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Autore: Marilia__88    07/03/2016    6 recensioni
Abbiamo lasciato Sherlock ad affrontare il presunto ritorno di Moriarty. Ecco cosa immagino possa accadere dopo essere sceso dall'aereo.
Dalla storia:
“Sherlock, aspetta, spiegami… Moriarty è vivo allora?” disse John mentre cercava di tenere il passo dell’amico.
“Non ho detto che è vivo, ho detto che è tornato” rispose Sherlock fermandosi e voltandosi verso di lui.
“Quindi è morto?” intervenne Mary per cercare di capirci qualcosa.
“Certo che è morto! Gli è esploso il cervello, nessuno sopravvivrebbe!”
Genere: Angst, Malinconico, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: John Watson, Mary Morstan, Mycroft Holmes, Quasi tutti, Sherlock Holmes
Note: nessuna | Avvertimenti: Spoiler!
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'Heart'
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                  Ti brucerò il cuore





                                                  Finalmente a casa



… Restarono per qualche secondo ad osservarsi, ma nessuno dei due riuscì a dire altro. Il medico, allora, facendo un sorriso in segno di saluto, uscì dall’appartamento con uno sconforto che gli inondava il cuore.






Sherlock era in cucina ad armeggiare con composti e provette mentre ascoltava attento degli strani rumori provenire dalla camera di John. Capì ben presto che stava facendo le valigie. In fondo era stato chiaro quando era ritornato a Baker Street, aveva tenuto a precisare, infatti, che sarebbe rimasto soltanto fino alla sua completa guarigione. Aveva sperato che, dopo la conversazione avuta al cimitero, il suo amico decidesse di rimanere lì per sempre. D’altronde lo aveva detto lui che entrambi avevano bisogno l’uno dell’altro, ma allora perché stava decidendo di andarsene? Perché ritornare alla sua vecchia vita, decisamente più lontana dalla sua? Non riusciva a trovare una risposta logica a quelle domande, ma sapeva soltanto che non voleva che se ne andasse di nuovo. Decise, comunque, di non dire niente. Se John era più felice nel tornare a vivere nella sua vecchia casa, che aveva condiviso con Mary, non si sarebbe opposto, ma avrebbe accettato la cosa nonostante facesse male.
Dopo essersi scambiati frasi e saluti decisamente sforzati, il medico se ne andò titubante da Baker Street. Sherlock rimase seduto sulla sua poltrona ad osservare la porta che il suo migliore amico aveva appena chiuso dietro di lui. Quella casa era ritornata di nuovo fredda e vuota e la cosa non gli piaceva per niente.
Mentre era immerso nei suoi profondi pensieri, qualcuno aprì la porta del suo appartamento. Per un piacevole istante di pura illusione, pensò fosse John che, pentitosi della sua decisione, si era convinto a restare di nuovo lì con lui. Purtroppo, però, non era il suo migliore amico, era Mycroft.
“Fratellino…come stai?” chiese il fratello maggiore.
“Bene…” rispose Sherlock con un’espressione decisamente delusa.
“Ho visto il dottor Watson andare via…ha deciso di ritornare nella sua vecchia casa allora?” domandò con un tono di chi sa più di quello che dice.
“Mi sembra evidente…” sputò il detective un po' acido.
“Pensavo gli chiedessi di restare!” disse Mycroft con uno sguardo indagatore.
“Lo sai che non avrei potuto chiederglielo! Con Sherlyn avrà di certo bisogno dei suoi spazi. Non potevo obbligarlo a restare qui controvoglia!” rispose Sherlock, infastidito dall’insistenza del fratello.
“Oh, Sherlock…a volte sei così ottuso!” esclamò il politico divertito.
“Si può sapere di che stai parlando?” sputò il detective, iniziando ad alzare il tono di voce.
“Non capisci che il dottor Watson aspettava che fossi tu a chiedergli di restare?” incalzò Mycroft.
“Non dire sciocchezze! John sa benissimo che questa resterà sempre casa sua! Sa che poteva rimanere senza il bisogno di un invito formale!” rispose Sherlock convinto.
“Oh, Santo Cielo! Allora ti ostini proprio a non capire, fratellino! Questa volta non è una questione tra te e lui, ma c’è di mezzo sua figlia! Conoscendo i tuoi stili di vita e le tue contestabili abitudini, credi davvero che ti avrebbe costretto a cambiare tutto, imponendoti la presenza di una bambina in giro per casa? Usa un po' quel maledetto cervello, Sherlock!” urlò il politico.
Il detective era senza parole. Pensò che, ultimamente, gli capitava troppo spesso di non sapere cosa dire e come comportarsi. “Tutta colpa di questi dannati sentimenti!” pensò tra sé e sé.
“Beh, io vado…ho un appuntamento importante al Diogenes Club. Passo domani…” disse all’improvviso Mycroft, andando via e lasciando il fratello immerso nei suoi pensieri.







Erano le due di notte e John non riusciva a chiudere occhio, al contrario di Sherlyn che dormiva beata nella sua culla. Aveva passato la giornata a mettere tutte le sue cose in ordine e, nonostante cercasse di convincersi di aver fatto la scelta giusta, non faceva altro che pensare a quanto desiderasse trovarsi a Baker Street. Fuori, intanto, si stava scatenando un forte temporale e il rumore della pioggia non faceva altro che incrementare il suo senso di irrequietezza. Poiché il sonno non si decideva ad arrivare, si alzò dal letto e si diresse in cucina con l’intenzione di prepararsi una tazza di tè. Mentre riempiva d’acqua il bollitore, però, qualcuno bussò con forza alla sua porta. Per un momento pensò di esserselo immaginato, in fondo chi poteva andare da lui alle due di notte? Poi, sentendo che i colpi venivano dati con maggiore forza e insistenza, decise di andare ad aprire. Appena aprì la porta, rimase sorpreso nel vedere chi aveva di fronte. Sherlock era sulla soglia di casa sua, bagnato fradicio, tremante e con il respiro affannato.
“Cristo Santo, Sherlock! Che diamine ci fai qui? Sei tutto bagnato! Entra o ti prenderai una polmonite!” urlò il medico preoccupato.
“Devo parlarti…” rispose il detective, mentre il suo corpo era attraversato da brividi di freddo.
“Santo cielo, sono le due di notte e fuori c’è il diluvio! Potevi chiamarmi!” esclamò John con rimprovero “…dai, togliti il cappotto e vai ad asciugarti davanti al camino…ti vado a prendere una coperta ed un asciugamano per la testa!” aggiunse rassegnato.
Il dottore andò in bagno a prendere ciò che poteva servire al suo amico e, appena rientrò nel soggiorno, si fermò con tutto l’occorrente in mano ad osservare Sherlock. Si era seduto a terra con le gambe incrociate davanti al camino. Aveva le mani tremanti distese leggermente verso le fiamme nel tentativo di riscaldarsi dopo l’evidente corsa notturna sotto la pioggia. A vederlo così sembrava un bambino smarrito e indifeso, tanto da fare quasi tenerezza.
“Ecco qui…” disse John, poggiandogli la coperta sulle spalle e iniziando ad asciugargli i capelli con l’asciugamano.
“Grazie…” disse Sherlock con un sorriso.
“Beh, si può sapere cosa devi dirmi di tanto importante da metterti a correre di notte sotto un diluvio?” chiese il medico con dolcezza.
Il detective inizialmente non rispose, continuando a fissare le fiamme nel camino. Poi, all’improvviso, si alzò di scatto da terra, facendo spaventare John e lasciando cadere la coperta a terra.
“Dobbiamo andare!” esclamò, dirigendosi nella camera da letto.
Il dottore era di nuovo sconvolto da quello strano comportamento. Un po' titubante seguì l’amico nella stanza e lo vide prendere tutti i vestiti suoi e di Sherlyn dall’armadio e metterli, in malo modo, nelle valigie che aveva finito di sistemare proprio quel pomeriggio.
“Sherlock…che stai facendo?” domandò John confuso.
“Mi sembra ovvio! Raccolgo le tue cose e quelle di Sherlyn…!” rispose il detective senza alzare lo sguardo.
“Si, questo lo vedo…ma non capisco il motivo…” disse pensieroso il medico.
“Semplice…tornate a casa!” rispose il consulente investigativo, sorridendo.
John sorrise a sua volta. Pensò che solo Sherlock potesse essere capace di sorprenderlo e di stravolgerlo in piena notte con i suoi soliti modi irruenti e teneri allo stesso tempo.
Quella notte John e Sherlyn fecero ritorno a Baker Street. Il medico, esausto, crollò sul suo letto,nella camera di sopra con l’intenzione di sistemare le sue cose il giorno dopo.
Si svegliò in tarda mattinata, ancora confuso per la strana notte passata. Era contentissimo di essere ritornato al 221B, ma, nonostante tutto, non era ancora convinto che quella fosse la giusta soluzione per entrambi. Si sentiva decisamente in colpa nell’imporre al suo migliore amico un cambiamento così radicale. Preso da tutti questi pensieri, si alzò e si avvicinò alla culla per prendere Sherlyn, ma della bimba non c’era traccia. Assalito da una forte preoccupazione, si mise qualcosa addosso e scese di corsa le scale diretto di sotto per avvisare Sherlock. Aprì di scatto la porta e rimase pietrificato sulla soglia. Il soggiorno era stato riordinato: non c’erano coltelli infilzati sul camino, non c’erano carte e fascicoli sparsi ovunque, non c’erano oggetti buttati a caso a terra, era tutto molto più ordinato e pulito di come lo avesse mai visto.
“Sherlock?” lo chiamò titubante, ma non ricevette risposta.
Ancora più confuso, si avvicinò lentamente verso la cucina e vide che anche quella stanza era stata decisamente ripulita. Il tavolo era ormai sgombro da tutte le provette, dal microscopio e dagli intrugli che, di solito, venivano fuori dopo strani esperimenti. Decise di controllare anche il frigo e vide che non c’erano resti di parti umane, ma solo del semplice e sano cibo.
“Sherlock!?” lo chiamò di nuovo, ma l’appartamento sembrava vuoto.
“Cu-cù!” disse la padrona di casa sbucando dalla porta.
“Signora Hudson! Dov’è Sherlock? Sherlyn è con lui?” chiese preoccupato e ancora sorpreso.
“Oh, sarà nell’appartamento di sotto. Ha visto com’è stato carino a mettere tutto in ordine per il vostro arrivo?” rispose contenta la donna.
“Si…ho visto…l’appartamento di sotto!?” chiese ancora più confuso.
“Si, quello che non sono mai riuscita ad affittare. Ha deciso di prenderlo lui e di spostare lì tutte le sue cose. Ha creato una sorta di laboratorio lì sotto! Che Dio ce la mandi buona con quei suoi strani esperimenti!” rispose la signora Hudson.
John non poteva credere ai suoi occhi e alle sue orecchie. Possibile che Sherlock avesse fatto tutto questo per lui e Sherlyn? Ancora confuso, scese di sotto diretto nell’altro appartamento. Si ricordò di averlo visto soltanto una volta, quando molti anni prima il dinamitardo, che poi si scoprì essere Moriarty, lasciò proprio lì le scarpe del ragazzo morto nella piscina: Carl Powers. Preso dai ricordi, si ritrovò davanti alla porta. Era leggermente socchiusa, perciò la spostò con la mano, giusto quel tanto che bastava per vedere all’interno. La signora Hudson aveva ragione: lì Sherlock aveva allestito un vero e proprio laboratorio chimico. Al centro c’era un tavolo enorme con sopra le provette, il microscopio e tutti i suoi intrugli; in fondo c’era una scrivania, piena di tutti i documenti e i fascicoli; a destra l’intera parete era stata tappezzata di foto, carte e foglietti; a sinistra, invece, c’era un grande frigorifero che, di sicuro, conteneva chissà quali resti umani su cui fare esperimenti. Sherlock in quel momento si trovava davanti a quello schema creato sul muro, aveva Sherlyn sul braccio destro e tre foto nella mano sinistra che osservava attentamente.
“Bene Sherlyn…abbiamo una donna trovata morta in casa sua. Nessun segno di lotta e di effrazione…e questi qui, sono i nostri tre principali sospettati: il marito, il cognato e il giardiniere…cosa ne pensi?” disse Sherlock, rivolgendosi alla bambina.
La piccola mosse la manina nel tentativo di afferrare una foto e il detective scoppiò a ridere.
“Oh, sei proprio come tuo padre! Sempre troppo sentimentale…credi davvero che sia stato il marito? No, troppo banale! Sai chi è stato invece? Il cognato! Aveva una relazione con la vittima e a quanto pare lui la usava per rubarle dei soldi di nascosto, ma nel momento in cui lei ha capito tutto, lui ha pensato bene di metterla a tacere. Più tardi avviseremo Lestrade…ma per ora divertiamoci ad immaginarlo brancolare ancora nel buio!” esclamò Sherlock, con tono decisamente divertito.
John, da dietro la porta, era davvero intenerito dalla scena che aveva di fronte. Non immaginava questo lato di Sherlock. Ma in fondo aveva scoperto più aspetti del suo carattere in questi mesi passati a combattere Sherrinford, che in tutti gli anni trascorsi a convivere.
Colpito ancora da quella scena, il medico entrò nell’appartamento, attirando l’attenzione del detective.
“Buongiorno, John! Perché hai quel sorriso da ebete in faccia?” chiese serio.
“Buongiorno! Io non…ho visto sopra che…sono proprio…” cercò di dire il medico, ma non riusciva a formare una frase decente.
“Riesci a formulare almeno una frase di senso compiuto entro mezzogiorno? Noi qui stiamo lavorando!” rispose Sherlock divertito.
“Un caso?” chiese John, non riuscendo a dire altro.
“Si, mi ha chiamato stamattina Lestrade. Decisamente noioso…l’ho risolto senza neanche muovermi da qui! Comunque devo ammetterlo: tua figlia ha un notevole talento…commette i tuoi stessi errori di valutazione, ma tutto sommato promette bene!” rispose il consulente investigativo, guardando Sherlyn.
“Sherlock…” iniziò il medico, intenzionato stavolta ad esprimere i suoi pensieri “…hai fatto tutto questo per me?... Per noi?” chiese poi semplicemente.
“Si…ho sbagliato qualcosa?” domandò il detective insicuro.
“No…è davvero la cosa più bella che potessi fare per noi!... Grazie!” rispose John sorridendo. Sherlock ricambiò il sorriso e poi, ritornando serio, si rimise al lavoro con Sherlyn.




Erano le tre di notte e il dottore, al contrario di sua figlia, non riusciva a dormire. Non faceva altro che pensare a tutto quello che il suo migliore amico avesse fatto per dimostrargli di volerlo davvero lì con la bambina. All’improvviso sentì dei rumori provenire dal soggiorno e si mise in ascolto per capire cosa stesse succedendo. Dopo alcuni minuti, Sherlock iniziò a suonare il suo violino. John allora si alzò e scese di sotto per godersi la meravigliosa melodia che echeggiava nell’appartamento. Entrò nel soggiorno e, come faceva sempre, si andò a sedere sulla sua poltrona. Il detective era voltato verso la finestra e suonava, con la sua solita grazia, un susseguirsi di note dolci e rilassanti. Mentre si trovava lì, nella calma che solo Baker Street riusciva a trasmettergli, pensò che, in fondo, nonostante la morte di Mary e tutte le cose brutte che erano successe, c’era ancora la speranza che tutto potesse andare per il meglio, c’era la speranza di poter essere di nuovo felice.
“Straordinario…” esclamò al termine della melodia, riferendosi come sempre al suo migliore amico.






Come ogni bel finale che si rispetti, anche questa storia prevede un lieto fine che, pieno di speranza e felicità, riesce a trasmetterci quel senso di tranquillità che tanto amiamo. Però si sa: proprio quando le cose sembrano andare per il verso giusto, c’è sempre qualcosa che, in agguato nell’ombra, è capace di sconvolgere, di nuovo, il sano equilibrio che si è raggiunto con tanta fatica…. Ma questa, è un’altra storia.







Angolo dell'autrice:
Salve! Eccovi il ventunesimo e ultimo capitolo! Mi dispiace un po' che la storia sia finita, ma adesso posso svelarvi cosa ho in programma! Beh, avevo intenzione di fare una storia incentrata su una Johnlock e poi, mentre pensavo al finale di questa storia mi sono detta...Visto che Sherlock e John si trovano di nuovo a vivere insieme, perché non creare un seguito? Ed ecco qui l'idea...se questa era la "mia" quarta stagione...ora vi propongo la quinta stagione (puramente Johnlock), visto che in fondo c'è qualcuno che, non essendo morto, chissà se potrà ritornare a fare danni...Mah!
E, forse, se le troppe idee non mi faranno esplodere il cervello… ci sarà anche una terza storia (una sesta stagione) sempre Johnlock, che però sarà molto ma molto angst! Diciamo una sorta di trilogia...le raccoglierò tutte e tre in una serie, così potranno essere lette in successione e con il giusto ordine...!
Perciò non preoccupatevi...che come ho detto nell'altro capitolo...non vi libererete di me così facilmente! Ahahahaah...
Grazie a tutti quelli che hanno seguito la storia e l'hanno messa tra le preferite/seguite/ricordate. Grazie a tutte le recensioni che mi avete lasciato, grazie a chi mi ha inserito negli autori preferiti e grazie anche a chi vorrà seguire tutto ciò che ho in mente per la continuazione.
Alla prossima ;)

 
   
 
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