Anime & Manga > Naruto
Ricorda la storia  |      
Autore: hotaru    27/03/2009    4 recensioni
Gli aveva raccontato tante volte, la sera dopo cena, mentre sua madre sparecchiava borbottando, che i Nara erano famosi a Konoha come il “clan che allevava i cervi”. Anche se “allevare” non era la parola adatta. La loro era più che altro un’affinità maturata di generazione in generazione.
“E’ per questo che mi chiamo Shikaku. Ed è per questo che tu ti chiami Shikamaru” concludeva ogni volta, puntandogli il dito contro e toccandogli il naso- cosa che gli dava un po’ fastidio- “Per ricordartelo”.
A questo punto sua madre saltava fuori ogni volta con la fatidica domanda: “E se fosse nata una femmina come l’avresti chiamata? Shikame?”. Il che poneva la parola “fine” a qualunque discorso serio.

Breve storia d'infanzia sul rapporto Shikaku/Shikamaru.
Prima classificata al contest "Genitori & Figli" indetto da Kurenai88 e V@ale
Genere: Generale, Sovrannaturale | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Altri, Shikamaru Nara
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Per recensire esegui il login o registrati.
Dimensione del testo A A A
Shika to kodomo- il cervo e il bambino

Abbiamo sentito dire più di una volta che il clan Nara ha qualcosa a che vedere con i cervi… ma chi li ha mai visti, chi ne ha mai parlato? A me sembra stranissimo che un manga (e anime) giapponese li nomini e poi li ignori così… e se invece i cervi avessero un ruolo tutt’altro che marginale nella vita di questo Clan di ninja?

Il titolo di questa storia si rifà al bellissimo film francese “La volpe e la bambina”, la cui scena madre l’ha anche ispirata.

 

Shika to kodomo – Il cervo e il bambino


Shika to Kodomo

-         Un mese? E dov’è che vorresti portare mio figlio per un mese? – probabilmente le grida furibonde di Yoshino Nara si udirono fino agli estremi confini del Villaggio della Foglia, quella volta.
-         Ma cara… cerca di capire… è un’usanza dei Nara che si tramanda di generazione in generazione… Shikamaru ha ormai cinque anni… non posso non…
-         Ha ormai cinque anni? Io direi che ha appena cinque anni! E comunque fra un mese deve cominciare l’Accademia, te ne sei dimenticato?
-         Ne ho già parlato con l’Hokage… non c’è alcun problema se anche comincia con qualche giorno di ritardo.
La moglie lo fulminò con lo sguardo:
-         Se anche comincia… in ritardo…?

 Shikaku dovette prendere il piccolo Shikamaru e scappare praticamente nella foresta.  

 
Padre e figlio si incamminarono lungo il sentiero che si inoltrava nei boschi attorno a Konoha, sempre più in profondità. Shikamaru era abituato a queste escursioni con il padre, e aveva anche più resistenza rispetto ad un normale bambino della sua età, ma ad un certo punto si sentì comunque troppo stanco per continuare.
Così il padre lo prese e se lo posizionò sulle spalle, appena sopra lo zaino.
-         Papà, ma non corri come un ninja? – chiese il bambino, un po’ sorpreso. Di solito, quando il padre se lo sistemava così, poi iniziava a saltare di ramo in ramo, percorrendo in pochissimo tempo notevoli distanze.
-         No, Shikamaru, stavolta no. Quello che dobbiamo fare non ha niente a che vedere con i ninja – e continuò a camminare tranquillamente, con passo costante.
Andando così con calma, senza il bisogno di fare attenzione a dove metteva i piedi, Shikamaru ebbe il tempo di guardarsi attorno. Per quel che gli sembrava di ricordare, non era ancora stato in quel punto della foresta. E dire che ne aveva vista parecchia, dato che suo padre la percorreva in lungo e in largo per conto dell’Hokage.
Gli aveva raccontato tante volte, la sera dopo cena, mentre sua madre sparecchiava borbottando, che i Nara erano famosi a Konoha come il “clan che allevava i cervi”. Anche se “allevare” non era la parola adatta. La loro era più che altro un’affinità maturata di generazione in generazione.
“E’ per questo che mi chiamo Shikaku. Ed è per questo che tu ti chiami Shikamaru”  concludeva ogni volta, puntandogli il dito contro e toccandogli il naso- cosa che gli dava un po’ fastidio- “Per ricordartelo”.
A questo punto sua madre saltava fuori ogni volta con la fatidica domanda: “E se fosse nata una femmina come l’avresti chiamata? Shikame?”. Il che poneva la parola “fine” a qualunque discorso serio.

 
Si era quasi in autunno, e si vedeva. Parecchi alberi avevano già perso le foglie, altri sembravano aver preso fuoco, altri ancora ostentavano un giallo così splendente che sembrava riscaldare. Sentiva il terreno sotto i piedi di suo padre scricchiolare ad ogni passo, segno che il tappeto nel sottobosco era folto.
Alzò la testa, quasi cullato dal movimento dondolante della camminata: i rami si stagliavano nel cielo azzurro chiaro, e veniva quasi da chiedersi come mai quegli stralci di nuvole bianche non vi rimanessero impigliati. Camminarono (o meglio, Shikaku camminò) tutto il giorno, senza pause, allontanandosi sempre di più da ciò che il bambino conosceva.
Il sole iniziava a calare, e i raggi dorati si infiltravano sempre più orizzontalmente fra gli alberi, abbagliando di tanto in tanto padre e figlio, che non parlavano da ore. Arrivati ai piedi di una collina sommersa dagli alberi, nella luce calda e dorata del tramonto, Shikaku aprì finalmente bocca:
-         Eccoci arrivati. Per un mese staremo qui.

 
In quella casetta di legno dovevano essere passate decine di generazioni di Nara. Sembrava essere lì da sempre, come se uno di quegli alberi fosse cresciuto in maniera un po’ particolare.
Una volta entrati, dopo essersi guardato un po’ intorno Shikamaru pose la fatidica domanda:
-         Qui? E come facciamo? – perché lì dentro sembrava non esserci assolutamente nulla.
-         So che non è come casa nostra, ma staremo benone. Di notte fa piuttosto freddo, ma abbiamo il camino per il fuoco. Inoltre non mancano stoviglie e vettovaglie…
-         Ma tu sai cucinare? – fece il bambino, un po’ dubbioso.
-         Non preoccuparti, il tuo vecchio se la cavare! – lo rassicurò il padre.

 
Quella sera, durante la frugale cena a base di o-nigiri che si erano portati da casa, Shikaku riprese il discorso:
-         Comunque in casa ci staremo ben poco, vi torneremo solo la sera per cenare e dormire. Durante la giornata staremo fuori.
-         Devi controllare le tracce dei cervi? – chiese Shikamaru, ricordando quello che il padre faceva abitualmente.
-         No, dobbiamo cercarne uno in particolare.
Il bambino alzò lo sguardo dalla propria polpetta di riso, sorpreso:
-         Anche io?
-         Anche tu.

 
Nonostante fosse prevista una sua partecipazione attiva, Shikamaru continuava a non capire cosa avesse effettivamente di particolare il cervo che dovevano cercare.
-         I suoi zoccoli sono leggermente più grandi rispetto a quelli degli altri cervi, tuttavia lascia tracce meno in vista – gli aveva spiegato Shikaku.
-         Ma come fa? – se i suoi zoccoli erano più grandi, allora doveva anche essere più pesante. Quindi avrebbe dovuto lasciare tracce più evidenti, no? Shikamaru queste cose le sapeva, gliele aveva insegnate proprio suo padre.
-         E poi – insistette – Ha solo questo di particolare?
-         No, non solo. Ma una cosa difficile da trovare è sempre e comunque speciale. Ricordatelo.

 
Questa era una delle poche conversazioni che di tanto in tanto avevano, perché Shikamaru sapeva bene che, per cercare- e trovare- qualcosa in un bosco, la prima regola era il silenzio.
Un silenzio per rispettare il luogo in cui si trovavano.
Un silenzio per ascoltare tutti i suoni e i rumori che produceva.
Un silenzio per entrare a farne parte.
E poi c’era quel momento- quel momento che rendeva le regole sopraccitate tutt’altro che una seccatura- in cui le porte della foresta sembravano aprirsi, o le loro orecchie sturarsi, e tutto, da “morto” e silenzioso che era, prendeva vita.
Una cacofonia pazzesca li accoglieva ogni volta, come se finalmente fossero arrivati gli ospiti che qualcuno- la foresta stessa?- stava aspettando.

 
Ovviamente trovarono i cervi.
Normalmente gli altri ninja riuscivano a vederli molto raramente, ma non i Nara.
Quando li cercavano loro, i cervi sembravano aspettarli.
-         È la stagione degli amori – spiegò Shikaku, mentre padre e figlio se ne rimanevano su un masso ad osservare il gruppo nella radura – Vedi? Sono tutte femmine, e quello è l’unico maschio.
Effettivamente Shikamaru se n’era già accorto. Sapeva benissimo che i maschi hanno le corna e le femmine no.
-         Ma anche quello è un maschio, che ci fa qui? – esclamò il bambino, puntando il dito verso un giovane cervo che si stava lentamente avvicinando.
-         Ora comincia lo spettacolo, ragazzo mio! Guarda e impara, presto anche tu dovrai lottare per una femmina!
Il piccolo Nara fece una smorfia disgustata, ma non staccò gli occhi dagli animali. Vide il cervo che accompagnava le femmine avvicinarsi al nuovo arrivato prima che l’altro potesse raggiungerle, e ben presto i due ingaggiarono un vivace combattimento sfruttando i giovani palchi sulle loro teste.
Il bambino non staccò gli occhi da loro per tutto il tempo, tenendo il fiato sospeso.
Nel frattempo il padre spostava lo sguardo dal figlio agli animali, sorridendo soddisfatto. Ah, buon sangue non mente! Lui stesso era rimasto incantato da quello spettacolo, tanti anni prima.
Suo figlio sembrava essere un vero Nara e, malgrado Shikaku sapesse nasconderlo molto bene, ne era davvero fiero.

Mezzanotte. Tutti i bambini di cinque anni a quest’ora dormono.
A quest’ora Shikaku andò a svegliare suo figlio.
-    Mmmm… - fu l’unico suono che emise il bambino, visibilmente poco intenzionato a lasciare il proprio letto. Oltretutto le notti si andavano facendo più fredde, e chiunque sarebbe stato restio a lasciare il calduccio in cui ci si crogiolava sotto le coperte.
-         Alzati, figliolo. Su, andiamo.
-         Mmmm… papà… - mugugnò il bambino, incapace di credere che il padre volesse davvero farlo alzare e portarlo nella foresta a quell’ora. Forse sua madre aveva ragione. Suo padre era un po’ fissato, a volte.
-         Forza, Shikamaru. Stasera lo troveremo.
-         Che cosa? – articolò insonnolito il piccolo interlocutore, che non accennava a volersi alzare.
-         Il cervo. Quello che stavamo cercando.
Ora, chiunque sa che tirare fuori un bambino dalla tana del proprio letto è un’impresa ardua. Specialmente con un bambino come Shikamaru, sul quale il sonno pesava spesso e volentieri come un macigno. Eppure… eppure dopo quell’affermazione del padre la sonnolenza sembrò sparire in un attimo: era come se qualcuno gli avesse somministrato una dose massiccia di caffeina, tutta d’un colpo.
Si mise seduto a gambe incrociate sul letto, il codino un po’ storto, mentre guardava il padre prendere in fretta le poche cose di cui avrebbero avuto bisogno.
-         Sei sicuro? – fu l’unico quesito che pose.
-         Ascolta, ragazzo mio – gli rispose l’uomo, guardandolo dritto negli occhi – Un Nara può avere dubbi su tante cose: donne, priorità, decisioni da prendere… ce ne sono una montagna!
Il bambino lo stava ascoltando attentamente, colpito da quella serietà che sua madre “andava inutilmente cercando col lanternino”, come diceva spesso.
-         … ma sui cervi no. Mai. E ora vestiti che andiamo.

 
La foresta di notte era completamente diversa. Persino gli alberi che aveva visto durante il giorno, e che toccando avrebbe saputo riconoscere ad occhi chiusi, senza la luce del sole ad illuminarli avevano un aspetto del tutto differente. E anche un po’ sinistro.
Shikamaru si strinse un po’ di più al padre, innanzitutto per allontanarsi da quei rami che sembravano avvicinarsi sempre di più. E anche perché aveva un po’ di paura.
L’uomo proseguiva sicuro, senza bisogno di alcuna torcia, guidato da una sicurezza che di fronte alla moglie di solito perdeva totalmente. Il bambino si chiese come facesse a sapere esattamente dove andare: c’era la luna, d’accordo, ma la vegetazione era comunque piuttosto fitta, con il risultato che ci si vedeva gran poco.
Shikamaru non l’avrebbe mai ammesso, ovviamente. Ma era tutto un po’ spettrale.

 Il loro cammino si arrestò in una radura diversa da quella in cui avevano osservato il corteggiamento dei cervi. Al centro vi era un lago non molto grande, le cui acque riflettevano la luce dello spicchio di luna sovrastante, mentre tutt’attorno crescevano rigogliose piante sconosciute che emanavano un profumo molto intenso, cosa piuttosto strana per quel periodo dell’anno.
“Qui ci vorrebbe l’amico di papà, quello con la figlia insopportabile” pensò Shikamaru, respirando più profondamente a quell’odore penetrante “Lui sa tutto sulle piante, sicuramente riconoscerebbe anche queste”.
Troppo preso dai propri pensieri, il bambino non si era accorto che il padre aveva proseguito, fermandosi sulla riva dello specchio d’acqua e sedendosi a gambe incrociate sull’erba profumata, perfettamente in vista.
-         Ma come, papà? Cosa fai? – chiese sottovoce Shikamaru, raggiungendolo. Nessun cervo si sarebbe mai avvicinato se se ne stavano lì in mezzo. Possibile che suo padre l’avesse dimenticato?
-         Siediti, figliolo, e aspetta.
-         Aspetta cosa? Se restiamo qui ci toccherà aspettare tutta la notte per niente! – si lamentò il bambino, quasi incredulo. Se c’era una cosa in cui suo padre non sgarrava mai, quello era il sistema per avvicinare i cervi. Era sempre paziente e silenzioso. E soprattutto cercava di rendersi il meno visibile possibile, per non disturbarli e farli sentire a proprio agio. Che gli era preso?
Shikaku lo guardò, sospirando rassegnato.
-         Sai, a volte mi dimentico che sei anche figlio di tua madre – commentò – Dai, vieni qui.
Detto questo lo prese di peso e se lo sedette in braccio, all’incrocio tra le gambe, per evitargli il contatto con l’erba bagnata dall’umidità della notte.
Shikamaru avrebbe avuto ancora qualcosa da ridire, ma tutto sommato se ne stava all’asciutto e al  caldo, protetto dal corpo del padre. In fondo quella posizione non gli dispiaceva affatto, perciò stette zitto.
E quando stette zitto, sentì.

 
C’era un po’ di vento che faceva stormire leggermente le foglie degli alberi, e che spandeva ancor più il forte odore delle piante lì attorno. Giusto un alito, come un respiro.

 La superficie del piccolo lago sembrava perfettamente piatta, invece ogni tanto si alzava qualche piccola increspatura, lieve come un battito di ciglia.

 Nel buio fra gli alberi si udiva un gran frastuono: qualcosa che grattava, picchiettava, zampettava e strisciava senza sosta. Simile al rumore di qualcuno che si schiarisce la voce.

 
Poi il silenzio.

 Shikamaru sentiva il mento del padre, appoggiato sulla sua testa, schiacciargli il codino, ma non ci fece neanche caso.

 Il bianco dei suoi occhi sgranati doveva essere sicuramente ben visibile nella notte buia, ma mai quanto il manto bianco di quello splendido cervo.

 Sotto la luce della luna sembrava ancora più chiaro, quasi splendente. O era solo perché tutto attorno a lui era così buio?

Shikamaru non aveva mai visto dei palchi così grandi. Erano enormi, altissimi, intricati quanto i rami di un albero. Eppure la testa dell’animale era eretta, il portamento elegante, come se non ne sentisse affatto il peso.

 Mentre si avvicinava all’acqua, gli zoccoli sembrarono mandare bagliori argentei, istantanei. Se fossero stati in estate Shikamaru avrebbe pensato a delle lucciole, ma con quel freddo non ce n’erano di certo.

 Pareva intenzionato a bere, invece quando fu sulla riva il cervo voltò il capo.

 E guardò loro.


Shikamaru per un istante si dimenticò di respirare.

 Non aveva mai guardato un cervo negli occhi così a lungo, di solito scappavano prima.

 Anche se sapevano che da parte loro non avrebbero avuto nulla da temere, preferivano non dare confidenza.

 Ma l’atmosfera attorno a quell’animale era completamente diversa. Aveva qualcosa di sacro. Pari alla fierezza di un re che vi osserva dal proprio trono, ma in tutta umiltà.

 Il cervo mosse leggermente le orecchie nella loro direzione, e se ne andò.

 
Quando Shikamaru riprese a respirare, gli sembrò di farlo all’unisono con la foresta intera.

 * * *

 Il mattino dopo, quando si svegliò, aveva ancora negli occhi il buio e la luce argentea della luna, perciò ritrovarsi con la stanza inondata dai raggi del sole già alto fu quasi un trauma.
-         Mmmm… - mugugnò, cercando di abituarsi alla luminosità del giorno inoltrato, le palpebre incapaci di aprirsi del tutto.
-         Certo che sei monotono, ragazzo mio! Dici sempre le stesse cose quando ti svegli! – esclamò Shikaku, ridendo di gusto alla vista del figlio che cercava in tutti i modi di scacciare il sonno rimastogli addosso, con scarsi risultati – Forza, vieni a fare colazione che poi dobbiamo partire.
-         E dove andiamo? – articolò il bambino, rassegnatosi a finire in chissà quale altro angolo sperduto di foresta.
-         A casa, no? È ora di tornare, ormai, siamo stati via fin troppo. Spero che nel frattempo tua madre non si sia risposata.

 
Per un bel pezzo Shikaku portò di nuovo il figlio in spalla. Ripassarono per il sentiero percorso all’andata, identico e diverso al tempo stesso: stessi alberi, stessa terra, anche se più spogli e impercettibilmente più amichevoli.
-         Mi sembra chiaro che tua madre non dovrà sapere nulla di ciò che è accaduto qui. D’accordo, Shikamaru?
Il bambino annuì, senza farsi domande inutili sul perché di quella richiesta. Doveva essere così, era chiaro come il sole anche a lui.
-         Comunque sarà già nervosa a sufficienza per conto suo, cerchiamo di non farla arrabbiare ulteriormente. Quindi vedi di impegnarti all’Accademia.
Accademia? Ah sì, l’Accademia… Shikamaru se n’era completamente dimenticato, e storse il naso non appena gliene sovvenne il ricordo.
-         Uffa… - brontolò, per nulla convinto.
Shikaku non si scompose più di tanto di fronte alla totale mancanza di entusiasmo del figlio.
-         Questa storia mi sembra di averla già vissuta… - commentò, ricordando come la propria madre, a suo tempo, fosse quasi arrivata a strapparsi i capelli per riuscire a fargli combinare qualcosa – … prevedo urli da parte della mia adorabile moglie…
Chiacchierarono ancora un po’, ma ad un certo punto l’uomo si fermò, facendo un cenno a Shikamaru che si sporse a guardare, osservando attentamente il terreno.
Rimasero un istante immobili, assorti in ricordi che nessun altro ninja di Konoha avrebbe mai potuto immaginare.
Poi Shikaku riprese il cammino a passo sicuro e tranquillo, col bambino appollaiato sulle spalle, come un pirata col suo fedele pappagallo.

 Sul terreno, nel punto in cui si erano fermati e che era ormai parecchio indietro rispetto a loro, alcune impronte di zoccoli.
Ma un po’ ampie rispetto a quelle lasciate normalmente dai cervi. E tuttavia meno profonde.

 

cordando come la madre  già vissuta... mancanza di buona volontà del figlioletto.  guance tirataConfesso che sono ancora senza parole. Prima? Ne sono felicissima, anche perché tengo molto a questa storia, che forse ad alcuni potrà sembrare troppo semplice.
La dedico al mio papà, che come Shikaku mi ha portato in spalla senza fiatare quando volevo vedere l’alba sul mare, anche se poi è scoppiato un temporale pazzesco e ci siamo riparati sotto un’edicola chiusa, senza vedere l’ombra di un raggio di sole.
Lo ringrazio per esserci stato finché ha potuto.


   
 
Leggi le 4 recensioni
Ricorda la storia  |       |  Torna su
Cosa pensi della storia?
Per recensire esegui il login oppure registrati.
Torna indietro / Vai alla categoria: Anime & Manga > Naruto / Vai alla pagina dell'autore: hotaru