Le regole
del toccare
Comporre
un puzzle è semplice, dopotutto, basta che comprendi la posizione di ogni
tassello e il gioco è fatto. Ci sono tanti tipi di tasselli con cui puoi
provare e sei certo che alla fine ce la farai. La storia è differente quando te
ne manca uno, non ci sono soluzioni, se non quella di riaverlo tra le mani per
completare il puzzle, lo cerchi, ma la scatola è vuota e ci sono due
possibilità, vivi con quell’agonia di non riuscire a finirlo o vai avanti e ne
inizi un altro.
Brooklyn, 14 febbraio 2016
La
New York che Steve ricorda è un’immagine oramai sfocatasi con il tempo. Le
uniche memorie a cui puoi aggrapparsi sono quelle con Bucky, le mani sul suo
corpo e i suoi baci lasciati su ogni porzione di pelle, ma la persona
sorridente e pronta a scherzare in ogni situazione ora non c’è, o meglio, si
rifiuta di tornare; è chiusa in una gabbia, ovattata e nascosta a lui. Il
lucchetto che si mostra, luccicante e intricato non osa dare possibilità di
aprirsi, la chiave non c’è e nemmeno un incantesimo potrà farlo aprire, se non
a quello a cui Bucky rifiuta puntualmente: l’amore di Steve. Non si lascia
toccare da nessuno, il contatto tra due pelli è come una scottatura troppo
difficile da sopportare. Gli sguardi che il moro gli rifila sono colmi di odio,
rabbia e di dolore, Steve lo vede attraverso quelle iridi chiare, è dilagante e
lo sta distruggendo, ma Bucky non si lascia curare, non lo ha mai permesso e
non lo farà questa volta.
“Oggi
potremmo andare allo Smithsonian…che ne dici?” Steve lo guarda, in attesa di
una risposta, che spera positiva. Ma quello che riceve è un’occhiataccia poco
apprezzabile. Va in ritirata riponendo le stoviglie nel lavello.
“Perché?”
Steve si volta di scatto per vedere il volto di Bucky con un punto
interrogativo. Ecco qual è il problema, James non comprende perché lo faccia,
lui potrebbe andare avanti con la sua vita, fidanzarsi e mettere su famiglia invece
è lì che cerca di recuperare un caso che assomiglia più a un rompicapo che a una
persona vera e propria.
“Come
non potrei?” I lineamenti del biondo si addolciscono ma quelli del moro no,
anzi si incupiscono ancora di più. “Bucky sei mio amico.”
“Anche
Sam è tuo amico.” Steve non capisce questa constatazione.
“Quindi
qual è la risposta fatidica?” La voce incerta.
“Non
penso che sia una buona idea.” Steve tira un sospiro di rassegnazione. “Potrebbe
scatenarsi una Terza Guerra Mondiale in quel museo per causa mia.”
“Io
non credo.” Bucky si alza dal divano e si avvicina a Steve con due falcate. “Smettila
di vedere della cazzo di speranza! Odio quando lo fai!” Steve rimane
pietrificato da quella risposta e per qualche attimo può sentire le lacrime
prorompenti. Bucky si allontana subito dopo, il biondo è troppo vicino per i
suoi gusti e poi si sente un mostro per averlo trattato così. Sfila dalla tasca
dei jeans logori l’accendino e una sigaretta, apre la portafinestra ed esce sul
terrazzo, ha bisogno di stare da solo.
Steve
finisce di lavare i piatti e poi si mette ad osservarlo da dietro le tendine. È
così bello ma allo stesso tempo dannato, Bucky è come una rosa delicata, ma con
tante, troppe spine. Il fumo gli esce dalla bocca lentamente, fumare lo
rilassa, lo ha notato parecchie volte, anche se preferirebbe che non lo
facesse.
Dopo
pochi minuti si rende conto che è Bucky, è rientrato, l’odore sgradevole del
fumo si percepisce perfettamente. Vede Bucky appoggiarsi al vetro della
finestra e osservare la vita sotto di loro. Fa un passo in avanti deciso a
intavolare una conversazione, James si volta e lo fissa, non è arrabbiato, ma
il suo volto è impassibile. Non prova niente.
“Da
quanto fumi?” Le labbra di James si increspano in un piccolo sorriso che
scompare dopo pochi secondi. “Abbastanza da capire che è uno schifo.” Infila le
mani nelle tasche profonde della felpa e giocherellando con il pacchetto di
Marlboro. Steve continua a guardarlo e ora come ora potrebbe prendergli il
volto tra le mani e lasciargli un lungo bacio sulle labbra. Ma sa che sarebbe
qualcosa che va oltre il destabilizzare totalmente il suo essere.
“A
cosa stai pensando?” Il biondo viene colto in flagrante come un bambino dopo
aver fatto una marachella. “Niente di importante.” Bucky continua a guardarlo
storto, si sposta da quella posizione per poi scivolare sul divano con in mano
il pacchetto di sigarette. “Rogers smettila di guardarmi in quel modo.” Steve
fa un piccolo sorriso.
“E
perché mai?” Lo chiede con una punta di provocazione. Bucky lo guarda storto
stringendo i pugni, non dovrebbe sfidare chi sa quali sono i suoi punti deboli.
Eppure il biondo osa provocarlo e lo fa così bene, basta poco a lui perché lo
faccia arrabbiare, ha le carte giuste e milioni di vantaggi. Non risponde alla
sua domanda, è un debole contro un uomo forte e sicuro sé. Steve abbandona la
speranza che gli risponda, così si dirige in camera a riordinare gli indumenti
lasciati ad asciugare al sole. Ama Bucky con tutto il suo cuore ma sa per certo
che non può oltrepassare quella linea immaginaria eppure così spessa che li
divide.
“Mi
dispiace.” Steve lascia cadere la canotta di lino sul pavimento nell’esatto
momento in cui sente la voce di James alle sue spalle. Silenzio. Sente il
respiro dell’altro farsi pesante e sa che per lui non è facile porre scuse che
non hai mai saputo dare. “E’ tutto okay Buck” Nessuno rumore aleggia nella
stanza, se non quello delle automobili nella strada e i passi felpati di Bucky
tornare nel salotto. Steve riordina le ultime cose e poi si dirige nel
soggiorno, il Soldato è in piedi al centro della stanza con il volto rivolto
verso il basso e gli occhi puntati su una piccola cornice.
“Ti
ricordi Azzano?” Bucky fa un sorriso triste, ha già provato a ricordare la loro
storia ma è come fare un buco nell’acqua. Steve si avvicina a lui provando ad
aiutarlo nei ricordi ma quello che riceve è un’occhiata gelida e uno scatto da
parte del moro che si allontana da lui il più possibile. Il biondo capisce. “Io
esco a fare un giro, tu pensi di venire?”
“Dove
vai?” Una domanda piuttosto diretta. “Pensavo di fare un giro a Brooklyn, tutto
qui.”
“Dammi
due secondi.” Lo vede scattare dalla sua posizione per poi scomparire nella sua
camera, pochi attimi e ritorna con una giacca di pelle nera e i capelli
raccolti in un codino improvvisato. Steve pensa che anche in quel momento sia
bellissimo.
Prendono
la moto, ognuno la sua. Due Harley simili e due guidatori separati da un
abisso. Brooklyn è cambiata col tempo, le abitazioni sono più futuristiche e
gli imponenti grattacieli che si stagliano nel cielo non ricordano per niente
la vecchia città di Steve. Si fermano dopo pochi isolati, Steve ha deciso che
prenderà un caffè. La cameriera del bar, dalla scollatura pronunciata lancia
occhiatine maliziose nella sua direzione ma lui non ci bada molto a differenza
di Bucky che la guarda storto come se fosse geloso che potesse rubarglielo.
“Non
ti preoccupare è normale che facciano così.” Bucky diventa paonazzo, come se
fosse stato colto nel manifestare il suo disprezzo in quell’azione. “E perché
non fai niente?” Steve fa un piccolo sorriso. “E’ difficile trovare una persona
con analoghe esperienze di vita al giorno d’oggi.” La risposta gli sembra più
che corretta. “Potresti farti una nuova vita e invece sei qui.” Ancora quel
discorso, il biondo preferirebbe non ritornarci un’altra volta.
Dopo
aver pagato il conto, risalgono sulle moto e si dirigono al molo, è freddo e il
vento gelido sferza la faccia di entrambi. Il mare d’inverno ha un che di
speciale, Steve lo pensa sul serio. “Il mare è sempre stato così bello. Non trovi?”
Si volta alla sua destra, ma vede solo ciottoli e acqua, sposta lo sguardo
finché non nota Bucky seduto sulla scogliera, i capelli lasciati a giocare con
il vento e lo sguardo perso nei pensieri, non ci pensa due volte a tirare fuori
la Polaroid e scattare una foto. Il soggetto della foto si volta di scatto, il
viso corrucciato mentre guarda Steve fiero del suo lavoro. “Che cosa hai fatto?!”
Strappa dalle mani del biondo la foto e la fissa. Il braccio di vibranio è
nascosto dal giaccone e se non fosse per quello, la foto sarebbe stata già
strappata. Riconsegna tra le mani di Steve la foto e gli passa accanto facendo
sbattere la sua spalla contro la sua. James non trova divertente essere
fotografato.
Steve
accarezza i bordi di quella foto mentre la osserva attentamente, sono così
simili il Bucky della Seconda Guerra Mondiale e l’ibrido che è ora eppure c’è
quella differenza che li rende diversi: la voglia di vivere. Bucky non capisce
perché sia ancora vivo, Steve sa che i primi giorni di convivenza ha tentato di
uccidersi e così ha dovuto badare più spesso a lui e a non lasciarlo solo per
più di cinque minuti, il Soldato è un’ottima macchina per uccidere gli altri ma
anche se stesso. Poi sono passati ai pianti disperati, i cuscini umidi di
lacrime e i fazzoletti abbandonati sulle coperte e i mobili di casa. Come
sempre James ha rifiutato apertamente che Steve lo aiutasse, anche quando le
urla di dolore erano atroci. Ora è diverso, i pianti non ci sono più, i
tentativi invano di suicidio sono scomparsi perché il Soldato ha imparato a
tenersi tutto dentro, non si fa toccare da nessuno e trova fastidiosa la
compassione con le proposte di aiuto da parte degli altri. È la notte che Steve
teme di più, il sipario cala e la maschera che tiene per tutto il giorno Bucky
la fa scomparire in camera sua, gli incubi sono una costante che non ha mai
fine, e Steve non sa niente di quelli, Bucky non ne parla e odia quando gli è
chiesto di farlo. Sfogarsi non è il suo forte.
“Ah…
casa dolce casa.” Steve abbandona la giacchetta sulla sedia, si sfila gli
scarponi e poi abbandona il corpo sul divano, non è stato un pomeriggio così
male dopotutto. Sfila dalla tasca posteriore dei jeans il telefono e trova due
messaggi: uno di Natasha e uno di Sam.
Da: Nat
A: Steve
Ehi capitano stasera Tony
organizza una festa alla torre, che ne diresti di portare il tuo strambo amico?
Da: Steve
A: Nat
Mi piacerebbe
tanto ma non se possa andare bene, stiamo procedendo a piccoli passi.
Steve
scorre la cartella dei messaggi e ne invia uno anche a Sam.
Da: Sam
A: Steve
Steve ho trovato
altro materiale sull’Hydra magari questa sera potremmo darci un’occhiata che ne
dici?
Da: Steve
A: Sam
Potremmo, ma non
credo che stasera Buck voglia venire, è difficile riadattarlo a tutto questo.
Steve
chiude la cartella e ripone il telefono sul mobile adiacente al divano,
vorrebbe far conoscere Bucky agli altri ma non sarebbe un bene per lui, e poi
c’è una questione spinosa, quella dei genitori di Tony, sa che non lo
apprezzerebbe.
“Io
vado a farmi una doccia.” Bucky scompare in bagno, il rumore del getto
dell’acqua si sente oltre le pareti. Steve ha optato per la serata, stare in
casa a guardare uno stupido programma. Si mette a cucinare qualcosa per la cena
e se ne esce con una braciola di maiale accompagnata da insalata verde. Prepara
la tavola e per poco non gli cade un piatto quando Bucky esce dal bagno con
solo un asciugamano avvolto alla vita e il corpo ancora ricoperto dalle
goccioline di acqua. Steve se potesse le bacerebbe una per una. Bucky nota il
disagio dell’amico e fa un piccolo sorriso, gli piace provocare questo effetto
a Steve.
“Per
cena c’è questo… può andare?” La voce di Steve è stroncata da quello
situazione.
“Può
andare.” Bucky gli volta le spalle lasciando che il biondo si goda la curva
della sua schiena e i muscoli guizzanti sotto la pelle mentre scuote i capelli
umidi. Appena la figura imponente del moro entra in camera sua Steve abbassa
velocemente lo sguardo per controllare che là sotto vada tutto bene. Ottimo,
non lo è.
Mangiano
in silenzio scambiandosi occhiate fugaci e con la musica di Darin in
sottofondo.
“Domani
andrò allo SHIELD vuoi venire con me?” La proposta non è una delle migliori. “Non
metterò piede in un luogo dove vogliono la mia testa.” Steve alza gli occhi al
cielo e prima che possa controbattere Bucky si è già alzato dalla sua
postazione.
“Bucky
mi manchi.” Le parole gli scivolano via dalle labbra e si rende conto che non
doveva proprio. Il moro sobbalza e si volta di scatto. I suoi occhi sono
sbarrati, stupore? Steve non lo sa.
“Scusa
io… non dovevo…” Si alza dalla sedia inizia a sparecchiare con il volto che
brucia e gli occhi lucidi per essere un cretino. “Sono qui, non dovrei
mancarti.” Risposta ragionevole dopotutto. Steve tira un sospiro.
“Non
in quel senso.”
“E
allora in quale?” Perché a volte non capisce che chiudere la bocca è la cosa
più giusta?!
“E’
che… tu-tu…” Steve si passa una mano sugli occhi e capisce solo in quel momento
che sta piangendo.
“Io
cosa?” Il tono di voce è duro e non vuole sentire ragioni di addolcirsi.
Steve
si ferma un attimo e poi si rende conto che se proverà a proferire parola di
quello che ha intenzione di dire non vedrà ma più Bucky, già si immagina la
scena, il suo volto spaventato che fugge da una realtà che poteva sembrargli
sicura, e invece non è così, no non vuole che succeda una cosa del genere Bucky
non merita di sapere una verità che gli porterebbe solo del male.
“Niente.”
Steve finisce lì la conversazione, svia il discorso, come sempre dopotutto.
Passa oltre il corpo di Bucky che freme anche solo a una vicinanza troppo
eccessiva. Si dirige in camera, dove indossa solo un paio di pantaloni dal
tessuto morbido per la notte. È tardi ormai e non ha intenzione di riaffrontare
Bucky un’ultima volta perché sa che sarebbe quella che gli farebbe dire tutto e
lui preferisce di no.
È
l’una di notte quando sente uno strascichio accanto alla sua stanza da letto,
apre leggermente gli occhi e nota il corpo di Bucky appoggiato allo stipite
della porta che lo fissa, gli occhi color ghiaccio non lo lasciano un solo
secondo.
“So
in che modo ti manco.” Il cuore di Steve si blocca, sente il peso nel petto di
quella constatazione.
“Steve
perché me lo hai nascosto?” Il biondo si avvolge tra le lenzuola e fa finta di
essersi riaddormentato, sta urlando internamente.
“Dove
le hai prese?” Bucky sobbalza e risponde come se non ne sapesse niente. “Che
cosa?”
“Buck
non giocare con me.” Steve non si volta dalla sua posizione, non vuole guardare
in faccia chi sa la verità scottante.
“Erano
nel cassetto del comodino di camera tua.” Steve cerca di capire come possa
averle prese, quelle foto di loro due, una vicinanza più che amichevole. “Quando
le hai trovate?”
“Prima
di cena.” Il biondo sobbalza, quindi sapeva e non ha detto niente. “Potresti
non rovistare tra le mie cose, è una cosa che non sopporto.” La voce di Steve è
sul punto di spezzarsi, è un fottuto casino da cui non sa uscire.
“E’
una cosa che riguarda non solo tu. Avrei preferito che tu me lo avessi detto.”
Steve fa un sorriso amaro e poi si volta di scatto e nota che Bucky si è seduto
sulla poltrona della camera. “Certo! E tu saresti stato lì ringraziandomi di
avertelo detto! Bucky non sono stupido, so per certo che saresti fuggito come
fai sempre dopotutto!” Il dolore si trasforma in rabbia, gli occhi di Steve ora
brillano di una luce che James ha visto rare volte. Il moro incassa il colpo,
Steve ha maledettamente ragione.
“Ed
io Bucky ci provo ad assecondare i tuoi bisogni, cerco di starti lontano quando
lo necessiti e rinuncio a starti accanto, anche se è l’unica cosa che vorrei
fare! E tu non me lo permetti!”
“Tu
non capisci…”
“Allora
illuminami! Bucky sei come un animale ferito che rinuncia alle cure!”
“Tutto
quello che fai…” Gli occhi di Buck si fanno lucidi.
“James-”
Steve usa il suo primo nome rendendo la cosa ancora più seria di quella che è “-devi
capire che nonostante tutto quello che hai fatto a me non importa, non eri tu a
muovere i giochi, erano quei bastardi.” Steve si toglie le coperte e si avvicina
ai piedi del letto, cerca un contatto con gli occhi di Bucky che puntualmente
lui rifiuta.
“Ehi
guardami…” Le pupille del Soldato, però, sono rivolte verso il pavimento e
Steve sa che compirà una follia. Avvicina le sue mani al volto di Bucky. Il
moro alla vista di quella pelle così candida e pura scatta stringendo le mani
ai braccioli della poltrona e trattenendo il respiro per infiniti secondi. “E’
tutto okay Buck… io non ti farò niente.”
Le
dita di Steve sono sulla pelle di Bucky, la barba ispida e di qualche giorno è
una sensazione nuova. James chiude gli occhi e trema a quel contatto, una
lacrima gli scivola lungo la guancia, stringe le palpebre ancora di più. “Così
Buck, stai andando alla grande.” Le dita di Steve sfiorano il suo mento, le
labbra e giungono fino agli zigomi, è come cera bollente quel contatto, Bucky
non riesce a capire la sensazione che sta provando, è così piacevole e al tempo
stesso destabilizzante. “Steve ti prego basta.” I tocchi lievi finiscono e
James può finalmente riaprire gli occhi e vedere che davanti a lui ha uno Steve
che sorride. “Sei fantastico.” Bucky è bloccato in quella posizione, non ha
idea di cosa fare.
“Sei
stanco, è meglio che tu vada a letto. Buonanotte Buck.” Steve riporta le
coperte sopra di sé e appoggia la testa sul cuscino contento di quel progresso
gigante. Sente i passi di Bucky sul parquet della stanza e poi nella sua
camera, le luci si spengono e ritorna il silenzio. La mattina si aspetta con
impazienza.
Steve
si sveglia, gli occhi si schiudono lentamente e le farfalle nello stomaco
volano imperterrite, essere innamorati è così bello ora. Si alza, abbandonando
il caldo tepore delle coperte e si dirige in cucina, la luce filtra dalle
finestre e illumina la stanza dandole un tono caldo e confortevole. Sorride
agli episodi della sere precedente, Bucky si è fatto toccare dopo tanto tempo,
si morde un labbro mentre prepara la caffettiera. Quando ripone le tazze
fumanti di caffè sulla tavola nota che James lo sta fissando pochi metri più in
là, lo sguardo ancora disorientato e la sua maglia troppo grande che gli copre
il dorso delle mani.
“Buongiorno.”
La voce del biondo è ottimista mentre ripone su un piattino due croissant
caldi. Bucky preferisce scrutarlo che rispondergli, l’episodio della scorsa
notte è stato particolarmente strano ma piacevole, forse potrebbe riprovarci a
toccarlo ma non è sicuro che reagisca ugualmente.
Mangiano
in silenzio e James può notare che Steve trattiene a stento una felicità che
lui non riesce a capire da dove provenga.
“Perché
sei felice?”
“Se
te lo dicessi, mi guarderesti male quindi ti lascio la possibilità di
immaginare.”
Finita
la colazione, si preparano entrambi per una nuova giornata e Bucky sobbalza
quando vede uscire Steve dalla sua camera con la tenuta da Capitan America, non
immaginava che il biondo fosse così… così… attraente?! Cancella quel pensiero dalla
sua testa mentre lega i suoi capelli in una coda, eppure le foto non mentono.
Infila le mani nel suo giacchetto di pelle nero e percepisce gli spigoli di
quelle foto, ha deciso che se le porterà dietro per tutta la giornata.
“Allora
sei pronto per venire con me allo SHIELD?”
“Non
ci penserò due volte a fare dietro front se minacciano di arrestarmi.”
Le
infrastrutture dello SHIELD sono state sempre all’avanguardia, le tecnologie
più recenti spiccano tra gli agenti che camminano a passo svelto per i corridoi
dai pavimenti in marmo.
“Rogers!”
Una voce alle loro spalle li sorprende di colpo è Fury. Il volto contratto in
una smorfia alla vista di Bucky.
“Che
ci fa lui qui?” Chiede in tono stizzito. James intuisce che la fedina penale
che si porta è troppo pesante perché lo accettino in un luogo del genere.
“Nick
lo porterò con me d’ora in poi, se questo è contro la tua volontà, ne
discuterai me in un momento più opportuno.”
“Non
è un posto per lui, potrebbe… Cristo Steve! Potrebbe uccidere delle persone!” La
voce è dura ma Steve non osa piegarsi a quel tono.
“Non
è più quello che pensate tutti.”
Fury
può solo rifilare un’occhiataccia al Soldato per poi oltrepassarli continuando
gli affari che aveva per un attimo sospeso.
“Cosa
ti aveva detto?” Sibila Bucky.
“Non
badare a loro, non ho bisogno del loro parere.” La risposta da parte dell’amico
stupisce parecchio James che è costretto a tacere e a seguire Steve per i
corridoi dello SHIELD.
Bucky
passa la giornata tra sedie di pelle e riunioni su cose che non comprende, sa
solo guardare Steve, la mascella e i lineamenti che un tempo gli avrebbero
fatto perdere la testa, le labbra rosse e piene e capelli biondi dove un tempo
avrebbe passato le sue dita con piacere. Tira fuori dalla tasca le foto e
prende in mano quella che li ritrae mentre si scambiano un bacio, Bucky
arrossisce al ricordo e si sfiora le labbra cercando di ricordare la sensazione
provata. Doveva essere veramente innamorato.
Il
ritorno a casa è fatto di silenzio, nessuno parla, ognuno è troppo occupato a
guardare la visuale dal proprio finestrino.
“Tutto
sommato credo che non sia stato così male portarti allo SHIELD.”
“Non
lo so, Fury preferirebbe vedermi morto invece che camminare sul suo territorio.”
“Non
importa, c’è Capitan America che ti proteggerà.” Steve fa un piccolo sorriso e
Bucky cerca di tirare le labbra per imitarlo, ma sorridere è troppo difficile.
Il
pranzo è un piatto di spaghetti al pomodoro accompagnati da una birra rossa.
Non c’è molto da dire e inoltre Bucky non parla molto quindi Steve capisce che
sarebbe una tortura fargli spiccicare parola. Il moro lo osserva di sottecchi,
Steve è un mistero anche per lui, il suo corpo soprattutto, nelle sue memorie
lo ricorda piccolo, smunto e gracile, non di certo un uomo dal fisico tonico e
muscoloso.
“Perché
hai deciso di diventare così?”
La
domanda di Bucky rende Steve abbastanza stupito, non sa cosa rispondergli anche
se è perfettamente consapevole di cosa stia parlando James.
“A
cosa ti riferisci?”
“Non
mentire.”
“Battermi
per la giustizia è stato sempre uno dei miei sogni.”
È
in quel momento che Bucky vede il piccolo ragazzo di Brooklyn, quello che si
sarebbe sacrificato anche per la più sciocca delle ragioni, forse è per quello
che lo amava. Odia usare il tempo passato. Si passa una mano tra i capelli
mentre continua a osservare Steve, ne è così affascinato.
“Oggi
ho riguardato quelle foto.” Vede Steve sobbalzare leggermente dalla sedia di
ciliegio, la mandibola si contrae e gli occhi sono persi nel vuoto, lo mette
così a disagio la loro lontana relazione.
“Dovresti
smetterla…” Bucky rimane stupito da quella risposta.
“E
perché mai?”
“Non
ne voglio parlare, è acqua passata tutto quello che… siamo stati. Non sei
costretto ad accettarlo.”
Bucky
lo guarda duramente. È arrabbiato. Lo ha ferito. Ha sentito una stretta al
cuore nell’esatto momento che ha pronunciato quelle parole. Si alza
prepotentemente dal tavolo e fionda un gancio destro a Steve. Se il nemico ti
ferisce tu attacca.
È
da quasi mezz’ora che Steve è appoggiato alla porta della stanza di James
mentre sorregge con una mano l’impacco di ghiaccio sullo zigomo contuso, non
doveva andare a finire così.
“Buck
ti prego apri questa porta, possiamo discuterne.”
“Fanculo!”
La voce di James è rotta da… pianto? Per la prima volta Steve lo sente
singhiozzare in maniera struggente. Perché è successo tutto questo? Appoggia la
fronte alla porta e chiude gli occhi, sarebbe stato meglio se avesse cambiato
discorso invece di affrontarlo senza filtri con Buck.
“Buck
per favore… io… mi dispiace, non so cosa abbia sbagliato da farti reagire così.”
Bucky lo sente attraverso la porta, il respiro controllato e la voce morbida e
pacata.
“Bucky
apri! Ho aspettato settanta anni per stare di nuovo con te, una stupida porta
di legno non mi ferma dal venire in quella camera!”
Si
sente la chiave girare nella serratura, la porta si apre lentamente producendo
un fastidioso scricchiolio. Bucky è più che distrutto, è qualcosa di
inspiegabilmente piegato da un dolore invisibile.
“Mi
dispiace così tanto Buck..” Steve prende la mano del moro e la stringe
trasmettendogli il calore e l’amore che vorrebbe dimostrargli. Il Soldato si agita leggermente
a causa di quella stretta inaspettata ma poi si lascia andare al delicatezza
della mano di Steve.
“Che
cosa ho sbagliato?”
“Io…
credevo… credevo… che provassi…”
Steve
lo guarda con i suoi occhi azzurri in cerca di quella risposta, è così bello
James mentre si morde il labbro inferiore.
“Bucky
sono innamorato di te fin da quando andavamo al liceo. Credi che io ti dica
quelle cose per farti soffrire?”
La
dichiarazione di Steve lo lascia senza parole, il cuore si blocca per qualche
istante e poi riprendere a battere consapevole che tutto quello che sta
accadendo è vero.
“Io
non potrei mai farti del male, tu sei il mio Bucky”
Steve
abbandona l’impacco per terra per posizionare l’altra mano sulla guancia di
Bucky asciugando le restanti lacrime. Bucky chiude gli occhi e avvicina il
volto alla sua mano.
“Lo
rifaresti?”
“Cosa?”
“Steve
non essere stupido.”
“Baciarti?”
Bucky annuisce.
“E’
da settanta anni che aspetto di rifarlo.”
Bucky
si avvicina al volto di Steve, con la mano bionica accarezza i suoi capelli e
poi porta la sua bocca a pochi centimetri da quella del biondo.
“Bucky…”
Si
ritrovano a baciarsi come ai tempi passati, Bucky lo afferra per la nuca e
spinge reclamando un maggior contatto con la bocca di Steve, è un bacio che sa
di amore, di casa e di loro due. Le loro bocche si cercano finché non resta
loro più aria. Quando si staccano, sentono già la nostalgia di quel piacevole
calore. Steve appoggia la fronte a quella di James e lo fissa negli occhi, è
innamorato del suo amico ed è un amore struggente ma bello, soprattutto bello.
“Mi
sei mancato così tanto Buck…”
“Anche
tu, anche tu diamine!” Il moro decide di stringerlo tra le sue braccia, la
paura di toccarlo è oramai lontana. Gli occhi si gonfiano di lacrime di gioia
mescolate ad un tristezza inspiegabile.
“Mi
dispiace per il pugno”
“Non
ti preoccupare è tutto okay.”
Bastano
pochi secondi ed eccoli ancora a reclamare le proprie bocche, Bucky si lascia
toccare da Steve come se lo avesse sempre fatto mentre il biondo porta le sue
mani ai fianchi di Bucky e lo avvicina a sé facendo combaciare i loro corpi.
Ama
Bucky Barnes e non gliene importa di quello che pensano gli altri, è il suo
mondo e non lo lascerà distruggere un’altra volta.