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Autore: SamuelRoth93    11/03/2016    2 recensioni
In un universo parallelo, precisamente nella piccola cittadina di Rosewood, ci sono quattro giovani e affascinanti bugiardi che lottano ogni giorno per nascondere i loro segreti. Perseguitati dalla misteriosa figura di A e dall'oscuro mistero che si cela alle sue spalle, riusciranno a mantenerli? Ma, soprattutto, riusciranno a sopravvivere?
Genere: Mistero | Stato: in corso
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: Altri
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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CAPITOLO CINQUE

“Shut Your Mouth, LiAr!”

 

PREVIOUSLY ON BLACK HOOD (Capitoli 1-2-3-4):

Albert affronta Anthony in mensa; tra i due c’è astio.

Anthony costringe i suoi amici a girare un video sugli sfigati della scuola, saltando le lezioni, mentre Albert è nascosto dietro la porta.

Subito dopo, riceve un messaggio da parte di qualcuno che si firma A e che minaccia di smascherarlo su qualcosa.

Ognuno dei quattro ragazzi nasconde un segreto: La sorella di Rider si apparta con uno dei professori, di nascosto; Eric viene accompagnato a casa sua da Sam, in un bel quartiere, ma non entra in nessuna di quelle case, tornando indietro, subito dopo averlo visto svoltare; Nathaniel riceve il fax di una ricetta medica e davanti a Rider la spaccia per suo padre; Sam, infine, è segretamente gay e ha una cotta per Nathaniel. Anthony sembra conoscere tutti i loro segreti e tiene in pugno l’intero gruppo, secondo Chloe, la migliore amica di Sam.

Il padre di Anthony si presenta a scuola, contattato dal preside, a cui, probabilmente, è stato notificato l’atto di bullismo in mensa. E’ ubriaco ed Anthony cerca di mandarlo via, osservato da Rider e Nathaniel.

Tornato a casa, Anthony scopre che qualcuno ha violato il suo computer e quel qualcuno è la stessa persona che gli ha inviato la minaccia a scuola: A.

Furibondo, ha una violenta lite con il padre e finisce per colpirlo alla testa con una bottiglia di vetro, uccidendolo.

Preso dal panico, manda un SOS ai suoi quattro amici, che lo raggiungono a casa sua e scoprono del cadavere. Anthony, apparentemente tranquillo e inquietante, spaccia la cosa per legittima difesa e costringe i compagni ad inscenare la sua scomparsa, facendola passare per un rapimento a seguito di un furto in casa.

Diretti alla stazione di Rosewood, Albert spunta, improvvisamente, davanti alla strada ed Anthony, alla guida, lo investe. Scesi tutti dall’auto, scoprono che è morto ed Anthony trova il suo cellulare, confermando la sua teoria: Albert era la A che l’ha minacciato.

Mentre il gruppo cerca di metabolizzare ciò che sta accadendo, sconvolti, Anthony cambia i suoi piani di fuga e propone di portare il corpo di Albert a casa sua e metterlo accanto a quello del padre, per poi bruciare entrambi. La scena del crimine sarebbe risultata più credibile e la polizia avrebbe dato per scontato che si tratti di lui.

Aggiustata la scena del crimine, i ragazzi accompagnano nuovamente Anthony alla stazione e quello dice loro addio, pronto a sparire per sempre.

Tre giorni dopo, tutto va secondi i piani di Anthony: la polizia ha identificato Albert come lui. I suoi amici prendono parte al funerale e all’uscita dalla chiesa, ricevono un video da A, dove Anthony viene assassinato.

~

Dopo i funerali di Anthony, fuori dalla chiesa, A manda un nuovo messaggio ai quattro ragazzi, insinuando che il corpo nella bara appartenga davvero ad Anthony: un video, mostrava qualcuno che lo uccideva.

Rider convince i suoi amici che A, stavolta, è Anthony, sostenendo che abbia contattato un amico per girare una sceneggiata e far si che loro tenessero la bocca chiusa sulla notte degli omicidi. Nathaniel e Sam, sembrano gli unici a pensare che si tratti, invece, di un amico di Albert, in cerca di vendetta.

Tornati a casa, Sam e Rider cominciano a fare i conti con i sensi di colpa, in seguito ai commenti trovati sulla bacheca della pagina della Rosewood high shool; molti erano a favore di Albert, dichiarato scomparso da qualche giorno, altri di odio nei confronti di Anthony e il suo gruppo.

Eric, intanto, conosce la nuova barista del Brew, Alexis, e deve fare i conti con la crisi che sta attraversando la sua famiglia, economicamente; lui e sua madre, vivono nell’appartamento sopra al locale, tenendosi costantemente in contatto con suo padre, fuori città, in cerca di nuovo lavoro, dopo essere stato licenziato dalla società in cui lavorava.

Nathaniel, alle prese con una nuova visita medica di routine da suo cugino, morso ancora dal dubbio sollevato dal video ricevuto da A, trova un escamotage per farsi portare nella stanza della videosorveglianza dell’ospedale. Tyler viene chiamato dal suo cercapersone e Nathaniel rimase solo, passando sulla sua pennetta, indisturbato, i filmati della sorveglianza. Subito dopo, irrompe nell’obitorio, dove con Rider, in contatto telefonico, scopre che il referto del medico legale non coincide con le ferite riportate da Albert nell’incidente: quindi il corpo nella bara è di Anthony e A ha scambiato i corpi.

Sam, nel frattempo, scopre da suo padre che la polizia ha un sospettato sicuro, segnalato da una deposizione fatta dalla signora Dimitri e l’altro suo figlio, Clarke, in centrale.

Rider, non convinto dalla storia dello scambio, passa a prendere Sam e vanno alla stazione di Rosewood, in cerca di un indizio in più. I due, però, vengono attirati in una trappola, all’interno dei tunnel, ritrovando il telefono di Anthony e un messaggio di A. Un treno, subito dopo, quasi li investe.

Riuniti a casa di Rider, ancora sotto shock, il gruppo esamina i filmati della sorveglianza, notando la presenza di un loop, la ripetizione di uno stesso pezzo, nel corso del filmato. I ragazzi si convincono di avere una prova in mano, a quel punto, assieme al video dell’omicidio di Anthony, ricevuto da A, e decidono di volerne parlare con il padre di Sam e porre fine a questa storia, pur sapendo che si sarebbero esposti a determinate conseguenze.

Fuori dall’abitazione di Sam, però, i quattro ricevono l’ennesimo messaggio di A e questo li costringe a passare dalla loro scuola, prima di fare un’altra mossa: aveva qualcosa contro di loro.

Giunti a scuola, Sam, Nathaniel, Rider ed Eric, trovarono il computer di Anthony, una sola cartella al centro, con dentro un filmato: mostrava loro, complici dell’omicidio del Signor Dimitri e di Albert. Ora, non avevano altra scelta che tacere. E, stranamente, A, mise in chiaro loro che non aveva intenzione di denunciarli.

~

Costretti a tacere da A, perché in possesso del video che li mostra complici di Anthony nella notte degli omicidi, i ragazzi tornano a scuola il giorno dopo, punzecchiati dai continui messaggini del loro stalker.

Ignari del nuovo colpo basso che ha messo in tumulto l’intera scuola di Rosewood, i quattro discutono su come liberarsi di A senza finire nei guai con la polizia, progettando di rubare i video che li vede protagonisti del reato dal possibile covo del nemico, una volta scoperta la sua identità.

Messi all’angolo da tutti gli studenti, prima dell’inizio delle lezioni, vengono a sapere del video di insulti che gira su internet. Un’accesa discussione si apre fra i ragazzi e alcuni degli studenti citati nel video. Violet, una di loro, sorella del ragazzo albino insultato da Anthony, si fa avanti e ne prendere le difese. Nathaniel si prende un pugno da Morgan Patterson, suo compagno nella squadra nuoto.

A quel punto, usciti dalla discussione, i ragazzi corrono nell’aula dove è stato girato il video e scoprono che la videocamera è sparita. In seguito, vengono sospesi per due settimane dal preside Ackett.

Tornati ognuno alle proprie case, fanno i conti i loro genitori, informati dalla scuola dell’accaduto. Tutti tranne Sam, che straccia il fax.

Eric incontra Lisa Nelson al Brew e cerca di scusarsi, ma arriva Violet ad attaccarlo, per poi lasciare il posto a braccetto con Lisa.

Riuniti a casa di Sam per un messaggio ricevuto da A, i ragazzi scoprono che la polizia sospetta di un certo Jasper Lauglin e che è impegnata nelle sue ricerche, in seguito alle dichiarazioni fatte in centrale dalla Signora Dimitri.

I ragazzi aggiornano la lista dei sospettati: Violet, Colton, Lisa e, come new entry, anche la Signora Dimitri e Clarke Dimitri, troppo sospetti per via delle dichiarazioni fatte verso un uomo che loro sanno essere innocente.

Rider propone di passare la serata alla casa sul lago e ne parla con suo padre, che gli fa una ramanzina sulla sospensione. Verso la fine, gli da comunque il permesso di andare alla casa sul lago. Subito dopo, ritrova nello studio del padre, un libro scritto da lui con dentro una pagina aggiunta da A.

Sam, intanto, assieme a Chloe, fa un salto in centrale, intrufolandosi in uno degli uffici e fotografando le dichiarazioni fatte dalla Signora Dimitri alla polizia su Jasper Lauglin, ma tra le varie scartoffie, trova anche un caso aperto sulla scomparsa di Albert.

Alla casa sul lago, i ragazzi discutono sul materiale raccolto da Sam. Si scopre che Jasper e Kevin Dimitri erano amanti e che quest’ultimo aveva contratto l’HIV da Jasper. Sempre secondo le dichiarazioni, si scopre che Kevin, per vendicarsi, ha incendiato il negozio di Jasper. In base a questo, Jasper sarebbe entrato a casa Dimitri per rubare i soldi e pagarsi le medicinali che non poteva più permettersi e che, di conseguenza, avrebbe ucciso Kevin e suo figlio.

Sul caso di scomparsa di Albert, invece, ci sono delle foto sul suo ultimo avvistamento, proprio nei pressi del Wall mart, un supermercato vicino a dove l’hanno investito. I quattro arrivano alla conclusione che Albert era con A e che il loro nemico era a bordo di un’auto di colore blu e che da quella abbia filmato tutta la scena dell’incidente.

Affacciandosi sul discorso della pagina trovata nel libro del padre di Rider, infine, i ragazzi deducono che Anthony è colpevole di un’altro crimine e che questo sia spiegato in una misteriosa cartella chiamata “Rosewood-riservato” che A ha rubato dal suo pc. Inoltre, A, pensa che uno dei quattro sia suo complice anche in quel crimine.

Sempre nella stessa serata, Eric propone di rivelare i loro segreti, quelli che Anthony custodiva e che costringeva tutti loro ad esserli amico.

Subito dopo, Sam scappa fuori, preso dal panico di dover rivelare che è gay e che ha una cotta per Nathaniel. Quando quest’ultimo lo segue fuori e scopre solo della sua omosessualità. Improvvisamente, i due notano qualcosa che si muove nel lago e pensando che sia una persona in difficoltà, Nathaniel si tuffa per andare a controllare. Giunto al centro del lago, il ragazzo scopre che si tratta di una bambola gonfiabile e quando torna indietro, risente della bracciata, rischiando di morire, per via del lago ghiacciato.

Quando i ragazzi non trovano le medicine dell’amico, Rider deduce che si trovano nella bambola gonfiabile e Sam si tuffa a recuperarle. A è dall’altra parte del lago e lo saluta dal molo.

Nathaniel riceve le sue medicine e si salva, ma gli altri tre amici arrivano alla conclusione che A ha tentato di uccidere uno di loro per estorcere una confessione sul nuovo crimine di cui pensa che uno di loro sia colpevole assieme ad Anthony.

 

~

AND NOW…

 

 

In quel primo mattino, intorno alle ore 07:00, Sam stava rientrando a casa sua, dopo la movimentata notte al lago. Ancora sconvolto da ciò che è accaduto, si prestò a salire nella sua camera, silenziosamente.

Giunto davanti alla porta della sua stanza, si guardò alle spalle, lungo il corridoio, attraversato dai raggi del sole che filtravano dalle finestre. Era tutto calmo e pensò che suo padre, probabilmente, dormiva ancora, così girò il pomello della porta ed entrò nella sua stanza, cercando di richiuderla senza far rumore; sfortunatamente, però, essa cigolò.

“Sam?”

Sentì chiamare il suo nome, dal piano di sotto: era suo padre.

Il ragazzo strinse i denti e strizzò gli occhi, beccato. Poi stranì, realizzando che si trovava al piano di sotto e non in camera sua, a letto, malato.

Riaprì la porta, allora, affacciandosi: “Papà? Sei di sotto?”

“Sì, sono in cucina. Sei già svegliò?” rispose quello, facendosi sentire.

“Ehm, sì, - rimase impalato davanti alla sua stanza - mi sono appena svegliato…”

“Ok, scendi, sto preparando la colazione.”

Sam sembrò volersi avviare, richiudendo la porta, ma il suo telefono sul comodino, quello che aveva lasciato lì il giorno prima, stava improvvisamente vibrando e la cosa lo costrinse a tornare indietro: “Scendo tra un minuto, Papà!”

E si avvicinò, timoroso, a quel comodino, prendendo il suo telefono tra le mani: si trattava di una registrazione audio, mandata da A.

Istintivamente, Sam la aprì, per riprodurla.

“Sam? –  Papà? Sei di sotto?    Sì, sono in cucina. Sei già sveglio?    Ehm, sì, mi sono appena svegliato… – Ok, scendi, sto preparando la colazione.    Scendo tra un minuto, Papà!”

Sam sbigottì di fronte a ciò che aveva appena sentito; cioè sé stesso, mentre parlava con suo padre, in uno scambio di battute avvenuto poco prima.

Rimasto impalato, non potè che deglutire, sentendo crescere il panico dentro di lui, mentre fissava un punto qualsiasi della parte.

L’attimo dopo, cercò di reagire, facendo una telefonata.

“Pronto?” rispose Eric, dall’altra parte; si trovava ancora alla casa sul lago di Rider, dentro una delle stanze degli ospiti, appena svegliatosi.

A mi ha mandato una registrazione di me che parlo con mio padre!” esordì, nervosamente.

Eric, sdraiato, si alzò con la schiena per saperne di più, con maggiore attenzione: “Uao, ma non dorme mai? Che registrazione è?”

“L’ha fatta adesso! - spiegò – Sono rientrato da due minuti e mio padre pensa che mi sia appena svegliato, così mi ha chiamato dalla cucina per scendere a fare colazione. A ha registrato quello che ci siamo detti, ma non capisco a cosa miri.”

L’altro ci riflettè, avendone una mezza idea: “Pensi che A… Insomma, questo è materiale da spionaggio, perciò…”

“Dici che… - si guardò attorno, nella sua stanza, per poi bisbigliare – ha messo dei microfoni in casa mia?”

“Cos’altro può essere? – ne fu certo, Eric - Di certo non si azzarderebbe a nascondersi nella casa di un poliziotto, armato, per registrare due frasette con il telefono.”

Sam andò nel panico, allora: “Sai che significa questo? Che io sono il prossimo, dopo Nathaniel. E’ un chiaro messaggio rivolto a me, allora. Perseguiterà me, adesso!”

“Non iniziare ad andare fuori di testa, ok? Siamo tutti bersagli, Sam.”

“No, non è vero. Non in questo turno, Eric. – ribattè, convinto – C’eri anche tu ieri sera e A parlava proprio di questo nel messaggio che abbiamo ricevuto sul telefono di Nathaniel. Mi ha anche salutato da quel molo, mi ha praticamente marchiato!”

Se ne convinse anche Eric, a quel punto: “Ok, forse non dovresti restare da solo. C’è tuo padre in casa, no?”

“Sì, ma credo che stia meglio e che rientrerà a lavoro. Non gli è mai piaciuto restare a letto per più di un giorno…Il suo sistema immunitario è come asservito alla giustizia.”

“Non gli dirai nulla a proposito della nostra sospensione?”

“No, farò finta di prepararmi per andare a scuola, tanto il fax mandato da Ackett l’ho stracciato e buttato ieri. Non è proprio il momento. – cambiò argomento, poi - E tua madre? Cos’ha detto?”

“Niente, ha già fin troppi problemi per prendersela con me. Credo mi compatisca!” 

“Dio, mancano ancora tredici giorni. – sospirò, Sam, in ansia – Tredici giorni insieme ad A!”

“Solo tredici? Pensi che quando torneremo a scuola, svanirà come per magia?”

“Magari… – pensò, prima di preoccuparsi per altro – Piuttosto, come sta Nathaniel, si è già alzato?”

“Io e Rider abbiamo fatto a turni per controllarlo e sta decisamente meglio, ha un buon colorito rispetto a quando l’abbiamo tirato fuori dall’acqua. Direi che il pericolo è scampato.”

“Ce la siamo vista davvero brutta, poteva morire.”

“Ma non è successo, grazie a te.”

Sam tacque per qualche secondo, poi finalmente disse di nuovo qualcosa: “Devo andare adesso…”

“Ok, sta attento… - volle consolarlo - Ne verremo a capo, vedrai.”

E Sam chiuse, senza aggiungere nulla.

 

*

 

Eric scese al piano di sotto, trovando già svegli Rider e Nathaniel, nel salottino. Il primo era seduto sul tavolino, che passava una tazza di caffè all’altro, sul divano, dove aveva dormito.

“Buongiorno!”

Rider si voltò, mentre Nathaniel sorseggiava, esausto e trasandato.

“Pensavo che dopo essere arrivati alla conclusione che A era qui, in questa casa, prima che arrivassimo per la serata, ti avrebbe fermato dal voler dormire da solo, al piano di sopra.”

“Ho chiuso a chiave la porta e poi… - continuò Eric  - Volevo sentire di nuovo cosa si prova a dormire in un letto vero e non su un divano che si apre come una scatoletta di sardine.”

“Davvero non hai un letto, in quell’appartamento?” rimase perplesso, Rider.

“C’è una camera con un letto, - ribattè, senza alcun imbarazzo - ma ci lascio dormire mia madre.”

Nathaniel appoggiò la tazza di caffè, vuota, tornando comodo, attirando nuovamente gli sguardi su di sé.

“Ehi, come stai?” si preoccupò, Eric.

“Meglio… Più caldo, direi. - ripensò alla vicenda, leggermente turbato, ma forte – Non ho mai sentito così freddo in vita mia. Potevate anche infilzarmi con mille aghi, ma non avrei sentito niente per quanto il mio corpo fosse gelato.”

Rider intervenne, un accenno di sorriso per sdrammatizzare: “Ti abbiamo quasi perso, ieri sera. Francamente… - abbassò lo sguardo, serio – Noi non sapevamo come comportarci ed eravamo pietrificati dal terrore: queste cose non capitano tutti i giorni. – tornò a fissarlo – Ma Sam è stato pronto. Non ha esitato un solo secondo nel tuffarsi e nuotare fino alla bambola, dove A ha nascosto le tue medicine.”

Nathaniel ascoltò, colpito e sorpreso, e pensò di dover ringraziare l’amico al più presto.

“Dov’è lui? Dov’è Sam?”

“E’ tornato a casa sua.” ribattè Eric.

“Ah… - rimase impalato con lo sguardo, prima di aggiungere altro, preoccupandosi– E sta bene?”

Eric assunse un espressione che non lasciò trasparire nulla di buono: “Ehm, sì, fisicamente sta bene, ma psicologicamente…”

“Di che parli? – non capì, Rider – Psicologicamente, cosa?”

“Mi sono appena sentito con lui al telefono e pensa che A stia giocando il nuovo turno con lui…”

“Turno?” sussultò Nathaniel, confuso.

Rider si alzò, prendendo il telefono di Nathaniel, dal ripiano su cui l’aveva appoggiato prima di andare a letto. Si avvicinò a lui, dopo, mostrandogli l’ultimo messaggio ricevuto. Quello lo lesse, mentre Eric spiegava.

“Sembra che A abbia un nuovo obbiettivo. Anthony ha commesso qualcosa, l’abbiamo capito dalla misteriosa pagina trovata nel libro del padre di Rider. A pensa che uno di noi sia coinvolto, così ha deciso di volerci prendere singolarmente, in modo da scoprire chi.”

“La cosa positiva è che puoi rilassarti. – aggiunse Rider con una sottile ironia - Con te ha finito, per ora.”

L’altro, però, si allarmò: “Si, ma Sam non può. A ha cercato di uccidermi pur di farmi confessare qualcosa che non ho fatto, perché io non sono complice di Anthony. Eccetto per la notte degli omicidi, io non ho mai fatto nulla con Anthony.”

“Io neanche.” aggiunse Rider.

“Neppure io.” si aggregò Eric, con la stessa sicurezza degli altri, a tal proposito.

“Sono sicuro che nemmeno Sam c’entra qualcosa, l’ha ribadito anche ieri. - pensò Rider – Perciò, a questo punto, è un’altra persona, ma A è talmente fissato con noi da non capirlo. – sbuffò – Vorrei tanto sapere cos’ha visto nel computer di Anthony di così terribile…”

Nathaniel, intanto, manteneva basso lo sguardo, non molto convinto sull’innocenza di Sam, dopo aver scoperto da lui che aveva una cotta per Anthony, la sera prima, e che quindi avrebbe potuto fare qualsiasi cosa per compiacerlo: persino commettere un crimine. Nonostante ciò che sapeva, però, preferì tacere.

“In ogni caso, - continuò Eric a braccia conserte – Sam sta andando fuori di testa, A gli ha mandato una registrazione vocale di lui e suo padre che conversano. Esattamente due minuti dopo che la conversazione è avvenuta.”

“Non poteva essere in casa sua, c’è anche suo padre. – Rider si lasciò scappare una risata per l’assurdo, prima di tornare serio – Questo vuol dire che…”

“Microfoni! – esclamò Eric, anticipandolo – Ci eravamo già arrivati anche noi…A quanto pare, disfarci del telefono di Anthony non è servito a niente, A ci ascolta in altri modi.”

Nathaniel intervenne, abbastanza spiazzato: “Anche nelle nostre case, allora? E’ entrato in tutte le nostre case?”

Rider si voltò a rispondergli: “Anche in questa, probabilmente…Ci sta monitorando!”

“Forse crede che ascoltandoci con attenzione, - andò avanti, Eric - uno di noi si lascerà scappare qualcosa di troppo.” 

“Sentite, - Nathaniel si alzò, ne aveva già abbastanza – io me ne torno a casa. Tanto non c’è nulla da lasciarsi sfuggire, l’unica colpa che abbiamo è quella di aver risposto a quel dannato SOS di Anthony ed essere accorsi a casa sua, quella notte.” e lasciò la stanza, mentre lo sguardo degli altri due non dava torto a quanto appena detto.

Usciti dalla casa, Rider chiuse la porta a chiave, per poi raggiungere Eric, che stava camminando verso l’auto. Nathaniel passò proprio di fianco a loro, con la sua, sgommando via.

Arrivati vicino all’auto di Rider, Eric torturava un piccolo bigliettino tra le mani, quello lasciato da A nel flacone delle medicine di Nathaniel, rendendo partecipe l’amico dei suoi pensieri.

“Quindi Sam ha una cotta per Nathaniel?”

“Come dargli torto… - replicò, mentre apriva la portiera – E’ bello, ha un fisico da far paura ed è alto… Cosa darei per la sua altezza!”

Eric fece il giro, aprendo l’altra portiera, storcendo le sopracciglia: “Ora sembra che la cotta per lui ce l’abbia tu!”

“Naah, non è il mio tipo. – ribattè, sedendosi sul sedile, ironico - Il mio tipo è tipo come me, versione ragazza, ovviamente. Nel 2011, però, ho provato ad essere gay, - delusione d’amore, odiavo tutte le donne del pianeta - poi ho letto delle cose strane su Yahoo answer e ho lasciato perdere.”

Eric titubò, confuso: “Cos’è Yahoo answer?”

L’altro lo fissò a lungo, per niente stupito: “Immagino che tu non abbia mai avuto dei problemi da dover risolvere per arrivare a chiedere aiuto a degli estranei con una serie di domande.”

“E’ da un po’ che convivo con i problemi… - replicò, sospirando - Chiedere aiuto non serve a niente. Hanno tutti una soluzione diversa al tuo problema e, nella maggior parte dei casi, non fa al caso tuo. Quella giusta la puoi trovare solo tu.”

“Uao… - accennò un sorriso – Non ti facevo così profondo. – rise – Potrei seriamente innamorarmi di te, adesso.”

Anche Eric rise per poi sfumare: “Beh, la mia profondità ha perso spessore da quando ho conosciuto Anthony. Sto recuperando ciò che mi ha tolto.”

“Quindi… - Rider inserì la chiave, pronto a far partire l’auto – Se devo rimanere in linea con il tuo discorso, vuol dire che dovremo lasciare che Sam risolva i suoi problemi da solo?”

“Sì, Rider. E’ così che funziona. Suoi sono i sentimenti che prova, sua è la scelta di condividerli con la persona che ama…Dobbiamo starne fuori.”

E l’amico afferrò, pronto a girare la chiave. Qualcosa, però, lo fermò dal far accendere il motore: il suono di una vibrazione, che lo costrinse a girovagare con lo sguardo, le orecchie aguzzate.

“Lo senti anche tu?”

Eric annuì: “Sì…”

I due si guardarono, per poi girarsi contemporaneamente, dietro, alle loro spalle. Poggiato sul sedile posteriore centrale, c’era un telefono; il display ancora acceso per via della ricezione del messaggio: era quello di Rider.

Quello lo prese in mano, leggendo il messaggio assieme ad Eric.

 

“Ho recuperato il tuo telefono dal tuo armadietto. Mai abbandonare l’unico mezzo di comunicazione con cui ti posso tormentare.”

-A

 

Rider mise via il telefono, ormai quei messaggi non erano più una novità, ma nel suo volto era comunque dipinta l’angoscia.

“Anche ad A c’è una soluzione che solo io posso trovare?”

“No, questa è l’unica eccezione. Serve l’aiuto di tutti e quattro per questo.” concluse Eric, mentre Rider metteva in moto.

 

*

 

Dopo la colazione, Sam era risalito in camera sua e la paranoia, che l’aveva accompagnato tra un cucchiaiata di cereali e l’altra, lo seguì. Nel giro di pochi minuti, la sua stanza era sottosopra: abiti lanciati ovunque, lenzuola sfatte, cuscini sul pavimento, cassetti aperti, calzini che ciondolavano dalle lampade da notte sui comodini laterali; sembrava cercasse, disperatamente, qualcosa.

La sua burrascosità, però, fu interrotta dall’arrivo di suo padre, che bussò prima di entrare.

“Posso?” si affacciò, in divisa da lavoro.

Sam si sollevò da terra, mettendosi a braccia conserte, cercando di nascondere il suo nervosismo: “Beh, sei già dentro…”

L’altro rimase impietrito, facendo un tour con lo sguardo: “Ma che diavolo?? E’ per caso scoppiata una guerra tra vichinghi qui dentro?”

“Ehm… - cercò di dare una spiegazione, Sam – stavo solo cercando una penna, ecco.”

La ragione del trambusto, però, non convinse del tutto suo padre: “Quindi… - indicò sopra la sua testa – i tuoi calzini si trovano appesi al lampadario per una penna?”

Sam portò nuovamente la testa giù, dopo aver guardato il calzino: “In verità, ha un valore affettivo. Me l’ha regalata Chloe!”

“Beh, - parve credergli –  se ha un valore affettivo, allora distruggi pure questa stanza per trovare quella penna! – rise, sarcastico – No?

Sam, però, iniziò a puntare lo sguardo in ogni punto della stanza, non sorridendo come suo padre sperava, a quella battuta.

Quello se ne accorse e si preoccupò: “Figliolo, va tutto bene?”

Molto distratto, finalmente gli diede retta: “Eh? Cioè, sì, sto bene! E’ solo che mi sono alzato davvero presto per cercare quella penna…”

“Già, devi essere andato a letto molto tardi per avere delle occhiaie simili…ed essersi alzato così presto non contribuisce... – Ora, però, dovette congedarsi, dopo aver guardato l’orologio – Oh, accidenti, si è fatto tardi. – indietreggiò per uscire – Farai meglio a sbrigarti anche tu o arriverai in ritardo a scuola.”

“Sì, adesso vado. – lo tranquillizzò - La cercherò quando torno!”

Poco prima di uscire, dopo aver dato le spalle, suo padre si fermò alla soglia della porta, voltandosi nuovamente.

“Dimenticavo…Ti voglio bene, figliolo. Passa una buona giornata!”

Sam accennò un sorriso, finalmente, ma molto malinconico, gli occhi lucidi: “Anch’io. Passa una buona giornata anche tu.” e quello uscì, dedicando a suo figlio un altro sorriso, ignaro di ciò che stava passando.

Rimasto solo, non lo fu a lungo. Il suo telefono, in tasca, cominciò a squillare.

Dopo aver titubato per qualche secondo, prima di prenderlo, rimase spiazzato dal numero che comparve sul display.

Rispose, finalmente.

“Ehi, Nat.”

“Ehi, ciao…”

“Va tutto bene? – si preoccupò, Sam - Come stai?”

“Come sto? – rise – VIVO, grazie a te. I ragazzi mi hanno detto quello che hai fatto ieri. Devo aver perso i sensi, ad un certo punto.”

“Sì, li hai persi. Decisamente…” non sapeva più che altro dire.

“Grazie, Sam. Grazie per avermi salvato la vita, ignorando quanto l’acqua del lago fosse gelata. Sei una persona straordinaria, davvero.”

A Sam brillarono gli occhi, cercando di non far tremare la voce: “Ehm, grazie, Nat… - si grattò la testa, imbarazzato – Forse è meglio che vada, adesso…”

“No, aspetta!”

“Che c’è?”

“Eric ci ha detto che A ti ha preso di mira. E’ vero?”

“Ancora non lo so, - sospirò, turbato -  ma ha reso il mio inizio giornata al quanto soffocante. Ho praticamente messo la camera sottosopra in cerca dei microfoni che può aver piazzato per registrarmi.”

“Tuo padre è già uscito? Se vuoi vengo da te, usciamo, facciamo qualcosa insieme. L’importante è che non rimani da solo. Non voglio che A se la prenda con te.”

Sam lo trovò premuroso da parte sua, tant’è che accenno un sorriso, ma rifiutò: “Ma no, non ce n’è bisogno…E poi avrai sicuramente qualcosa da fare.”

“Fare cosa, Sam? – si lasciò scappare un’altra risata – Dovrei essere a scuola a quest’ora, non ho altri impegni in questa fascia oraria. L’unica cosa che ho fatto da che ho lasciato la casa al lago di Rider è stata contare quanto tempo ci mette il semaforo a cambiare da rosso a verde.”

“Uao, questo sarebbe il momento migliore per diventare un telefilo… - disse, scendendo le scale – Credimi, riempie completamente la tua vita quando non hai nulla da fare. Potresti iniziare con…”

L’altro, però, lo bloccò, allungando la conversazione, più leggera e meno tesa: “Ah, quindi quelli come te e Chloe sono telefili? Non sapevo esistesse un termine specifico.”

“Sì, ma attento, non tutti quelli che guardano serie tv sono telefili. Se guardi tipo due o tre episodi ogni tanto, non sei un telefilo. Due o tre stagioni a settimana: QUELLI, ti rendono un telefilo.”

Nathaniel rise ancora, poco prima di rispondere: “Beh, non so che razza di vita facciate voi telefili, ma non mi dispiacerebbe guardare quei due o tre episodi ogni tanto. Ti va se faccio un salto a casa tua?”

Sam, ormai, arrivato al piano di sotto, si fermò davanti alla rampa di scale, un sorriso stampato sulle labbra: “Sì, dai. – si arrese – Perché no!”

“Ok, tempo un’oretta e sono da te!”

“D’accordo, inizieremo con un Teen drama…Tanto per essere in tema con le nostre vite!” ironizzò, Sam.

“Dubito fortemente che esistano altri quattro adolescenti, come noi, perseguitati da A, in uno di questi Teen drama!”

Sam rise nuovamente: “No, non credo proprio. Gli unici problemi degli altri adolescenti sono i brufoli, l’amore e i bulli…”

Dopo qualche attimo di silenzio, Nathaniel tornò a parlare, più serio: “Torneremo ad avere quei problemi, ok?”

L’altro, nuovamente in preda all’angoscia e ad un pizzico di tristezza, non ne era tanto certo: “Non lo so, Nat. E’ insistente…”

“Ci vediamo fra un’ora, ok? Mio padre mi ha mandato un messaggio, devo solo sbrigare una cosa in banca, passo al ristorante e sono da te. Cerca di essere fiducioso. – fu premuroso nei toni - Va bene, Sam?”

“Va bene, - sospirò un’ultima volta - preparo la tv!” e chiuse.

Rimasto con il telefono in mano, il pensiero di quella telefonata, lo fece sorridere, quasi arrossire, per diversi secondi. Era la prima volta che sentiva Nathaniel così vicino ed era una bella sensazione. Bella, finchè non vibrò il telefono. Un nuovo messaggio lo catapultò nuovamente nel mondo di A.

 

“Confessare un segreto che già tutti sospettano non è un vero segreto, Sam. Rivela a Nathaniel ciò che provi per lui o ti perseguiterò per tutto il giorno.”

-A

 

Sam deglutì, terrorizzato. Non aveva mai avuto il coraggio di confessare i suoi sentimenti a Nathaniel e non era intenzionato a farlo. Tuttavia, era messo alle strette da A, ma pensò che cedere subito alle minacce di un tiranno non era discutibile; così, avvicinandosi al quadrante del sistema d’allarme della casa, Sam digitò il codice per attivarlo. Subito dopo, sapendo di essere al sicuro, mandò un messaggio, raccontando una menzogna.

 

A Nathaniel:

“Mio padre ha scoperto della sospensione, Ackett l’ha chiamato. Possiamo rimandare? Deve parlarmi.”



*

 

Al Brew, intanto, Rider stava prendendo qualcosa al bancone, guardando continuamente verso la rampa di scale che portava al piano di sopra.

“Prendi qualcosa?” gli domandò Alexis, vedendolo lì impalato.

“Ehm, - si girò verso di lei - sì, un cappuccino…Con sopra uno schizzo al caramello, grazie.”

Quella, mentre lo faceva, lo fissò a lungo: “Rider, vero?”

L’altro, posando di nuovo lo sguardo su di lei, rimase perplesso: “Sì…Come mi conosci?”

“Sei in un video che ho visto sulla pagina della Rosewood High school. Ora, però, siete anche su Youtube.”

Ah, sì? – sollevò le sopracciglia, fingendo di essere stupito – Siamo sbarcati anche lì?”

Sorrise, lei, mentre poggiava il bicchierone di carta sul bancone, fumante: “Già…I malvagi ragazzi di Rosewood!  Se la cosa può farti sentire meglio, io non vi giudico. E’ il fardello di avere un leader, anche io al liceo avevo una stronza per amica che mi comandava a bacchetta.”

Rider sollevò gli occhiali dalla punta del naso, tirando un sospiro di sollievo: “Oh, grazie, sei la prima a non giudicarci. Ti va di accettare la mia amicizia su facebook? Ultimamente perdo amici a gruppi di trenta.”

Rise, l’altra: “Oh, beh, non ne valgo trenta, ma sempre meglio della sola amicizia della Mamma!”

“Neanche quella!” confidò, ironico.

“Sono Alexis comunque, e…Sei venuto qui con Eric?” domandò, una volta sfumata la risata.

“Piacere, Alexis, conosci anche lui? – roteò gli occhi, tirandosi piccoli pugni sulla testa – Dimenticavo, il video, ovvio che lo conosci!”

“No no, lui lo conosco sul serio. Abita al piano di sopra e abbiamo fatto amicizia. Ero dietro a controllare il forno, infatti non ti ho nemmeno visto entrare qui.”

“Sì, è andato di sopra. Abbiamo passato la notte alla mia casa sul lago con gli altri nostri amici malvagi – ironizzò – ed è andato a lasciare le sue cose.”

“Niente scuola?”

“No, siamo stati sospesi. Sperimentiamo l’ebrezza del dolce far niente.”

Quella, allora, si sentì di dare loro un suggerimento: “Perché non andate al Bourbon's Page? Oggi fanno un mercatino lungo la strada di quella libreria.”

Rider si colpi la fronte con la mano, smemorato: “Oh, cavoli, è vero! Me n’ero completamente dimenticato! Sì, in pratica, fanno quel mercatino ogni sei o sette mesi…Ti dirò, ci ho trovato molti libri interessanti!”

“Anche a me piace leggere. Non ai tuoi livelli, ma ogni tanto lo faccio. Peccato, però, che sono incastrata qui!”

L’altro, però, si soffermò su un punto: “Ai miei livelli? – sorrise – Perché, che livelli avrei?

“Ehm, vediamo… – si fermò a scrutarlo – Occhiali sulla punta del naso, - quello se li alzò subito – colletti della camicia che spuntano fuori dal maglione, - si allungò in avanti, guardando in basso - scarpe lucide…E poi nel video avevi un libro in mano, tipico di chi ama leggere nei momenti di break. Ecco quel è il tuo livello e non è decisamente il mio!”

“Ottima psicoanalisi, cercherò un libro per te! Magari uno di Sigmund Freud!”

“Oh, sì, - divenne euforica - ricordo una sua citazione, la adoro: “Nessun mortale può mantenere un segreto: se le labbra restano mute, parlano le dita.” … Stupenda, non trovi?”

Ne era sempre stato affascinato: “Sublime.”

In quell’istante, arrivò Eric, sorpreso nel vederli chiacchierare.

“Ehi!” lo notò subito, Alexis, con un ampio sorriso.

“Ciao...” contraccambiò il saluto, distaccato, pensieroso.

“Non mi avevi raccontato di questa tua simpatica amica di nome Alexis dai ciuffi blu. Ora abbiamo una missione: troverle un libro al mercatino dei libri usati!”

“Fantastico!” esultò, forzatamente.

Quella se ne accorse, ma non chiese: “Ehm… - aveva lo sguardo rivolto verso il salottino, interno al Brew – Ora dovrei tornare a lavoro, la pausa chiacchiere mi sta scalando la paga a giudicare dalle occhiatacce del mio capo. – Rider stava per voltarsi a guardarlo, lei lo fermò – No, non guardarlo!”

Rider si irrigidì, fermato in tempo: “Ok, non lo guardo.”

L’amico accennò un sorriso, invece, spintonando l’altro: “Beh, noi andiamo. Ci vediamo!”

“Ok, ciao!” salutò, lei, subito investita da una cliente.

 

*

 

Usciti dal Brew, Rider smanettava il suo cellulare, silenzioso, mentre camminavano. Eric si interessò a ciò che stava facendo solo dopo qualche secondo.

“Che stai facendo?”

Quello rispose solo dopo un pò, troppo concentrato: “Ho appena trovato Alexis su facebook. Il suo vero nome è Alexandra, ci avrei giurato. – gli passò il telefono – C’è il suo numero. Mandale un messaggio.”

“Un messaggio? – prese il suo telefono, confuso – Per dirle cose?”

“Che le chiedi di uscire!”

Eric lo trovò sempre più assurdo: “E perché mai dovrei chiederle di uscire?”

“Perché lei ti piace. E perché tu le piaci.”

“E hai capito tutto questo in dieci minuti di conversazione?”

Platone diceva che si può scoprire di più su una persona in un’ora di gioco che in un anno di conversazione: BALLE! L’ho capito subito che le piacevi, ha chiesto di te ancora prima che sorseggiassi il mio cappuccino!”

L’altro si arrese, non negando l’evidenza: “Hai ragione, un pò mi piace, ma…Ho troppi problemi per pensare ad un appuntamento. Quando sono salito in casa, ho trovato mia madre sommersa di carte da pagare e i soldi mancano. Forse dovrei cercarmi un lavoro, anziché pensare all’amore, che non paga le bollette!”

“Senti, se vuoi, posso… – si rese disponibile, compatendolo – Che ne so, farti un piccolo prestito.”

“NO! – rifiutò, energicamente – Cioè, ti ringrazio, ma no. Abbiamo due settimane di sospensione, mi troverò un lavoro e aiuterò mia madre, finchè mio padre non si rimetterà in sesto. Ha appena iniziato a lavorare, perciò dobbiamo cavarcela come possiamo finchè non passa questo dannato mese.”

“Mi dispiace, Eric…” era mortificato, Rider.

“Non dispiacerti… - guardò avanti, verso i mercatini, ormai vicini – Piuttosto, troviamo un libro per Alexis. Un regalo al primo appuntamento è sempre un buon inizio, - accennò un sorriso, dimenticando i suoi problemi - no?”

“Direi di sì, se vuoi conquistare me!”

Eric gli diede una pacca sulla spalla, ridendosela con lui, ritrovando il buon umore, mentre raggiungevano il mercatino.

 

*

 

Nathaniel era appena entrato nel ristorante di suo padre, dirigendosi frettolosamente nelle cucine. Lo trovò proprio lì, che controllava l’operato dei suoi dipendenti.

“Ehi, Papà!”

“Oh, eccoti, finalmente!” si voltò, serio, aspettandolo da diverso tempo ormai.

Quello tirò fuori dalla sua tracolla il portafoglio: “Non ci crederai mai, ma una signora era davanti a me al bancomat e ci ha messo tre ore per ritirare solo 60 dollari.”

“Evidentemente era anziana. – pensò, mentre prendeva i contanti dalle mani del figlio, diretti fuori dalle cucine – E tu sei in ritardo!”

“Aveva almeno quarant’anni e non sono in ritardo per colpa mia! – replicò, giustificandosi, per poi capire di questo urgente bisogno di soldi, perplesso – E poi, come mai mi hai mandato al bancomat?”

“Ci sono molti clienti oggi, tra cui un pranzo di lavoro tra pezzi grossi prenotato questa mattina. La cassa è quasi vuota, devo pur dare il resto, no?”

Si fermarono proprio alla cassa, ora, e Nathaniel rimase ancora più peplesso: “Vuota? Non è mai stata vuota, sei attento a queste cose. Dove sono i soldi degli incassi di ieri?”

L’altro, esasperato, mentre metteva i soldi in cassa, pareva anche esausto: “Lo sai che porto sempre gli incassi a casa, devo averli dimenticati.”

Nathaniel se ne meravigliò: “Tu non dimentichi mai i soldi a casa. E poi, perché mandarmi a prenderli al bancomat e non a casa allora?”

“Perché la banca è qui vicina – sbottò - e quando ti ho mandato il messaggio, eri lì vicino, ok? Basta con tutte queste domande, ho avuto una svista, non capiterà più.”

“Forse dovresti riposarti, non hai un attimo di respiro per colpa di questo posto.”

“Sto bene, ok? – aveva la fronte sudata – Ho scelto io di aprire questa attività e la porterò avanti. Ci sono doveri a cui non è possibile sottrarsi.”

Mentre Nathaniel fissava il padre, in silenzio, preoccupato, che contava i soldi, a loro si avvicinò Jamie, l’assistente manager da poco assunto.

“Oh, tu devi essere Nathaniel, vero?” gli allungò la mano.

L’altro gliela strinse: “Sì, e tu devi essere Jamie.”

Quello annuì, voltandosi poi verso l’uomo: “Ehi, George, hai risolto per i soldi?”

“Sì sì, tutto apposto, Nat è passato in banca.”

“Bene, qui siamo pieni di lavoro. – si rivolse a Nat, ora, con lo sguardo puntato su dei clienti appena entrati – Ti dispiacerebbe prendere l’ordinazione al tavolo nove? Sono appena arrivati dei clienti.”

“I-io? – balbettò, colto di sorpresa – Non ho mai lavorato qui dentro, non so come si fa.”

“Basta prendere carta e penna, come quando prendi degli appunti a scuola. – accennò un sorrisino – Oggi non hai scuola, vedo: un buon motivo in più per stare qui a dare una mano a tuo padre.” e gli fece un’occhiolino, tornando nelle cucine.

Suo padre, che aveva appena finito i suoi conti, era riuscito a sentire qualcosa: “Ha ragione. Renditi utile.”

Scocciato, Nathaniel fece una battuta sarcastica, riferita a Jamie: “Già, e lui che ci sta a fare!.”

“Hai detto qualcosa?” continuò George, fingendo di non aver sentito.

“No no… - replicò, lasciando la sua tracolla, seccato – Vado!”

Quando si voltò per dirigersi al tavolo numero nove, però, riconobbe le persone che vi si erano appena sedute, fermandosi a metà strada: erano Clarke Dimitri e sua madre.

Immediatamente, tirò fuori il telefono e mandò un messaggio.

A Sam:

“Mio padre mi ha bloccato al ristorante. Qui si fa interessante, ci sono la madre e il fratello di Anthony. Ci vediamo dopo.”

 

E rimise il telefono in tasca, prendendo coraggio, un grosso respiro, avanzando.

“Salve, cosa vi porto?” domandò, fermandosi al tavolo.

Lei aveva ancora addosso gli occhiali da sole, lenti a specchio, impegnata a guardare il suo telefono, seria e disinteressata. Fu il figlio ad interagire per entrambi.

“Due bistecche accompagnate da un po’ di insalata. Una bottiglia di vino qualsiasi, grazie.”

Nathaniel appuntò, tenendo lo sguardo basso. Quello lo fissò meglio.

“Altro?” domandò ancora, Nathaniel, accorgendosi del suo sguardo acuto.

“Non eri un amico di mio fratello, tu? – si ricordò – Sì sì, ti ho visto parecchie volte con lui, quando vivevo ancora a Rosewood, e anche al funerale.”

Nathaniel finse di non averlo riconosciuto: “Oh, sì, scusa, è che non ti avevo riconosciuto, ci siamo visti poche volte. All’epoca ero appena diventato amico di Anthony, perciò…”

“Sì, hai ragione. – accennò un sorriso - E’ più facile riconoscere le solite facce che ci sono a Rosewood, che quelle andate via da tempo.”

L’altro buttò, nervoso, una rapida occhiata sulla Signora Dimitri, sempre distaccata. Improvvisamente, pensò di dover cogliere l’occasione di azzardare qualche domanda.

“Vi fermate ancora per molto, qui?”

“Siamo qui solo perché è la polizia ad averci chiesto di restare. Tutto finirà quando cattureranno Jasper Laughlin.”

“Siete sicuri che sia stato lui?” ribattè, bloccando la donna da ciò che stava facendo. Quella si tolse gli occhiali, guardandolo fisso negli occhi, il volto pallido e poco amichevole.

“Sì, - quasi lo urlò - siamo sicuri!”

Nathaniel titubò, a disagio: “Ehm, scusate, non volevo metterlo in dubbio. Vado a-a dare la vostra ordinazione. Buon pranzo e ancora condoglianze…” e se andò, allontanandosi velocemente da quel tavolo.

Stranamente, Clarke lo raggiunse, prendendolo per un braccio.

“Ehi! - lo fece voltare – Scusa mia madre, lei è molto suscettibile in questi giorni, da quando siamo tornati a Rosewood per questa storia. Non voleva reagire in quel modo.”

“Ma no, assolutamente no, è comprensibile. Tutti siamo sconvolti per ciò che è accaduto.”

“Però, tu, non sembri sconvolto.”

Quell’affermazione destabilizzò Nathaniel, che si irrigidì: “Come?”

Clarke rise: “Scusa, non volevo essere così diretto. – mantenne un sorriso leggermente pronunciato – Il fatto è che conoscevo mio fratello e ho visto quel video che vi ha fatto girare. Insomma, non era proprio uno stinco di santo e immagino che tu e i tuoi amici ce l’abbiate con lui.”

L’altro divenne serio: “Non puoi avercela con qualcuno che è morto, ma, sicuramente, ce l’avevo con lui quando era vivo.”

“Nemmeno io ero un grande fan di mio fratello. Non ti nascondo che avevamo problemi in famiglia, ma chi non ne ha. Tuttavia, ho lasciato casa, senza voltarmi indietro, dopo che se n’era andata mia madre. Anthony aveva quindici anni e io l’ho abbandonato. Un fratello non abbandona mai un altro fratello quando i genitori si separano, ma non ho provato alcun rimorso nell’abbandonarlo. Mio fratello era un ragazzo problematico fin da allora e non potevo rinunciare ai miei sogni per una causa persa.”

“Sono parole forti, queste. – lo ascoltò con attenzione, sospettando che sapesse qualcosa che lui e i suoi amici non sapessero – Forse non conoscevo bene Anthony come lo conoscevi tu.”

“Già, non lo conoscevi come lo conoscevo io. E’ più facile conoscere a fondo una persona quando si ha un legame di sangue.” marcò quelle parole, Clarke.

Nathaniel voleva tanto chiedergli di più, impalato. Amanda Dimitri, però, richiamò suo figlio.

“Ehm, ora devo tornare da mia madre. Spero che per te, e i tuoi amici, gli ultimi due anni di liceo siano sereni.”

“E io spero che Jasper Laughlin sia davvero l’assassino di Anthony e suo padre, così questa storia sarà archiviata una volta per tutte. Sai, a volte non sempre la giustizia fa centro.”

Clarke si fermò, notando delle perplessità nel ragazzo: “E’ lui, fidati. Ci sono dei trascorsi tra la nostra famiglia e il signor Laughlin; trascorsi di cui preferisco non parlare. Non ci sono dubbi. – gli sorrise, un ultima volta – Ora devo andare. Ti auguro il meglio, - un’occhiolino - nuotatore!” e se ne andò.

Nathaniel rimase lì impalato, fissandolo, mentre tornava al tavolo, accanto alla madre. Sapeva che nascondeva qualcosa, ma la conversazione lo lasciò confuso a tal punto da non capire se sia realmente così; Il volto di Clarke aveva un che di ingannevole.

 

*

 

Nel frattempo, Eric e Rider passeggiavano lungo il mercatino dei libri usati; moltre persone erano accorse, nel tentativo di acquistare un buon libro a basso costo. C’era chi passeggiava come loro e chi si fermava davanti ad uno dei tanti stand a leggere qualche paragrafo del libro tenuto in mano.

Anche Rider faceva la stessa cosa, mentre Eric camminava, più indietro, strisciando la punta delle dita lungo il mucchio di libri.

“Potremmo prenderle un romanzo True crime!”  suggerì, mentre Rider era assorto nella lettura.

“E’ una battuta? – distolse lo sguardo per un attimo – Scrivile di noi quattro e Anthony, fai prima. Abbiamo una trama decisamente più interessante dei True crime che ci sono qui.”

L’altro si avvicinò: “Che stai leggendo?”

“Un giallo. Di una certa Marlene King…sembra interessante! – si mostrò dubbioso, distogliendo nuovamente lo sguardo dalla lettura – Però non so se acquistarlo. La pagina prima, sembra che debba succedere qualcosa di grosso, un colpo di scena che probabilmente ti lascerà senza fiato, poi arrivi alla pagina seguente e sembra una presa per i fondelli.”

“Oh, - si entusiasmò – credo che sia il libro giusto per Alexis. Sembra non aspettarsi molto dalla vita!”

Rider strinse gelosamente il libro a sé: “Ma lo voglio io!”

“Hai detto che fa schifo!”

“Non lo so, - si mostrò confuso - è come una droga.”

Eric, allora, frugò in mezzo agli altri libri: “Allora ne cerco uno uguale!”

“Eric, - lo fermò - è un mercatino di libri usati, ogni libro è unico qui!”

“Beh, allora ordinalo online. – glielo tolse dalle mani – Questo lo avrà Alexis!”

Rider si arrese, ma finse ugualmente un broncio: “Va bene, tienilo. Tanto non mi piaceva.”

“Sì, invece.” ribadì, l’altro.

“Vado a cercare là giù. - indicò verso una direzione - Qualcosa per me!”

“Ok, - lo vide allontanarsi – provo a cercarti qualcosa anch’io.”

Rider, finalmente, sembrò essere attratto da qualcos’altro, allo stand in cui era giunto. Allungò la mano per recuperare il libro, ma non era l’unico ad averci messo gli occhi sopra. Sbattè la mano con quella di un uomo, riconoscendolo.

“Oh, Signor Palmer, è lei!”

L’altro fu sorpreso nel vederlo, ma non tanto, poco dopo: “Signor Stuart…Come procede la sua sospensione?”

“Non bene. – sorrise, sconsolatamente – Domani dovrò riempire un’altra giornata persa.”

“Sono molto dispiaciuto, davvero. Sei un ragazzo così brillante e sei qui a comprarti un libro, anziché dormire o girare con la tua auto a tutto volume, come un nullafacente: cosa che farebbe un qualsiasi altro ragazzo sospeso. Tuttavia, però, bisogna prendersi la responsabilità delle proprie azioni.”

“Me la sono presa, infatti, o non sarei qui. E sono davvero mortificato per il disagio che abbiamo causato ad alcuni dei nostri compagni di scuola. – abbassò lo sguardo, triste - E ad Albert…”

“Spero che non sia successo nulla di grave a quel povero ragazzo. – Palmer si mostrò in pensiero, come chiunque, pensando a quella vicenda - Tutti abbiamo avuto le nostre faide scolastiche, ma nessuno scompare per così a lungo…”

Rider deglutì, prima di mentire ancora una volta, sapendo la verità: “Lo spero anch’io. Spero che non gli sia successo niente e che torni.”

A quel punto, Palmer fissò il suo orologio da polso: “Sì è fatto tardi, ho l’ultima ora da fare. Arrivederci, Rider.” e si avviò, congendandosi con un sorriso, ricambiato.

Dopo qualche passò, però, si fermò, voltandosi nuovamente.

“Rider?”

Quello si girò: “Sì?”

“Appena rientrerai, ci sarà un test a sorpresa sui padri fondatori. Preparati!”

“E’ un test a sorpresa… - ne rimase perplesso - Perché per me non è più una sopresa?”

“Questa sospensione ti ha già penalizzato abbastanza. Ti sei impegnato molto, per cascare proprio adesso. Cerca solo di non commettere più errori, in futuro.” e, stavolta, se ne andò sul serio.

Quelle parole, stamparono un sorriso sul volto di Rider. Qualcuno credeva in lui, finalmente. Rimasto impalato per qualche secondo, si decise a tornare da Eric.

Arrivando alle sue spalle, entrambi si accorsero della presenza di Violet, vicino ad uno stand, più avanti.

“Ma guarda chi ha saltato l’ora di falsologia!” esordì Rider, sottovoce.

Eric si accorse dell’amico, alle spalle, commentando la scena: “Guarda, c’è anche Colton con lei.”

“Probabilmente, - replicò, con occhio sospettoso - fingono di guardare libri per spiarci!”

“Sei ancora convinto che entrambi siano A?” era ancora scettico, Eric.

“Non ne sono sicuro, ma Sam ha ragione: una persona sola non può scambiare due corpi all’obitorio. Lei potrebbe essere la mente e lui il braccio muscoloso.”

Improvvisamente, sia Colton che Violet, puntarono lo sguardo verso di loro. Rider ed Eric, colti di sorpresa, si girarono subito nella direzione opposta, spaventati.

Quest’ultimo ritrovò le parole: “Dici che ci hanno visto?”

L’altro gli lanciò una lunga occhiata di ovvietà: “Certo che ci hanno visto, non hanno le bende agli occhi.”

“Quindi che facciamo? – era in ansia - Dobbiamo passare di fianco a loro per tornare alla macchina.”

“Dio, - sospirò, Rider – un tempo non ci saremmo mai fatti tanti problemi a passare di fianco ad Albume e sua sorella!”

“Perché c’era Anthony con noi!” gli ricordò, Eric.

 

FLASHBACK

 

La cricca di Anthony al completo era appena entrata nella mensa della scuola. Il leader avanzò al banco del cibo, con i suoi quattro seguaci a seguito, come sempre. Presero i vassoi vuoti, uno alla volta e si fermarono davanti al ragazzo che li riempiva: Colton Rhimes.

“Ciao, Albume, cosa ci servi di buono oggi?” domandò Anthony, con il suo solito sorriso cinico e burlone.

“Purè di patate!” rispose quello, serio, fingendo di non aver sentito come l’ha chiamato.

Anthony visionò ciò che c’era, attraverso il vetro, molto irritato.

“Non è vero, Albume. Io vedo una mela, della carne e un succo di frutta, che vorrei. Il purè di patate puoi darlo alla tua sorellina, se vuoi.”

“Ho detto che posso darvi solo il purè!” insistette, a denti stretti.

Improvvisamente, arrivò una ragazza, spedita, molto gentile e carina.

“Ciao Colton, mi hai lasciato qualcosa? Mi sono fermata a fare delle fotocopie e ho fatto tardi.”

Quello, sorridendole, abbandonando completamente l’espressione negativa che aveva fino a pochi attimi prima, le riempì subito il vassoio, con le cose che si rifiutò di dare ad Anthony. Li tremavano le mani, come in preda all’emozione.

Anthony osservò la scena, con i suoi amici, silenzioso, come pronto a deriderlo da un momento all’altro.

“Tieni, Brianna!” le diede il vassoio, fissandola, premuroso.

“Grazie, - Brianna guardò dentro il suo vassoio – mi hai lasciato tutto quello che ti avevo chiesto. Che gentile.”

“Già, - si intromise Anthony – togliendo il cibo a me, che sono arrivato prima.”

Sam strattonò Anthony, voleva solo andare a sedersi: “Dai, andiamo, accontentati del purè per oggi.” ma quello non lo ascoltò nemmeno.

“Ehm… - non sapeva cosa dire, Brianna – Scusa, Anthony, puoi prendere il mio vassoio se vuoi, mi accontenterò del purè. Chi tardi arriva, male alloggia. Hai ragione.” e cercò di passargli il vassoio.

Quello, però, rifiutò: “No, tienitelo. C’è tanto amore in quel vassoio, - fissò Colton, con un sorrisino maligno – Non è vero, Albume?”

“Che-che – non capì, la ragazza, a cosa mirasse - vuoi dire, scusa?” mentre

Colton sembrò innervosirsi, a quel punto, il cuore che batteva forte, lo sguardo basso, gli occhi che si muovevano all’impazzata.

“Brianna, ma ancora non l’hai capito? Albume prova dei sentimenti per te. – rise – Assurdo, vero? Come se una ragazza potesse ricambiare.”

Brianna lanciò una rapida occhiata a Colton, sentendosi a disagio.

“Le ragazze cercano più tipi come lui. – Anthony tirò avanti Eric – Pelle perfetta, bei capelli, bei vestiti… - fissò Colton negli occhi – Non uno come te, Albume.”

Il ragazzo provò rabbia, stringendo i pugni, sotto al bancone, nell’ascoltare quelle parole.

Anthony continuò a punzecchiarlo, perfido: “Non puoi neanche diventare rosso dalla vergogna…”

Brianna, senza ascoltare altro, se ne andò. Colton la vide andare via, amareggiato, sentendo crescere l’ira dentro di sè, che, però, non esplose. Gli bastò scambiarsi uno sguardo con sua sorella Violet, seduta in mensa, qualche tavolo più avanti, che stava osservando la scena, per tornare calmo.

“Vada per il purè, Albume. Ma domani voglio le uova!” rise di gusto, Anthony, dopo quella battuta, cercando lo sguardo complice dei suoi amici, che forzarono la loro risata per compiacerlo.

 

Eric e Rider si fecero coraggio e si voltarono, pronti ad affrontarli per tornare alla loro auto. Stranamente, però, non c’erano più, e i due si guardarono attorno.

“Ma dove…???” si chiese Rider.

Eric, invece, mentre puntava lo sguardo ovunque, finì per abbassarlo, in direzione dei libri, ammucchiati allo stend dove erano fermi. Uno in particolare, attirò la sua attenzione, costringendolo a prenderlo tra le mani.

“Ehi, Rider, ma questo non è il libro di tuo padre?”

L’altro, distratto, gli diede retta: “Come? – lo riconobbe, poi – Cosa? Ma che…?” e lo scrutò meglio, togliendoglielo dalle mani.

“Non è lo stesso che ci hai mostrato ieri, vero?”

“No no è un’altra copia, ma… - si guardò attorno, indignato - Che stronzi a darlo via con sopra delle macchie di caffè e le pagine tutte stropicciate!”

“Ehi, aspetta… - notò qualcosa, alla fine del libro, indicando – C’è scritto qualcosa qui…”

Era una scritta in rosso, infatti.

 

“Che lettura interessante, vero stronzetti?”

-A

 

“Come faceva A a sapere che saremmo venuti qui?” Eric si guardò attorno assieme a Rider, turbato.

“Magari A era proprio qui, un attimo fa!”

“Colton e Violet?” intercettò i suoi pensieri.

“Beh, sono passati da questo stand, prima di arrivare a quell’altro, no? Avranno piazzato loro il libro di mio padre.”

 

*

Sam, intanto, era ancora a casa, nel salotto, seduto sul divano a guardare la tv, abbastanza scocciato del programma che davano.

Lo squillo del telefono, accanto a lui, distolse la sua attenzione dalla televisione. Sul display comparve il numero di suo padre.

Rispose, perplesso.

“Ehi, Papà, perché mi chiami? Sai che sono a scuola, no?”

“Ah, - esordì, furioso nella voce – sei a scuola? Davvero?”

Sam intuì che aveva scoperto tutto, mentre quello continuava.

“Il preside della tua scuola mi ha chiamato e mi ha raccontato tutto. Questa sera faremo una bella chiacchierata sulla tua condotta.”

“Papà, mi dipiace. I-io, davvero…”

Ma Carter non lo lasciò finire, severo: “Ne parliamo stasera, ho detto!...Sono MOLTO, molto deluso.”

Sam aveva le lacrime agli occhi, ormai: “D’accordo…” e quello chiuse.

Quando abbassò il telefono, comparve l’ennesimo messaggio di A.

 

“Sta attento alle bugie che racconti, io posso trasformarle in realtà.”

-A

 

Sam gettò il telefono sull’altra poltrona, digrignando i denti per la rabbia, fra le lacrime.

 

*

Tornati all’auto, parcheggiata davanti al Brew, Rider sembrava avere le idee chiare.

“Quindi la A che ha salutato Sam, dall’altro molo, era Colton?” cercò di convincersene, Eric.

“Già! – esclamò Rider, il telefono attaccato all’orecchio, una chiamata in corso - Deve aver architettato tutto con sua sorella. Probabilmente vedono Anthony in tutti noi e sono sicuro che l’amico psicopatico di Albert è Colton: entrambi bersagliati dallo stesso demone. – tolse il telefono dall’orecchio – Accidenti, perché Sam non risponde?”

“Probabilmente è in modalità serie tv!”

“Chiamo Nathaniel! – si rimise il telefono all’orecchio e quello squillò – Oh, mi sta chiamando lui. Siamo sulla stessa lunghezza d’onda, a quanto pare. – rispose, a quel punto – Ehi, Nat!”

“Ehi, sono bloccato al ristorante, devo parlarvi.”

“Anche noi. – continuò Rider, mentre Eric faceva il giro dell’auto, raggiungendolo, per ascoltare – Sei in vivavoce, c’è anche Eric con me.”

“Clarke e sua madre sono venuti a pranzare al mio ristorante.”

“Clarke, il fratello di Anthony?” sussultò Eric.

“Quando?” aggiunse Rider.

“Verso mezzogiorno, sono usciti da poco. In ogni caso, ho avuto una strana conversazione con il fratello.”

Rider voleva saperne di più, isterico: “Del tipo? Abbiamo consegnato alla giustizia l’assassino sbagliato, portaci una baguette?”

Nathaniel continuò: “Ho avuto come la sensazione che Clarke sapesse quello che sa A su Anthony, ok? Poi la madre ha come sbottato quando ho provato a mettere in dubbio la colpevolezza di Laughlin.”

Eric commentò, in merito: “Evidentemente non ha ancora digerito il tradimento del marito con un uomo, mi sembra ovvio.”

“Quindi pensi che Clarke – fu il turno di Rider - sappia qualcosa sul file Rosewood-riservato?”

“Ha definito Anthony una causa persa e che un fratello non abbandona mai un altro fratello, quando due genitori divorziano, ma lui l’ha fatto. Se n’è andato!”

Eric fissò Rider, inquieto: “Che diavolo di segreto nascondeva Anthony, tanto da far fuggire suo fratello?”

“Non è fuggito, ragazzi! – lo trovò assurdo, Rider – Clarke doveva iniziare il college, all’epoca.”

“Ah, comunque, - prese parola Eric – Rider pensa che Colton e Violet siano A.

Rider pensa? – gli lanciò un’occhiattaccia, quello – Davvero, Eric?”

L’altro roteò gli occhi, correggendosi: “Ok, io e Rider pensiamo che loro siano A. Siamo andati al mercartino dei libri usati, prima, nella strada del Bourbon's Page, e c’erano anche loro. Abbiamo trovato un libro con dentro un messaggio firmato da A.

“Cazzo, ne siete sicuri?”

Rider lo ribadì a gran voce: “Sicurissimi. Il trenino giocattolo può averlo messo solo uno studente nel mio armadietto. Per non parlare del mio telefono, magicamente riapparso nella mia auto, questa mattina. L’avevo lasciato a scuola.”

Anche Nathaniel se ne convinse, allora: “Ok, che facciamo allora? Ne abbiamo già discusso su cosa avremmo fatto, una volta scoperto chi è A.”

“Niente! – esclamò, Eric, seccato – Che non avremmo fatto niente, perché ha… - si stoppò, correggendosi, confuso – cioè, HANNO, il video di quella notte.”

Nathaniel, che parlava dalle cucine del ristorante, si slacciò il grembiule: “Sentite, torno a casa a farmi una doccia. Mi dovevo vedere con Sam, ma ho appena trovato un suo messaggio; Ackett ha chiamato suo padre e gli ha raccontato tutto. Doveva aspettarselo che non si sarebbe fermato ad un fax.”

“Ti vuoi vedere con noi, dopo? Poi passiamo da Sam, così ne parliamo tutti insieme?” gli chiese, Rider.

“Sì, ok, ma…con Clarke che facciamo? Non dovremmo approfittarci del fatto che è ancora qui a Rosewood e provare a chiedergli di Rosewood-riservato, se ne sa qualcosa?”

“E come pensi di esordire senza dirgli di A e di tutto questo casino?” replicò, Rider.

All’improvviso, il telefono di Rider notificò un messaggio. Suonò anche quello di Eric. Entrambi si guardarono e lo aprirono.

 

“Non avrete accesso a Rosewood-riservato, finchè non ve lo permetterò io.”

-A

 

Guardandosi attorno, agghiacciato, come Eric, Rider prese parola: “Nat, sei ancora in linea?”

“Avete ricevuto anche voi il messaggio?”

“Ok, - sussultò Eric, turbato e incredulo – come diavolo fa A a sapere quello che ci siamo appena detti? – si voltò da ogni parte, la gente che passava lungo il marciapiedi – E’ qui intorno a noi, forse?”

Rider sospirò, lasciando perdere: “Inutile scervellarci… - si rivolse a Nathaniel, poi – Nat, ci vediamo dopo, così ne parliamo meglio.”

“Ok, a dopo.”  e chiuse.

Rider ed Eric si lanciarono l’ennesima occhiata, per poi guardarsi di nuovo attorno e salire in auto.

 

*

 

Più tardi, nel pomeriggio, Sam era ancora chiuso in casa sua. Stava scendendo per le scale, quando sentì suonare alla porta; si fermò proprio agli ultimi gradini, domandandosi chi potesse essere, facendo silenzio.

Una voce, da fuori, si fece sentire: era quella di Chloe.

“Sam, lo so che sei in casa! C’è la tua auto parcheggiata qui fuori.”

Quello rimase impalato sulle scale, non emettendo alcun suono.”

“Sam?? – gridò ancora – Ci sei?? Devo dirti alcune cose, apri!”

Ma niente, lui non le rispose. Dopo qualche istante, sentì sbuffare, avvicinandosi alla porta a passi felpati, osservando fuori attraverso lo spioncino: Chloe stava facendo dietro front verso la sua auto, risalendoci sopra.

Sam si allontanò dallo spioncino, triste per averla ignorata. Sconsolato, risalì al piano di sopra, entrando in camera sua; passò accanto alla sua scrivania, sedendosi sul letto, sospirando, la testa bassa, le mani unite. Quando sollevò lo sguardo, davanti a sé, osservò il pc spento, sulla scrivania. Improvvisamente, esso si accese, irrigidendo Sam.

“Ma che diavolo…???”  

Si pronunciò, aguzzando la vista sullo schermo, gettandosi in avanti con la testa: mostrava l’interno di una camera. Sam, però, sembrava non capire a chi appartenesse, così rimase a guardare, in attesa di capirlo.

Finalmente qualcuno entrò, dando le spalle alla webcam. Sam riconobbe quella persona, all’istante, pronunciando il suo nome con un sussurro.

“Nathaniel…”

Quello, ingnaro di essere ripreso, osservò il proprio telefono per qualche secondo, prima di buttarlo sul letto ed iniziare a spogliarsi. Prima la maglietta, poi le scarpe, i pantaloni; il tutto mentre Sam passava dal letto alla sedia della sua scrivania, con gli occhi incollati sullo schermo. Nel momento in cui Nathaniel stava per togliersi anche i boxer, la finestra video si chiuse, lasciando solo il desktop.

Tiratosi indietro sullo schienale della sedia, Sam aveva ancora lo sguardo perso, il respiro rumoroso, il cuore che batteva forte, la fronte sudata. Improvvisamente, si aprì una nuova schermata sul desktop: un messaggio.

 

“Vorresti andare oltre, vero stronzetto?”

-A

 

Il respiro di Sam si fece ancora più tumultuoso, il petto che si gonfiava e sgonfiava velocemente, una sensazione di panico e soffocamento che lo portò all’esasperazione, fino ad alzarsi bruscamente dalla sedia e urlare contro lo schermo del computer.

“Bastaaaaaa, lasciami in pace!”

Buttato tutto quanto fuori, Sam fece grossi respiri, cercando di riprendersi. Un altro messaggio comparve sul desktop.

 

“Sai già cosa devi fare per liberarti di me, oggi.”

-A

 

In una smorfia di rabbia, chiuse il portatile con grande foga.

Fu il suo telefono, poggiato sul letto, a portare un altro messaggio, vibrando per qualche secondo. Sam poteva leggerlo perfettamente dal punto in cui era, senza doversi avvicinare a prenderlo.

 

“Sono ancora qui…”

-A

 

A quel punto, riprese a respirare in maniera spasmodica, mettendosi le mani nei capelli ed iniziando a piangere, disperato.

 

*

 

Rider stava rientrando a casa con in mano il libro di suo padre, quello trovato al mercatino. Chiusa la porta, vide il suo cane venirgli incontro.

“Tobyy!” si piegò sulle ginocchia per accarezzarlo, sorridente.

Dalla stessa stanza da cui era uscito Toby, si affacciò anche Richard, suo padre.

“Sono le quattro – controllò il suo orologio da polso – e sei già a casa?”

Rider si sollevò in piedi, più serio, mentre il cane gli faceva ancora le feste: “Sono stato al mercatino dei libri usati, poi sono andato a pranzo con un amico…Rosewood non ha altro da offrirmi per oggi!”

“Quello… - notò il libro fra le sue mani – è mio?”

“Ehm, - lo guardò un attimo – sì, qualcuno che avrà finito di leggerlo!”

“Deduco che non sono il suo autore preferito, fa parte di una serie di volumi da collezionare, quello.”

L’altro sorrise, sarcastico: “Evidentemente hai concluso male la storyline di qualche suo personaggio preferito.”

“Evidentemente!” marcò con le sopracciglia.

Un breve sospiro di entrambi, Rider riprese parola, morso da qualcosa che gli era appena venuto in mente.

“Ricordi quando hai scritto quel libro, quello in cui c’era quest’uomo che andava a trovare suo figlio in un manicomio?”

“Ehm, - titubò, ricordando – sì, ti riferisci a il bambino aldi là del cancello?

“Sì, quello!”

“E allora?” lo osservò a lungo, aspettando una risposta.

“Parlavi di questo bambino, con problemi mentali, e di come i suoi genitori furono costretti a rinchiuderlo in manicomio, perché era troppo pericoloso per i suoi fratelli, ancora troppo piccoli, come lui. Suo padre, però, non volle abbandonarlo, così li portò in regalo delle bambole: rappresentavano la sua famiglia. Solo che…non erano delle semplici bambole; dentro ognuna di esse c’erano dei microfoni e il bambino li ascoltava parlare, come se fossero lì con lui. Come se potesse interagire con loro.”

Richard, serio, si lasciò poi scappare una piccola risata: “Non capisco cosa stai cercando di dirmi, Rider. Perché ricordarmi della trama di questo libro, che conosco a memoria?”

Quello, allora, smise di essere vago: “Ogni volta che scrivi un libro, ti consulti con qualcuno. Una consulenza, giusto?”

“Sì, ho diversi contatti. Non posso conoscere tutto, a volte devo intervistare delle persone.”

“Per il materiale spionistico a chi ti rivolgi?”

“Per quello mi sono rivolto a… - cercò di ricordare - ad una Professoressa del dipartimento di ingegneria elettronica a Brokehaven. Sì, una donna di nome Denna Marx. Un tipo abbastanza eccentrico, ha i rasta!”

“Una Professoressa con i rasta, interessante!” aggiunse, prendendo in mano il telefono e passando davanti al padre.

“Tutto qui? – quello rimase impalato, perplesso – Perché tutti questi giri e poi, semplicemente, te ne vai?”

“Perché, - si fermò Rider, sulle scale, voltandosi - la mia domanda sembrava avere un fine?”

“Ogni domanda ha un fine, Rider. E la tua era parecchio articolata. Sono uno scrittore, - rise - se non noto io queste cose…”

“Ehm, ti ho fatto queste domande, perché… - arrancò, qualche gradino più giù, cercando di spiegare – ho deciso di scrivere qualcosa anch’io. – sorrise, poco dopo aver mentito – Magari seguirò le tue orme.”

Richard, sbigottito, scoppiò a ridere: “Le mie orme? – sfumò in un’espressione seria, piacevolmente colpita - Non pensavo ti interessassi alla scrittura. La cosa mi rende stranamente fiero e…lusingato!”

L’altro accennò solo un sorriso, avanzando per le scale. Suo padre lo fermò ancora una volta.

“Ehi, però pretendo di leggere qualcosa!”

Rider girovagò con lo sguardo, l’ennesimo finto sorriso: “Ehm, sarai il primo!” e salì di corsa quelle scale.

 

*

 

Giunto al pianto sopra, nel corridoio, il telefono all’orecchio, Rider avviò una conversazione.

“Pronto?” rispose Eric.

“Andate a prendere Sam, andiamo a Brokehaven!”

“Brokehaven? – rispose, mentre si sentiva la voce di Nathaniel, in sottofondo, che urlava il nome di Sam - A fare cosa?”

“Ma è la voce di Nat? Dove siete?”

“Siamo a casa di Sam. Dobbiamo parlare tutti insieme, ricordi?”

“Sì, ma fate presto, parleremo a Brokehaven!”

“Mi spieghi cosa c’è a Brokehaven? Perché dobbiamo andare a Brokehaven?”

“C’è una Professoressa, una certa Denna Marx, insegna al dipartimento di ingegneria elettronica. Magari puoi aiutarci a capire come disattivare questi cosi!”

Eric fece qualche attimo di silenzio, confuso: “Questi cosi, cosa?”

“I microfoni o cimici o quello che sono! A devi averci messo qualcosa addosso, altrimenti non saprebbe quello che ci diciamo ogni volta, no?”

“A parte il fatto che, probabilmente, A sta ascoltando quello che dici…Cosa pensi di dire a questa Professoressa? Ciao, ho diciasette anni e qualcuno mi ha messo una cimice addosso per scoprire quante zollette di zucchero metto nel caffè?

“Non farla tanto lunga, ci inventeremo qualcosa. L’importante è riuscire ad isolarci da A!”

“Un’altra scrittura creativa, - replicò, scocciato - come ha fatto Nathaniel?”

Non ricevette risposta.

“Pronto? Rider? – si tolse il telefono dall’orecchio, fissando lo schermo, ma la chiamata era ancora in corso – Rider, ci sei? Guarda che sei ancora in linea!”

“Ehm, sì, scusa… - finalmente rispose - Testavo una cosa!”

“Cioè? Farmi parlare da solo?”

“Niente, controllavo solo se dopo la mia ultima frase, A avrebbe mandato un messaggio intimidatorio, ma non l’ha fatto. Questo significa che non ci ascolta tutto il tempo e che dobbiamo sbrigarci ad andare a Brokehaven.”

“Va bene, ti passiamo a prendere a casa tua. A fra poco!”

“Ok, fate presto!” chiuse anche Rider.

Intanto, Nat stava bussando ancora alla porta dell’amico.

“Saaam?? Sam, sei in casa? Siamo noi!”

“Niente? – si avvicinò Eric – Perché non apre? Non hai detto che sarebbe rimasto a casa?”

L’altro, spostandosi alla finestra di fianco alla porta, cercò di guardare all’interno, attraverso il vetro: “Infatti… - continuò a guardare dentro - Forse è andato in centrale dal padre per parlare della sospensione, ma la sua auto è qui.”

Eric riprese in mano il telefono, scrivendo un messaggio: “Continua a bussare, magari dorme. Io, intanto, scrivo ad Alexis.”

“Chi è Alexis? – domandò, mentre ritentava alla porta, bussando più forte – Saaam?”

“Una ragazza che lavora al Brew, credo di piacerle. O, almeno, così ha detto Rider!”

Arreso, Nathaniel si voltò a parlare meglio con lui: “Quindi le stai chiedendo un appuntamento?”

“Più o meno. – ribattè, imbarazzato, la voce piccola - Le ho anche comprato un regalo. Un libro.”

L’amico sollevò le sopracciglia: “E’ una Rider femmina, per caso?”

“No! – ci riflettè su - E’ più me, femmina, ma con le ciocche blu.”

“Ehm…a me sembra più una descrizione di Avril Lavigne!”

“Non è bionda, a dire il vero.”

“Senti, - si scocciò di parlare di Alexis – possiamo torna a bussare?”

“Se bussi ancora, la porta si staccherà!”

“E’ blindata, non sono così forte!”

Eric roteò gli occhi, seccato: “Fa pure, la mano è tua!”

Nathaniel, allora, in procinto di bussare, fu fermato da un messaggio, che lesse, dopo aver allungato la mano in tasca per recuperare il telefono.

Da Sam:

“Nat, farò un po’ tardi, se non mi trovi è perché sono alla casa di riposo; ho fatto qualche dolce per gli anziani. Voi andate pure a Brokehaven senza di me, prima che A si accorga di quello che stiamo cercando di fare.”

 

Nathaniel rimase assai perplesso dal messaggio, così si voltò verso Eric: “Sam porta dolci agli anziani?”

“Oh, sì, – ricordò – una volta Anthony lo prese anche in giro per questo. In pratica sua madre lavorava in questa casa di riposo e da quando è morta, ogni settimana prepara dei dolci e li porta lì.”

L’altro ne rimase sorpreso e intenerito: “Non sapevo questa cosa di lui… - si riprese, continuando – Comunque come sa di Brokehaven? Io stesso ne so a malapena, ho ascoltato a tratti la conversazione tra te e Rider.”

“Deve averlo avvisato Rider per messaggio. E’ come una sorta di centro messaggi in questo gruppo!”

“D’accordo, facciamo presto allora!” suggerì.

Insieme si avviarono verso la macchina, abbandonando il portico dell’abitazione.

Contemporaneamente, all’interno della casa, Sam era inginocchiato davanti alla porta, che contemplava il suo telefono, sconvolto. Per tutto il tempo aveva ascoltato i suoi amici chiamarlo, dall’altra parte, ignorandoli. Lo shock, però, era dovuto al messaggio, che non era stato lui ad inviare, ma che aveva visto scriversi da solo, sulla tastiera del display.

Improvvisamente, nella schermata della chat, Sam vide i tasti digitarsi da soli. Nuovamente.

“Visto? Riesco a scrivere anche i messaggi al posto tuo, ma, ahimè, serve la tua voce per rivelare i sentimenti che provi per Nathaniel e io te la farò uscire…”

 

Sam deglutì, gli occhi sgranati per lo sconvolgimento.

*Sta digitando…*

“Ora puoi rilassarti, Sam. Non selezionerò invio, se ancora non ne hai abbastanza di me.”

 

Quello lasciò cadere il telefono sul pavimento, tirando indietro le mani, chiuse in un pugno. Lo sguardo girovagava, impazzito. Il panico stava prendendo il sopravvento. Non sapeva cosa fare. Non ne poteva più.

 

 

*

 

Intanto, Chloe, in centro, si stava dirigendo verso un negozio. Di fretta, la borsa in spalla è una fotocamera appesa al suo collo, era in procinto di aprire la porta. Una voce, però, la fermò nell’entrare.

“Ehi, Chloe!”

L’altra sgranò gli occhi, sorpresa e intontita: “L-lindsay Stuart?”

“Ehm, - rise, quella, per la reazione esagerata – non sono Beyoncè, rilassati!”

“E’ che… - cercò di ricomporsi, imbarazzata – sei Lindsay Stuart, una ragazza del quinto anno, molto carina, e che non mi ha mai rivolto la parola in vita sua!”

“Beh, le cose cambiano. Violet Rhimes sta cambiando le cose. La scuola sta diventando decisamente più unita.”

Chloe le sorrise, ancora in imbarazzo: “Già…Ora si è anche candidata a presidente del comitato studentesco.”

“Probabilmente vincerà!”

“Lo penso anch’io!” fu di poche parole, ancora una volta.

“Devi aggiustare la tua fotocamera? – fissò l’insegna – Cos’ha che non va?”

L’altra annuì: “L’otturatore…- Lindsay non sembrava molto interessata ad ascoltare, come se mirasse ad altro - Ha problemi a mettere a fuoco e non è mia. L’ho presa in prestito, questa fotocamera.”

“A proposito… - ribattè, Lindsay, una lunga occhiata, che celava qualcosa dietro al suo sorriso – Grazie per non aver detto nulla a nessuno. Insomma, so che mi hai vista quella notte.”

“Q-quale notte?” titubò, Chloe.

“Avanti, lo sai. Non fingere. – si avvicinò di qualche passo a lei – Quella in cui mi hai visto assieme ad Albert. Nella macchina blu.”

“Ah, - la voce le tremava – eri tu?”

“Chloe, - la squadrò, seria - ti sto facendo paura, per caso? Insomma, non penserai che Albert sia scomparso a causa mia, vero?”

“No no, certo che no, ma… - deglutì - Sei andata alla polizia? Sanno che sei stata l’ultima persone ad averlo visto?”

“Non ero da sola, quella notte. Sai, - si avvicinò al suo orecchio, sussurrandole – io frequento, diciamo…una persona più grande e… - si allontanò, tornando a parlare con un tono normale – Insomma, non volevo metterla nei guai. La polizia avrebbe trovato molto strana la faccenda. Lo capisci, no?”

Quella annuì, curiosa: “Sì si, certo. E…che ci facevi con Albert a quell’ora? Chi era questa persona più grande con cui eravate?”

“Anthony dava noie anche a me, non solo quelli come Albert o…te! – fece una pausa, prima di continuare – Hai presente il video che è stato divulgato qualche giorno fa su Anthony, mio fratello e i loro amici? Beh, Albert era nascosto dietro la porta dell’aula in cui l’hanno girato e ha ascoltato tutto. Io stavo passando da quel corridoio, per caso, quel giorno, e la cosa mi ha incuriosito a tal punto da domandargli cosa stesse facendo. Lui mi fece segno di avvicinarmi…Quando i ragazzi se ne andarono, entrammo e prendemmo la videocamera.”

“Volevate che la scuola vedesse quel video? – era confusa – Ok che Albert volesse questo, ma tu? Rider è tuo fratello, perché fargli una cosa del genere?”

“Non volevo divulgare il video, infatti. Volevo solo essere lasciata in pace, far sapere ad Anthony che avevamo quel video e che doveva lasciarci in pace…Albert, poi, fece delle copie e disse che si sarebbe preoccupato lui di parlare con Anthony, così ho preferito non espormi troppo e lasciare che facesse tutto lui.”

“Ma, aspetta un secondo, il video è stato divulgato dopo la scomparsa di Albert. Sei stata tu?”

“No! – marcò, con gra voce – Te l’ho detto, non volevo farlo. Dopo la scuola, poi, Albert non si fece più sentire e lo incontrai che girava di notte verso le parti del Wall mart. E’ salito nell’auto del ragazzo con cui ero e gli ho chiesto se avesse parlato con Anthony. Lui mi ha risposto che era tutto risolto, poi scese, di fretta e…Non l’ho più visto né sentito.”

“Ma… - riflettè, cercando di capirci qualcosa, spostandosi i capelli da davanti la faccia – Se non sei stata tu a divulgare il video, allora chi è stato?”

“Non è evidente? – dichiarò con scontatezza – E’ stato Albert!”

In una smorfia perplessa, Chloe replicò: “Sicura che questo tuo ragazzo non abbia ottenuto una copia da Albert, nel corso della giornata? Magari è stato lui!”

“E’ stato tutto il giorno con me! – affermò – L’unico ad avere quel video era Albert ed è stato lui!”

“Quindi pensi che Albert, - si mostrò turbata - sia nascosto qui a Rosewood?”

Lindsay si avvicinò di più a Chloe: “Io penso che Albert abbia ucciso Anthony e suo padre e che per paura di ciò che ha fatto, abbia finto di sparire. Questo, però, non l’ha fermato nel dare il colpo di grazia a coloro che l’hanno sempre sostenuto: mio fratello e i suoi amici… - ora anche lei si mostrò turbata, quasi spaventata – Albert sembrava un tipo instabile. L’ultima volta che l’ho visto non aveva una bella cera.”

“Se pensi che si nasconda qui, allora dillo alla polizia! Potrebbe fare del male a tuo fratello o i ragazzi.”

“E se mi sbagliassi? Albert ha fatto delle copie di quel video. Chi mi garantisce che sia stato davvero lui? Magari è davvero scomparso ed è stato qualcun altro, magari c’è molto di più dietro e io non voglio guai! – concluse, sorpassandola – Ora devo andare…In ogni caso, grazie di non aver detto a nessuno che mi hai visto quella notte.”

E quando si voltò per andarsene, Chloe la fermò.

“Ehi, aspetta… - Lindsay si girò – Ti ha detto qualcos’altro, Albert, quel giorno?”

L’altra non capì: “Cioè?”

“Niente… - scosse la testa – Niente, lascia stare.”

“Ok… - rimase lì impalata per qualche secondo – Allora ciao!” e se ne andò.

Chloe la fissò a lungo, mentre si allontanava. Poi, entrò finalmente dentro il negozio.

 

 

*

 

Arrivati a Brokehaven, i ragazzi stavano attraversando il campus dell’università. Rider, in mezzo a Nathaniel ed Eric, teneva in mano una brochure.

“Il dipartimento di ingegneria elettronica è nella zona ovest del campus!”

“E’ molto lontano da dove siamo?” chiese Eric, mentre controllava il telefono.

“Sì, – si voltò quello, lanciandogli un’occhiataccia – se continui a messaggiare!”

“Non sto messaggiando, controllo se Alexis ha risposto!”

Rider, dandogli tregua, si voltò verso Nathaniel, che, invece, era distratto dalle belle studentesse che giravano per l’università.

“Ehi, calma i tuoi ormoni, siamo qui per altro! – lo incalzò, mentre Nathaniel roteava gli occhi – Credi che non voglia distrarmi anch’io con due tette da college? Sì! Ma, ahimè, non ho una stramaledetta vita normale come tutti gli altri per poterlo fare.”

“Troviamo questa dannata Professoressa!” ne aveva già abbastanza, Nathaniel.

Trovato il dipartimento, percorrevano i corridoi, ora, ritrovandosi ad un bivio.

“Ok, abbiamo chiesto di lei in giro e hanno detto che potrebbe essere al laboratorio o nel suo ufficio! – Nathaniel si mise davanti ai suoi amici – Da questa parte c’è il laboratorio! – indicò verso destra – Mentre se prendiamo l’altro corridoio ci riporta alle scale e l’ufficio di Denna Marx si trova al quarto piano!”

“Ufficio o laboratorio, allora?” chiese Eric, spostando lo sguardo fra i due amici.

“Ragazzi, A  non rimarrà offline per sempre!”

Nathaniel decise per tutti, a quel punto: “Ok, io controllo al laboratorio, voi salite al suo ufficio. Chi la trova per prima, manda un messaggio!” e iniziò ad avviarsi.

“Ok. – annuì Rider – Tieni il telefono a portata di mano!” ed iniziò ad avviarsi nella direzione opposta con Eric.

 

*

 

Rider ed Eric stavano percorrendo il corridoio del quarto piano. Durante il tragitto, Rider si tolse lo zaino che aveva in spalle, aprendo la cerniera. L’altro, curioso, lo scrutò a lungo.

“E’ da quando siamo qui che mi chiedo cosa c’è in quello zaino!”

“Il mio piano A, per passare inosservati! – tirò fuori un piccolo aggeggio nero e rettangolare – Questo!”

“Che cavolo è?”

Rider gli lanciò, inevitabilmente, un’occhiataccia, prima di rispondere: “E’ un dispositivo di registrazione, l’ho preso dallo studio di mio padre. Serve a registrare!”

“Ehm, - si sentì offeso – ci ero arrivato già a dispositivo di registrazione!

“Ok, lascia parlare me e – lo vide nuovamente con il telefono in mano – metti via quel telefono! Dobbiamo sembrare più adulti, secondo il mio piano A!”

“Ma che intenzioni hai?” non capì ancora, Eric, cosa avesse in mente.

Purtroppo, però, non ricevette risposta, perché si scontrarono con una donna, sbucata fuori all’improvviso.

Quella aveva una scatola in mano, che con lo scontro, si rovesciò a terra. I ragazzi, mortificati, la aiutarono a raccogliere tutto.

“Oh, ci scusi tanto… - prese parola Rider, mentre si risollevavano tutti in piedi – Cercavamo la… - ma si bloccò, una volta vista meglio in viso, la descrizione che combaciava alla Professoressa che cercavano – Aspetti, lei è Denna Marx?”

L’altra rispose a denti stretti, quasi sarcastica: “Dipende…Siete l’FBI?”

Rider scoppiò a ridere, mentre Eric lo fissava, inebetito: “Bella questa, ma no, non siamo dell’FBI! Succedono molte cose illegali, qui?”

“Ho fatto parecchi favori ad un paio di miei amiche… - bisbigliò, poi – per i loro mariti infedeli!”

“Interessante, comunque… - allungò la mano, che Denna strinse – Mi chiamo Taylor… - inventò sul momento – Buh! Taylor Buh! E sono un Podcaster.”

Eric girò lentamente il collo, fissandolo incredulo, pensando di aver sentito male.

“Taylor Buh…Non si sente tutti i giorni!” pensò Denna.

“E’ il mio nome d’arte, gli studenti dell’ Illinois mi adorano! – esclamò, per poi tralasciare i convenevoli – Possiamo andare nel suo ufficio?”

“Oh, il mio ufficio… - si voltò a guardarlo un secondo – Beh, non è più il mio ufficio. Mi sono licenziata! – squittì - Mi trasferisco a Miami, oggi ho dato la mia ultima lezione!” rivelò con enfasi, sollevando le sopracciglia, eccitata all’idea.

“Miami?” ribattè Eric, spiazzato.

“Già, Miami! Sono pazza, vero?”

“Lasciare un posto fisso per girare in infradito tutto il giorno? Se sei milionaria, non tanto. Se non lo sei, un pò!” aggiunse Rider.

“Beh, - spiegò – Ultimamente sono venuta in possesso di una piccola fortuna, quindi…Perché no, giusto? – quelli annuirono, guardandosi fra loro – Allora, di cosa avete bisogno?”

“Quindi può dedicarci dieci minuti?” le domandò, Rider.

“Ma certo! Ho l’aereo fra… - controllò l’orologio – tre ore, più o meno!”

“Andiamo di corsa, eh? – continuò l’altro – Comunque grazie, non le porteremo via molto tempo.”

“Di cosa volete che vi parli?”

“Stalking! – esclamò Rider -  Noi pensiamo che mettere le persone al corrente di tutti i dettagli sull’argomento e su come reagire a questo fenomeno, possa essere parecchio utile per chi un giorno dovesse affrontare questa minaccia. – si guardò con Eric, mentre continuava – Insomma, gli stalker di oggi hanno parecchi mezzi per tormentare le loro vittime, no? Mezzi avanzati, per così dire!”

“Ehm… - quella si aggiustò gli occhiali, distratta, grattandosi il capo – Sì, questo è verissimo. Mi-mi sembra un’ottima informazione da divulgare.”

“Bene, possiamo entrare, allora?” suggerì Eric.

“Ma certo, accomodiamoci!” Denna riaprì la porta del suo ufficio, facendoli entrare.

 

*

 

Nathaniel, intanto, si stava affacciando dentro ad un laboratorio. Muovendosi al suo interno, curioso, sembrava non esserci nessuno; solo strumenti elettronici, banchi e vari progetti costruiti dagli studenti della facoltà.

Camminando tra i banchi, fu attirato da uno dei progetti, in fondo all’aula: una sorta di casa in miniatura, come quella delle bambole. Sulla facciata anteriore vi era scritto “MouseHouse”.

Sempre più incuriosito, mise un occhio davanti ad una delle tante finestre della casa, cercando di vedere cosa ci fosse dentro.

Vedeva solo un corridoio e dei piccoli mobiletti. Improvvisamente, poi, spuntò un topo e lui indietreggiò, gettando un piccolo urlo, disgustato.

Alle sue spalle, una voce lo fece sobbalzare ulteriormente.

“Inquietante, vero?”

Era una ragazza. Stava poggiando dei libri su uno dei banchi.

“Oh, beh – si voltò, ricomponendosi – Diciamo che non ho mai visto una cosa simile!”

Quella mantenne un sorriso di circostanza: “L’ha progettata Ella Duval, secondo anno. Io la chiamo la casa del grande fratello dei ratti!”

“O una casa delle bambole per ratti!” aggiunse, l’altro, tornando a guardarla.

“E’ monitorata!”

“Come? – si voltò nuovamente, distratto – Monitorata?”

“Sì, vedi quel tablet là giù! – glielo indicò, poggiato sulla superficie di un banco accanto a lui – Puoi vedere in quali stanze si trovano i topi!”

Nathaniel prese in mano il tablet, il display mostrava la planimetria della casa. Sopra dei puntini rossi che lampeggiavano.

“Aspetta, i topi hanno un cip?”

L’altra rise: “Tranquillo, non è sottocutaneo. Hanno un cinturino avvolto intorno al corpo e il cip è attaccato al cinturino. I puntini rossi che vedi sono i topi che si muovono.”

“Quindi…puoi sapere dove sono in qualunque momento?”

“Esatto, ma io la trovo un’idea stupida, usarla sui topi. E’ più eccitante sulle persone!”

“Questa Ella è al secondo anno e sa già costruire un cip?” domandò, rimettendo apposto il tablet.

“Ma no, figurati. L’ha aiutata la Professoressa Marx!”

“Aspetta, - riconobbe il cognome - Denna Marx?”

“Già, lei… - poi scosse la testa, confusa sulla sua presenza – E comunque, tu chi saresti? Non ti ho mai visto qui.”

“Ehm, sono una futura matricola!”

“Oh, capisco…Io sono Zoe, a proposito, e adesso dovrei andarmene, sono passata qui solo per lasciare questi libri. Se ti serve una visita guidata…”

“No no, ti ringrazio. – le sorrise – Io sono Nat…Nathan!”

“Bene, Nathan. – si avviò verso la porta - E’ stato un piacere! Ciao!” e se ne andò, mentre Nathaniel tornava a guardare la casa dei topi.

 

*

 

L’intervista alla Professoressa Denna Marx, nel frattempo, stava procedendo da qualche minuto, mentre erano seduti alla scrivania del suo ufficio. Rider teneva il registratore sulla sua mano destra, tenendo premuto il pulsante, puntato verso di lei.

“…E quindi, in questo modo, è possibile bloccare ogni tipo di intruso!”

I due annuirono all’ennesima risposta ricevuta. Rider aveva ancora una domanda.

“E se queste persone non sanno di essere nel mirino di uno stalker? Come si interviene? Parlo di…microfoni nascosti, cimici. Insomma, roba da Norman Bates ultimo stadio di follia!”

“Ehm, se non lo sanno, non si può intervenire. Ma se lo sospettano…”

Intervenì Eric, a quel punto: “Esatto, se lo sospettano, come si interviene?”

Quella spostò lo sguardo fra i due, lasciandosi scappare una piccola risatina: “Ehm, si va dalla polizia?”

“Sì, ma… - Rider restò serio - se la vittima non può rivolgersi alla polizia, cosa fa?”

“Deve rilevarla, in qualche modo. Le microspie non emettono alcun rumore o vibrazione, difficile capire dove siano state messe. Servono gli strumenti giusti, le cimici sono piccole; ne esistono di piccolissime, davvero piccolissime. Inanzitutto, parliamo di dispositivi elettronici, facilmente rilevabili da soffisticate apparecchiature che individuano di tutto: telecamere nascoste, dispositivi avanzati, addirittura spenti, non più funzionanti o qualsiasi tipo di trasmissione in RF,IR, onde convogliate, linee telefoniche. – i ragazzi la ascoltavano, frastornati, mentre continuava, logorroica - Tra questi, abbiamo i rilevatori di giunzione non lineari, atti a rilevare qualsiasi tipo di circuito elettronico e…”

Rider, esasperato, scosse la testa, grattandosi la fronte: “Ehm, mi scusi se la fermo, Professoressa, ma…In parole povere, come diavolo si chiama questa apparechiatura?”

L’altra, assai spiazzata dalla reazione del ragazzo, rispose comunque: “Beh, ne esistono di tanti tipi, come…”

Fu la volta di Eric, con foga: “Il più diffuso!”

“Ehm, ok… – li trovava sempre più strani – il metal detector dell’aereoporto, vi va bene? Non che sia proprio atto a rilevare microspie, ma è pur sempre un rilevatore di metalli e…”

“Come si disattiva, una volta trovato?” domandò Rider, ancora, senza darle il tempo di finire le frasi.

“Disattivarlo?”

“Sì, - esclamò Eric, nervosamente – Disattivarlo!”

“Ragazzi, vi perdete in un bicchiere d’acqua. – rise ancora – La parte difficile è trovare la cimice…poi quando si trova, basta distruggerla. In qualsiasi modo. O, semplicemente, buttarla via!”

“Ah!” ribatterono entrambi, sentendosi stupidi.

I due ragazzi si alzarono di colpo, allora. Rider sforzò un sorriso di congedo, mentre metteva via il registratore.

“Ehm, direi che abbiamo finito. Abbiamo tutto quello che ci serve.”

Quella rimase ancora seduta, sbigottita dal loro comportamento.

“Ah, sì? Di già?”

“Già! Buon viaggio a Honolulu!” esclamò Eric, mentre uscivano velocemente.

“Grazie!” aggiunse Rider.

“Vado a Miami, comunque!” urlò quell’altra, quando ormai erano fuori dal suo ufficio.

Si alzò, poi, raggiungendo la porta, affacciandosi fuori, fissando i due ragazzi con sguardo sospetto, mentre si allontanavano.

 

*

 

Era ormai calata la sera su Rosewood, ormai da qualche ora. Sam si era appisolato sul divano: era tutto buio, solo la televisione faceva luce. Dopo essersi stiracchiato, fece uno sbadiglio, comprendosi la bocca, per poi controllare l’ora sul telefono e i messaggi, le labbra secche. Di messaggi, stavolta, però, non ce n’erano.

Assetato, si alzò, dirigendosi in cucina, praticamente ad occhi chiusi, perché continuava a grattarseli. Non accese alcuna luce, giunse davanti al frigorifero senza problemi, aprendo lo sportello. La luce interna lo illuminò, costringendolo a spostare lo sguardo, infastidito, recuperando la bottiglietta d’acqua. Senza chiudere lo sportello, si voltò dall’altra parte, sorseggiando grandi quantità d’acqua. Improvvisamente, però, si fermò, osservando quella parte della cucina ben illuminata dalla luce del frigorifero. Poggiò la bottiglietta, aguzzando la vista, agghiacciato: le sedie erano girate al contrario, poggiate sulla superficie del tavolo, come quando si fanno le pulizie. La cosa, inoltre, gli parve molto strana, dal momento che, prima che si addormentasse, erano poggiate a terra.

Sam uscì velocemente dalla cucina, dirigendosi all’ingresso, davanti al quadrante del sistema d’allarme.

Allarme disattivato, lesse.

Preso dal panico, provò ad uscire da casa sua, ma ecco che un messaggio, precedette quell’azione.

 

“Hai bevuto l’acqua che ti ho lasciato in frigorifero? Fresca, non è vero?”

-A

 

In quell’esatto istante, Sam iniziò a vederci doppio, costretto a reggersi sulla parete. Continuava a scuotere la testa ad occhi chiusi, cercando di liberarsi da quella sensazione, ma la cosa peggiorò. Sempre più debole, iniziò ad accasciarsi, la mano che strisciava sulla carta da parati. Perse i sensi, ormai steso sul pavimento.

Poco dopo, Sam riaprì gli occhi, ma non completamente; si sentiva ancora stordito. Gli sembrava di svegliarsi a scatti, a distanza di minuti. Un attimo prima, aveva la sensazione che qualcuno lo tenesse in braccio, che lo stesse trasportando da qualche parte, sempre all’interno di casa sua, sulle scale. Cercava di scrutare un volto, ma perdeva i sensi ancora prima di metterlo a fuoco. L’attimo dopo, invece, gli parve di essere sdraiato su qualcosa di morbido; il suo letto, pensò. Da lì, vedeva qualcuno muoversi, davanti a lui. Sembrava solo un’ombra, un cappuccio nero. Gli occhi si chiusero ancora, non riuscì a vedere nulla di più.

 

*

 

Rider ed Eric stavano raggiungendo il laboratorio, al terzo piano. Lungo il corridoio, discutevano sulla conversazione avuta con la Professoressa Marx.

“Quindi ora che facciamo, Rider? – domandò, isterico – Eh? So a cosa stai pensando!”

“Ah sì? – replicò, mantenendo lo sguardo fissò davanti a sé, mille cose che gli passavano per la testa – Sai a cosa penso? Bene, a cosa penso?”

“Dimmi che non ci butteremo sotto al metal detector di un aereoporto per farti contento!”

“Caspita, la tua telepatia è disarmante!”

Eric lo fermò per le spalle: “Rider, seriamente! Avremo dovuto raccontare tutto a quella Professoressa e lei ci avrebbe aiutati. Come diavolo rileviamo una cimice, da soli? Tanto vale darci fuoco!”

“NON-POSSIAMO-COINVOLGERE-NESSUNO! Ok? A si vendicherebbe! – si scosse, liberandosi dalla presa – Ecco il laboratorio, cerchiamo Nathaniel e andiamocene. Troveremo questa apparecchiatura su internet!”

I due si affacciarono, le luci erano accese, ma sembrava non esserci nessuno.

“Nat??” lo chiamò Rider, puntando lo sguardo in tutta la stanza.

Una testa spuntò fuori da sotto ad uno dei banchi. Era lui.

“Ehi, eccoti! – esclamò Eric – Che cavolo ci fai nascosto lì sotto?”

“Ehm… - si guardò attorno, per terra – sto, ehm…cercando topi!”

“Cosa? – si allarmò Rider – Ma di che stai parlando? – seguì il suo sguardo, sempre più spaventato – Perché guardi a terra?”

“Ehm, aspettate…” si avvicinò alla lavagna, scrivendo qualcosa, evitando di dirlo a voce.

Quelli lessero, dopo che aveva finito.

“C’è questa casa dei topi e i topi hanno addosso dei cinturini con sopra un cip localizzatore. Ho pensato di staccarli dai topi per usarli con i nostri sospettati e vedere chi ci porta al covo di A per recuperare i nostri video e andare finalmente alla polizia!”

“Geniale!” esclamò, Eric. Un sorrisino si dipinse sulle sue labbra.

L’altro non la pensava allo stesso modo e quando sentì squittire, salì sopra uno dei banchi.

“Ratto!” gridò Rider, in piedi sul banco, indicandolo.

I due lo fissarono, cercando di non sorridere, ma fu inevitabile.

Eric si avvicinò al topo, prendendolo tra le mani.

“Rider, rilassati. E’ un topo, non una palla di fuoco!”

“Ehi, devi metterlo qui! – lo chiamò Nathaniel, indicando la casa – Il cinturino gliel’ho già tolto, ma mi era sfuggito.”

Quello rimise il topo dentro la casa, mentre Rider scendeva dal banco, disgustato.

“Possiamo andarcene, adesso? Fino a prova contraria stiamo commettendo un furto!”

“Aspetta, dimenticavo. – Nathaniel recuperò il tablet – Anche questo ci serve!”

E avanzò verso di loro. Nel preciso momento in cui Nathaniel si spostò dal punto in cui era, Rider notò qualcosa che prima non aveva notato, preso anche dalla paura per il topo.

“Oh mio Dio… - fissò quella cosa – Ditemi che quella è una riproduzione fedele di un metal detector...”

“Dio, è proprio un metal detector!” esclamò Eric, mettendoci gli occhi sopra.

“Che mi sono perso?” domandò Nathaniel, confuso.

Rider, avvicinandosi al metal detector, si affrettò a spiegare: “Abbiamo parlato con la Professoressa Marx. Ci ha suggerito di usare un metal detector, più o meno!”

“Non le avrete detto mica la verità, spero.”

“No, si è finto un podcaster!”

“Cos’è un podcaster?”

Ma Rider lo ignorò, mettendosi davanti all’apparecchiatura, quasi ipnotizzato.

“Togliete anelli, bracciali, orologi…Tutto!”

Quelli eseguirono, guardandosi fra loro.

Dopo che Rider aveva fatto lo stesso, si apprestò a passare sotto l’apparecchiatura, come si fa in aereoporto.

Ci passò, ma non si sentì alcun suono. Guardandosi con i compagni, ci ripassò una seconda volta, ma niente.

Basito, rimase lì impalato.

“Ma che diavolo??”

“Ok, dai. – si avvicinò Nathaniel – Ci provo io!” e dopo aver appoggiato l’orologio, i cinturini dei topi e il telefono, passò sotto la lastra.

Anche con lui, dopo due tentativi, l’apparecchio non emise alcun suono.

Eric, a braccia conserte, pensò: “Dite che A si è accorto di quello che stiamo facendo e ha disattivato le cimici?”

“Se ce li ha messi addosso, - replicò Rider, con disappunto - il metal detector dovrebbe rilevarli ugualmente, anche se sono stati disattivati.”

“Provo io!” si avvicinò Eric.

Mentre ci stava passando sotto, Rider lo avvertì di lasciare il telefono, che aveva in mano.

“Ehi, aspetta!”

Troppo tardi, però, perché Eric ci era passato sotto. E il metal detector aveva suonato. Quello si spostò immediatamente.

“E’ normale, no? – chiese Nathaniel – E’ un telefono con parti in metallo, no?”

“Sì, è normale, ma… - riflettè Rider, attentamente, fissando i due amici – Se non abbiamo le cimici addosso, questo vuol dire che…”

“Oh mio Dio, - ci arrivò Eric, prima che l’amico continuasse - sono nei telefoni!”

“Ma ne siete sicuri?”

Rider ne era certo: “Dove altro possono essere, se non sono addosso a noi? Ogni volta che ci diciamo qualcosa, sono i nostri telefoni ad essere con noi…Avremmo dovuto intuirlo prima, A l’aveva già fatto con il telefono di Anthony.”

Anche Nathaniel se ne convinse, a quel punto: “E adesso che facciamo?”

 La parte difficile è trovare la cimice, poi, quando si trova, basta distruggerla. In qualsiasi modo. - Eric citò la Professoressa Marx – Dobbiamo distruggere i nostri telefoni!”

“Cosa? – lo trovò assurdo, Nathaniel, guardando entrambi – Dite sul serio?”

“Hai presente il piano che vuoi realizzare? – cercò di convincerlo, Rider -  Come pensi di farlo se ci ascolta?”

Quello ci riflettè, trovandosi d’accordo con lui: “Hai ragione… - e suggerì, a quel punto – Tra Brokehaven e Rosewood c’è una stazione di servizio. Li distruggiamo lì.”

In uno sguardo d’intesa, erano tutti d’accordo, pronti a lasciare il dipartimento.

 

*

 

Intanto, Sam, aveva appena aperto gli occhi. Stavolta, perfettamente cosciente, anche se abbastanza intontito. Steso sul suo letto, sbattè le palpebre, per via degli occhi leggermente annebbiati. Scrutò la sua stanza, ricordandosi dell’ombra che aveva visto e che, prima di chiudere gli occhi, si trovava in piedi al piano di sotto. Il suo sguardo, poi, si spostò verso la porta aperta, il corridoio buio e silenzioso. Si sollevò, per alzarsi, poi si bloccò di colpo, provando una strana sensazione sulla bocca. Immediatamente, se la toccò con le mani, sentendo qualcosa di ruvido e rendendosi conto che non riusciva ad aprila; qualcosa glielo impediva, era come serrata.

Preso dal panico, si alzò dal letto e corse in bagno, accendendo la luce. Un messaggio in rosso sullo specchio e la sconvolgente scoperta: A aveva incollato le sue labbra.

 

“Hai voluto tenere la bocca chiusa? Ora ce l’hai chiusa per davvero.”

-A

 

I suoi occhi si riempirono subito di lacrime, gemiti disperati, nel tentativo di staccarsi le labbra; il sangue cominciò a fuoriuscire, mentre agiva con forza.

 

*

 

Giunti a Rosewood, i ragazzi si erano ormai disfatti dei loro telefoni. Discutevano sulla prossima mossa, mentre Nathaniel era alla guida.

“Quindi abbiamo solo sette cip, giusto?” chiese conferma, Eric.

Rider annuì: “Direi che sono sufficienti, sospettiamo solo di Violet e Colton!”

“E se non fossero loro? – pensò, Nathaniel - Forse dovremmo sfruttarli tutti e sette!”

“E su chi altro?” ribattè Eric.

“Su tutti quelli citati nel video!”

“Mezza scuola, allora! – Rider si rilassò sul sedile posteriore, sarcastico – Forse dovremmo tornare indietro ad acciuffare qualche altro topo!”

Nathaniel gli lanciò un’occhiataccia attraverso lo specchietto retrovisore: “Parlo di persone specifiche, come Morgan Patterson, che mi ha tirato un pugno, ricordi?”

“O Lisa Nelson, che se n’è andata via dal Brew assieme a Violet!” aggiunse Eric, seduto accanto a Nathaniel.

“Bene, allora consultiamo anche Sam, avrà sicuramente un nome anche lui! – esclamò seccato – Ma sono sicuro che Violet e Colton sono A. Vedrete se non ho ragione!”

“Dio, - Nat controllò l’ora - si è già fatto buio. Ho promesso a Sam che sarei stato con lui, dopo i messaggi che A gli ha inviato!”

“Ma almeno sa che siamo andati a Brokehaven? – chiese Rider - Avete detto che non c’era a casa sua, no?”

Perplesso, Nathaniel lo fissò nuovamente dallo specchietto: “Sam lo sa che siamo andati a Brokehaven. Lo hai avvisato tu, no?”

“Io? – fece una smorfia, confuso – Non sento Sam dalla notte al lago!”

Quello, allora, fermo la macchina, voltandosi meglio.

“Come sarebbe?”

Eric si aggregò alle sue perplessità: “Sam ci ha mandato un messaggio, sapeva di Brokehaven. Se non gliel’hai detto tu, - fissò i due – allora chi...??”

“Oh mio Dio… - Nathaniel abbassò lo sguardo, comprendendo che Rider non ne sapeva davvero nulla – è stato A a scrivere il messaggio.”

E immediatamente mise in moto la macchina, mentre Rider metabolizzava quanto dedotto dall’amico.

“Stai scherzando, vero? – andò nel panico – E se l’avesse rapito o fatto del male?”

Nathaniel non rispose, Eric si limitò a fissarsi con Rider, pensando al peggio, gli occhi sgranati.

 

*

Circa dieci minuti dopo, i ragazzi erano di fronte all’abitazione di Sam. Erano appena scesi dalla macchina. La porta era aperta.

“Non è un buon segno, - dedusse Eric, intimorito - vero?”

Nathaniel era già dentro, Rider lo seguì a ruota e anche Eric.

“Saaam?” urlò, Nathaniel, affacciandosi in tutte le stanze buie.

Eric e Rider accesero luci e lampade, gridando il suo nome. Insieme salirono al piano di sopra, dove c’era una stanza già accesa: il bagno.

Si precipitarono tutti lì, restando bloccati alla soglia, sgranando gli occhi per la scena a cui assistettero a primo impatto: Sam inginocchiato a terra con la bocca e le mani insanguinata, il pavimento macchiato.

Nathaniel ed Eric lo aiutarono subito a rialzarsi, mentre quello era in lacrime, sotto shock.

“Oh mio Dio… - sussurrò, Rider, ancora impalato, mentre osservava il messaggio sullo specchio – è totalmente fuori di testa…”

“Sam, stai bene?” gli domandò Nat, mentre lo portavano nella sua camera.

Quello scosse la testa, liberandosi dalla stretta dei due.

“No no, non ci torno in camera. – si dimenò, instabile, tremante, lo sguardo basso, per poi urlare – Portatemi via da qui!”

Rider, dietro di lui, lo prese per le spalle: “Sta calmo, ho capito. Ora puliamo tutto quanto, in modo che tuo padre non veda nulla. Ti portiamo a casa mia, ok? – cercò di tranquillizzarlo - Resterai da me!”

Sam, scoppiando in lacrime, lo abbracciò.

“Ok, ok…” singhiozzò ancora, creando un magone nei suoi amici, che lo osservavano pietrificati.

Mentre si sfogava, Rider si lanciò uno sguardo preoccupato con gli altri due. Si erano appena resi conto che la faccenda non era più un gioco di semplici messaggi e minacce. A stava andando oltre.

 

SCENA FINALE

 

 

A era appena entrato nei bagni di una stazione di servizio. Si avvicinò al cestino che c’era in fondo, accanto allo sportello aperto dell’ultimo bagno. Con la mano, sempre i guanti neri indosso, spostò le cartacce sporche, trovando sotto dei telefoni, distrutti, a pezzi. Li prese, ne erano tre. Li mise dentro un sacchetto di carta che teneva con l’altra mano.

Uscito dai bagni, si diresse al bar. Entrò, poggiandosi sul bancone con i gomiti. La tv fissata alla parete, in alto, dava il notiziario notturno.

Si avvicinò il barista, anziano; asciugava un bicchiere di vetro con un panno: “Non ti fa freddo con solo quella felpa addosso?”

A scosse la testa.

“Cosa ti do?”

A gli fece cenno di alzare il volume della televisione.

“Vuoi che alzi il volume? – l’atteggiamento di A lo lasciò perplesso – Non ami parlare molto, eh?”

Ed eseguì, senza aggiungere altro.

Il notiziario parlava di un arresto, appena avvenuto.

“La polizia ha finalmente catturato Jasper Laughlin, ricercato da giorni per l’omicidio di Kevin Dimitri, 44 anni, e Anthony Dimitri, suo figlio, di 17. L’uomo è stato trovato al confine dello stato con molti contanti e un’auto noleggiata…”

 

CONTINUA NEL SESTO CAPITOLO

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

  
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