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Autore: Nykyo    07/03/2016    2 recensioni
«Voglio aiutare il branco» rifletté Stiles a voce alta, massaggiandosi con ferocia le tempie, per niente conscio di quanta forza ci stava mettendo. «Voglio fare la mia parte. Voglio che il branco resti unito. Voglio un Tramite perché ho bisogno di essere un buon Emissario. Posso essere un buon Emissario, ho solo bisogno di un consigliere meno criptico di quello stronzo di Deaton e di capire come usare il mio potenziale e… voglio un Tramite. Lo voglio, mi serve perché non posso continuare a essere un peso per tutti. Voglio un Tramite e lo avrò, alla faccia di Deaton e anche di Derek!»
Racconto di Nykyo e illustrazioni di Boll11
Partecipa alla seconda edizione del Teen Wolf Big Bang Italia.
Genere: Angst, Introspettivo, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: Derek Hale, Laura Hale, Lydia Martin, Scott McCall, Stiles Stilinski
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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VIII. Il rimorso di un fratello

«Stai bene?»

La risposta di Derek lasciò Laura del tutto spiazzata. Era stata data in un tono spiccio, duro, vagamente graffiante, eppure non ci volevano i sensi di un Licantropo per capire che Derek non l’aveva data a cuor leggero. Aveva ogni motivo per sentirsi irritato, visto come era stato accolto, e invece che fare retromarcia e andarsene se ne stava lì a scrutare Stiles con un’espressione cupa, ma anche preoccupata.

Laura era ben felice di non vederlo girare sui tacchi e andarsene perché, presa dalla foga del momento, aveva esagerato. Aveva un piano, e quel piano in sostanza era di fingersi Stiles, far leva sui dubbi che Derek aveva mostrato e farlo sentire il più possibile indesiderato da quel branco assurdo a cui si era voluto accodare. Se glielo diceva in faccia il futuro Emissario, Derek non poteva non capire che il suo posto era altrove. Aveva senso, poteva funzionare.

La prima volta in cui Laura aveva progettato di sfruttare la possibilità di possedere Stiles per parlare con Derek, la sua idea era stata quella di dire la verità al fratello. Con il passare dei giorni aveva cambiato parere. Non tanto perché temesse di non essere creduta – c’erano parecchie cose che avrebbe potuto raccontare per convincerlo, cose che solo lei e Derek sapevano – quanto perché a conti fatti voleva infliggergli il minor dolore possibile.

Derek era un testardo e, a suo tempo, pur di tenerlo in piedi e di rimetterlo in sesto dopo l’incendio, lei non si era peritata di usare la durezza, quando gli abbracci e il conforto non erano serviti. Il che non toglieva che non fosse mai stata felice di farlo. 

Se anche Laura avesse spiegato cosa stava succedendo veramente, non sarebbe comunque potuta stare accanto a Derek come entrambi avrebbero voluto. Magari l’avrebbe convinto ad andarsene e a raggiungere Cora, ma ne dubitava. Sapendo che lei era lì, pressoché inchiodata a Stiles, Derek avrebbe deciso di restare. Si sarebbe tormentato con il pensiero di averla vicina e di non poterla nemmeno vedere. Alla lunga sarebbe stato deleterio e basta. E poi Laura voleva mettere le cose apposto e andarsene a sua volta. Non che fosse felice di essere morta, nessuno lo sarebbe stato. A certe cose ci si doveva rassegnare, però, che piacessero o meno. Qualcuno avrebbe preferito l’esistenza che stava vivendo al nulla assoluto, lei no. La sua natura, sia da umana che da Licantropo, la spingeva a scegliere in ogni caso l’opzione che l’avrebbe vista libera. A cose fatte voleva poter tornare da dove era venuta e Derek non sarebbe mai stato d’accordo. Perciò, anche se avrebbe avuto un milione di cose da dirgli, a cominciare da «Ti voglio bene» per finire con «Non smetterò mai di volertene», non poteva comportarsi da egoista. Doveva sacrificare i propri desideri al bene di Derek. Avrebbe finto di essere Stiles punto e basta.

Pur determinata com’era, per un istante la domanda che Derek le aveva appena rivolto la lasciò sul serio interdetta.

Derek avrebbe dovuto essere incazzato, non informarsi sulla salute di Stiles. La salute di Stiles in quel momento non era rilevante, anche perché non era in discussione. Laura l’aveva sentito irrigidirsi mentre si infilava dentro il suo corpo, e non dubitava che potendo Stiles si sarebbe sottratto. Una volta libero magari Stiles sarebbe stato incazzato e un po’ scosso. Laura era pronta a litigarci, a lasciarlo sfogare e a sorbirsi una predica. Non gli stava mica arrecando un danno fisico, e dal lato psicologico Stiles era abbastanza sconclusionato già di suo. Furioso per furioso che potesse diventare, non si sarebbe traumatizzato perché lei gli aveva giocato un brutto tiro. Non si era traumatizzato nel riesumare la metà del suo cadavere smembrata e trasformata in lupo, santo cielo! Né per averla richiamata dall’aldilà in forma di spettro. Le cose che di norma scioccavano gli umani a lui parevano scivolare addosso.

Se davvero teneva almeno un pochino a Derek come professava, semmai, si sarebbe imbufalito per essere stato messo in cattiva luce e usato per allontanarlo, il resto sarebbe passato in secondo piano. Insomma, Laura sapeva che non si stava comportando come un giglio immacolato, ma non era nemmeno un mostro sanguinario e assetato di sangue come nelle storie dell’orrore. Stava agendo in maniera sleale unicamente per amore. Non avrebbe usato il corpo di Stiles per andarsene in giro ad ammazzare poveracci innocenti come un serial killer venuto dall’oltretomba. Nel peggiore dei casi avrebbe spezzato un’amicizia, ammesso che quell’amicizia esistesse. Non era una bella cosa, ok, solo che era quella giusta da fare.

Derek però voleva sapere come stava Stiles. Laura non se l’era aspettato e per un attimo fu incerta su cosa rispondergli. «Bene» si limitò a mugugnare.

Derek la squadrò dubbioso e lei rammentò a se stessa che non era il caso di stare zitta a lungo. Non solo avrebbe dato adito a troppe domande a cui non voleva o non poteva rispondere, ma non sarebbe stato da Stiles. Laura non si illudeva di poterlo imitare a dovere, le bastava risultare verosimile e negli ultimi giorni aveva appunto imparato che Stiles, se poteva, non stava mai zitto.

«L’altra sera avevo la febbre» proseguì, senza dare tempo al fratello di intervenire. «Non so se ho detto o fatto cazzate, non ci fare caso. Ora sto bene. Solo che non capisco, perché sei qui? Eri venuto per lamentarti che nessuno di noi ti avesse più cercato e non vedo cosa c’entro io…»

Non era facile dire ciò che stava per dire, sapendo che a Derek avrebbe fatto male sentirlo. Derek era sempre stato più tenero di quel che sembrava. Sapeva essere diffidentissimo, ma se per qualunque motivo cominciava a provare affetto finiva per fidarsi e crederci così tanto che era facile ferirlo. Laura avrebbe voluto risparmiargli il dolore, però strinse i denti e ricordò a se stessa che cosa c’era in gioco, che Cora era ancora viva e che non era giusto che lei e Derek non stessero insieme. Per un Licantropo nato il branco era prima di tutto una questione di sangue. Solo un gruppo eterogeneo come quello di Scott poteva non capirlo e solo una testaccia dura come Derek poteva mettersi in mente che non fosse così, per chissà quale assurda motivazione.

Derek fece per aprire bocca e lei si affrettò ad anticiparlo di nuovo.

«Sul serio, Derek» riprese stringendosi nelle spalle, «perché non sei andato da Scott? Anche se, ormai che sei qui, che vuoi che ti dica? A nessuno di noi è venuto in mente di chiamarti. Dovevamo? Non mi dire che davvero te lo aspettavi?»

Era una delle cose che aveva intuito dal modo in cui Stiles e gli altri parlavano di Derek: checché lui si fosse convinto che il suo posto era a Bacon Hills e proprio in quel branco, il suo rapporto con le persone che lo componevano non era basato su un contatto giornaliero e continuo come lo era stato tra loro o a casa, prima dell’incendio. Dopo la morte di tutto il resto della famiglia, perfino lei che ci aveva vissuto insieme aveva faticato a far aprire Derek. Anche se lui si era fatto un giro di conoscenze e, prima di perderla, aveva lentamente ricominciato a vivere, non era mai tornato il Derek dell’infanzia. Laura lo conosceva. Suo fratello non era loquace, non era uno con cui avere lunghe conversazioni, né di persona né per telefono, non ce lo vedeva proprio a bighellonare con quei ragazzini tutti più giovani di lui, a scambiare sms o ad aspettare la chiamata della buonanotte. Stiles addirittura sembrava aver paura di affrontarlo, figurarsi se potevano essere stati amiconi fino al giorno prima. Qualunque legame li unisse doveva essere per forza più sottile e, di conseguenza, superficiale e facile da minare.

L’occhiata che Derek le aveva appena scoccato la convinse che almeno in parte non si sbagliava. Se non si fosse ritrovata con i sensi flebili di un umano avrebbe potuto cogliere ancora più indizi utili. Sfortunatamente il convento le passava soltanto i normalissimi vista e udito di Stiles. Del tatto in quel frangente se ne faceva poco, anche se le dita le prudevano dalla voglia di stringere e accarezzare, e l’olfatto era come se non esistesse. Il massimo che ne ricavava era la nozione che Derek, prima di andare da Stiles, aveva indossato vestiti freschi di bucato. Grazie tante. Non esattamente un’informazione di cui fare tesoro mentre si cercava di forzare i punti deboli del proprio fratello pur di tenerlo al sicuro.

«In che guaio vi state ficcando?» Era evidente che Derek non aveva intenzione di lasciarsi scoraggiare e mollare l’osso e che non si fidava granché.

Laura agitò le braccia, cercando di imitare almeno in parte il modo di gesticolare di Stiles e, nello stesso tempo, di mostrarsi noncurante. Scoprì che le veniva sempre più facile muovere quel corpo non suo. Le membra le obbedivano alla perfezione e, qualunque cosa Stiles stesse pensando, non c’era alcun accavallarsi di coscienze. Solo ogni tanto Laura avvertiva un piccolo brivido, come un’increspatura o una sensazione che le sembrava estranea. Era a malapena un solletico che Laura in una situazione diversa avrebbe notato maggiormente e che invece passava in secondo piano rispetto allo sforzo di trovare le parole giuste da usare con Derek.

Non si era aspettata di vederlo così presto e non era pronta. Stava improvvisando, e doveva dedicarci tutta la propria attenzione, non le rimaneva spazio mentale per altro. Era troppo presa a cercare di mettere insieme ciò che lei sapeva per certo sul fratello con quello che Stiles le aveva raccontato delle vicende accadute dopo la sua morte e con i pochi dettagli che le era stato possibile raccogliere dal comportamento di tutti.

«Musone diffidente» ribatté in tono sarcastico. Era qualcosa che aveva sentito Stiles mormorare almeno un paio di volte mentre accennava a Derek parlando con Scott. Anche il cucciolo, Liam, si era mostrato d’accordo. In realtà a sentire Stiles quel musone diffidente l’avrebbe sbranato vivo se avesse saputo che l’aveva evocata. Di quello Laura dubitava, tutto sommato. Stiles lo faceva apparire come se Derek potesse sul serio mangiarselo. Anche per quello l’idea che Laura si era fatta era che non andassero poi molto d’accordo. Non a giudicare dal fatto che a Stiles erano uscite di bocca frasi come: «Non possiamo dirglielo, Scott. Lo sai che fatica a tollerarmi anche quando non combino casini… ho riesumato sua sorella. Due volte. No, no, no, non posso dirglielo, Scott, lo sai come andrebbe a finire».

Ergo, quei due non dovevano essere poi tanto amici. «Secondo te stiamo complottando alle tue spalle?» aggiunse, mentre rifletteva su quel dato di fatto. «Cazzate!»

Derek scosse il capo. Aveva mosso appena un paio di passi oltre la soglia e Laura sperò che non avanzasse oltre, perché più lo aveva vicino più sentiva montare il desiderio di lasciar perdere e stritolarlo in un abbraccio spezza-costole.

«Stiles, che diavolo sta succedendo?»

Laura strinse i denti e, considerato che quello le sembrava un aggancio perfetto, partì in quarta con una stoccata delle più nette.

«Nulla» rispose, muovendo un altro po’ le mani e dondolando avanti e indietro. Se non fosse stato per quello che stava per dire, le sarebbe sembrato tutto buffo e assurdissimo. «È questo il punto, non lo vedi? Sul serio? Non succede nulla di nulla, tanto per cambiare. Non siamo in assetto da battaglia e non ci servono zanne e artigli in più. Tutto qui. Non ci serve un lupo da guardia, non siamo in nessunissimo guaio e abbiamo una vita. Ossia l’opposto di restarsene a casa ad aspettare che uno di noi si faccia vivo o di venire a chiedermi perché nessuno si fa sentire.»

Era una cosa orribile da dire e Laura lo sapeva ma, oltre a pensare che quella fosse l’unica strada percorribile, le pareva sensato. Anche se Stiles le aveva riferito solamente ciò che negli anni era successo a Derek, tralasciando le eventuali vicende collaterali, non ci voleva un genio per capire che il branco di Scott McCall doveva essersi trovato in difficoltà serie in almeno una o due occasioni. Insomma, già doversi occupare di suo zio Peter non doveva essere stata una passeggiata. E Stiles le aveva detto che, dopo aver riportato Cora dal branco che l’aveva accolta in Sud America, Derek era tornato a Beacon Hills per aiutare Scott e gli altri. Non aveva spiegato aiutarli in cosa, ma Laura dubitava che si fosse trattato di giardinaggio. D’altro canto, non riusciva a pensare che Derek fosse seriamente legato a un gruppo di persone che non avevano neppure la sua età, se non per via di qualche vincolo di riconoscenza e di una sorta di alleanza stretta davanti a un pericolo. Un Lupo Mannaro per nascita, più grande, più esperto e ben piazzato poteva essere utile eccome a un branco di poco più che teenager, due dei quali, essendo un umano e una Banshee, erano per giunta indifesi.

«Stiles…» Quello di Derek fu un ringhio, basso e come di avvertimento. Stava perdendo la pazienza, era lampante. Laura era stupita che non l’avesse fatto prima e non avesse ancora risposto per le rime. Derek non era mai stato abile con le parole, neanche nei periodi più sereni della sua vita. Oh, da liceale prima di Paige si era sentito furbo, come tutti i ragazzini della sua età, ma anche allora il suo picco massimo nell’esprimersi era stato raggiunto attraverso il sarcasmo o l’ironia. Dopo l’incendio era come se anche la sua capacità di mettere insieme più di due parole per volta fosse andata in fumo. I silenzi che Laura aveva dovuto spezzare, riempire o semplicemente accettare erano stati infiniti, specie nei primi mesi. Ciononostante una provocazione era una provocazione. Derek avrebbe dovuto esplodere, sferzare Stiles, dando così a lei il La per una nuova stoccata, non starsene lì a scrutarlo con un’espressione poco felice, ma ancora più inquisitoria e comprensiva che incollerita.

«Ok» pensò Laura, «se devo prendere la via più diretta e difficile…»

Arretrò fino a sedersi sul letto, senza invitare il fratello ad accomodarsi.

«Perché non torni da Cora, ora che qui a Beacon Hills è tutto a posto?» chiese, scoccandogli un’occhiata dal basso in alto e cercando di usare il tono di chi non vuole una vera risposta – oh, se invece la desiderava! – e sta solo constatando che ha sotto gli occhi qualcosa di sbagliato e privo di senso. Affondare la lama prima che Derek potesse replicare fu più doloroso del previsto. «Voglio dire, lo sappiamo com’è Scott: lui se non altro si affeziona… e non dico che tu non ci sia stato utile, tutti abbiamo bisogno di alleati prima o poi, ma dopo? Cosa pensavi che succedesse? Che ce ne saremmo andati in giro a divertirci come una squadra dopo una partita di basket? Che avremmo passato il tempo a fare cose da branco? Non abbiamo nemmeno la stessa età, nessun legame di sangue, Scott non è il tuo Alpha, non sul serio. E se stai per dire che se è per questo io sono umano, beh, io e Scott siamo amici, Derek, ci conosciamo da una vita e Lydia sarà pure una Banshee ma era a scuola con noi, e comunque io voglio diventare Emissario. È diverso. Tu…» Laura non dovette fingere che le tremasse la voce. Si limitò a indurire il viso perché Derek non potesse vedere quanta sofferenza le arrecava leggere nei suoi lineamenti le emozioni che stava provando. «Tu non sei un Beta di Scott. Scott si affeziona, sì, ma cosa avete in comune quando non c’è da combattere? Ogni tanto me lo chiedo, tu no? Lo so che sei preoccupato, beh… grazie, ma non sta succedendo niente, sul serio, è solamente che ognuno di noi fa le sue cose, come sempre. Io studiavo, per esempio. Non diventerò un Emissario standomene qui a chiacchierare con te.»

Non appena le ultime sillabe si spensero Laura trattenne il fiato. Si aspettava che a quel punto finalmente Derek gettasse la pazienza alle ortiche e cominciasse a reagire. Non era mai stato paziente, accidenti.

Invece lo vide annuire come se avesse appena ascoltato una litania che conosceva già per averla snocciolata a se stesso lui per primo, almeno un migliaio di volte.

«È il motivo per cui sono tornato» disse, in un tono troppo piatto. «Per aiutare Scott, anche se non sarà mai il mio Alpha. Per aiutare… lascia perdere. Se non sai il perché è inutile… ma se ci sono casini in vista vorrei…»

«E Cora?» Tutto d’un tratto, oltre che addolorata per lui, Laura si sentiva anche furiosa contro il fratello. «Cora non ha bisogno di te? È tua sorella!»

Non c’era nulla di Stiles in quell’ultima domanda, nemmeno un minimo tentativo di imitarlo. Le era sfuggita così, nuda e cruda.

Derek si strinse nelle spalle facendola sentire ancora più rabbiosa. «Cora è cresciuta nel branco con cui vive, senza di me. Se l’è cavata senza di me per anni. In Argentina è al sicuro.»

Laura affondò le unghie nei palmi delle mani. Derek aveva uno sguardo che le bucava lo stomaco, l’avrebbe visto un cieco che era stato sincero e che esserlo gli era costato un grosso sforzo. Eppure non aveva comunque senso. Non per lei. La faceva ammattire. Possibile che non fosse riuscita a insegnargli che, qualunque cosa succedesse, lui non aveva meno diritto degli altri a essere felice? O almeno a provarci, Cristo Santo.

«Al sicuro e lontana dalla sua famiglia» masticò tra i denti. «Anziché al sicuro e con la sua famiglia. Se lo dici tu, Derek.»

Derek parve sul punto di perdere le staffe, ma a quanto pareva non c’era verso. Laura odiava quella reazione, le risvegliava brutti ricordi e la faceva sentire come se fosse sempre stata inutile, perfino da viva.

Mani in tasca, pugni serrati al punto da far sospettare che stesse trattenendo gli artigli, il fratello stava cercando di sostenere lo sguardo di quello che pensava che fosse Stiles e intanto taceva.

Laura decise di non agevolargli il compito, anche se avrebbe dato qualunque cosa pur di scuoterlo e dirgli chi era e cosa pensava davvero. Attese a fatica, come avrebbe fatto uno Stiles a cui non importasse più di tanto di ricevere una vera risposta. Le rimase l’impressione che fosse proprio quello il motivo per cui Derek si stava sforzando di replicare, anche se con un timbro di voce che dava l’impressione che avesse ingoiato un sasso.

«Lo so che andavi d’accordo con Cora» stava dicendo, ogni parola tirata fuori con lentezza. «Che… ti preoccupi per lei e che il tuo concetto di famiglia… so come la pensi, anche se non ne abbiamo mai parlato. Però… al sicuro con me? Andiamo, Stiles… ti ho dato del cretino un sacco di volte, ma non vuol dire che lo penso davvero…»

Laura stava di nuovo perdendo il controllo. Più Derek si mostrava remissivo più le andava il sangue al cervello. Era un miracolo che la possessione non si fosse interrotta. Sapeva di dover continuare a fingersi Stiles, almeno in parte, ma non ci riusciva.

«Qui a Beacon Hills non è mai al sicuro nessuno.» Per quanto tentasse di contenersi, stava alzando troppo la voce. «Questo posto è una trappola! È come un’immensa tagliola spalancata. Se potessi portare via la mia famiglia da qui me ne andrei al volo e tu, che potresti essere con tua sorella ed essere al sicuro quanto lei, invece te ne stai qui a girare intorno a un branco che non è il tuo in attesa di renderti utile facendoti ammazzare. E per cosa? Non lo capisco, giuro. Ci ho provato e riprovato, ma non lo capisco! Non quando potresti stare con Cora. Sei un Licantropo per nascita, no? È il tuo sangue! Cosa ci sarebbe di male nel lasciare questo buco infernale in cui ogni santa volta hai perso tutto? Perché non dovresti scegliere di avere la tua famiglia senza rischiare di morire, visto che volendo sarebbe possibile?»

Dopo aver finito la tirata Laura provò a prendere fiato. Le faceva male il petto, accidenti. Chissà quante cose che Stiles non avrebbe mai detto né pensato le erano appena sfuggite di bocca.

Al diavolo! Aveva immaginato che sarebbe stato complicato, era normale che lo fosse. Se non le fosse sembrato di non capire più Derek avrebbe stretto i denti e basta. In quel modo era impossibile. Ora, per esempio, finalmente leggeva collera nello sguardo del fratello, vedeva l’amarezza, anche se non poteva annusarla come avrebbe fatto un tempo, ma c’era qualcos’altro che continuava a sfuggirle.

Non si era aspettata che Stiles avesse abbastanza confidenza per riversare addosso a Derek lo sfogo di poco prima e, di conseguenza, era in guardia, pronta a sentirsi chiedere spiegazioni. Derek però non disse nulla. Almeno per un minuto si fissarono e lei si accorse che questa volta non sapeva cosa dire, come toccarlo, nel bene e nel male, come riempire il vuoto di quella pausa infinita.

Per la prima volta da quando le era venuto in mente quel piano, Laura si chiese se era sbagliato. Non riusciva a pensare che per Derek fosse davvero un bene stare lontano dall’unico scampolo di famiglia che gli era rimasto, e se provava a immaginare cosa doveva aver passato Cora dopo l’incendio le venivano i brividi. Almeno lei aveva avuto Derek e viceversa. No, non era giusto. E evidentemente lei non era stata poi granché come sorella e come Alpha. Non si era accorta che anche Cora era sopravvissuta – Dio, avrebbero potuto cercarla… – non era riuscita a trasmettere a Derek abbastanza speranza per il futuro. Si era lasciata ingannare e uccidere e l’aveva lasciato da solo ad affrontare di nuovo il dolore peggiore di tutti, quello del lutto. La sofferenza di perdere la propria famiglia, il proprio Alpha, il branco in cui si era nati. E adesso? Stava sbagliando tutto un’altra volta?

Se Derek avesse continuato a non parlare ancora per un secondo, Laura sarebbe scoppiata e avrebbe confessato la verità. Non ce la faceva più, era proprio sul punto di arrendersi.

«Scegliere la mia famiglia?» Derek concluse la domanda con uno sbuffo che gelò il cuore di Laura e le impedì di fare qualunque cosa. La risatina che seguì la costrinse a deglutire per ingoiare un principio di lacrime. «Non so come mai in questo momento sei così elettrico, Stiles, e spero sul serio che tu stia bene, ma ne dubito se… se stiamo discutendo di questo. È buffo perché tu sei stato il primo a capire e a dirmelo chiaro e tondo in faccia…»

Derek si alzò, come se fosse sul punto di andarsene. Laura non trovò le forze per trattenerlo.

«La mia famiglia? Dopo Kate? Dopo Laura? Kate Argent li ha uccisi tutti per colpa mia e io dovrei… la mia famiglia? Misurati di nuovo la febbre, Stiles. È meglio.»

«Non è vero!» Laura scattò in piedi, lo raggiunse e lo afferrò per un polso senza nemmeno accorgersene. Non si era mai sentita così disperata e furiosa in vita sua, tranne che subito dopo essere morta. «Non è colpa tua. Eri un ragazzino, cosa potevi fare? L’incendio non è colpa tua e Laura neppure. Laura… Laura doveva lasciar perdere la vendetta e la curiosità di capire cosa era successo, doveva… è stata sua la colpa. Laura non avrebbe dovuto lasciarti, o farsi fregare come una stupida. Era suo dovere proteggerti, era tua sorella, il tuo Alpha, doveva rimanere con te, la sola cosa importante eri tu!»

Era un miracolo che non l’avesse detto piangendo e in prima persona. Le stava prendendo un tale disgusto di sé che non si sarebbe meravigliata se il corpo di Stiles, per reazione, si fosse piegato in due in un vero e proprio conato. Sul serio era incredibile che ancora non avesse perso il controllo anche su Stiles.

Derek era pronto a colpirla e lei lo sapeva. Non provò a schivare l’attacco e non chiuse gli occhi. Stiles non avrebbe avuto una chance di evitare uno schiaffo. Imbranato com’era sarebbe finito al tappeto in un modo ridicolo. Laura era stata agilissima, avrebbe potuto difendersi e non ci teneva a esporre il corpo in cui si trovava alla furia di un Licantropo, per quanto fosse certa che il rischio fosse limitato. Però non riusciva a muoversi. Aspettò immobile, dandosi dell’idiota senza riuscire a fare altro.

Derek si fermò a metà gesto, molto prima di arrivare a toccarla. Strattonò il polso per liberarlo dalla sua presa e scosse il capo.

«Devi avere ancora la febbre.» Il suo sguardo era impossibile da sostenere, perfino per lei che gli aveva sempre tenuto testa. Derek accennò un nuovo diniego e poi si voltò e raggiunse la porta.

Laura pensò che sarebbe uscito senza aggiungere altro, invece lo vide voltarsi, giusto all’ultimo momento. «Non so cosa ti prende» disse a voce bassa e parve trattenere qualcosa in gola. «Non so cosa avete tutti quanti e se pensi che non siano fatti miei, ok, ho afferrato. Ma Laura e Cora non c’entrano. La mia famiglia è morta perché io ho pensato che andare a letto con Kate Argent e dirle cose che non avrebbe mai dovuto sapere fosse una buona idea e tu sei stato il primo a capirlo, Stiles, non raccontiamoci cazzate. La volta in cui me l’hai rinfacciato avevi ragione. Ho distrutto la mia famiglia, il mio branco… c’eri anche tu quando è morto Boyd, non me lo sono dimenticato. Quindi non farmi domande idiote e non… Laura non ha mai avuto nessuna colpa e, se io le avessi detto la verità, forse sarebbe ancora viva. Lascia perdere Laura, Stiles, e stai tranquillo, non tornerò a scocciarti di nuovo.»

Un attimo dopo era sparito nella penombra del corridoio.

A differenza della volta precedente, Laura non provò a seguirlo. Le sue parole le stavano rimbombando nel cervello ed erano così taglienti che le pareva di sanguinare. Uno dei discorsi più lunghi che avesse mai sentito fare dal fratello e un’arringa per difenderla, in un certo senso, eppure Laura si sentiva come se le avessero appena dato una coltellata nello stomaco. Barcollò, vacillando senza accorgersi che era troppo sconvolta e che stava scivolando fuori dal corpo di Stiles. Fece resistenza perché aveva l’impressione che se avesse ceduto sarebbe andata in pezzi. Sentì Derek scendere le scale di corsa e la porta all’ingresso che si chiudeva con un tonfo. Le sue percezioni, comunque, erano confuse. Capacitarsi di ciò che Derek le aveva appena confessato era straziante e la stava confondendo.

Nel preciso istante in cui quei concetti che non voleva accettare le si imposero una volta per tutte, la sua forza di volontà e le sue energie vennero meno. La possessione finì e Laura tornò a essere incorporea.

Le sembrava di non avere più alcun equilibrio, né emotivo né fisico. Non cadde, perché si ritrovò a fluttuare come suo solito, ma si sentiva malissimo. Era come se le si fosse spezzato qualcosa dentro. Un sacco di cose che da viva non aveva mai capito fino in fondo ora assumevano un senso ben preciso. L’odore che Derek aveva avuto nei primi tempi dopo l’incendio, soprattutto. Quel sentore atroce di rimorso che era così diverso da quello che lei stessa doveva aver emanato. Adesso Laura capiva il perché. Si era sentita in colpa per essere sopravvissuta a quasi tutti i suoi cari. Era una cosa tipica di chi scampava a una tragedia come quella che era toccata in sorte alla sua famiglia. Ma Derek… Derek aveva sempre mostrato un rimpianto e un impeto autopunitivo diversi e lei non era mai riuscita a comprendere esattamente in cosa differivano dai suoi, si era sempre limitata ad avvertire che non si trattava dello stesso identico sentimento. Solo ora vedeva con chiarezza tutto quello che non era stata capace di cogliere e le stava venendo voglia di urlare e di fare a pezzi qualcosa. E si odiava. Sì, in quel preciso momento non sapeva dire quali fossero di preciso i suoi sentimenti per Derek, anche se, malgrado tutto, era sicura di amarlo con perfino maggior ferocia rispetto a prima. Nei confronti di se stessa, invece, provava un risentimento sordo e sapeva che non sarebbe passato in fretta.

Imprecò con un filo di voce e cercò di calmarsi. Doveva calmarsi, per forza di cose. Doveva tornare lucida o sarebbe ammattita. Le sembrava di essere finita dentro una bolla che le toglieva l’aria e ottundeva i suoi sensi già scarsi, impedendole di percepire ciò che succedeva all’esterno.

Probabilmente Derek era ormai lontano. E Stiles?

Laura lo cercò con lo sguardo. Era uscita dal suo corpo di botto, come risucchiata fuori dallo shock per le parole di Derek, ma non aveva mai staccato gli occhi dalla porta, dal vano in penombra che non conteneva più la sagoma del fratello.

Oh, aveva sperato di riuscire a scacciarlo? Ci era riuscita. Si era chiesta perché lui non viveva con Cora? Adesso aveva la risposta. Era proprio vero che bisognava stare attenti a cosa si desiderava perché avrebbe potuto avverarsi.

Derek era andato, ma non come lei aveva voluto e Stiles… le era parso che lui schizzasse via appena liberato e si stupì di non ritrovarselo davanti nero di collera e di indignazione. Invece ci mise un attimo a ritrovarlo.

Appallottolato in un nodo troppo stretto ai piedi del letto, Stiles dondolava su se stesso emettendo un suono che non sembrava un respiro. Era in iperventilazione, ma pareva più che altro sul punto di morire soffocato.

 

 

Stava male? Essere posseduto durante il sonno non gli aveva mai causato neanche un accenno di malessere, perciò Laura aveva dato per scontato che non gli avrebbe creato problemi fisici. E se si fosse sbagliata anche su quel fronte?

Laura non se lo sarebbe mai aspettato, ma scoprirlo in quelle condizioni la fece sentire uno schifo tanto quanto l’ultima occhiata che Derek le aveva lanciato. Doveva aiutarlo, non aveva mai voluto arrecargli danni seri, non se lo sarebbe perdonata.

«Cos’hai?» chiese avvicinandosi e chinandosi per osservarlo meglio.

Lui non parve accorgersi che esisteva, come se non fosse più capace di vederla o non fosse presente a se stesso. Laura si allarmò peggio di prima.

«Ti fa male da qualche parte?» ritentò angosciata. «Senti dolore? Posso fare qualcosa?»

Stiles emise un singulto e si afferrò la maglia sul petto. Il suo respiro diventò ancora più svelto e affannato.

Era panico? Stava avendo un attacco di panico? Laura si disse che era meno preoccupante quello di un danno fisico. Il pensiero non la fece stare meglio, anzi, le diede la nausea. L’aveva ridotto lei così, pur senza desiderarlo. D’istinto, allungò una mano per toccarlo, anche se sapeva che non ci sarebbe riuscita e iniziava a intuire quanto poco avrebbe potuto essergli di conforto che proprio lei si azzardasse a sfiorarlo.

Dio! Si sentiva così stupida. Aveva sbagliato davvero tutto? Era stata veramente così ottusa? Perché? Era ingiusto. L’unica cosa che aveva cercato di fare era proteggere la persona che per lei contava più di chiunque altra e invece era evidente che aveva combinato un disastro di dimensioni epocali.

«Stiles…» disse e si accorse che le mancava la voce e che le dispiaceva da morire per lui e per ciò che gli aveva inflitto. Lo conosceva appena e, anche se non si era fatta scrupoli a giudicarlo, era lampante che l’aveva profondamente sconvolto, malgrado non ne avesse avuto l’intenzione. Se avesse immaginato che il suo comportamento l’avrebbe ridotto in quello stato Laura non avrebbe agito come aveva agito. Ok, era stata spietata pur di raggiungere uno scopo che aveva ritenuto sacrosanto. Non si era chiesta cosa volesse Stiles, era vero. Eppure non le era mai nemmeno balenata l’idea che ciò che aveva in mente di fare avrebbe avuto delle conseguenze così serie.

Stiles aveva dipinto Derek come un bestione intrattabile, sempre pronto a sfoderare zanne e artigli. Uno che se lo sarebbe mangiato in un boccone senza dargli il tempo per spiegare o per giustificarsi, non aveva parlato di lui come di un caro amico o di qualcuno che non voleva perdere per nessun motivo. Possibile che invece, a dispetto del suo modo di descriverlo o del fatto di lamentarsi che Derek l’avrebbe ammazzato, Stiles tenesse a suo fratello tanto da non sopportare di essere stato usato per ferirlo?

Laura cominciava a non capirci più nulla.

Intanto Stiles non le rispondeva, non la guardava, non sollevava la testa e aveva i pugni così stretti e le braccia così in tensione da far pensare che un simile sforzo gli causasse dolore fisico.

Quando le dita di Laura gli si avvicinarono Stiles non le vide, altrimenti – lei ne era certa – si sarebbe ritratto come se avesse ricevuto una scossa. Laura inveì contro se stessa e si ammonì dal riprovare a toccarlo.

«Stiles?» ripeté. Lui sollevò uno sguardo umido e febbrile e non parve metterla a fuoco. Si stava ancora premendo una mano al centro del petto e l’altra sulle labbra. Il suo respiro a tratti era troppo svelto e in altri era terribilmente spezzato. Era una sofferenza ascoltarlo senza sapere cosa fare o cosa dire per riuscire a calmarlo.

Laura si sentiva in colpa, iniziava a essere preoccupatissima e nello stesso tempo le ultime frasi dell’invettiva di Derek continuavano a rincorrersi nella sua mente e lei per prima si sentiva a corto di fiato.

«Stiles!» Questa volta non era stata lei a chiamarlo per nome. «Oddio, Stiles, cosa è successo?»

In piedi sulla soglia, circa nel punto in cui si era fermato Derek prima di andarsene, Lydia era comparsa all’improvviso e vibrava di un’apprensione talmente indignata che metteva paura.

Laura si fece da parte con un sospiro. La sfuriata che si era aspettata da Stiles era in arrivo, anche se non sarebbe stato lui a farla. Bene. Se la meritava, e quindi era pronta a riceverla. Meglio quello che restarsene lì impotente. E poi Lydia avrebbe aiutato Stiles. Laura aveva bisogno di vederlo tornare in sé, anche solo per chiedergli scusa. Non l’avrebbe mai detto, ma vederlo così era come ricevere un’altra serie di stilettate. Era insopportabile, e rendeva tutto più orribile.

«Lydia…» soffiò, girandosi per affrontarla e non si meravigliò nemmeno un po’ che nella sua voce fosse appena risuonato un tono di supplica.

Lydia avanzò decisa e lei si allontanò di qualche metro, fluttuando all’indietro per lasciarle spazio. In quel momento Stiles aveva bisogno di un’amica e per fortuna Lydia era lì, giusto in tempo. Laura sperò che sapesse come intervenire. Ora era tutto nelle sue mani.

Lei intanto avrebbe atteso in silenzio. Era il minimo che potesse fare dopo aver combinato un disastro. E se a cose risolte Lydia le fosse saltata alla gola, beh, Laura sapeva di esserselo meritato. Era pronta ad affrontarla e a sopportare tutto il suo biasimo.

 

   
 
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