La verità era più difficile da evitare, adesso. Aveva indossato l’abito di pizzo bianco, si era truccata, si era messa i fiori nei capelli... Avrebbe voluto sposarlo. Se riusciva ad ammettere questo, allora poteva ammettere anche che c’era un motivo. Un motivo intorno al quale entrambi giravano quotidianamente, ma che non avevano mai veramente affrontato.

L’amore.

Lei lo amava.

E ora, alla vigilia di quello che sarebbe stato il loro primo mesiversario, dall’altra parte della città, da sola, alla pallida luce della luna, lei si rese conto di un’altra cosa.

Sentiva la sua mancanza. Era l’unico con cui desiderava essere in quel preciso momento. Perché era triste e si sentiva persa e, in qualche modo, sapeva che solo lui poteva farla sentire meglio. Aveva bisogno di vederlo, aveva bisogno di sapere che quelle sciocche ragazze, in casa di quella che una volta era stata la sua migliore amica, si sbagliavano. Non sapevano niente dell’amore e del sacrificio, e delle basi su cui costruire una vera relazione. Aveva bisogno di sentire che la sua relazione con Ranma era unica. Speciale. Matura. Nonostante il fatto che loro due fossero irrimediabilmente immaturi ed incapaci di essere franchi ed onesti sui propri sentimenti, c’era qualcosa di più fra di loro. Una completezza, una complicità, la sensazione che fosse tutto al posto giusto, quando erano insieme.

O forse sentiva solo la sua mancanza, perché nonostante i discorsi maturi e la convinzione di essere pronta per il matrimonio, c’era una parte di lei che era ancora soltanto una ragazzina innamorata, con una cotta pazzesca, che le impediva di passare una giornata lontano dall’oggetto delle sue attenzioni senza desiderare che fosse lì accanto a lei. “Ma vale solo per me,” sussurrò tristemente. “Sono ridicola. Probabilmente, non gli importa neanche che non sono a casa. Eppure... mi chiedo, che sta facendo stasera?”

E fu così che, tutt’a un tratto, trovò la risposta alla sua domanda dove meno se l’aspettava. Lui era comparso così all’improvviso e di punto in bianco che, per un attimo, lei considerò la possibilità di averlo evocato dal nulla con l’immaginazione. Ma poi, se fosse stato così, non le sarebbe parso come lo vedeva al momento.

Era sul marciapiede, non sulla recinzione, e sembrava così perso e fuori posto che per un attimo lei non lo aveva riconosciuto. Era decisamente fuori dal suo elemento; un uomo con una missione imbarazzante, che camminava su una strada sconosciuta, con in mano un foglio di carta che continuava a girare e a leggere di sfuggita. “Dovrebbe essere questa la casa,” borbottò fra sé, fissando il foglio e poi lanciando un’occhiata alla casa di fronte a lui. Lei lo vide esitare e guardare colpevolmente a destra e a sinistra. Poi, quando fu sicuro che nessuno lo stesse guardando, si trascinò verso la casa solo per fermarsi a metà strada e, altrettanto improvvisamente, girarsi ed uscire di nuovo dal cancello con passi rapidi e decisi.

“Lasciamo perdere! Io...” Era già arrivato qualche casa più in là quando si fermò di nuovo. Inspirò, espirò, raddrizzò le spalle e marciò verso il cancello della casa di prima... poi deviò da un lato e la oltrepassò, facendo finta di non aver mai avuto l’intenzione di dirigersi verso di essa.

“Che stupidaggine, se mi vede qualcuno, sembrerò un perfetto idiota...” borbottò, prima di tornare a guardare la casa. “Forse potrei semplicemente lasciarlo sulla porta e dire a Kasumi di telefonare o qualcosa del genere...”

Annuì, chiaramente deciso ad adottare questa linea d’azione, e scivolò silenzioso verso la casa, arrivando questa volta fino ai gradini prima di essere fermato dalla risata di Akane.

“Che stai facendo?” chiese lei in tono gioviale.

Lui sollevò la testa di scatto e si girò a guardarla, appoggiata alla ringhiera della veranda della casa accanto. Diede un’altra occhiata imbarazzata al foglio, poi al numero sulla porta. “1326. Non è questa la casa della tua amica?” chiese indicando l'ingresso.

“No,” ridacchiò Akane. “Gli otto di Nabiki a volte sembrano sei. È 1328. Qui,” gli indicò con un gesto della mano.

“Ah,” disse lui annuendo. Si mise il foglio in tasca e si girò. Un saltello, un passo e un balzo ed eccolo lì, accovacciato sulla ringhiera della veranda di Yuka di fronte ad Akane con un atterraggio perfetto. “Ehi,” disse semplicemente.

“Ciao,” sorrise lei. Stava sorridendo parecchio e non riusciva esattamente a capire perché. Forse era il fatto che fosse comparso proprio quando lei l’aveva desiderato, come se in qualche modo avesse saputo che sentiva la sua mancanza. O forse perché aveva assistito a qualcosa che lui non voleva farle vedere. L’aveva preso alla sprovvista e non era un risultato da poco. Prima che lei manifestasse la sua presenza, le era sembrato indeciso se bussare o no alla porta, per di più quella sbagliata. Per un istante, era stato lui quello goffo ed imbranato, ma dopo essere stato scoperto, aveva ricominciato a comportarsi nel solito modo sicuro e disinvolto. Era quasi come se stesse cercando di farsi bello ai suoi occhi. Questo la divertiva, in qualche modo.

“Allora...” cominciò lentamente lei. “Che ci fai qui?”

“Io, ehm... Kasumi mi ha chiesto di portarti lo spazzolino,” disse lui, tirando fuori un borsello da viaggio di plastica che lei riconobbe come quello in cui aveva sistemato lo spazzolino e il dentifricio, insieme ad altre cose che pensava le sarebbero potute servire ad un pigiama party. “Dev’esserti caduto dalla borsa, prima, con tutto quel trambusto...”

Ranma smise di parlare, sentendosi stupido a dare spiegazioni. Tuttavia, era piuttosto soddisfatto di non essersene uscito con le solite scuse su quanto lei fosse smemorata ed imbranata o suggerito che lei avesse dimenticato apposta il borsello, costringendolo a correrle dietro. Per la verità, segretamente si augurava che fosse andata proprio così, ma sapeva perfettamente che non era vero. Akane non era mai stato tipo da fare certi giochetti.

Akane abbassò lo sguardo sul borsello e glielo prese di mano gentilmente, mentre gli occhi cercavano sbalorditi quelli di lui. “Tu... Tu sei venuto fin qui per portarmi... lo spazzolino?” chiese in tono meravigliato. Per lei, era una cosa così incredibilmente dolce e toccante, e così non da Ranma.

Volevo vederti, rispose lui, ma solo nella sua mente. Fin da Jusendo, aveva scoperto che diventava apprensivo ogni volta che lei restava via molto a lungo. Si diceva che fosse solo perché era preoccupato per la sua sicurezza. Vederla quasi morire lo aveva spaventato terribilmente e con estremo orrore aveva scoperto che a volte, quando la guardava, la realtà si deformava e diventava cupa. Ai suoi occhi, lei sembrava pallida e con gli occhi chiusi e non respirava, e lui doveva scuotersi per scacciare via l’orribile immagine del suo corpo senza vita. Si convinceva che, quando era lontana, l'ansia gli venisse solo per questo motivo. Era perché aveva paura per la sua sicurezza, e questo lo tormentava finché non riusciva a vederla e poteva provare al suo cervello nel panico che lei stava bene. Ma la verità era che... gli mancava. Non gli piaceva stare lontano da lei, anche solo per una notte. Non gli piaceva che fosse scappata via e l’avesse lasciato da solo per stare con le sue amiche. Soprattutto, non gli piaceva che lei sembrava averlo fatto per prendersi una pausa da lui e dalla follia che ruotava intorno alla loro vita insieme. In effetti, non poteva biasimarla se desiderava un po’ di pace e tranquillità ed un breve momento di normalità. Solo, avrebbe voluto che lei non dovesse allontanarsi da lui per ottenerlo. Avrebbe voluto, in qualche modo, essere parte di quel momento. Che stare con lui e con lui soltanto le avesse portato un po’ di felicità, invece che preoccupazioni.

Ma era sicuro che non fosse così ed era per questo che lo aveva lasciato da solo. Anche se la cosa lo preoccupava, non aveva alcun diritto di obiettare. Lui non poteva tenerla sempre accanto. Lei non era sua.

Per lo meno, non ancora...

Dannazione, mormorò col pensiero. Avrei dovuto sposarla...

Lei continuava a guardarlo con una dolce espressione commossa e speranzosa negli occhi e lui desiderò poterla prendere fra le braccia e sussurrarle quelle verità non dette. Ondeggiò per un attimo, piegandosi leggermente verso di lei, e per un istante giurò di aver visto gli occhi di Akane fissargli le labbra, prima di chiudersi. Ma la paura e la forza dell’abitudine lo trattennero e così scrollò le spalle e si allontanò di nuovo.

“Non avevo niente di meglio da fare. E poi volevo assicurarmi che Happosai non avesse trovato il modo di venire qui a dare fastidio alle tue amiche.”

Pensò che lei sembrasse un po’ delusa, per qualche strano motivo, ma nel sentire le sue parole sorrise di nuovo. “Eri preoccupato per me?”

“Per te? No, certo che no. Ero preoccupato che terrorizzasse le tue amiche.” Si morse la lingua, desiderando di potersi rimangiare l’osservazione. Le cose erano andate così bene, fino a quel momento.

Fortunatamente, lei rispose solo con una breve risatina e gli sorrise. “Grazie, Ranma,” disse con voce dolce e sincera. “È stato molto premuroso, da parte tua, venire qui.”

Lui deglutì e avvampò leggermente. Eccola lì di nuovo. Quella tensione strana e imbarazzante fra di loro. Avevano raggiunto una specie di limbo. Non si odiavano più, questo era certo, ed entrambi sapevano che c’era qualcosa fra di loro, ma finora nessuno aveva fatto il primo passo per ammetterlo. Erano amici e fidanzati e, a volte, qualcosa nel mezzo fra queste due definizioni e allo stesso tempo qualcosa di più. La loro relazione era indefinita e, in una parola, complicata. Forse era questo che la rendeva così imbarazzante. Non potevano tornare indietro, ma nessuno dei due sapeva come fare per andare avanti e fare il primo passo verso l’ignoto. Questo rendeva teso ogni momento che passavano insieme e lui sentiva che, vicino a lei, i suoi sensi erano sempre allerta, perché sapeva che ogni momento poteva essere quello in cui le cose sarebbero cambiate... per sempre.

Non era sicuro di essere pronto per questo. Ma voleva esserlo. Perché c’era qualcosa fra di loro. Lui lo sapeva, lei lo sapeva, quasi tutta Nerima lo sapeva. E lui sapeva anche che, ad un certo punto, avrebbe dovuto fare qualcosa al riguardo. Fissò il viso di lei, bagnato dalla luna, e inghiottì a fatica.

Avrebbe decisamente dovuto fare qualcosa al riguardo...

Ma non quella sera.

Si tirò indietro con una buona dose di riluttanza. Forse quella sera non era la sera giusta, dopo tutto.

“Sì be’, ok allora,” disse in tono infelice. “Devo andare. Divertiti...” Non appena le parole uscirono dalla sua bocca, saltò giù dalla ringhiera e cominciò a camminare rapidamente, senza neanche aspettare che lei rispondesse.

Lei lo guardò per un attimo e il sorriso non voleva saperne di scomparire dalle sue labbra, pensando al gesto semplice ma incredibilmente toccante che lui aveva fatto. “E già,” sospirò felice. “C’è decisamente qualcosa di speciale fra di noi. Scommetto che il ragazzo di Mika non farebbe mai tutta questa strada per portarle uno spazzolino!” Rise con allegria, al pensiero di far ingelosire la ragazza dai capelli ricci.

Tuttavia, provava un po’ di delusione e frustrazione nel vederlo andare via. Anche lei lo sapeva. C’era una tensione palpabile fra di loro, come se si stessero sempre sfidando l’un l’altro a fare la prima mossa. Erano sempre sul chi va là, sapendo che da un momento all’altro sarebbe potuto succedere e le cose sarebbero cambiate per sempre. Eppure, erano entrambi troppo testardi per fare la prima mossa e aspettavano sempre che la facesse l’altro, invece. Sospirò. “Vorrei che le cose non fossero così complicate.”

Ma poi, guardandolo andare via e ascoltando le ragazze che ridevano in casa, un pensiero le passò per la testa. Una parte di lei invidiava quelle ragazze e le loro relazioni semplici e non complicate. “Mi chiedo...” sussurrò a voce alta, sommersa da un’improvvisa ondata di curiosità. “Forse alla fine le cose non devono essere necessariamente così ‘complicate’, no?”

Dopo tutto, era vero quello che aveva detto alle ragazze, prima. Avere una relazione implicava molto di più che flirtare, uscire insieme e... baciarsi...

Akane si raddrizzò di botto, colpita da un’improvvisa consapevolezza. “Aspetta un attimo! Baciarsi...” Un’espressione pensierosa le attraversò improvvisamente il volto, mentre lanciava un’occhiata alla sagoma sempre più piccola di Ranma. “Lui stava quasi per...” si fermò, sopraffatta da una strana confusione. Non aveva mai pensato molto a questo genere di cose, in realtà. Aveva sempre guardato dall’alto in basso le sue amiche perché ne erano ossessionate. Ma per un attimo, aveva pensato che lui fosse sul punto di baciarla e si rese conto di aver desiderato che lo facesse. Le risate dentro alla casa catturarono di nuovo la sua attenzione e Akane decise all’improvviso che era ora di scoprire cosa fosse questa cosa per cui facevano sempre tanto chiasso. Era stata sommersa da un’improvvisa ondata di curiosità e si mordicchiò le labbra, indecisa, solo per un istante. Mi chiedo... Forse le cose non devono essere così complicate, no?

Ranma diede un calcio ad un sassolino, arrancando agitato lungo la strada. “Pff! Questa sì che è stata una perdita di tempo. Tutta questa strada per vedere quel maschiaccio per niente carino e tutto quello che ho ottenuto è uno stupido graz...”

Come a farlo apposta, proprio in quel momento sentì il rumore di passi rapidi che battevano sul marciapiede dietro di lui. “Ranma!” urlò Akane, facendolo sussultare.

Oh oh. Deve avermi sentito, pensò, girandosi di scatto e preparandosi ad affrontarla e a difendersi. “Senti, Akane, io volevo dire solo che...”

Sbatté gli occhi sorpreso, scioccato di trovarsi improvvisamente una ragazza fra le braccia. Dopo che se ne era andato, lei gli era corsa dietro solo per gettargli le braccia al collo una volta arrivata a destinazione. Lui incespicò leggermente all’indietro per la forza dell’impatto e le braccia si sollevarono automaticamente a stringerla con delicatezza, anche solo per sostenerne il peso contro di lui. Ma un momento dopo, seppe che era più di questo e sentì le braccia avvolgerle la schiena e la vita, dimenticando momentaneamente tutte le sue difese. C’era qualcosa di speciale a trovarsi dall’altro lato della città. Niente padri invadenti, niente corteggiatori e rivali pazzi, soltanto lui e la ragazza che amav...

Be’, qualunque cosa fosse, non sentiva il bisogno di mantenere quel muro intorno a lui, che teneva lontano qualsiasi tipo di avance da parte di quel pazzo maschiaccio. Non che lei gli facesse delle avance, ma c’erano state delle volte in cui si erano avvicinati e stava quasi per succedere qualcosa, finché uno dei due aveva rovinato tutto per puro imbarazzo o paura. Oppure era stato qualcun altro ad interromperli. Questo accadeva spesso e volentieri. Ma in quel particolare momento, il potenziale impiccione più vicino era a più di un chilometro di distanza. C’erano soltanto loro due... E lui non aveva nessuna intenzione di rovinare la rara opportunità che si era presentata.

Pensando a questo, strinse leggermente la presa e lei inclinò la testa all’indietro; i loro occhi si incontrarono per un attimo, prima che entrambi li chiudessero e le labbra di Akane accarezzassero le sue in un breve, casto, cataclismico bacio, che gli lasciò la mente annebbiata e incapace di qualsiasi pensiero non legato alla ragazza che aveva fra le braccia.

Sorprese entrambi quanto fosse sembrato semplice e naturale, e nessuno dei due riuscì a ricordarsi perché avessero aspettato così a lungo. Ora che la prima mossa era stata fatta e ci si poteva mettere una pietra sopra, i motivi per non averlo fatto prima sembravano davvero stupidi.

Alla fine, Akane allentò la stretta e fece scivolare via le braccia dal collo per poggiarle delicatamente sulle sue spalle. Si allontanò da lui e sollevò lentamente lo sguardo esitante per incontrare il suo. Un castano incerto e imbarazzato incrociò un blu stordito ed elettrizzato e per un attimo si guardarono negli occhi, finché le labbra di lui, leggermente spalancate per la sorpresa, scivolarono in un sorriso ebete e stralunato. In risposta, le guance di lei presero un’attraente tinta rosata e, con l’imbarazzo diventato improvvisamente troppo da sopportare, si girò e tornò di corsa verso la casa, salutandolo con un breve cenno della mano. “Buona notte, Ranma!”

Lui sollevò meccanicamente la mano per rispondere al saluto e sorrise. “'Notte, Akane,” sussurrò. Lei entrò in casa e si appoggiò alla porta dopo averla chiusa, sorridendo come una stupida e accarezzandosi le labbra con il dito. Le sue amiche ridevano per qualcosa, nella stanza accanto, e lei sorrise di cuore. All’improvviso sentiva di avere qualcosa in comune con loro, dopo tutto, e doveva ammetterlo, avevano ragione. Era decisamente meraviglioso baciare il ragazzo che... amava.

E mentre la guardava sparire all'interno della casa, Ranma non poté fare a meno di pensare di essersi sbagliato. Venire qui non era stata una perdita di tempo, dopo tutto.


1. "Il chiodo che sporge va preso a martellate" è un proverbio giapponese, che riflette la tendenza di questa cultura a privilegiare l'omologazione, piuttosto che l'individualità. Praticamente, uno come Ranma in Giappone non è un figo, ma un emarginato. Questa è una delle cose che differenziano gli orientali dagli occidentali. Anche se, a pensarci bene, non è che siamo così diversi. Anche noi preferiamo omologarci, solo che ci piace fare finta di essere originali. Ma sto divagando. Alla prossima!


   
 
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