«Ruth e
Nicola non hanno potuto unirsi a noi, ma mi hanno assicurato che cercheranno di
arrivare in tempo per la cerimonia di fidanzamento», il signor Payne mangiava
di gusto le prelibatezze che gli venivano servite e, quando si parlava
dell’imminente fidanzamento del figlio, gli brillavano gli occhi. Vedere Liam
in procinto di sposarsi con la discendente, tra l’altro molto bella, di una
persona importante come il capitano Smith era come un sogno ad occhi aperti per
lui.
Harry
sbocconcellava il cibo con aria vagamente distratta, ricomponendosi quando suo
padre gli lanciava occhiate eloquenti sussurrandogli “Harry, per favore!” per poi tornare alla posizione precedente in
pochi minuti.
C’era di
tutto: caviale, pollo arrosto, agnello, tutti i tipi di frutta e verdura
possibili (perfino alcuni a lui sconosciuti), il miglior pesce in circolazione
e molto altro.
Le
conversazioni riguardavano perlopiù la cerimonia di fidanzamento, discussioni
sulla finanza locale (specialmente da parte del magnate) e le rispettive
famiglie.
«Allora,
Harry, che progetti hai per il futuro?», il ragazzo sobbalzo tanto era sorpreso
e si rivolse verso il suo interlocutore, ovvero Geoff Payne.
«Ehm… vorrei
iscrivermi all’Università e studiare qualcosa in ambito artistico, magari
musicale», rispose il giovane.
Des alzò gli
occhi al cielo, «ne abbiamo già parlato, non hai bisogno di studiare.
Hai tutto ciò di cui un ragazzo di buona società ha bisogno».
A quel punto s’intromise Anne, «dovresti preoccuparti
di trovare una fidanzata, soprattutto perché sei quasi in
età da matrimonio»; all’epoca ci si sposava
mediamente dai diciassette ai vent’anni, raramente
oltre.
Harry abbassò lo sguardo e posò le posate accanto al
piatto di insalata che stava mangiando. Era da mesi che ci pensava su, ma non
sapeva come dirlo alla sua famiglia. Ormai ne era certo, era attratto dal suo
stesso sesso, l’aveva sperimentato sulla sua pelle più volte; gli era capitato
di trovarsi in presenza di ragazzi piuttosto belli e di sentirsi attratto da
loro, come se fosse una di quelle ragazzine che delle volte, a Londra, lo
guardavano ridacchiando con le amiche.
E poi, lui amava la musica. Sapeva suonare
perfettamente il pianoforte e, in segreto, componeva e scriveva canzoni.
Avrebbe dato qualsiasi cosa per studiare qualcosa in quel campo, per far sì che
quella passione diventasse il suo lavoro. Una volta Gemma lo aveva sentito
cantare e lui, appena si era accorto della sua presenza, aveva smesso di colpo,
ma lei lo aveva guardato stupefatta esclamando che aveva una voce stupenda. Lui
non ne era poi così sicuro, ma nonostante ciò quel complimento gli aveva
scaldato il cuore; sua sorella era l’unica che lo spronava a fare ciò che più
gli piaceva e a seguire i suoi sogni, e questo lo rincuorava moltissimo.
Distolse la testa dai suoi pensieri e, non riuscendo a
sopportare quella conversazione, decise di allontanarsi, «signori, scusate,
credo di sentirmi poco bene. Vi dispiace se prendo una boccata d’aria per un
paio di minuti?».
Karen gli sorrise comprensiva e Anne disse
semplicemente, «certo caro, vai pure», tutti i presenti si limitarono ad annuire.
A quel punto si alzò e s’incamminò verso l’imponente
scalinata ma, dopo aver passato un paio di tavoli, qualcuno gli finì addosso
alla velocità della luce esclamando “oops” e ruzzolando a terra con lui. Quando
si riprese dallo stordimento era seduto a terra, con la testa che gli girava e
pezzi di cibo sparsi per i vestiti; una piccola coscia di pollo e alcune
fettine di patate gli erano finiti tra i ricci.
Guardò in direzione di colui che gli era venuto
addosso, infastidito, ed esclamò, «stai attendo a dove vai, razza di imbra…»,
quando lo vide bene gli si mozzò il fiato in gola e non riuscì più a formulare
una frase di senso compiuto, «io, oh, ehm… ciao».
Ciao? Cosa? Mi
è bastato così poco perché mi andasse di volta il cervello?!?
Davanti a lui c’era il ragazzo più bello che avesse
mai visto.
I suoi occhi azzurri lo fissavano, spalancati e
sinceramente dispiaciuti, le sue guance erano tinte di un rossore adorabile – adorabile? Harry, riprenditi! – e le sue
labbra sottili erano leggermente dischiuse.
«Mi dispiace da morire», disse, e iniziò a cercare di
ripulire Harry.
«E-ehi!», ora fu il turno dell’aristocratico di
arrossire fino alla punta delle orecchie, «l-lascia che ti dia una mano»,
riuscì ad aggiungere, e cominciò a raccogliere le stoviglie sparse a terra,
cercando maldestramente di rimetterle sul vassoio.
«No, lasci stare, ci penso io», disse l’altro tutto
d’un fiato. I due continuavano a scrutarsi a vicenda, l’uno all’insaputa
dell’altro, e nessuno sapeva cosa dire. I presenti in sala ridacchiavano e li
indicavano, ma loro sembrarono infischiarsene. Era come se si fosse creata una
bolla intorno a loro e tutti gli altri ne fossero esclusi.
Harry studiò l’altro ragazzo, poi, cercando di vincere
l’imbarazzo, si presentò, «io sono Harry Styles». L’altro arrossì di nuovo,
stavolta più violentemente, farfugliò qualcosa e rispose, «Louis».
Si guardarono per l’ennesima volta e sorrisero nello
stesso, preciso momento.