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Autore: AlexBlack    09/03/2016    0 recensioni
Nathan gioca con il figlio di Charlie, lo fa spesso. Anche con la schiena dolorante e il fiatone.
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Il piccolo schizza ovunque, lui gli sta dietro a fatica e la sua schiena minaccia di spaccarsi in due. Ma lui non vuole deluderlo. Gli occhietti azzurri, così simili a quelli di suo padre, luccicano talmente tanto di gioia che sarebbe troppo doloroso vederli riempirsi di lacrime. D’altronde neanche Charlie piangeva mai. Aveva gli occhi troppo allegri perché accadesse.
Genere: Angst, Guerra, Malinconico | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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NdA rapide e indolori: non sono sicura se in tutte le parti d’Italia il gioco di “ce l’hai” si chiami effettivamente questo modo. Se così non fosse, è il gioco nel quale ci si rincorre per “prendersi”.




 

“Ce l’hai”
 
 
Benché la corsa non sia più il suo forte da qualche anno, e la schiena, soprattutto in basso a sinistra, gli faccia terribilmente male, continua a correre e a scappare da quell’esserino tanto piccolo e tanto vivace che gli ha chiesto di giocare a “ce l’hai”.

Lo guarda intensamente, quasi fosse tutta la sua vita, mentre corre nel prato cercando di non farsi prendere da quel bambino così gioioso e così energico. Ma effettivamente, pensa che sia davvero tutta la sua vita.

La trova nei suoi occhi, piccoli e vispi, che gli ricordano tanto quelli del padre del piccolo. La trova nei suoi capelli biondi, che sembrano la copia precisa di quelli di Charlie, e nella sua voce, che sebbene sia ancora infantile, possiede quella nota acuta e inconfondibile, tipica della famiglia Edwards.

Il piccolo l’ha preso. Si ferma un attimo e si massaggia la parte sinistra della schiena, mentre il bambino lo incita a continuare la corsa: adesso tocca a lui inseguirlo! Il fiatone si fa sentire, ma cerca di tenerlo a bada. Dopotutto sono passati solo otto anni da quando si allenava costantemente.

“Dai, zio!”
Non riesce a resistere a quel richiamo, se ne frega del mal di schiena e inizia a inseguire il piccolo. Si ricorda che anche Charlie lo incitava così, quando stava per arrendersi. “Dai, Nathan!”, gli urlava, sicuramente con più foga del figlio. Di solito funzionava.

Il piccolo schizza ovunque, lui gli sta dietro a fatica e la sua schiena minaccia di spaccarsi in due. Ma lui non vuole deluderlo. Gli occhietti azzurri, così simili a quelli di suo padre, luccicano talmente tanto di gioia che sarebbe troppo doloroso vederli riempirsi di lacrime. D’altronde neanche Charlie piangeva mai. Aveva gli occhi troppo allegri perché accadesse.

“Tanto non mi predi!” gli cantilena l’esserino, facendogli la linguaccia. Si ricorda che anche suo padre aveva detto la stessa cosa, una volta. La differenza è che non l’aveva detta a lui. L’aveva urlato in un bosco, a un nemico che nessuno dei due sapeva ben identificare, con una nota di rotta follia nella voce.

Il piccolo è così simile a Charlie che fa quasi male. Benché adori stare qui con lui, benché ce la metta tutta per correre perlomeno senza zoppicare, benché sia tremendamente contento di farlo divertire, sa che ci sarebbe dovuto essere Charlie al suo posto.

Ma si guarda attorno, mentre appoggia le mani sulle ginocchia per riprendere fiato, e Charlie non c’è. Ha una fitta: ogni tanto il dolore alla schiena è talmente forte che gli ricorda il giorno stesso in cui gli hanno sparato. “Dai, Nathan!”, gli aveva gridato Charlie per incitarlo, mentre scappavano nel bosco. Se l’era caricato in spalla e l’aveva portato via dalla battaglia.

“Dai, zio Nathan!” la voce acuta del piccolo Edwards gli giunge alle orecchie. Vede i capelli biondi svolazzargli attorno al viso, e si ricorda quelli del padre, così simili, appiattiti dal sudore, mentre cercava di scappare con lui in spalla. Pensa che non riuscirà a tornare a correre tanto presto.

Il piccolo gli saltella attorno, con il sorriso che gli occupa tutto il viso. Lui è contento, lui sa che papà è morto per servire il suo paese. D’altronde non lo ricorda neanche, perché otto anni fa, quando gli hanno sparato al cuore, lui aveva appena qualche mese. Neanche Anita ne parla più di tanto, ma più per non risvegliare il dolore che ancora le provoca.

A vedere quegli occhietti così vispi e a sentire quella vocina così acuta si rimette in sesto. Può ancora correre, anche se gli occhi adesso sono velati di lacrime e lo stomaco è stretto in una morsa ferrea. Lo deve a Charlie, che è morto sotto di lui mentre cercava di portarlo via dal fuoco della fanteria nemica. Lo deve a quel Charlie che gli ha salvato la vita e a quel Charlie che non piangeva mai. Non piangeva neanche quando gli altri commilitoni pregavano Dio di tornare a casa per Natale, e non ha pianto neanche quando, con una pallottola nel cuore, ha capito che lui invece a casa non ci sarebbe tornato mai.

 
Così, benché la corsa non sia più il suo forte da tanti anni e la schiena, soprattutto in basso a sinistra, gli faccia terribilmente male, Nathan continua a correre e a scappare da quell’esserino tanto piccolo e tanto vivace che gli ha chiesto di giocare a “ce l’hai”.


 
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