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Autore: Absynthe_sea    10/03/2016    0 recensioni
«Volere bene è una cosa seria. Me lo hai insegnato tu, ricordi? E le cose serie devono avere una fine.»
Genere: Introspettivo, Malinconico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: Incompiuta
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Il sole attraversa l'ampia vetrata con i suoi raggi tiepidi che vanno a spezzarsi sull'intelaiatura di metallo, dividendosi in lance di luce che incontrano la loro tragica fine infrangendosi sul pavimento di marmo. Un gracchiare sconnesso anticipa la voce che dall'altoparlante invita i signori passeggeri a salire sul treno e gli altri presenti a tenersi a distanza di sicurezza dai binari, in previsione della partenza del treno -di quel treno. Io guardo la linea gialla, la linea di sicurezza che al momento dell'annuncio diventa una linea di demarcazione, il confine fra chi va e chi resta, l'invalicabile muro di un addio -forse un arrivederci in cui sperare.

Se alzo lo sguardo, vedo un uomo avvolto in una vecchia zimarra polverosa. Scrolla le spalle e sorride.

«Credo sia ora di salutarci.» mormora, incastrando gli occhi in quelli della giovane donna dagli occhi verde foglia in piedi sulla scaletta della carrozza numero tre.

Occhidifoglia ricambia lo sguardo ma non il sorriso, sembra triste. L'uomo la prende per mano.

«Non essere triste per me.» dice.

«Ti ho reso infelice.» risponde lei, finalmente, anche se con qualche titubanza nella voce.

«No, no. Volere bene è una cosa seria. Me lo hai insegnato tu, ricordi? E le cose serie devono avere una fine».

Occhidifoglia si morde le labbra di corallo, indovina il dolore dietro a quelle parole.

L'uomo lascia andare la mano della giovane e fa un passo indietro, invitandola così a salire sul treno interrompendo quello scambio di parole che sembra costargli ogni respiro che gli sia rimasto. La guarda allontanarsi e sa che sarà l'ultima volta. Non mi piacciono, le ultime volte.

L'uomo tocca la tesa del cappello con due dita in segno di saluto ma l'abbassa per non far vedere gli occhi umidi. Fa per andarsene dopo averla vista scomparire, inghiottita dal vagone.

Si volta di scatto quando sente il suo nome pronunciato -gridato!- da lei. Si volta, ma il treno è già in movimento. Occhidifoglia muove le labbra ma lo sferragliare di un altro treno in arrivo copre ogni suono. L'uomo vorrebbe gridare, rincorrerla.

Invece si limita a sollevare un braccio e torna a voltarsi. Sul binario di fronte, dal treno appena arrivato in stazione, scende una coppia. Sembrano felici, si fermano sulla banchina per scambiarsi un bacio. L'uomo li supera e raggiunge la scalinata che lo riporterà in superficie. Inizia a salire, un gradino dopo l'altro, almeno finché -volgendo lo sguardo- non vede me, seduto su questa panchina, che spio le vite degli altri. Partenze, arrivi, addii, ritorni. C'è tutto quello che il mondo ha da offrire, in una stazione. Ogni cosa sembra ammantata da un'aura di solennità, qua dentro.

L'uomo si toglie il cappello, un panama bianco che deve aver visto tempi migliori. Mi guarda, lo guardo. Rabbrividisco. Quell'uomo sono io. 

   
 
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