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Autore: Testa d_Alghe    08/03/2016    3 recensioni
La guerra contro Gea é finita nel peggiore dei modi.
Percy é un ragazzo emotivamente distrutto. Ha perso tutto, gli amici, l'amore della sua vita, la voglia di vivere.
Ha deciso che di amicizie non ne vuole più perchè per perdere tutti quelli cui da affetto, allora sa che é meglio stare da soli.
Ma quando Nick Fury, il direttore dello S.H.I.E.L.D. riunisce gli Avengers e lo fa cercare in quanto terrorista, tutto cambia.
Trova suo malgrado dei nuovi amici, un nuovo amore e delle nuove battaglie.
Purtroppo, non possiedo nè Percy Jackson, che é proprietà di Rick Riordan, né gli Avengers, proprietà della Marvel
Azione
Genere: Azione, Guerra | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Nico di Angelo, Percy Jackson, Talia Grace
Note: Cross-over | Avvertimenti: nessuno
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La battaglia finale per la salvezza dell’Olimpo era cominciata piuttosto bene. La collaborazione tra dei e semidei dava i suoi frutti, in quanto unendo i poteri col proprio padre o con la madre divina si sentivano più potenti, più resistenti.
La disuguaglianza per le prime ore non si era fatta sentire, i mezzosangue abbattevano mostri su mostri, mentre i bersagli grossi se ne stavano in disparte ad osservare, per non rifare gli errori del passato. Non erano stupidi, e sapevano che finché erano riposati e uniti, gli olimpi con i figli avrebbero vinto.
 
Il combattimento continuava a infuriare, e Percy Jackson era sempre più disperato.
Combattevano da un giorno e sette ore, e da sei il figlio di Poseidone non sentiva più i muscoli. Aveva inserito il pilota automatico, andava avanti per la forza dell’inerzia. Combatteva per vendicare i suoi amici, combatteva per salvare Annabeth, l’unica che vedeva ancora in piedi oltre sé.
Uno dopo l’altro, i Sette erano caduti.
Jason, il figlio di Giove per cui nutriva un profondo affetto, nonostante non lo desse a vedere, con cui divideva l’onere del comando, la stessa potenza di fuoco, la perdita di memoria, l’aver affrontato un titano, era stato il primo a cadere. Aveva visto Piper in pericolo, che stava per essere colpita da Polibòte, e si era messo in mezzo alla spada avvelenata, prendendola in pieno stomaco. Il corvino aveva visto il suo corpo squagliarsi lentamente e senza poter fare niente.
Poi era venuta la volta di Hazel, che aveva dato la vita per Frank. Il figlio di Marte era da solo contro il proprio gigante e non poteva reggere il confronto. Così la figlia di Plutone per salvarlo, aveva dato la propria essenza per far sprofondare il figlio di Gea nel Tartaro, anche se solo per qualche ora.
Poi Leo, ucciso da una lancia vagante, un colpo molto fortunato per un ragazzo davvero sfortunato. Frank e Piper erano stati gli ultimi.
Questo aveva causato un temporaneo aumento dei poteri di Percy, alimentati dalla rabbia, che gli avevano permesso di causare addirittura un paio di terremoti, falciando le file nemiche e sorprendendo tutti quanti.
Combatteva per la libertà, combatteva per non pensare al dolore che la perdita degli amici gli causava. Sapeva che molto probabilmente li avrebbe rivisti di lì a poco, ma avrebbe portato nella tomba quanti più avversari possibili.
Tuttavia, mentre combatteva, sentì uno strappo al petto, come se la sua anima stesse subendo una divisione particolarmente dolorosa. Non si rese conto del perché istantaneamente, poiché mentre i nemici si erano fermati, lui approfittò della distrazione per ucciderne una dozzina, prima di rendersi conto della donna bionda con gli occhi grigi che piangeva inginocchiata.
Non volle credere ai propri occhi e al proprio cervello, ma quando vide una ragazza della sua età, identica ad Atena, essere presa in braccio da quest’ultima, dovette accettare la realtà.
Era l’ultimo dei Sette, e Annabeth era morta.
Si bloccò in mezzo al campo di battaglie e nemmeno si accorse che il suo corpo cominciò a brillare, non si rese conto che i suoi occhi stavano diventando freddi come il ghiaccio e pericolosamente brillanti, quasi innaturali.
L’unica cosa che capì, fu che era rimasto solo lui, e che niente avrebbe potuto cambiare questo. Quando Le Parche tagliavano un filo, era finita.
La consapevolezza di essere rimasto solo lo riempì di rabbia. Rabbia così intensa che dal suo corpo si sprigionò un potere persino superiore a quello degli dei, superiore a quello di Gea e a quello di chiunque altro, che si manifestò con un urlo disumano. Le migliaia di mostri ancora presenti esplosero in polvere, e il padre di Perseus capì che aveva evaporato i liquidi all’interno di ognuno di loro, uccidendoli.
Il suo sguardo si volse verso Madre Terra, che istintivamente indietreggiò di un passo. Per un secondo quella sensazione chiamata paura l’aveva invasa, ma non fece in tempo a dire o fare niente che si ritrovò gli occhi verde mare del figlio del dio del mare a pochi centimetri, e un dolore lancinante a percorrerle il petto.
Abbassò la testa, solo per scoprire all’interno del proprio corpo una spada lunga novanta centimetri e che brillava d’oro, spezzata in due e il cui moncone rimaneva in mano al proprietario.
Ringhiò, ma non poté fare a meno di sentirsi scivolare di nuovo nell’incoscena, per chissà quanti anni.
- Non hai vinto niente Jackson. Quello che non farò oggi, lo farò tra un millennio. Non ci saranno sempre semidei come te a difendere l’Olimpo –
Percy non rispose, ma osservò la dea che lentamente si accasciava e si confondeva con il terreno. Dopodiché si voltò verso gli dei e si incamminò verso di loro. Aveva delle domande e voleva risposte.
 
Londra non le era mai piaciuta del tutto. C’era sempre qualcosa che la bloccava, che la spingeva a non fidarsi di tutte quelle persone che apparentemente erano tutte perfette e senza difetti, beh nel limite del normale.
Per questo, quando ricevette la chiamata del comandante Fury, la prima cosa che fece fu sospirare di sollievo. Nuova missione in arrivo uguale spostamento dalla capitale inglese. A meno che non fosse proprio sfortunata, ipotesi da escludere non del tutto.
- Sì, comandante? – la voce era fredda e distaccata come sempre, ma prima di riuscire a parlare così, aveva dovuto passarsi la lingua sulle labbra, per evitare di far trapelare emozioni. Stare a contatto con persone che si definivano quotidianamente suoi amici, e che di fatto lo dimostravano, metteva a dura prova il suo autocontrollo.
- Agente Romanoff, deve subito rientrare a New York. Ho chiamato tutti quanti, abbiamo una nuova minaccia e un nuovo nome. I dettagli al rientro. Il suo jet privato l’aspetta all’aeroporto. Buon volo –
La ragazza dai capelli rossi mise via il cellulare e si avviò verso la destinazione. Un minuscolo sorriso impreziosiva il suo volto al pensiero di rivedere i suoi pseudo amici.
Poche ore dopo, si ritrovò davanti alla base segreta dello S.H.I.E.L.D, situata alla Stark Tower. Gli ultimi piani erano tutti appartamenti per gli Avengers, e quasi tutti vivevano lì. Tutti tranne Thor che viveva in giro per l’universo.
La prima persona che si ritrovò davanti fu Tony Stark
- Ehi Natasha. Hai notizie da Fury? A noi non ha detto niente – la rossa sbuffò mentalmente e riportò l’attenzione al suo interlocutore, anche se avrebbe preferito tornare a concentrarsi sul capire qualcosa della missione.
- No Stark. Sai perfettamente che se non dice niente a voi non lo dice neanche a me. Per essere un genio a volte fai proprio cilecca – Se ne andò senza aggiungere nient’altro, sentendo lo sguardo del filantropo, miliardario e di un sacco di altri titoli sul proprio fondoschiena. Si trattenne a stento da lanciargli contro uno dei tacchi dodici che stava indossando.
Posò la valigia nel proprio appartamento, e scese con l’ascensore verso la stanza adibita a sala riunioni. Sala che comprendeva tv da sessanta pollici, divani ad angolo, messi in modo da formare un ferro di cavallo davanti alla televisione, un cucinotto e un frigo. Oltre che a vari attrezzi da allenamento.
Lì seduti c’erano già Capitan America e Thor, che la salutarono con un sorriso, tornando poi a discutere di tattica militare.
Davanti al frigo stava Clint, con l’arco in spalla, che rovistava all’interno alla ricerca di qualcosa da mangiare, e che fosse gradito al suo stomaco.
Non appena la notò le si avvicinò e fece per abbracciarla, ma si ricordò dei limiti di spazio vicino al suo corpo, così si limitò ad un’affettuosa pacca sulla spalla.
Seduto al tavolo con un paio di computer aperti davanti a lui, c’era il professor Banner, alias Hulk, che la salutò con un sorriso amichevole.
- Buongiorno squadra. Seduti grazie –
L’arrivo di Fury fece scattare sull’attenti tutti quanti, e dopo pochi secondi tutti erano rigidamente composti sul divano.
- Ottimo. Vi ho riuniti quasi tutti qui perché abbiamo un problema. Loki è scappato, come ci ha riferito Thor. E ha radunato attorno a sé le migliori spie del paese, quindi siamo solo noi e tutti i nostri agenti. Inoltre, abbiamo delle informazioni top secret: a quanto pare sta reclutando i terroristi più pericolosi del mondo, e uno dei maggiori è lui –
Mise sul tavolo un’immagine formato A4 che raffigurava un ragazzo. Questo ragazzo sembrava alto ad occhio e croce come Thor, aveva i capelli neri come le ali di un corvo e gli occhi verde mare. Un fisico che pareva piuttosto atletico. Nella foto era chinato con un ginocchio a terra e una mano a sostenersi, davanti ad una lapide.
- Ma è un ragazzino! – protestò subito e vivacemente Stark.
- Ha diciotto anni. E non è un ragazzino. È…- Il comandante tentò di iniziare una spiegazione ma venne subito interrotto dal dio del tuono
- Lui è Perseus Jackson –
   
 
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