CAPITOLO
CINQUE
“Shut
Your Mouth, LiAr!”
PREVIOUSLY
ON BLACK HOOD (Capitoli 1-2-3-4):
Albert
affronta Anthony in mensa; tra i due c’è astio.
Anthony
costringe i suoi amici a girare un video sugli
sfigati della scuola, saltando le lezioni, mentre Albert è
nascosto dietro la
porta.
Subito
dopo, riceve un messaggio da parte di qualcuno
che si firma A e che minaccia di
smascherarlo su qualcosa.
Ognuno
dei quattro ragazzi nasconde un segreto: La
sorella di Rider si apparta con uno dei professori, di nascosto; Eric
viene
accompagnato a casa sua da Sam, in un bel quartiere, ma non entra in
nessuna di
quelle case, tornando indietro, subito dopo averlo visto svoltare;
Nathaniel
riceve il fax di una ricetta medica e davanti a Rider la spaccia per
suo padre;
Sam, infine, è segretamente gay e ha una cotta per
Nathaniel. Anthony sembra
conoscere tutti i loro segreti e tiene in pugno l’intero
gruppo, secondo Chloe,
la migliore amica di Sam.
Il
padre di Anthony si presenta a scuola, contattato dal
preside, a cui, probabilmente, è stato notificato
l’atto di bullismo in mensa.
E’ ubriaco ed Anthony cerca di mandarlo via, osservato da
Rider e Nathaniel.
Tornato
a casa, Anthony scopre che qualcuno ha violato
il suo computer e quel qualcuno è la stessa persona che gli
ha inviato la
minaccia a scuola: A.
Furibondo,
ha una violenta lite con il padre e finisce
per colpirlo alla testa con una bottiglia di vetro, uccidendolo.
Preso
dal panico, manda un SOS ai suoi quattro amici,
che lo raggiungono a casa sua e scoprono del cadavere. Anthony,
apparentemente
tranquillo e inquietante, spaccia la cosa per legittima difesa e
costringe i
compagni ad inscenare la sua scomparsa, facendola passare per un
rapimento a
seguito di un furto in casa.
Diretti
alla stazione di Rosewood, Albert spunta,
improvvisamente, davanti alla strada ed Anthony, alla guida, lo
investe. Scesi
tutti dall’auto, scoprono che è morto ed Anthony
trova il suo cellulare,
confermando la sua teoria: Albert era la A
che l’ha minacciato.
Mentre
il gruppo cerca di metabolizzare ciò che sta
accadendo, sconvolti, Anthony cambia i suoi piani di fuga e propone di
portare
il corpo di Albert a casa sua e metterlo accanto a quello del padre,
per poi
bruciare entrambi. La scena del crimine sarebbe risultata
più credibile e la
polizia avrebbe dato per scontato che si tratti di lui.
Aggiustata
la scena del crimine, i ragazzi accompagnano
nuovamente Anthony alla stazione e quello dice loro addio, pronto a
sparire per
sempre.
Tre
giorni dopo, tutto va secondi i piani di Anthony: la
polizia ha identificato Albert come lui. I suoi amici prendono parte al
funerale e all’uscita dalla chiesa, ricevono un video da A, dove Anthony viene assassinato.
~
Dopo
i funerali di
Anthony, fuori dalla chiesa, A manda
un nuovo messaggio ai quattro ragazzi, insinuando che il corpo nella
bara
appartenga davvero ad Anthony: un video, mostrava qualcuno che lo
uccideva.
Rider
convince i suoi
amici che A, stavolta, è
Anthony,
sostenendo che abbia contattato un amico per girare una sceneggiata e
far si
che loro tenessero la bocca chiusa sulla notte degli omicidi. Nathaniel
e Sam,
sembrano gli unici a pensare che si tratti, invece, di un amico di
Albert, in
cerca di vendetta.
Tornati
a casa, Sam e
Rider cominciano a fare i conti con i sensi di colpa, in seguito ai
commenti
trovati sulla bacheca della pagina della Rosewood high shool; molti
erano a favore
di Albert, dichiarato scomparso da qualche giorno, altri di odio nei
confronti
di Anthony e il suo gruppo.
Eric,
intanto, conosce
la nuova barista del Brew, Alexis, e deve fare i conti con la crisi che
sta
attraversando la sua famiglia, economicamente; lui e sua madre, vivono
nell’appartamento sopra al locale, tenendosi costantemente in
contatto con suo
padre, fuori città, in cerca di nuovo lavoro, dopo essere
stato licenziato
dalla società in cui lavorava.
Nathaniel,
alle prese
con una nuova visita medica di routine da suo cugino, morso ancora dal
dubbio
sollevato dal video ricevuto da A,
trova un escamotage per farsi portare nella stanza della
videosorveglianza
dell’ospedale. Tyler viene chiamato dal suo cercapersone e
Nathaniel rimase
solo, passando sulla sua pennetta, indisturbato, i filmati della
sorveglianza.
Subito dopo, irrompe nell’obitorio, dove con Rider, in
contatto telefonico,
scopre che il referto del medico legale non coincide con le ferite
riportate da
Albert nell’incidente: quindi il corpo nella bara
è di Anthony e A ha
scambiato i corpi.
Sam,
nel frattempo,
scopre da suo padre che la polizia ha un sospettato sicuro, segnalato
da una
deposizione fatta dalla signora Dimitri e l’altro suo figlio,
Clarke, in
centrale.
Rider,
non convinto dalla
storia dello scambio, passa a prendere Sam e vanno alla stazione di
Rosewood,
in cerca di un indizio in più. I due, però,
vengono attirati in una trappola,
all’interno dei tunnel, ritrovando il telefono di Anthony e
un messaggio di A. Un treno, subito
dopo, quasi li
investe.
Riuniti
a casa di Rider,
ancora sotto shock, il gruppo esamina i filmati della sorveglianza,
notando la
presenza di un loop, la ripetizione di uno stesso pezzo, nel corso del
filmato.
I ragazzi si convincono di avere una prova in mano, a quel punto,
assieme al
video dell’omicidio di Anthony, ricevuto da A,
e decidono di volerne parlare con il padre di Sam e porre fine a
questa storia, pur sapendo che si sarebbero esposti a determinate
conseguenze.
Fuori
dall’abitazione di
Sam, però, i quattro ricevono l’ennesimo messaggio
di A e questo li costringe a
passare dalla loro scuola, prima di fare
un’altra mossa: aveva qualcosa contro di loro.
Giunti
a scuola, Sam,
Nathaniel, Rider ed Eric, trovarono il computer di Anthony, una sola
cartella
al centro, con dentro un filmato: mostrava loro, complici
dell’omicidio del
Signor Dimitri e di Albert. Ora, non avevano altra scelta che tacere.
E,
stranamente, A, mise in chiaro loro
che non aveva intenzione di denunciarli.
~
Costretti
a tacere da A, perché in
possesso del video che li mostra complici di Anthony
nella notte degli omicidi, i ragazzi tornano a scuola il giorno dopo,
punzecchiati dai continui messaggini del loro stalker.
Ignari
del nuovo colpo basso che ha messo in tumulto l’intera
scuola di Rosewood, i quattro discutono su come liberarsi di A senza finire nei guai con la polizia,
progettando di rubare i video che li vede protagonisti del reato dal
possibile
covo del nemico, una volta scoperta la sua identità.
Messi
all’angolo da tutti gli studenti, prima dell’inizio
delle lezioni, vengono a sapere del video di insulti che gira su
internet. Un’accesa
discussione si apre fra i ragazzi e alcuni degli studenti citati nel
video.
Violet, una di loro, sorella del ragazzo albino insultato da Anthony,
si fa
avanti e ne prendere le difese. Nathaniel si prende un pugno da Morgan
Patterson, suo compagno nella squadra nuoto.
A
quel punto, usciti dalla discussione, i ragazzi
corrono nell’aula dove è stato girato il video e
scoprono che la videocamera è
sparita. In seguito, vengono sospesi per due settimane dal preside
Ackett.
Tornati
ognuno alle proprie case, fanno i conti i loro
genitori, informati dalla scuola dell’accaduto. Tutti tranne
Sam, che straccia
il fax.
Eric
incontra Lisa Nelson al Brew e cerca di scusarsi, ma
arriva Violet ad attaccarlo, per poi lasciare il posto a braccetto con
Lisa.
Riuniti
a casa di Sam per un messaggio ricevuto da A,
i ragazzi scoprono che la polizia sospetta
di un certo Jasper Lauglin e che è impegnata nelle sue
ricerche, in seguito
alle dichiarazioni fatte in centrale dalla Signora Dimitri.
I
ragazzi aggiornano la lista dei sospettati: Violet,
Colton, Lisa e, come new entry, anche la Signora Dimitri e Clarke
Dimitri,
troppo sospetti per via delle dichiarazioni fatte verso un uomo che
loro sanno
essere innocente.
Rider
propone di passare la serata alla casa sul lago e
ne parla con suo padre, che gli fa una ramanzina sulla sospensione.
Verso la
fine, gli da comunque il permesso di andare alla casa sul lago. Subito
dopo,
ritrova nello studio del padre, un libro scritto da lui con dentro una
pagina
aggiunta da A.
Sam,
intanto, assieme a Chloe, fa un salto in centrale,
intrufolandosi in uno degli uffici e fotografando le dichiarazioni
fatte dalla
Signora Dimitri alla polizia su Jasper Lauglin, ma tra le varie
scartoffie,
trova anche un caso aperto sulla scomparsa di Albert.
Alla
casa sul lago, i ragazzi discutono sul materiale
raccolto da Sam. Si scopre che Jasper e Kevin Dimitri erano amanti e
che quest’ultimo
aveva contratto l’HIV da Jasper. Sempre secondo le
dichiarazioni, si scopre che
Kevin, per vendicarsi, ha incendiato il negozio di Jasper. In base a
questo,
Jasper sarebbe entrato a casa Dimitri per rubare i soldi e pagarsi le
medicinali che non poteva più permettersi e che, di
conseguenza, avrebbe ucciso
Kevin e suo figlio.
Sul
caso di scomparsa di Albert, invece, ci sono delle
foto sul suo ultimo avvistamento, proprio nei pressi del Wall mart, un
supermercato vicino a dove l’hanno investito. I quattro
arrivano alla
conclusione che Albert era con A e
che il loro nemico era a bordo di un’auto di colore blu e che
da quella abbia
filmato tutta la scena dell’incidente.
Affacciandosi
sul discorso della pagina trovata nel
libro del padre di Rider, infine, i ragazzi deducono che Anthony
è colpevole di
un’altro crimine e che questo sia spiegato in una misteriosa
cartella chiamata “Rosewood-riservato”
che A ha rubato dal suo pc.
Inoltre,
A, pensa che uno dei quattro sia suo
complice anche in quel crimine.
Sempre
nella stessa serata, Eric propone di rivelare i
loro segreti, quelli che Anthony custodiva e che costringeva tutti loro
ad esserli
amico.
Subito
dopo, Sam scappa fuori, preso dal panico di dover
rivelare che è gay e che ha una cotta per Nathaniel. Quando
quest’ultimo lo
segue fuori e scopre solo della sua omosessualità.
Improvvisamente, i due
notano qualcosa che si muove nel lago e pensando che sia una persona in
difficoltà, Nathaniel si tuffa per andare a controllare.
Giunto al centro del
lago, il ragazzo scopre che si tratta di una bambola gonfiabile e
quando torna
indietro, risente della bracciata, rischiando di morire, per via del
lago
ghiacciato.
Quando
i ragazzi non trovano le medicine dell’amico,
Rider deduce che si trovano nella bambola gonfiabile e Sam si tuffa a
recuperarle. A è
dall’altra parte
del lago e lo saluta dal molo.
Nathaniel
riceve le sue medicine e si salva, ma gli
altri tre amici arrivano alla conclusione che A
ha tentato di uccidere uno di loro per estorcere una
confessione
sul nuovo crimine di cui pensa che uno di loro sia colpevole assieme ad
Anthony.
~
AND
NOW…
In quel primo
mattino,
intorno alle ore 07:00, Sam stava rientrando a casa sua, dopo la
movimentata
notte al lago. Ancora sconvolto da ciò che è
accaduto, si prestò a salire nella
sua camera, silenziosamente.
Giunto davanti
alla porta
della sua stanza, si guardò alle spalle, lungo il corridoio,
attraversato dai
raggi del sole che filtravano dalle finestre. Era tutto calmo e
pensò che suo
padre, probabilmente, dormiva ancora, così girò
il pomello della porta ed entrò
nella sua stanza, cercando di richiuderla senza far rumore;
sfortunatamente,
però, essa cigolò.
“Sam?”
Sentì
chiamare il suo nome,
dal piano di sotto: era suo padre.
Il ragazzo
strinse i denti
e strizzò gli occhi, beccato. Poi stranì,
realizzando che si trovava al piano
di sotto e non in camera sua, a letto, malato.
Riaprì
la porta, allora,
affacciandosi: “Papà? Sei di sotto?”
“Sì,
sono in cucina. Sei
già svegliò?” rispose quello, facendosi
sentire.
“Ehm,
sì, - rimase impalato
davanti alla sua stanza - mi sono appena
svegliato…”
“Ok,
scendi, sto preparando
la colazione.”
Sam
sembrò volersi avviare,
richiudendo la porta, ma il suo telefono sul comodino, quello che aveva
lasciato lì il giorno prima, stava improvvisamente vibrando
e la cosa lo
costrinse a tornare indietro: “Scendo tra un minuto,
Papà!”
E si
avvicinò, timoroso, a
quel comodino, prendendo il suo telefono tra le mani: si trattava di
una
registrazione audio, mandata da A.
Istintivamente,
Sam la
aprì, per riprodurla.
“Sam?
– Papà?
Sei
di sotto? – Sì, sono in
cucina. Sei già sveglio?
– Ehm,
sì, mi sono appena svegliato… – Ok,
scendi, sto preparando la colazione.
–
Scendo tra un minuto, Papà!”
Sam
sbigottì di fronte a
ciò che aveva appena sentito; cioè sé
stesso, mentre parlava con suo padre, in
uno scambio di battute avvenuto poco prima.
Rimasto
impalato, non potè
che deglutire, sentendo crescere il panico dentro di lui, mentre
fissava un
punto qualsiasi della parte.
L’attimo
dopo, cercò di
reagire, facendo una telefonata.
“Pronto?”
rispose Eric,
dall’altra parte; si trovava ancora alla casa sul lago di
Rider, dentro una
delle stanze degli ospiti, appena svegliatosi.
“A mi ha mandato una registrazione di me
che parlo con mio padre!”
esordì, nervosamente.
Eric, sdraiato,
si alzò con
la schiena per saperne di più, con maggiore attenzione:
“Uao, ma non dorme mai?
Che registrazione è?”
“L’ha
fatta adesso! -
spiegò – Sono rientrato da due minuti e mio padre
pensa che mi sia appena
svegliato, così mi ha chiamato dalla cucina per scendere a
fare colazione. A ha
registrato quello che ci siamo detti, ma non capisco a cosa
miri.”
L’altro
ci riflettè,
avendone una mezza idea: “Pensi che A…
Insomma, questo è materiale da spionaggio,
perciò…”
“Dici
che… - si guardò
attorno, nella sua stanza, per poi bisbigliare – ha messo dei
microfoni in casa
mia?”
“Cos’altro
può essere? – ne
fu certo, Eric - Di certo non si azzarderebbe a nascondersi nella casa
di un
poliziotto, armato, per registrare due frasette con il
telefono.”
Sam
andò nel panico,
allora: “Sai che significa questo? Che io sono il prossimo,
dopo Nathaniel. E’
un chiaro messaggio rivolto a me, allora. Perseguiterà me,
adesso!”
“Non
iniziare ad andare
fuori di testa, ok? Siamo tutti bersagli, Sam.”
“No,
non è vero. Non in
questo turno, Eric. – ribattè, convinto
– C’eri anche tu ieri sera e A
parlava proprio di questo nel
messaggio che abbiamo ricevuto sul telefono di Nathaniel. Mi ha anche
salutato
da quel molo, mi ha praticamente marchiato!”
Se ne convinse
anche Eric,
a quel punto: “Ok, forse non dovresti restare da solo.
C’è tuo padre in casa,
no?”
“Sì,
ma credo che stia
meglio e che rientrerà a lavoro. Non gli è mai
piaciuto restare a letto per più
di un giorno…Il suo sistema immunitario è come
asservito alla giustizia.”
“Non
gli dirai nulla a
proposito della nostra sospensione?”
“No,
farò finta di
prepararmi per andare a scuola, tanto il fax mandato da Ackett
l’ho stracciato
e buttato ieri. Non è proprio il momento. –
cambiò argomento, poi - E tua
madre? Cos’ha detto?”
“Niente,
ha già fin troppi problemi per prendersela con me. Credo mi
compatisca!”
“Dio,
mancano ancora tredici giorni. – sospirò, Sam, in
ansia – Tredici giorni
insieme ad A!”
“Solo
tredici? Pensi che quando torneremo a scuola, svanirà come
per magia?”
“Magari…
– pensò, prima di preoccuparsi per altro
– Piuttosto, come sta Nathaniel, si è
già alzato?”
“Io
e Rider abbiamo fatto a turni per controllarlo e sta decisamente
meglio, ha un
buon colorito rispetto a quando l’abbiamo tirato fuori
dall’acqua. Direi che il
pericolo è scampato.”
“Ce
la siamo vista davvero brutta, poteva morire.”
“Ma
non è successo, grazie a te.”
Sam
tacque per qualche secondo, poi finalmente disse di nuovo qualcosa:
“Devo
andare adesso…”
“Ok,
sta attento… - volle consolarlo - Ne verremo a capo,
vedrai.”
E
Sam chiuse, senza aggiungere nulla.
*
Eric
scese al piano di sotto, trovando già svegli Rider e
Nathaniel, nel salottino.
Il primo era seduto sul tavolino, che passava una tazza di
caffè all’altro, sul
divano, dove aveva dormito.
“Buongiorno!”
Rider
si voltò, mentre Nathaniel sorseggiava, esausto e trasandato.
“Pensavo
che dopo essere arrivati alla conclusione che A
era qui, in questa casa, prima che arrivassimo per la serata,
ti
avrebbe fermato dal voler dormire da solo, al piano di sopra.”
“Ho
chiuso a chiave la porta e poi… - continuò Eric
- Volevo sentire di nuovo cosa si prova a dormire in un
letto vero e non
su un divano che si apre come una scatoletta di sardine.”
“Davvero
non hai un letto, in quell’appartamento?” rimase
perplesso, Rider.
“C’è
una camera con un letto, - ribattè, senza alcun imbarazzo -
ma ci lascio
dormire mia madre.”
Nathaniel
appoggiò la tazza di caffè, vuota, tornando
comodo, attirando nuovamente gli
sguardi su di sé.
“Ehi,
come stai?” si preoccupò, Eric.
“Meglio…
Più caldo, direi. - ripensò alla vicenda,
leggermente turbato, ma forte – Non
ho mai sentito così freddo in vita mia. Potevate anche
infilzarmi con mille
aghi, ma non avrei sentito niente per quanto il mio corpo fosse
gelato.”
Rider
intervenne, un accenno di sorriso per sdrammatizzare: “Ti
abbiamo quasi perso,
ieri sera. Francamente… - abbassò lo sguardo,
serio – Noi non sapevamo come
comportarci ed eravamo pietrificati dal terrore: queste cose non
capitano tutti
i giorni. – tornò a fissarlo – Ma Sam
è stato pronto. Non ha esitato un solo
secondo nel tuffarsi e nuotare fino alla bambola, dove A
ha nascosto le tue medicine.”
Nathaniel
ascoltò, colpito e sorpreso, e pensò di dover
ringraziare l’amico al più presto.
“Dov’è
lui? Dov’è Sam?”
“E’
tornato a casa sua.” ribattè Eric.
“Ah…
- rimase impalato con lo sguardo, prima di aggiungere altro,
preoccupandosi– E
sta bene?”
Eric
assunse un espressione che non lasciò trasparire nulla di
buono: “Ehm, sì,
fisicamente sta bene, ma psicologicamente…”
“Di
che parli? – non capì, Rider –
Psicologicamente, cosa?”
“Mi
sono appena sentito con lui al telefono e pensa che A
stia giocando il nuovo turno con lui…”
“Turno?”
sussultò Nathaniel, confuso.
Rider
si alzò, prendendo il telefono di Nathaniel, dal ripiano su
cui l’aveva
appoggiato prima di andare a letto. Si avvicinò a lui, dopo,
mostrandogli
l’ultimo messaggio ricevuto. Quello lo lesse, mentre Eric
spiegava.
“Sembra
che A abbia un nuovo obbiettivo.
Anthony ha commesso qualcosa, l’abbiamo capito dalla
misteriosa pagina trovata
nel libro del padre di Rider. A pensa
che uno di noi sia coinvolto, così ha deciso di volerci
prendere singolarmente,
in modo da scoprire chi.”
“La
cosa positiva è che puoi rilassarti. – aggiunse
Rider con una sottile ironia -
Con te ha finito, per ora.”
L’altro,
però, si allarmò: “Si, ma Sam non
può. A
ha cercato di uccidermi pur di farmi confessare qualcosa che
non ho fatto,
perché io non sono complice di Anthony. Eccetto per la notte
degli omicidi, io
non ho mai fatto nulla con Anthony.”
“Io
neanche.” aggiunse Rider.
“Neppure
io.” si aggregò Eric, con la stessa sicurezza
degli altri, a tal proposito.
“Sono
sicuro che nemmeno Sam c’entra qualcosa, l’ha
ribadito anche ieri. - pensò
Rider – Perciò, a questo punto, è
un’altra persona, ma A è
talmente fissato con noi da non capirlo. – sbuffò
– Vorrei
tanto sapere cos’ha visto nel computer di Anthony di
così terribile…”
Nathaniel,
intanto, manteneva basso lo sguardo, non molto convinto
sull’innocenza di Sam,
dopo aver scoperto da lui che aveva una cotta per Anthony, la sera
prima, e che
quindi avrebbe potuto fare qualsiasi cosa per compiacerlo: persino
commettere
un crimine. Nonostante ciò che sapeva, però,
preferì tacere.
“In
ogni caso, - continuò Eric a braccia conserte –
Sam sta andando fuori di testa,
A gli ha
mandato una registrazione vocale di lui e suo padre che
conversano. Esattamente due minuti dopo che la conversazione
è avvenuta.”
“Non
poteva essere in casa sua, c’è anche suo padre.
– Rider si lasciò scappare una
risata per l’assurdo, prima di tornare serio –
Questo vuol dire che…”
“Microfoni!
– esclamò Eric, anticipandolo – Ci
eravamo già arrivati anche noi…A quanto
pare, disfarci del telefono di Anthony non è servito a
niente, A ci ascolta in altri
modi.”
Nathaniel
intervenne, abbastanza spiazzato: “Anche nelle nostre case,
allora? E’ entrato
in tutte le nostre case?”
Rider
si voltò a rispondergli: “Anche in questa,
probabilmente…Ci sta monitorando!”
“Forse
crede che ascoltandoci con attenzione, - andò avanti, Eric -
uno di noi si
lascerà scappare qualcosa di troppo.”
“Sentite,
- Nathaniel si alzò, ne aveva già abbastanza
– io me ne torno a casa. Tanto non
c’è nulla da lasciarsi sfuggire, l’unica
colpa che abbiamo è quella di aver
risposto a quel dannato SOS di Anthony ed essere accorsi a casa sua,
quella
notte.” e lasciò la stanza, mentre lo sguardo
degli altri due non dava torto a
quanto appena detto.
Usciti
dalla casa, Rider chiuse la porta a chiave, per poi raggiungere Eric,
che stava
camminando verso l’auto. Nathaniel passò proprio
di fianco a loro, con la sua,
sgommando via.
Arrivati
vicino all’auto di Rider, Eric torturava un piccolo
bigliettino tra le mani,
quello lasciato da A nel flacone
delle medicine di Nathaniel, rendendo partecipe l’amico dei
suoi pensieri.
“Quindi
Sam ha una cotta per Nathaniel?”
“Come
dargli torto… - replicò, mentre apriva la
portiera – E’ bello, ha un fisico da
far paura ed è alto… Cosa darei per la sua
altezza!”
Eric
fece il giro, aprendo l’altra portiera, storcendo le
sopracciglia: “Ora sembra
che la cotta per lui ce l’abbia tu!”
“Naah,
non è il mio tipo. – ribattè, sedendosi
sul sedile, ironico - Il mio tipo è
tipo come me, versione ragazza, ovviamente. Nel 2011, però,
ho provato ad
essere gay, - delusione d’amore, odiavo tutte le donne del
pianeta - poi ho
letto delle cose strane su Yahoo answer
e ho lasciato perdere.”
Eric
titubò, confuso: “Cos’è Yahoo answer?”
L’altro
lo fissò a lungo, per niente stupito: “Immagino
che tu non abbia mai avuto dei
problemi da dover risolvere per arrivare a chiedere aiuto a degli
estranei con
una serie di domande.”
“E’
da un po’ che convivo con i problemi… -
replicò, sospirando - Chiedere aiuto
non serve a niente. Hanno tutti una soluzione diversa al tuo problema
e, nella
maggior parte dei casi, non fa al caso tuo. Quella giusta la puoi
trovare solo
tu.”
“Uao…
- accennò un sorriso – Non ti facevo
così profondo. – rise – Potrei
seriamente
innamorarmi di te, adesso.”
Anche
Eric rise per poi sfumare: “Beh, la mia profondità
ha perso spessore da quando
ho conosciuto Anthony. Sto recuperando ciò che mi ha
tolto.”
“Quindi…
- Rider inserì la chiave, pronto a far partire
l’auto – Se devo rimanere in
linea con il tuo discorso, vuol dire che dovremo lasciare che Sam
risolva i
suoi problemi da solo?”
“Sì,
Rider. E’ così che funziona. Suoi sono i
sentimenti che prova, sua è la scelta
di condividerli con la persona che ama…Dobbiamo starne
fuori.”
E
l’amico afferrò, pronto a girare la chiave.
Qualcosa, però, lo fermò dal far
accendere il motore: il suono di una vibrazione, che lo costrinse a
girovagare
con lo sguardo, le orecchie aguzzate.
“Lo
senti anche tu?”
Eric
annuì: “Sì…”
I
due si guardarono, per poi girarsi contemporaneamente, dietro, alle
loro
spalle. Poggiato sul sedile posteriore centrale, c’era un
telefono; il display
ancora acceso per via della ricezione del messaggio: era quello di
Rider.
Quello
lo prese in mano, leggendo il messaggio assieme ad Eric.
“Ho
recuperato il tuo telefono dal tuo armadietto. Mai abbandonare
l’unico mezzo di
comunicazione con cui ti posso tormentare.”
-A
Rider
mise via il telefono, ormai quei messaggi non erano più una
novità, ma nel suo
volto era comunque dipinta l’angoscia.
“Anche
ad A c’è una
soluzione che solo io
posso trovare?”
“No,
questa è l’unica eccezione. Serve
l’aiuto di tutti e quattro per questo.”
concluse Eric, mentre Rider metteva in moto.
*
Dopo
la colazione, Sam era risalito in camera sua e la paranoia, che
l’aveva
accompagnato tra un cucchiaiata di cereali e l’altra, lo
seguì. Nel giro di
pochi minuti, la sua stanza era sottosopra: abiti lanciati ovunque,
lenzuola
sfatte, cuscini sul pavimento, cassetti aperti, calzini che
ciondolavano dalle
lampade da notte sui comodini laterali; sembrava cercasse,
disperatamente,
qualcosa.
La
sua burrascosità, però, fu interrotta
dall’arrivo di suo padre, che bussò prima
di entrare.
“Posso?”
si affacciò, in divisa da lavoro.
Sam
si sollevò da terra, mettendosi a braccia conserte, cercando
di nascondere il
suo nervosismo: “Beh, sei già
dentro…”
L’altro
rimase impietrito, facendo un tour con lo sguardo: “Ma che
diavolo?? E’ per
caso scoppiata una guerra tra vichinghi qui dentro?”
“Ehm…
- cercò di dare una spiegazione, Sam – stavo solo
cercando una penna, ecco.”
La
ragione del trambusto, però, non convinse del tutto suo
padre: “Quindi… -
indicò sopra la sua testa – i tuoi calzini si
trovano appesi al lampadario per
una penna?”
Sam
portò nuovamente la testa giù, dopo aver guardato
il calzino: “In verità, ha un
valore affettivo. Me l’ha regalata Chloe!”
“Beh,
- parve credergli – se
ha un valore
affettivo, allora distruggi pure questa stanza per trovare quella
penna! –
rise, sarcastico – No?
Sam,
però, iniziò a puntare lo sguardo in ogni punto
della stanza, non sorridendo
come suo padre sperava, a quella battuta.
Quello
se ne accorse e si preoccupò: “Figliolo, va tutto
bene?”
Molto
distratto, finalmente gli diede retta: “Eh? Cioè,
sì, sto bene! E’ solo che mi
sono alzato davvero presto per cercare quella
penna…”
“Già,
devi essere andato a letto molto tardi per avere delle occhiaie
simili…ed
essersi alzato così presto non contribuisce... –
Ora, però, dovette congedarsi,
dopo aver guardato l’orologio – Oh, accidenti, si
è fatto tardi. – indietreggiò
per uscire – Farai meglio a sbrigarti anche tu o arriverai in
ritardo a scuola.”
“Sì,
adesso vado. – lo tranquillizzò - La
cercherò quando torno!”
Poco
prima di uscire, dopo aver dato le spalle, suo padre si
fermò alla soglia della
porta, voltandosi nuovamente.
“Dimenticavo…Ti
voglio bene, figliolo. Passa una buona giornata!”
Sam
accennò un sorriso, finalmente, ma molto malinconico, gli
occhi lucidi: “Anch’io.
Passa una buona giornata anche tu.” e quello uscì,
dedicando a suo figlio un
altro sorriso, ignaro di ciò che stava passando.
Rimasto
solo, non lo fu a lungo. Il suo telefono, in tasca, cominciò
a squillare.
Dopo
aver titubato per qualche secondo, prima di prenderlo, rimase spiazzato
dal
numero che comparve sul display.
Rispose,
finalmente.
“Ehi,
Nat.”
“Ehi,
ciao…”
“Va
tutto bene? – si preoccupò, Sam - Come
stai?”
“Come
sto? – rise – VIVO, grazie a te. I ragazzi mi hanno
detto quello che hai fatto
ieri. Devo aver perso i sensi, ad un certo punto.”
“Sì,
li hai persi. Decisamente…” non sapeva
più che altro dire.
“Grazie,
Sam. Grazie per avermi salvato la vita, ignorando quanto
l’acqua del lago fosse
gelata. Sei una persona straordinaria, davvero.”
A
Sam brillarono gli occhi, cercando di non far tremare la voce:
“Ehm, grazie,
Nat… - si grattò la testa, imbarazzato
– Forse è meglio che vada,
adesso…”
“No,
aspetta!”
“Che
c’è?”
“Eric
ci ha detto che A ti ha preso di
mira. E’ vero?”
“Ancora
non lo so, - sospirò, turbato -
ma ha
reso il mio inizio giornata al quanto soffocante. Ho praticamente messo
la
camera sottosopra in cerca dei microfoni che può aver
piazzato per registrarmi.”
“Tuo
padre è già uscito? Se vuoi vengo da te, usciamo,
facciamo qualcosa insieme. L’importante
è che non rimani da solo. Non voglio che A
se la prenda con te.”
Sam
lo trovò premuroso da parte sua, tant’è
che accenno un sorriso, ma rifiutò: “Ma
no, non ce n’è bisogno…E poi avrai
sicuramente qualcosa da fare.”
“Fare
cosa, Sam? – si lasciò scappare un’altra
risata – Dovrei essere a scuola a
quest’ora, non ho altri impegni in questa fascia oraria.
L’unica cosa che ho
fatto da che ho lasciato la casa al lago di Rider è stata
contare quanto tempo
ci mette il semaforo a cambiare da rosso a verde.”
“Uao,
questo sarebbe il momento migliore per diventare un
telefilo… - disse,
scendendo le scale – Credimi, riempie completamente la tua
vita quando non hai
nulla da fare. Potresti iniziare con…”
L’altro,
però, lo bloccò, allungando la conversazione,
più leggera e meno tesa: “Ah,
quindi quelli come te e Chloe sono telefili? Non sapevo esistesse un
termine
specifico.”
“Sì,
ma attento, non tutti quelli che guardano serie tv sono telefili. Se
guardi
tipo due o tre episodi ogni tanto, non sei un telefilo. Due o tre
stagioni a
settimana: QUELLI, ti rendono un telefilo.”
Nathaniel
rise ancora, poco prima di rispondere: “Beh, non so che razza
di vita facciate
voi telefili, ma non mi dispiacerebbe guardare quei due o tre episodi
ogni
tanto. Ti va se faccio un salto a casa tua?”
Sam,
ormai, arrivato al piano di sotto, si fermò davanti alla
rampa di scale, un
sorriso stampato sulle labbra: “Sì, dai.
– si arrese – Perché no!”
“Ok,
tempo un’oretta e sono da te!”
“D’accordo,
inizieremo con un Teen drama…Tanto
per essere in tema con le nostre vite!” ironizzò,
Sam.
“Dubito
fortemente che esistano altri quattro adolescenti, come noi,
perseguitati da A, in uno di questi
Teen drama!”
Sam
rise nuovamente: “No, non credo proprio. Gli unici problemi
degli altri adolescenti
sono i brufoli, l’amore e i bulli…”
Dopo
qualche attimo di silenzio, Nathaniel tornò a parlare,
più serio: “Torneremo ad
avere quei problemi, ok?”
L’altro,
nuovamente in preda all’angoscia e ad un pizzico di
tristezza, non ne era tanto
certo: “Non lo so, Nat. E’
insistente…”
“Ci
vediamo fra un’ora, ok? Mio padre mi ha mandato un messaggio,
devo solo
sbrigare una cosa in banca, passo al ristorante e sono da te. Cerca di
essere
fiducioso. – fu premuroso nei toni - Va bene, Sam?”
“Va
bene, - sospirò un’ultima volta - preparo la
tv!” e chiuse.
Rimasto
con il telefono in mano, il pensiero di quella telefonata, lo fece
sorridere,
quasi arrossire, per diversi secondi. Era la prima volta che sentiva
Nathaniel
così vicino ed era una bella sensazione. Bella,
finchè non vibrò il telefono.
Un nuovo messaggio lo catapultò nuovamente nel mondo di A.
“Confessare
un segreto che già tutti sospettano non è un vero
segreto, Sam. Rivela a
Nathaniel ciò che provi per lui o ti perseguiterò
per tutto il giorno.”
-A
Sam
deglutì, terrorizzato. Non aveva mai avuto il coraggio di
confessare i suoi
sentimenti a Nathaniel e non era intenzionato a farlo. Tuttavia, era
messo alle
strette da A, ma pensò
che cedere
subito alle minacce di un tiranno non era discutibile; così,
avvicinandosi al
quadrante del sistema d’allarme della casa, Sam
digitò il codice per attivarlo.
Subito dopo, sapendo di essere al sicuro, mandò un
messaggio, raccontando una
menzogna.
A
Nathaniel:
“Mio
padre ha
scoperto della sospensione, Ackett l’ha chiamato. Possiamo
rimandare? Deve
parlarmi.”
*
Al
Brew, intanto, Rider stava prendendo qualcosa al bancone, guardando
continuamente verso la rampa di scale che portava al piano di sopra.
“Prendi
qualcosa?” gli domandò Alexis, vedendolo
lì impalato.
“Ehm,
- si girò verso di lei - sì, un
cappuccino…Con sopra uno schizzo al caramello,
grazie.”
Quella,
mentre lo faceva, lo fissò a lungo: “Rider,
vero?”
L’altro,
posando di nuovo lo sguardo su di lei, rimase perplesso:
“Sì…Come mi conosci?”
“Sei
in un video che ho visto sulla pagina della Rosewood High school. Ora,
però,
siete anche su Youtube.”
“Ah,
sì? – sollevò le sopracciglia, fingendo
di essere stupito – Siamo sbarcati
anche lì?”
Sorrise,
lei, mentre poggiava il bicchierone di carta sul bancone, fumante:
“Già…I malvagi
ragazzi di Rosewood! Se
la cosa può farti sentire meglio, io non
vi giudico. E’ il fardello di avere un leader, anche io al
liceo avevo una
stronza per amica che mi comandava a bacchetta.”
Rider
sollevò gli occhiali dalla punta del naso, tirando un
sospiro di sollievo: “Oh,
grazie, sei la prima a non giudicarci. Ti va di accettare la mia
amicizia su
facebook? Ultimamente perdo amici a gruppi di trenta.”
Rise,
l’altra: “Oh, beh, non ne valgo trenta, ma sempre
meglio della sola amicizia
della Mamma!”
“Neanche
quella!” confidò, ironico.
“Sono
Alexis comunque, e…Sei venuto qui con Eric?”
domandò, una volta sfumata la
risata.
“Piacere,
Alexis, conosci anche lui? – roteò gli occhi,
tirandosi piccoli pugni sulla
testa – Dimenticavo, il video, ovvio che lo
conosci!”
“No
no, lui lo conosco sul serio. Abita al piano di sopra e abbiamo fatto
amicizia.
Ero dietro a controllare il forno, infatti non ti ho nemmeno visto
entrare
qui.”
“Sì,
è andato di sopra. Abbiamo passato la notte alla mia casa
sul lago con gli
altri nostri amici malvagi – ironizzò –
ed è andato a lasciare le sue cose.”
“Niente
scuola?”
“No,
siamo stati sospesi. Sperimentiamo l’ebrezza del dolce far
niente.”
Quella,
allora, si sentì di dare loro un suggerimento:
“Perché non andate al Bourbon's Page? Oggi fanno un mercatino
lungo la strada di quella libreria.”
Rider
si colpi la fronte con la mano, smemorato: “Oh, cavoli,
è vero! Me n’ero
completamente dimenticato! Sì, in pratica, fanno quel
mercatino ogni sei o
sette mesi…Ti dirò, ci ho trovato molti libri
interessanti!”
“Anche
a me piace leggere. Non ai tuoi livelli, ma ogni tanto lo faccio.
Peccato,
però, che sono incastrata qui!”
L’altro,
però, si soffermò su un punto: “Ai miei
livelli? – sorrise – Perché, che
livelli avrei?
“Ehm,
vediamo… – si fermò a scrutarlo
– Occhiali sulla punta del naso, - quello se li
alzò subito – colletti della camicia che spuntano
fuori dal maglione, - si
allungò in avanti, guardando in basso - scarpe
lucide…E poi nel video avevi un
libro in mano, tipico di chi ama leggere nei momenti di break. Ecco
quel è il
tuo livello e non è decisamente il mio!”
“Ottima
psicoanalisi, cercherò un libro per te! Magari uno di Sigmund Freud!”
“Oh,
sì, - divenne euforica - ricordo una sua citazione, la
adoro: “Nessun mortale
può mantenere un segreto: se
le labbra restano mute, parlano le dita.” … Stupenda,
non trovi?”
Ne
era sempre stato affascinato: “Sublime.”
In
quell’istante, arrivò Eric, sorpreso nel vederli
chiacchierare.
“Ehi!”
lo notò subito, Alexis, con un ampio sorriso.
“Ciao...”
contraccambiò il saluto, distaccato, pensieroso.
“Non
mi avevi raccontato di questa tua simpatica amica di nome Alexis dai
ciuffi
blu. Ora abbiamo una missione: troverle un libro al mercatino dei libri
usati!”
“Fantastico!”
esultò, forzatamente.
Quella
se ne accorse, ma non chiese: “Ehm… - aveva lo
sguardo rivolto verso il
salottino, interno al Brew – Ora dovrei tornare a lavoro, la
pausa chiacchiere
mi sta scalando la paga a giudicare dalle occhiatacce del mio capo.
– Rider
stava per voltarsi a guardarlo, lei lo fermò – No,
non guardarlo!”
Rider
si irrigidì, fermato in tempo: “Ok, non lo
guardo.”
L’amico
accennò un sorriso, invece, spintonando l’altro:
“Beh, noi andiamo. Ci
vediamo!”
“Ok,
ciao!” salutò, lei, subito investita da una
cliente.
*
Usciti
dal Brew, Rider smanettava il suo cellulare, silenzioso, mentre
camminavano.
Eric si interessò a ciò che stava facendo solo
dopo qualche secondo.
“Che
stai facendo?”
Quello
rispose solo dopo un pò, troppo concentrato: “Ho
appena trovato Alexis su
facebook. Il suo vero nome è Alexandra, ci avrei giurato.
– gli passò il
telefono – C’è il suo numero. Mandale un
messaggio.”
“Un
messaggio? – prese il suo telefono, confuso – Per
dirle cose?”
“Che
le chiedi di uscire!”
Eric
lo trovò sempre più assurdo: “E
perché mai dovrei chiederle di uscire?”
“Perché
lei ti piace. E perché tu le piaci.”
“E
hai capito tutto questo in dieci minuti di conversazione?”
“Platone diceva che si può
scoprire di
più su una persona in un’ora di gioco che in un
anno di conversazione: BALLE!
L’ho capito subito che le piacevi, ha chiesto di te ancora
prima che
sorseggiassi il mio cappuccino!”
L’altro
si arrese, non negando l’evidenza: “Hai ragione, un
pò mi piace, ma…Ho troppi
problemi per pensare ad un appuntamento. Quando sono salito in casa, ho
trovato
mia madre sommersa di carte da pagare e i soldi mancano. Forse dovrei
cercarmi
un lavoro, anziché pensare all’amore, che non paga
le bollette!”
“Senti,
se vuoi, posso… – si rese disponibile,
compatendolo – Che ne so, farti un
piccolo prestito.”
“NO!
– rifiutò, energicamente –
Cioè, ti ringrazio, ma no. Abbiamo due settimane di
sospensione, mi troverò un lavoro e aiuterò mia
madre, finchè mio padre non si
rimetterà in sesto. Ha appena iniziato a lavorare,
perciò dobbiamo cavarcela
come possiamo finchè non passa questo dannato
mese.”
“Mi
dispiace, Eric…” era mortificato, Rider.
“Non
dispiacerti… - guardò avanti, verso i mercatini,
ormai vicini – Piuttosto,
troviamo un libro per Alexis. Un regalo al primo appuntamento
è sempre un buon
inizio, - accennò un sorriso, dimenticando i suoi problemi -
no?”
“Direi
di sì, se vuoi conquistare me!”
Eric
gli diede una pacca sulla spalla, ridendosela con lui, ritrovando il
buon
umore, mentre raggiungevano il mercatino.
*
Nathaniel
era appena entrato nel ristorante di suo padre, dirigendosi
frettolosamente
nelle cucine. Lo trovò proprio lì, che
controllava l’operato dei suoi
dipendenti.
“Ehi,
Papà!”
“Oh,
eccoti, finalmente!” si voltò, serio, aspettandolo
da diverso tempo ormai.
Quello
tirò fuori dalla sua tracolla il portafoglio: “Non
ci crederai mai, ma una
signora era davanti a me al bancomat e ci ha messo tre ore per ritirare
solo 60
dollari.”
“Evidentemente
era anziana. – pensò, mentre prendeva i contanti
dalle mani del figlio, diretti
fuori dalle cucine – E tu sei in ritardo!”
“Aveva
almeno quarant’anni e non sono in ritardo per colpa mia!
– replicò,
giustificandosi, per poi capire di questo urgente bisogno di soldi,
perplesso –
E poi, come mai mi hai mandato al bancomat?”
“Ci
sono molti clienti oggi, tra cui un pranzo di lavoro tra pezzi grossi
prenotato
questa mattina. La cassa è quasi vuota, devo pur dare il
resto, no?”
Si
fermarono proprio alla cassa, ora, e Nathaniel rimase ancora
più peplesso:
“Vuota? Non è mai stata vuota, sei attento a
queste cose. Dove sono i soldi
degli incassi di ieri?”
L’altro,
esasperato, mentre metteva i soldi in cassa, pareva anche esausto:
“Lo sai che
porto sempre gli incassi a casa, devo averli dimenticati.”
Nathaniel
se ne meravigliò: “Tu non dimentichi mai i soldi a
casa. E poi, perché mandarmi
a prenderli al bancomat e non a casa allora?”
“Perché
la banca è qui vicina – sbottò - e
quando ti ho mandato il messaggio, eri lì
vicino, ok? Basta con tutte queste domande, ho avuto una svista, non
capiterà
più.”
“Forse
dovresti riposarti, non hai un attimo di respiro per colpa di questo
posto.”
“Sto
bene, ok? – aveva la fronte sudata – Ho scelto io
di aprire questa attività e
la porterò avanti. Ci sono doveri a cui non è
possibile sottrarsi.”
Mentre
Nathaniel fissava il padre, in silenzio, preoccupato, che contava i
soldi, a
loro si avvicinò Jamie, l’assistente manager da
poco assunto.
“Oh,
tu devi essere Nathaniel, vero?” gli allungò la
mano.
L’altro
gliela strinse: “Sì, e tu devi essere
Jamie.”
Quello
annuì, voltandosi poi verso l’uomo:
“Ehi, George, hai risolto per i soldi?”
“Sì
sì, tutto apposto, Nat è passato in
banca.”
“Bene,
qui siamo pieni di lavoro. – si rivolse a Nat, ora, con lo
sguardo puntato su
dei clienti appena entrati – Ti dispiacerebbe prendere
l’ordinazione al tavolo
nove? Sono appena arrivati dei clienti.”
“I-io?
– balbettò, colto di sorpresa – Non ho
mai lavorato qui dentro, non so come si
fa.”
“Basta
prendere carta e penna, come quando prendi degli appunti a scuola.
– accennò un
sorrisino – Oggi non hai scuola, vedo: un buon motivo in
più per stare qui a
dare una mano a tuo padre.” e gli fece
un’occhiolino, tornando nelle cucine.
Suo
padre, che aveva appena finito i suoi conti, era riuscito a sentire
qualcosa:
“Ha ragione. Renditi utile.”
Scocciato,
Nathaniel fece una battuta sarcastica, riferita a Jamie:
“Già, e lui che ci sta
a fare!.”
“Hai
detto qualcosa?” continuò George, fingendo di non
aver sentito.
“No
no… - replicò, lasciando la sua tracolla, seccato
– Vado!”
Quando
si voltò per dirigersi al tavolo numero nove,
però, riconobbe le persone che vi
si erano appena sedute, fermandosi a metà strada: erano
Clarke Dimitri e sua
madre.
Immediatamente,
tirò fuori il telefono e mandò un messaggio.
A
Sam:
“Mio
padre mi ha
bloccato al ristorante. Qui si fa interessante, ci sono la madre e il
fratello
di Anthony. Ci vediamo dopo.”
E
rimise il telefono in tasca, prendendo coraggio, un grosso respiro,
avanzando.
“Salve,
cosa vi porto?” domandò, fermandosi al tavolo.
Lei
aveva ancora addosso gli occhiali da sole, lenti a specchio, impegnata
a
guardare il suo telefono, seria e disinteressata. Fu il figlio ad
interagire
per entrambi.
“Due
bistecche accompagnate da un po’ di insalata. Una bottiglia
di vino qualsiasi,
grazie.”
Nathaniel
appuntò, tenendo lo sguardo basso. Quello lo
fissò meglio.
“Altro?”
domandò ancora, Nathaniel, accorgendosi del suo sguardo
acuto.
“Non
eri un amico di mio fratello, tu? – si ricordò
– Sì sì, ti ho visto parecchie
volte con lui, quando vivevo ancora a Rosewood, e anche al
funerale.”
Nathaniel
finse di non averlo riconosciuto: “Oh, sì, scusa,
è che non ti avevo
riconosciuto, ci siamo visti poche volte. All’epoca ero
appena diventato amico
di Anthony, perciò…”
“Sì,
hai ragione. – accennò un sorriso - E’
più facile riconoscere le solite facce
che ci sono a Rosewood, che quelle andate via da tempo.”
L’altro
buttò, nervoso, una rapida occhiata sulla Signora Dimitri,
sempre distaccata.
Improvvisamente, pensò di dover cogliere
l’occasione di azzardare qualche
domanda.
“Vi
fermate ancora per molto, qui?”
“Siamo
qui solo perché è la polizia ad averci chiesto di
restare. Tutto finirà quando
cattureranno Jasper Laughlin.”
“Siete
sicuri che sia stato lui?” ribattè, bloccando la
donna da ciò che stava
facendo. Quella si tolse gli occhiali, guardandolo fisso negli occhi,
il volto
pallido e poco amichevole.
“Sì,
- quasi lo urlò - siamo sicuri!”
Nathaniel
titubò, a disagio: “Ehm, scusate, non volevo
metterlo in dubbio. Vado a-a dare
la vostra ordinazione. Buon pranzo e ancora
condoglianze…” e se andò,
allontanandosi velocemente da quel tavolo.
Stranamente,
Clarke lo raggiunse, prendendolo per un braccio.
“Ehi!
- lo fece voltare – Scusa mia madre, lei è molto
suscettibile in questi giorni,
da quando siamo tornati a Rosewood per questa storia. Non voleva
reagire in
quel modo.”
“Ma
no, assolutamente no, è comprensibile. Tutti siamo sconvolti
per ciò che è
accaduto.”
“Però,
tu, non sembri sconvolto.”
Quell’affermazione
destabilizzò Nathaniel, che si irrigidì:
“Come?”
Clarke
rise: “Scusa, non volevo essere così diretto.
– mantenne un sorriso leggermente
pronunciato – Il fatto è che conoscevo mio
fratello e ho visto quel video che
vi ha fatto girare. Insomma, non era proprio uno stinco di santo e
immagino che
tu e i tuoi amici ce l’abbiate con lui.”
L’altro
divenne serio: “Non puoi avercela con qualcuno che
è morto, ma, sicuramente, ce
l’avevo con lui quando era vivo.”
“Nemmeno
io ero un grande fan di mio fratello. Non ti nascondo che avevamo
problemi in
famiglia, ma chi non ne ha. Tuttavia, ho lasciato casa, senza voltarmi
indietro, dopo che se n’era andata mia madre. Anthony aveva
quindici anni e io
l’ho abbandonato. Un fratello non abbandona mai un altro
fratello quando i
genitori si separano, ma non ho provato alcun rimorso
nell’abbandonarlo. Mio
fratello era un ragazzo problematico fin da allora e non potevo
rinunciare ai
miei sogni per una causa persa.”
“Sono
parole forti, queste. – lo ascoltò con attenzione,
sospettando che sapesse
qualcosa che lui e i suoi amici non sapessero – Forse non
conoscevo bene
Anthony come lo conoscevi tu.”
“Già,
non lo conoscevi come lo conoscevo io. E’ più
facile conoscere a fondo una
persona quando si ha un legame di sangue.” marcò
quelle parole, Clarke.
Nathaniel
voleva tanto chiedergli di più, impalato. Amanda Dimitri,
però, richiamò suo
figlio.
“Ehm,
ora devo tornare da mia madre. Spero che per te, e i tuoi amici, gli
ultimi due
anni di liceo siano sereni.”
“E
io spero che Jasper Laughlin sia davvero l’assassino di
Anthony e suo padre,
così questa storia sarà archiviata una volta per
tutte. Sai, a volte non sempre
la giustizia fa centro.”
Clarke
si fermò, notando delle perplessità nel ragazzo:
“E’ lui, fidati. Ci sono dei
trascorsi tra la nostra famiglia e il signor Laughlin; trascorsi di cui
preferisco non parlare. Non ci sono dubbi. – gli sorrise, un
ultima volta – Ora
devo andare. Ti auguro il meglio, - un’occhiolino -
nuotatore!” e se ne andò.
Nathaniel
rimase lì impalato, fissandolo, mentre tornava al tavolo,
accanto alla madre.
Sapeva che nascondeva qualcosa, ma la conversazione lo
lasciò confuso a tal
punto da non capire se sia realmente così; Il volto di
Clarke aveva un che di
ingannevole.
*
Nel
frattempo, Eric e Rider passeggiavano lungo il mercatino dei libri
usati;
moltre persone erano accorse, nel tentativo di acquistare un buon libro
a basso
costo. C’era chi passeggiava come loro e chi si fermava
davanti ad uno dei
tanti stand a leggere qualche paragrafo del libro tenuto in mano.
Anche
Rider faceva la stessa cosa, mentre Eric camminava, più
indietro, strisciando
la punta delle dita lungo il mucchio di libri.
“Potremmo
prenderle un romanzo True crime!” suggerì,
mentre Rider era assorto nella
lettura.
“E’
una battuta? – distolse lo sguardo per un attimo –
Scrivile di noi quattro e
Anthony, fai prima. Abbiamo una trama decisamente più
interessante dei True
crime che ci sono qui.”
L’altro
si avvicinò: “Che stai leggendo?”
“Un
giallo. Di una certa Marlene King…sembra interessante!
– si mostrò dubbioso,
distogliendo nuovamente lo sguardo dalla lettura –
Però non so se acquistarlo.
La pagina prima, sembra che debba succedere qualcosa di grosso, un
colpo di
scena che probabilmente ti lascerà senza fiato, poi arrivi
alla pagina seguente
e sembra una presa per i fondelli.”
“Oh,
- si entusiasmò – credo che sia il libro giusto
per Alexis. Sembra non
aspettarsi molto dalla vita!”
Rider
strinse gelosamente il libro a sé: “Ma lo voglio
io!”
“Hai
detto che fa schifo!”
“Non
lo so, - si mostrò confuso - è come una
droga.”
Eric,
allora, frugò in mezzo agli altri libri: “Allora
ne cerco uno uguale!”
“Eric,
- lo fermò - è un mercatino di libri usati, ogni
libro è unico qui!”
“Beh,
allora ordinalo online. – glielo tolse dalle mani –
Questo lo avrà Alexis!”
Rider
si arrese, ma finse ugualmente un broncio: “Va bene, tienilo.
Tanto non mi
piaceva.”
“Sì,
invece.” ribadì, l’altro.
“Vado
a cercare là giù. - indicò verso una
direzione - Qualcosa per me!”
“Ok,
- lo vide allontanarsi – provo a cercarti qualcosa
anch’io.”
Rider,
finalmente, sembrò essere attratto da
qualcos’altro, allo stand in cui era
giunto. Allungò la mano per recuperare il libro, ma non era
l’unico ad averci
messo gli occhi sopra. Sbattè la mano con quella di un uomo,
riconoscendolo.
“Oh,
Signor Palmer, è lei!”
L’altro
fu sorpreso nel vederlo, ma non tanto, poco dopo: “Signor
Stuart…Come procede
la sua sospensione?”
“Non
bene. – sorrise, sconsolatamente – Domani
dovrò riempire un’altra giornata
persa.”
“Sono
molto dispiaciuto, davvero. Sei un ragazzo così brillante e
sei qui a comprarti
un libro, anziché dormire o girare con la tua auto a tutto
volume, come un
nullafacente: cosa che farebbe un qualsiasi altro ragazzo sospeso.
Tuttavia,
però, bisogna prendersi la responsabilità delle
proprie azioni.”
“Me
la sono presa, infatti, o non sarei qui. E sono davvero mortificato per
il
disagio che abbiamo causato ad alcuni dei nostri compagni di scuola.
– abbassò
lo sguardo, triste - E ad Albert…”
“Spero
che non sia successo nulla di grave a quel povero ragazzo. –
Palmer si mostrò
in pensiero, come chiunque, pensando a quella vicenda - Tutti abbiamo
avuto le
nostre faide scolastiche, ma nessuno scompare per così a
lungo…”
Rider
deglutì, prima di mentire ancora una volta, sapendo la
verità: “Lo spero
anch’io. Spero che non gli sia successo niente e che
torni.”
A
quel punto, Palmer fissò il suo orologio da polso:
“Sì è fatto tardi, ho
l’ultima
ora da fare. Arrivederci, Rider.” e si avviò,
congendandosi con un sorriso,
ricambiato.
Dopo
qualche passò, però, si fermò,
voltandosi nuovamente.
“Rider?”
Quello
si girò: “Sì?”
“Appena
rientrerai, ci sarà un test a sorpresa sui padri fondatori.
Preparati!”
“E’
un test a sorpresa… - ne rimase perplesso -
Perché per me non è più una
sopresa?”
“Questa
sospensione ti ha già penalizzato abbastanza. Ti sei
impegnato molto, per
cascare proprio adesso. Cerca solo di non commettere più
errori, in futuro.” e,
stavolta, se ne andò sul serio.
Quelle
parole, stamparono un sorriso sul volto di Rider. Qualcuno credeva in
lui,
finalmente. Rimasto impalato per qualche secondo, si decise a tornare
da Eric.
Arrivando
alle sue spalle, entrambi si accorsero della presenza di Violet, vicino
ad uno
stand, più avanti.
“Ma
guarda chi ha saltato l’ora di falsologia!”
esordì Rider, sottovoce.
Eric
si accorse dell’amico, alle spalle, commentando la scena:
“Guarda, c’è anche
Colton con lei.”
“Probabilmente,
- replicò, con occhio sospettoso - fingono di guardare libri
per spiarci!”
“Sei
ancora convinto che entrambi siano A?”
era ancora scettico, Eric.
“Non
ne sono sicuro, ma Sam ha ragione: una persona sola non può
scambiare due corpi
all’obitorio. Lei potrebbe essere la mente e lui il braccio
muscoloso.”
Improvvisamente,
sia Colton che Violet, puntarono lo sguardo verso di loro. Rider ed
Eric, colti
di sorpresa, si girarono subito nella direzione opposta, spaventati.
Quest’ultimo
ritrovò le parole: “Dici che ci hanno
visto?”
L’altro
gli lanciò una lunga occhiata di ovvietà:
“Certo che ci hanno visto, non hanno
le bende agli occhi.”
“Quindi
che facciamo? – era in ansia - Dobbiamo passare di fianco a
loro per tornare
alla macchina.”
“Dio,
- sospirò, Rider – un tempo non ci saremmo mai
fatti tanti problemi a passare
di fianco ad Albume e sua sorella!”
“Perché
c’era Anthony con noi!” gli ricordò,
Eric.
FLASHBACK
La
cricca di Anthony al completo era appena entrata nella mensa
della scuola. Il leader avanzò al banco del cibo, con i suoi
quattro seguaci a
seguito, come sempre. Presero i vassoi vuoti, uno alla volta e si
fermarono
davanti al ragazzo che li riempiva: Colton Rhimes.
“Ciao,
Albume, cosa ci servi di buono oggi?” domandò
Anthony,
con il suo solito sorriso cinico e burlone.
“Purè
di patate!” rispose quello, serio, fingendo di non aver
sentito come l’ha chiamato.
Anthony
visionò ciò che c’era, attraverso il
vetro, molto
irritato.
“Non
è vero, Albume. Io vedo una mela, della carne e un succo di
frutta, che vorrei. Il purè di patate puoi darlo alla tua
sorellina, se vuoi.”
“Ho
detto che posso darvi solo il purè!” insistette, a
denti
stretti.
Improvvisamente,
arrivò una ragazza, spedita, molto gentile e
carina.
“Ciao
Colton, mi hai lasciato qualcosa? Mi sono fermata a fare
delle fotocopie e ho fatto tardi.”
Quello,
sorridendole, abbandonando completamente l’espressione
negativa che aveva fino a pochi attimi prima, le riempì
subito il vassoio, con
le cose che si rifiutò di dare ad Anthony. Li tremavano le
mani, come in preda
all’emozione.
Anthony
osservò la scena, con i suoi amici, silenzioso, come
pronto a deriderlo da un momento all’altro.
“Tieni,
Brianna!” le diede il vassoio, fissandola, premuroso.
“Grazie,
- Brianna guardò dentro il suo vassoio – mi hai
lasciato tutto quello che ti avevo chiesto. Che gentile.”
“Già,
- si intromise Anthony – togliendo il cibo a me, che sono
arrivato prima.”
Sam
strattonò Anthony, voleva solo andare a sedersi:
“Dai,
andiamo, accontentati del purè per oggi.” ma
quello non lo ascoltò nemmeno.
“Ehm…
- non sapeva cosa dire, Brianna – Scusa, Anthony, puoi
prendere il mio vassoio se vuoi, mi accontenterò del
purè. Chi tardi arriva,
male alloggia. Hai ragione.” e cercò di passargli
il vassoio.
Quello,
però, rifiutò: “No, tienitelo.
C’è tanto amore in quel
vassoio, - fissò Colton, con un sorrisino maligno
– Non è vero, Albume?”
“Che-che
– non capì, la ragazza, a cosa mirasse - vuoi
dire,
scusa?” mentre
Colton
sembrò innervosirsi, a quel punto, il cuore che batteva
forte, lo sguardo basso, gli occhi che si muovevano
all’impazzata.
“Brianna,
ma ancora non l’hai capito? Albume prova dei
sentimenti per te. – rise – Assurdo, vero? Come se
una ragazza potesse
ricambiare.”
Brianna
lanciò una rapida occhiata a Colton, sentendosi a
disagio.
“Le
ragazze cercano più tipi come lui. – Anthony
tirò avanti
Eric – Pelle perfetta, bei capelli, bei vestiti… -
fissò Colton negli occhi –
Non uno come te, Albume.”
Il
ragazzo provò rabbia, stringendo i pugni, sotto al bancone,
nell’ascoltare quelle parole.
Anthony
continuò a punzecchiarlo, perfido: “Non puoi
neanche
diventare rosso dalla vergogna…”
Brianna,
senza ascoltare altro, se ne andò. Colton la vide
andare via, amareggiato, sentendo crescere l’ira dentro di
sè, che, però, non
esplose. Gli bastò scambiarsi uno sguardo con sua sorella
Violet, seduta in
mensa, qualche tavolo più avanti, che stava osservando la
scena, per tornare
calmo.
“Vada
per il purè, Albume. Ma domani voglio le uova!”
rise di
gusto, Anthony, dopo quella battuta, cercando lo sguardo complice dei
suoi
amici, che forzarono la loro risata per compiacerlo.
Eric
e Rider si fecero coraggio e si voltarono, pronti ad affrontarli per
tornare
alla loro auto. Stranamente, però, non c’erano
più, e i due si guardarono
attorno.
“Ma
dove…???” si chiese Rider.
Eric,
invece, mentre puntava lo sguardo ovunque, finì per
abbassarlo, in direzione
dei libri, ammucchiati allo stend dove erano fermi. Uno in particolare,
attirò
la sua attenzione, costringendolo a prenderlo tra le mani.
“Ehi,
Rider, ma questo non è il libro di tuo padre?”
L’altro,
distratto, gli diede retta: “Come? – lo riconobbe,
poi – Cosa? Ma che…?” e lo
scrutò meglio, togliendoglielo dalle mani.
“Non
è lo stesso che ci hai mostrato ieri, vero?”
“No
no è un’altra copia, ma… - si
guardò attorno, indignato - Che stronzi a darlo
via con sopra delle macchie di caffè e le pagine tutte
stropicciate!”
“Ehi,
aspetta… - notò qualcosa, alla fine del libro,
indicando – C’è scritto qualcosa
qui…”
Era
una scritta in rosso, infatti.
“Che
lettura interessante, vero stronzetti?”
-A
“Come
faceva A a sapere che saremmo
venuti
qui?” Eric si guardò attorno assieme a Rider,
turbato.
“Magari
A era proprio qui, un attimo
fa!”
“Colton
e Violet?” intercettò i suoi pensieri.
“Beh,
sono passati da questo stand, prima di arrivare a
quell’altro, no? Avranno
piazzato loro il libro di mio padre.”
*
Sam,
intanto, era ancora a casa, nel salotto, seduto sul divano a guardare
la tv,
abbastanza scocciato del programma che davano.
Lo
squillo del telefono, accanto a lui, distolse la sua attenzione dalla
televisione.
Sul display comparve il numero di suo padre.
Rispose,
perplesso.
“Ehi,
Papà, perché mi chiami? Sai che sono a scuola,
no?”
“Ah,
- esordì, furioso nella voce – sei a scuola?
Davvero?”
Sam
intuì che aveva scoperto tutto, mentre quello continuava.
“Il
preside della tua scuola mi ha chiamato e mi ha raccontato tutto.
Questa sera
faremo una bella chiacchierata sulla tua condotta.”
“Papà,
mi dipiace. I-io, davvero…”
Ma
Carter non lo lasciò finire, severo: “Ne parliamo
stasera, ho detto!...Sono
MOLTO, molto deluso.”
Sam
aveva le lacrime agli occhi, ormai:
“D’accordo…” e quello chiuse.
Quando
abbassò il telefono, comparve l’ennesimo messaggio
di A.
“Sta
attento alle bugie che racconti, io posso trasformarle in
realtà.”
-A
Sam
gettò il telefono sull’altra poltrona,
digrignando i denti per la rabbia, fra le lacrime.
*
Tornati
all’auto, parcheggiata davanti al
Brew, Rider sembrava avere le idee chiare.
“Quindi
la A che ha salutato Sam,
dall’altro molo, era Colton?” cercò di
convincersene, Eric.
“Già!
– esclamò Rider, il telefono attaccato
all’orecchio, una chiamata in corso - Deve aver architettato
tutto con sua
sorella. Probabilmente vedono Anthony in tutti noi e sono sicuro che
l’amico
psicopatico di Albert è Colton: entrambi bersagliati dallo
stesso demone. –
tolse il telefono dall’orecchio – Accidenti,
perché Sam non risponde?”
“Probabilmente
è in modalità serie tv!”
“Chiamo
Nathaniel! – si rimise il telefono
all’orecchio e quello squillò – Oh, mi
sta chiamando lui. Siamo sulla stessa
lunghezza d’onda, a quanto pare. – rispose, a quel
punto – Ehi, Nat!”
“Ehi,
sono bloccato al ristorante, devo
parlarvi.”
“Anche
noi. – continuò Rider, mentre Eric
faceva il giro dell’auto, raggiungendolo, per ascoltare
– Sei in vivavoce, c’è
anche Eric con me.”
“Clarke
e sua madre sono venuti a pranzare al
mio ristorante.”
“Clarke,
il fratello di Anthony?” sussultò
Eric.
“Quando?”
aggiunse Rider.
“Verso
mezzogiorno, sono usciti da poco. In
ogni caso, ho avuto una strana conversazione con il fratello.”
Rider
voleva saperne di più, isterico: “Del
tipo? Abbiamo consegnato alla giustizia
l’assassino sbagliato, portaci una baguette?”
Nathaniel
continuò: “Ho avuto come la
sensazione che Clarke sapesse quello che sa A
su Anthony, ok? Poi la madre ha come sbottato quando ho
provato a
mettere in dubbio la colpevolezza di Laughlin.”
Eric
commentò, in merito: “Evidentemente non
ha ancora digerito il tradimento del marito con un uomo, mi sembra
ovvio.”
“Quindi
pensi che Clarke – fu il turno di
Rider - sappia qualcosa sul file Rosewood-riservato?”
“Ha
definito Anthony una causa persa e che un
fratello non abbandona mai un altro fratello, quando due genitori
divorziano,
ma lui l’ha fatto. Se n’è
andato!”
Eric
fissò Rider, inquieto: “Che diavolo di
segreto nascondeva Anthony, tanto da far fuggire suo
fratello?”
“Non
è fuggito, ragazzi! – lo trovò assurdo,
Rider – Clarke doveva iniziare il college,
all’epoca.”
“Ah,
comunque, - prese parola Eric – Rider
pensa che Colton e Violet siano A.
“Rider
pensa? – gli lanciò
un’occhiattaccia, quello – Davvero, Eric?”
L’altro
roteò gli occhi, correggendosi: “Ok,
io e Rider pensiamo che loro siano A.
Siamo andati al mercartino dei libri usati, prima, nella strada del
Bourbon's Page, e c’erano anche loro. Abbiamo trovato un libro con
dentro un messaggio
firmato da A.
“Cazzo,
ne siete sicuri?”
Rider
lo ribadì a gran voce: “Sicurissimi. Il
trenino giocattolo può averlo messo solo uno studente nel
mio armadietto. Per
non parlare del mio telefono, magicamente riapparso nella mia auto,
questa
mattina. L’avevo lasciato a scuola.”
Anche
Nathaniel se ne convinse, allora: “Ok,
che facciamo allora? Ne abbiamo già discusso su cosa avremmo
fatto, una volta
scoperto chi è A.”
“Niente!
– esclamò, Eric, seccato – Che non
avremmo fatto niente, perché ha… - si
stoppò, correggendosi, confuso – cioè,
HANNO, il video di quella notte.”
Nathaniel,
che parlava dalle cucine del
ristorante, si slacciò il grembiule: “Sentite,
torno a casa a farmi una doccia.
Mi dovevo vedere con Sam, ma ho appena trovato un suo messaggio; Ackett
ha
chiamato suo padre e gli ha raccontato tutto. Doveva aspettarselo che
non si
sarebbe fermato ad un fax.”
“Ti
vuoi vedere con noi, dopo? Poi passiamo
da Sam, così ne parliamo tutti insieme?” gli
chiese, Rider.
“Sì,
ok, ma…con Clarke che facciamo? Non
dovremmo approfittarci del fatto che è ancora qui a Rosewood
e provare a
chiedergli di Rosewood-riservato, se ne sa qualcosa?”
“E
come pensi di esordire senza dirgli di A e
di tutto questo casino?” replicò,
Rider.
All’improvviso,
il telefono di Rider notificò
un messaggio. Suonò anche quello di Eric. Entrambi si
guardarono e lo aprirono.
“Non
avrete accesso a Rosewood-riservato, finchè non ve lo
permetterò io.”
-A
Guardandosi
attorno, agghiacciato, come Eric, Rider prese parola: “Nat,
sei ancora in
linea?”
“Avete
ricevuto anche voi il messaggio?”
“Ok,
- sussultò Eric, turbato e incredulo – come
diavolo fa A a sapere quello che
ci siamo appena detti? – si voltò da ogni
parte, la gente che passava lungo il marciapiedi –
E’ qui intorno a noi,
forse?”
Rider
sospirò, lasciando perdere: “Inutile
scervellarci… - si rivolse a Nathaniel,
poi – Nat, ci vediamo dopo, così ne parliamo
meglio.”
“Ok,
a dopo.” e
chiuse.
Rider
ed Eric si lanciarono l’ennesima occhiata, per poi guardarsi
di nuovo attorno e
salire in auto.
*
Più
tardi, nel pomeriggio, Sam era ancora chiuso in casa sua. Stava
scendendo per
le scale, quando sentì suonare alla porta; si
fermò proprio agli ultimi
gradini, domandandosi chi potesse essere, facendo silenzio.
Una
voce, da fuori, si fece sentire: era quella di Chloe.
“Sam,
lo so che sei in casa! C’è la tua auto
parcheggiata qui fuori.”
Quello
rimase impalato sulle scale, non emettendo alcun suono.”
“Sam??
– gridò ancora – Ci sei?? Devo dirti
alcune cose, apri!”
Ma
niente, lui non le rispose. Dopo qualche istante, sentì
sbuffare, avvicinandosi
alla porta a passi felpati, osservando fuori attraverso lo spioncino:
Chloe
stava facendo dietro front verso la sua auto, risalendoci sopra.
Sam
si allontanò dallo spioncino, triste per averla ignorata.
Sconsolato, risalì al
piano di sopra, entrando in camera sua; passò accanto alla
sua scrivania,
sedendosi sul letto, sospirando, la testa bassa, le mani unite. Quando
sollevò
lo sguardo, davanti a sé, osservò il pc spento,
sulla scrivania.
Improvvisamente, esso si accese, irrigidendo Sam.
“Ma
che diavolo…???”
Si
pronunciò, aguzzando la vista sullo schermo, gettandosi in
avanti con la testa:
mostrava l’interno di una camera. Sam, però,
sembrava non capire a chi
appartenesse, così rimase a guardare, in attesa di capirlo.
Finalmente
qualcuno entrò, dando le spalle alla webcam. Sam riconobbe
quella persona,
all’istante, pronunciando il suo nome con un sussurro.
“Nathaniel…”
Quello,
ingnaro di essere ripreso, osservò il proprio telefono per
qualche secondo,
prima di buttarlo sul letto ed iniziare a spogliarsi. Prima la
maglietta, poi
le scarpe, i pantaloni; il tutto mentre Sam passava dal letto alla
sedia della
sua scrivania, con gli occhi incollati sullo schermo. Nel momento in
cui
Nathaniel stava per togliersi anche i boxer, la finestra video si
chiuse,
lasciando solo il desktop.
Tiratosi
indietro sullo schienale della sedia, Sam aveva ancora lo sguardo
perso, il
respiro rumoroso, il cuore che batteva forte, la fronte sudata.
Improvvisamente,
si aprì una nuova schermata sul desktop: un messaggio.
“Vorresti
andare oltre, vero stronzetto?”
-A
Il
respiro di Sam si fece ancora più tumultuoso, il petto che
si gonfiava e
sgonfiava velocemente, una sensazione di panico e soffocamento che lo
portò
all’esasperazione, fino ad alzarsi bruscamente dalla sedia e
urlare contro lo
schermo del computer.
“Bastaaaaaa,
lasciami in pace!”
Buttato
tutto quanto fuori, Sam fece grossi respiri, cercando di riprendersi.
Un altro
messaggio comparve sul desktop.
“Sai
già cosa devi fare per liberarti di me, oggi.”
-A
In
una smorfia di rabbia, chiuse il portatile con grande foga.
Fu
il suo telefono, poggiato sul letto, a portare un altro messaggio,
vibrando per
qualche secondo. Sam poteva leggerlo perfettamente dal punto in cui
era, senza
doversi avvicinare a prenderlo.
“Sono
ancora qui…”
-A
A
quel punto, riprese a respirare in maniera spasmodica, mettendosi le
mani nei
capelli ed iniziando a piangere, disperato.
*
Rider
stava rientrando a casa con in mano il libro di suo padre, quello
trovato al
mercatino. Chiusa la porta, vide il suo cane venirgli incontro.
“Tobyy!”
si piegò sulle ginocchia per accarezzarlo, sorridente.
Dalla
stessa stanza da cui era uscito Toby, si affacciò anche
Richard, suo padre.
“Sono
le quattro – controllò il suo orologio da polso
– e sei già a casa?”
Rider
si sollevò in piedi, più serio, mentre il cane
gli faceva ancora le feste:
“Sono stato al mercatino dei libri usati, poi sono andato a
pranzo con un
amico…Rosewood non ha altro da offrirmi per oggi!”
“Quello…
- notò il libro fra le sue mani – è
mio?”
“Ehm,
- lo guardò un attimo – sì, qualcuno
che avrà finito di leggerlo!”
“Deduco
che non sono il suo autore preferito, fa parte di una serie di volumi
da
collezionare, quello.”
L’altro
sorrise, sarcastico: “Evidentemente hai concluso male la
storyline di qualche
suo personaggio preferito.”
“Evidentemente!”
marcò con le sopracciglia.
Un
breve sospiro di entrambi, Rider riprese parola, morso da qualcosa che
gli era
appena venuto in mente.
“Ricordi
quando hai scritto quel libro, quello in cui c’era
quest’uomo che andava a
trovare suo figlio in un manicomio?”
“Ehm,
- titubò, ricordando – sì, ti riferisci
a il
bambino aldi là del cancello? ”
“Sì,
quello!”
“E
allora?” lo osservò a lungo, aspettando una
risposta.
“Parlavi
di questo bambino, con problemi mentali, e di come i suoi genitori
furono
costretti a rinchiuderlo in manicomio, perché era troppo
pericoloso per i suoi
fratelli, ancora troppo piccoli, come lui. Suo padre, però,
non volle
abbandonarlo, così li portò in regalo delle
bambole: rappresentavano la sua
famiglia. Solo che…non erano delle semplici bambole; dentro
ognuna di esse
c’erano dei microfoni e il bambino li ascoltava parlare, come
se fossero lì con
lui. Come se potesse interagire con loro.”
Richard,
serio, si lasciò poi scappare una piccola risata:
“Non capisco cosa stai
cercando di dirmi, Rider. Perché ricordarmi della trama di
questo libro, che
conosco a memoria?”
Quello,
allora, smise di essere vago: “Ogni volta che scrivi un
libro, ti consulti con
qualcuno. Una consulenza, giusto?”
“Sì,
ho diversi contatti. Non posso conoscere tutto, a volte devo
intervistare delle
persone.”
“Per
il materiale spionistico a chi ti rivolgi?”
“Per
quello mi sono rivolto a… - cercò di ricordare -
ad una Professoressa del
dipartimento di ingegneria elettronica a Brokehaven. Sì, una
donna di nome
Denna Marx. Un tipo abbastanza eccentrico, ha i rasta!”
“Una
Professoressa con i rasta, interessante!” aggiunse, prendendo
in mano il
telefono e passando davanti al padre.
“Tutto
qui? – quello rimase impalato, perplesso –
Perché tutti questi giri e poi,
semplicemente, te ne vai?”
“Perché,
- si fermò Rider, sulle scale, voltandosi - la mia domanda
sembrava avere un
fine?”
“Ogni
domanda ha un fine, Rider. E la tua era parecchio articolata. Sono uno
scrittore, - rise - se non noto io queste cose…”
“Ehm,
ti ho fatto queste domande, perché… -
arrancò, qualche gradino più giù,
cercando di spiegare – ho deciso di scrivere qualcosa
anch’io. – sorrise, poco
dopo aver mentito – Magari seguirò le tue
orme.”
Richard,
sbigottito, scoppiò a ridere: “Le mie orme?
– sfumò in un’espressione seria,
piacevolmente colpita - Non pensavo ti interessassi alla scrittura. La
cosa mi
rende stranamente fiero e…lusingato!”
L’altro
accennò solo un sorriso, avanzando per le scale. Suo padre
lo fermò ancora una
volta.
“Ehi,
però pretendo di leggere qualcosa!”
Rider
girovagò con lo sguardo, l’ennesimo finto sorriso:
“Ehm, sarai il primo!” e
salì di corsa quelle scale.
*
Giunto
al pianto sopra, nel corridoio, il telefono all’orecchio,
Rider avviò una
conversazione.
“Pronto?”
rispose Eric.
“Andate
a prendere Sam, andiamo a Brokehaven!”
“Brokehaven?
– rispose, mentre si sentiva la voce di Nathaniel, in
sottofondo, che urlava il
nome di Sam - A fare cosa?”
“Ma
è la voce di Nat? Dove siete?”
“Siamo
a casa di Sam. Dobbiamo parlare tutti insieme, ricordi?”
“Sì,
ma fate presto, parleremo a Brokehaven!”
“Mi
spieghi cosa c’è a Brokehaven? Perché
dobbiamo andare a Brokehaven?”
“C’è
una Professoressa, una certa Denna Marx, insegna al dipartimento di
ingegneria
elettronica. Magari puoi aiutarci a capire come disattivare questi
cosi!”
Eric
fece qualche attimo di silenzio, confuso: “Questi cosi,
cosa?”
“I
microfoni o cimici o quello che sono! A
devi averci messo qualcosa addosso, altrimenti non saprebbe quello che
ci
diciamo ogni volta, no?”
“A
parte il fatto che, probabilmente, A
sta ascoltando quello che dici…Cosa pensi di dire a questa
Professoressa? Ciao, ho diciasette anni e
qualcuno mi ha
messo una cimice addosso per scoprire quante zollette di zucchero metto
nel
caffè? ”
“Non
farla tanto lunga, ci inventeremo qualcosa. L’importante
è riuscire ad isolarci
da A!”
“Un’altra
scrittura creativa, - replicò, scocciato - come ha fatto
Nathaniel?”
Non
ricevette risposta.
“Pronto?
Rider? – si tolse il telefono dall’orecchio,
fissando lo schermo, ma la chiamata
era ancora in corso – Rider, ci sei? Guarda che sei ancora in
linea!”
“Ehm,
sì, scusa… - finalmente rispose - Testavo una
cosa!”
“Cioè?
Farmi parlare da solo?”
“Niente,
controllavo solo se dopo la mia ultima frase, A
avrebbe mandato un messaggio intimidatorio, ma non l’ha
fatto.
Questo significa che non ci ascolta tutto il tempo e che dobbiamo
sbrigarci ad
andare a Brokehaven.”
“Va
bene, ti passiamo a prendere a casa tua. A fra poco!”
“Ok,
fate presto!” chiuse anche Rider.
Intanto,
Nat stava bussando ancora alla porta dell’amico.
“Saaam??
Sam, sei in casa? Siamo noi!”
“Niente?
– si avvicinò Eric – Perché
non apre? Non hai detto che sarebbe rimasto a
casa?”
L’altro,
spostandosi alla finestra di fianco alla porta, cercò di
guardare all’interno,
attraverso il vetro: “Infatti… -
continuò a guardare dentro - Forse è andato in
centrale dal padre per parlare della sospensione, ma la sua auto
è qui.”
Eric
riprese in mano il telefono, scrivendo un messaggio:
“Continua a bussare,
magari dorme. Io, intanto, scrivo ad Alexis.”
“Chi
è Alexis? – domandò, mentre ritentava
alla porta, bussando più forte – Saaam?”
“Una
ragazza che lavora al Brew, credo di piacerle. O, almeno,
così ha detto Rider!”
Arreso,
Nathaniel si voltò a parlare meglio con lui:
“Quindi le stai chiedendo un
appuntamento?”
“Più
o meno. – ribattè, imbarazzato, la voce piccola -
Le ho anche comprato un
regalo. Un libro.”
L’amico
sollevò le sopracciglia: “E’ una Rider
femmina, per caso?”
“No!
– ci riflettè su - E’ più me,
femmina, ma con le ciocche blu.”
“Ehm…a
me sembra più una descrizione di Avril Lavigne!”
“Non
è bionda, a dire il vero.”
“Senti,
- si scocciò di parlare di Alexis – possiamo torna
a bussare?”
“Se
bussi ancora, la porta si staccherà!”
“E’
blindata, non sono così forte!”
Eric
roteò gli occhi, seccato: “Fa pure, la mano
è tua!”
Nathaniel,
allora, in procinto di bussare, fu fermato da un messaggio, che lesse,
dopo
aver allungato la mano in tasca per recuperare il telefono.
Da
Sam:
“Nat,
farò un po’ tardi, se non mi trovi è
perché sono alla casa di riposo; ho fatto
qualche dolce per gli anziani. Voi andate pure a Brokehaven senza di
me, prima
che A
si accorga di quello che stiamo
cercando di fare.”
Nathaniel
rimase assai perplesso dal messaggio, così si
voltò verso Eric: “Sam porta
dolci agli anziani?”
“Oh,
sì, – ricordò – una volta
Anthony lo prese anche in giro per questo. In pratica
sua madre lavorava in questa casa di riposo e da quando è
morta, ogni settimana
prepara dei dolci e li porta lì.”
L’altro
ne rimase sorpreso e intenerito: “Non sapevo questa cosa di
lui… - si riprese,
continuando – Comunque come sa di Brokehaven? Io stesso ne so
a malapena, ho
ascoltato a tratti la conversazione tra te e Rider.”
“Deve
averlo avvisato Rider per messaggio. E’ come una sorta di
centro messaggi in
questo gruppo!”
“D’accordo,
facciamo presto allora!” suggerì.
Insieme
si avviarono verso la macchina, abbandonando il portico
dell’abitazione.
Contemporaneamente,
all’interno della casa, Sam era inginocchiato davanti alla
porta, che
contemplava il suo telefono, sconvolto. Per tutto il tempo aveva
ascoltato i
suoi amici chiamarlo, dall’altra parte, ignorandoli. Lo
shock, però, era dovuto
al messaggio, che non era stato lui ad inviare, ma che aveva visto
scriversi da
solo, sulla tastiera del display.
Improvvisamente,
nella schermata della chat, Sam vide i tasti digitarsi da soli.
Nuovamente.
“Visto?
Riesco a scrivere anche i messaggi al posto tuo, ma, ahimè,
serve la tua voce
per rivelare i sentimenti che provi per Nathaniel e io te la
farò uscire…”
Sam
deglutì, gli occhi sgranati per lo sconvolgimento.
*Sta
digitando…*
“Ora
puoi rilassarti, Sam. Non selezionerò invio, se ancora non
ne hai abbastanza di
me.”
Quello
lasciò cadere il telefono sul pavimento, tirando indietro le
mani, chiuse in un
pugno. Lo sguardo girovagava, impazzito. Il panico stava prendendo il
sopravvento. Non sapeva cosa fare. Non ne poteva più.
*
Intanto,
Chloe, in centro, si stava dirigendo verso un negozio. Di fretta, la
borsa in
spalla è una fotocamera appesa al suo collo, era in procinto
di aprire la porta.
Una voce, però, la fermò nell’entrare.
“Ehi,
Chloe!”
L’altra
sgranò gli occhi, sorpresa e intontita: “L-lindsay
Stuart?”
“Ehm,
- rise, quella, per la reazione esagerata – non sono
Beyoncè, rilassati!”
“E’
che… - cercò di ricomporsi, imbarazzata
– sei Lindsay Stuart, una ragazza del
quinto anno, molto carina, e che non mi ha mai rivolto la parola in
vita sua!”
“Beh,
le cose cambiano. Violet Rhimes sta cambiando le cose. La scuola sta
diventando
decisamente più unita.”
Chloe
le sorrise, ancora in imbarazzo:
“Già…Ora si è anche
candidata a presidente del
comitato studentesco.”
“Probabilmente
vincerà!”
“Lo
penso anch’io!” fu di poche parole, ancora una
volta.
“Devi
aggiustare la tua fotocamera? – fissò
l’insegna – Cos’ha che non va?”
L’altra
annuì: “L’otturatore…-
Lindsay non sembrava molto interessata ad ascoltare,
come se mirasse ad altro - Ha problemi a mettere a fuoco e non
è mia. L’ho
presa in prestito, questa fotocamera.”
“A
proposito… - ribattè, Lindsay, una lunga
occhiata, che celava qualcosa dietro
al suo sorriso – Grazie per non aver detto nulla a nessuno.
Insomma, so che mi
hai vista quella notte.”
“Q-quale
notte?” titubò, Chloe.
“Avanti,
lo sai. Non fingere. – si avvicinò di qualche
passo a lei – Quella in cui mi
hai visto assieme ad Albert. Nella macchina blu.”
“Ah,
- la voce le tremava – eri tu?”
“Chloe,
- la squadrò, seria - ti sto facendo paura, per caso?
Insomma, non penserai che
Albert sia scomparso a causa mia, vero?”
“No
no, certo che no, ma… - deglutì - Sei andata alla
polizia? Sanno che sei stata
l’ultima persone ad averlo visto?”
“Non
ero da sola, quella notte. Sai, - si avvicinò al suo
orecchio, sussurrandole –
io frequento, diciamo…una persona più grande
e… - si allontanò, tornando a
parlare con un tono normale – Insomma, non volevo metterla
nei guai. La polizia
avrebbe trovato molto strana la faccenda. Lo capisci, no?”
Quella
annuì, curiosa: “Sì si, certo.
E…che ci facevi con Albert a quell’ora? Chi era
questa persona più grande con cui eravate?”
“Anthony
dava noie anche a me, non solo quelli come Albert o…te!
– fece una pausa, prima
di continuare – Hai presente il video che è stato
divulgato qualche giorno fa
su Anthony, mio fratello e i loro amici? Beh, Albert era nascosto
dietro la
porta dell’aula in cui l’hanno girato e ha
ascoltato tutto. Io stavo passando
da quel corridoio, per caso, quel giorno, e la cosa mi ha incuriosito a
tal
punto da domandargli cosa stesse facendo. Lui mi fece segno di
avvicinarmi…Quando
i ragazzi se ne andarono, entrammo e prendemmo la
videocamera.”
“Volevate
che la scuola vedesse quel video? – era confusa –
Ok che Albert volesse questo,
ma tu? Rider è tuo fratello, perché fargli una
cosa del genere?”
“Non
volevo divulgare il video, infatti. Volevo solo essere lasciata in
pace, far
sapere ad Anthony che avevamo quel video e che doveva lasciarci in
pace…Albert,
poi, fece delle copie e disse che si sarebbe preoccupato lui di parlare
con
Anthony, così ho preferito non espormi troppo e lasciare che
facesse tutto
lui.”
“Ma,
aspetta un secondo, il video è stato divulgato dopo la
scomparsa di Albert. Sei
stata tu?”
“No!
– marcò, con gra voce – Te
l’ho detto, non volevo farlo. Dopo la scuola, poi,
Albert non si fece più sentire e lo incontrai che girava di
notte verso le
parti del Wall mart. E’ salito nell’auto del
ragazzo con cui ero e gli ho
chiesto se avesse parlato con Anthony. Lui mi ha risposto che era tutto
risolto, poi scese, di fretta e…Non l’ho
più visto né sentito.”
“Ma…
- riflettè, cercando di capirci qualcosa, spostandosi i
capelli da davanti la
faccia – Se non sei stata tu a divulgare il video, allora chi
è stato?”
“Non
è evidente? – dichiarò con scontatezza
– E’ stato Albert!”
In
una smorfia perplessa, Chloe replicò: “Sicura che
questo tuo ragazzo non abbia
ottenuto una copia da Albert, nel corso della giornata? Magari
è stato lui!”
“E’
stato tutto il giorno con me! – affermò
– L’unico ad avere quel video era
Albert ed è stato lui!”
“Quindi
pensi che Albert, - si mostrò turbata - sia nascosto qui a
Rosewood?”
Lindsay
si avvicinò di più a Chloe: “Io penso
che Albert abbia ucciso Anthony e suo padre
e che per paura di ciò che ha fatto, abbia finto di sparire.
Questo, però, non
l’ha fermato nel dare il colpo di grazia a coloro che
l’hanno sempre sostenuto:
mio fratello e i suoi amici… - ora anche lei si
mostrò turbata, quasi
spaventata – Albert sembrava un tipo instabile.
L’ultima volta che l’ho visto
non aveva una bella cera.”
“Se
pensi che si nasconda qui, allora dillo alla polizia! Potrebbe fare del
male a
tuo fratello o i ragazzi.”
“E
se mi sbagliassi? Albert ha fatto delle copie di quel video. Chi mi
garantisce
che sia stato davvero lui? Magari è davvero scomparso ed
è stato qualcun altro,
magari c’è molto di più dietro e io non
voglio guai! – concluse, sorpassandola
– Ora devo andare…In ogni caso, grazie di non aver
detto a nessuno che mi hai visto
quella notte.”
E
quando si voltò per andarsene, Chloe la fermò.
“Ehi,
aspetta… - Lindsay si girò – Ti ha
detto qualcos’altro, Albert, quel giorno?”
L’altra
non capì: “Cioè?”
“Niente…
- scosse la testa – Niente, lascia stare.”
“Ok…
- rimase lì impalata per qualche secondo – Allora
ciao!” e se ne andò.
Chloe
la fissò a lungo, mentre si allontanava. Poi,
entrò finalmente dentro il
negozio.
*
Arrivati
a Brokehaven, i ragazzi stavano attraversando il campus
dell’università. Rider,
in mezzo a Nathaniel ed Eric, teneva in mano una brochure.
“Il
dipartimento di ingegneria elettronica è nella zona ovest
del campus!”
“E’
molto lontano da dove siamo?” chiese Eric, mentre controllava
il telefono.
“Sì,
– si voltò quello, lanciandogli
un’occhiataccia – se continui a
messaggiare!”
“Non
sto messaggiando, controllo se Alexis ha risposto!”
Rider,
dandogli tregua, si voltò verso Nathaniel, che, invece, era
distratto dalle
belle studentesse che giravano per l’università.
“Ehi,
calma i tuoi ormoni, siamo qui per altro! – lo
incalzò, mentre Nathaniel
roteava gli occhi – Credi che non voglia distrarmi
anch’io con due tette da
college? Sì! Ma, ahimè, non ho una stramaledetta
vita normale come tutti gli
altri per poterlo fare.”
“Troviamo
questa dannata Professoressa!” ne aveva già
abbastanza, Nathaniel.
Trovato
il dipartimento, percorrevano i corridoi, ora, ritrovandosi ad un bivio.
“Ok,
abbiamo chiesto di lei in giro e hanno detto che potrebbe essere al
laboratorio
o nel suo ufficio! – Nathaniel si mise davanti ai suoi amici
– Da questa parte
c’è il laboratorio! – indicò
verso destra – Mentre se prendiamo l’altro
corridoio ci riporta alle scale e l’ufficio di Denna Marx si
trova al quarto
piano!”
“Ufficio
o laboratorio, allora?” chiese Eric, spostando lo sguardo fra
i due amici.
“Ragazzi,
A non
rimarrà offline per sempre!”
Nathaniel
decise per tutti, a quel punto: “Ok, io controllo al
laboratorio, voi salite al
suo ufficio. Chi la trova per prima, manda un messaggio!” e
iniziò ad avviarsi.
“Ok.
– annuì Rider – Tieni il telefono a
portata di mano!” ed iniziò ad avviarsi
nella direzione opposta con Eric.
*
Rider
ed Eric stavano percorrendo il corridoio del quarto piano. Durante il
tragitto,
Rider si tolse lo zaino che aveva in spalle, aprendo la cerniera.
L’altro,
curioso, lo scrutò a lungo.
“E’
da quando siamo qui che mi chiedo cosa c’è in
quello zaino!”
“Il
mio piano A, per passare
inosservati! – tirò fuori un piccolo aggeggio nero
e rettangolare – Questo!”
“Che
cavolo è?”
Rider
gli lanciò, inevitabilmente, un’occhiataccia,
prima di rispondere: “E’ un
dispositivo di registrazione, l’ho preso dallo studio di mio
padre. Serve a
registrare!”
“Ehm,
- si sentì offeso – ci ero arrivato già
a dispositivo
di registrazione! ”
“Ok,
lascia parlare me e – lo vide nuovamente con il telefono in
mano – metti via
quel telefono! Dobbiamo sembrare più adulti, secondo il mio
piano A!”
“Ma
che intenzioni hai?” non capì ancora, Eric, cosa
avesse in mente.
Purtroppo,
però, non ricevette risposta, perché si
scontrarono con una donna, sbucata
fuori all’improvviso.
Quella
aveva una scatola in mano, che con lo scontro, si rovesciò a
terra. I ragazzi,
mortificati, la aiutarono a raccogliere tutto.
“Oh,
ci scusi tanto… - prese parola Rider, mentre si
risollevavano tutti in piedi –
Cercavamo la… - ma si bloccò, una volta vista
meglio in viso, la descrizione
che combaciava alla Professoressa che cercavano – Aspetti,
lei è Denna Marx?”
L’altra
rispose a denti stretti, quasi sarcastica:
“Dipende…Siete l’FBI?”
Rider
scoppiò a ridere, mentre Eric lo fissava, inebetito:
“Bella questa, ma no, non
siamo dell’FBI! Succedono molte cose illegali, qui?”
“Ho
fatto parecchi favori ad un paio di miei amiche… -
bisbigliò, poi – per i loro
mariti infedeli!”
“Interessante,
comunque… - allungò la mano, che Denna strinse
– Mi chiamo Taylor… - inventò
sul momento – Buh! Taylor Buh! E sono un Podcaster.”
Eric
girò lentamente il collo, fissandolo incredulo, pensando di
aver sentito male.
“Taylor
Buh…Non si sente tutti i giorni!” pensò
Denna.
“E’
il mio nome d’arte, gli studenti dell’ Illinois mi
adorano! – esclamò, per poi
tralasciare i convenevoli – Possiamo andare nel suo
ufficio?”
“Oh,
il mio ufficio… - si voltò a guardarlo un secondo
– Beh, non è più il mio
ufficio. Mi sono licenziata! – squittì - Mi
trasferisco a Miami, oggi ho dato
la mia ultima lezione!” rivelò con enfasi,
sollevando le sopracciglia, eccitata
all’idea.
“Miami?”
ribattè Eric, spiazzato.
“Già,
Miami! Sono pazza, vero?”
“Lasciare
un posto fisso per girare in infradito tutto il giorno? Se sei
milionaria, non
tanto. Se non lo sei, un pò!” aggiunse Rider.
“Beh,
- spiegò – Ultimamente sono venuta in possesso di
una piccola fortuna,
quindi…Perché no, giusto? – quelli
annuirono, guardandosi fra loro – Allora, di
cosa avete bisogno?”
“Quindi
può dedicarci dieci minuti?” le
domandò, Rider.
“Ma
certo! Ho l’aereo fra… - controllò
l’orologio – tre ore, più o
meno!”
“Andiamo
di corsa, eh? – continuò l’altro
– Comunque grazie, non le porteremo via molto
tempo.”
“Di
cosa volete che vi parli?”
“Stalking!
– esclamò Rider -
Noi pensiamo che mettere
le persone al corrente di tutti i dettagli sull’argomento e
su come reagire a
questo fenomeno, possa essere parecchio utile per chi un giorno dovesse
affrontare questa minaccia. – si guardò con Eric,
mentre continuava – Insomma,
gli stalker di oggi hanno parecchi mezzi per tormentare le loro
vittime, no?
Mezzi avanzati, per così dire!”
“Ehm…
- quella si aggiustò gli occhiali, distratta, grattandosi il
capo – Sì, questo
è verissimo. Mi-mi sembra un’ottima informazione
da divulgare.”
“Bene,
possiamo entrare, allora?” suggerì Eric.
“Ma
certo, accomodiamoci!” Denna riaprì la porta del
suo ufficio, facendoli
entrare.
*
Nathaniel,
intanto, si stava affacciando dentro ad un laboratorio. Muovendosi al
suo
interno, curioso, sembrava non esserci nessuno; solo strumenti
elettronici,
banchi e vari progetti costruiti dagli studenti della
facoltà.
Camminando
tra i banchi, fu attirato da uno dei progetti, in fondo
all’aula: una sorta di
casa in miniatura, come quella delle bambole. Sulla facciata anteriore
vi era
scritto “MouseHouse”.
Sempre
più incuriosito, mise un occhio davanti ad una delle tante
finestre della casa,
cercando di vedere cosa ci fosse dentro.
Vedeva
solo un corridoio e dei piccoli mobiletti. Improvvisamente, poi,
spuntò un topo
e lui indietreggiò, gettando un piccolo urlo, disgustato.
Alle
sue spalle, una voce lo fece sobbalzare ulteriormente.
“Inquietante,
vero?”
Era
una ragazza. Stava poggiando dei libri su uno dei banchi.
“Oh,
beh – si voltò, ricomponendosi – Diciamo
che non ho mai visto una cosa simile!”
Quella
mantenne un sorriso di circostanza: “L’ha
progettata Ella Duval, secondo anno.
Io la chiamo la casa del grande fratello dei ratti!”
“O
una casa delle bambole per ratti!” aggiunse,
l’altro, tornando a guardarla.
“E’
monitorata!”
“Come?
– si voltò nuovamente, distratto –
Monitorata?”
“Sì,
vedi quel tablet là giù! – glielo
indicò, poggiato sulla superficie di un banco
accanto a lui – Puoi vedere in quali stanze si trovano i
topi!”
Nathaniel
prese in mano il tablet, il display mostrava la planimetria della casa.
Sopra
dei puntini rossi che lampeggiavano.
“Aspetta,
i topi hanno un cip?”
L’altra
rise: “Tranquillo, non è sottocutaneo. Hanno un
cinturino avvolto intorno al
corpo e il cip è attaccato al cinturino. I puntini rossi che
vedi sono i topi
che si muovono.”
“Quindi…puoi
sapere dove sono in qualunque momento?”
“Esatto,
ma io la trovo un’idea stupida, usarla sui topi. E’
più eccitante sulle
persone!”
“Questa
Ella è al secondo anno e sa già costruire un
cip?” domandò, rimettendo apposto
il tablet.
“Ma
no, figurati. L’ha aiutata la Professoressa Marx!”
“Aspetta,
- riconobbe il cognome - Denna Marx?”
“Già,
lei… - poi scosse la testa, confusa sulla sua presenza
– E comunque, tu chi saresti?
Non ti ho mai visto qui.”
“Ehm,
sono una futura matricola!”
“Oh,
capisco…Io sono Zoe, a proposito, e adesso dovrei andarmene,
sono passata qui
solo per lasciare questi libri. Se ti serve una visita
guidata…”
“No
no, ti ringrazio. – le sorrise – Io sono
Nat…Nathan!”
“Bene,
Nathan. – si avviò verso la porta - E’
stato un piacere! Ciao!” e se ne andò,
mentre Nathaniel tornava a guardare la casa dei topi.
*
L’intervista
alla Professoressa Denna Marx, nel frattempo, stava procedendo da
qualche
minuto, mentre erano seduti alla scrivania del suo ufficio. Rider
teneva il
registratore sulla sua mano destra, tenendo premuto il pulsante,
puntato verso
di lei.
“…E
quindi, in questo modo, è possibile bloccare ogni tipo di
intruso!”
I
due annuirono all’ennesima risposta ricevuta. Rider aveva
ancora una domanda.
“E
se queste persone non sanno di essere nel mirino di uno stalker? Come
si
interviene? Parlo di…microfoni nascosti, cimici. Insomma,
roba da Norman Bates
ultimo stadio di follia!”
“Ehm,
se non lo sanno, non si può intervenire. Ma se lo
sospettano…”
Intervenì
Eric, a quel punto: “Esatto, se lo sospettano, come si
interviene?”
Quella
spostò lo sguardo fra i due, lasciandosi scappare una
piccola risatina: “Ehm,
si va dalla polizia?”
“Sì,
ma… - Rider restò serio - se la vittima non
può rivolgersi alla polizia, cosa
fa?”
“Deve
rilevarla, in qualche modo. Le microspie non emettono alcun rumore o
vibrazione, difficile capire dove siano state messe. Servono gli
strumenti
giusti, le cimici sono piccole; ne esistono di piccolissime, davvero
piccolissime. Inanzitutto, parliamo di dispositivi elettronici,
facilmente
rilevabili da soffisticate apparecchiature che individuano di tutto:
telecamere
nascoste, dispositivi avanzati, addirittura spenti, non più
funzionanti o
qualsiasi tipo di trasmissione in RF,IR, onde convogliate, linee
telefoniche. –
i ragazzi la ascoltavano, frastornati, mentre continuava, logorroica -
Tra
questi, abbiamo i rilevatori di giunzione non lineari, atti a rilevare
qualsiasi tipo di circuito elettronico e…”
Rider,
esasperato, scosse la testa, grattandosi la fronte: “Ehm, mi
scusi se la fermo,
Professoressa, ma…In parole povere, come diavolo si chiama
questa
apparechiatura?”
L’altra,
assai spiazzata dalla reazione del ragazzo, rispose comunque:
“Beh, ne esistono
di tanti tipi, come…”
Fu
la volta di Eric, con foga: “Il più
diffuso!”
“Ehm,
ok… – li trovava sempre più strani
– il metal detector dell’aereoporto, vi va
bene? Non che sia proprio atto a rilevare microspie, ma è
pur sempre un
rilevatore di metalli e…”
“Come
si disattiva, una volta trovato?” domandò Rider,
ancora, senza darle il tempo
di finire le frasi.
“Disattivarlo?”
“Sì,
- esclamò Eric, nervosamente –
Disattivarlo!”
“Ragazzi,
vi perdete in un bicchiere d’acqua. – rise ancora
– La parte difficile è
trovare la cimice…poi quando si trova, basta distruggerla.
In qualsiasi modo.
O, semplicemente, buttarla via!”
“Ah!”
ribatterono entrambi, sentendosi stupidi.
I
due ragazzi si alzarono di colpo, allora. Rider sforzò un
sorriso di congedo,
mentre metteva via il registratore.
“Ehm,
direi che abbiamo finito. Abbiamo tutto quello che ci serve.”
Quella
rimase ancora seduta, sbigottita dal loro comportamento.
“Ah,
sì? Di già?”
“Già!
Buon viaggio a Honolulu!” esclamò Eric, mentre
uscivano velocemente.
“Grazie!”
aggiunse Rider.
“Vado
a Miami, comunque!” urlò quell’altra,
quando ormai erano fuori dal suo ufficio.
Si
alzò, poi, raggiungendo la porta, affacciandosi fuori,
fissando i due ragazzi
con sguardo sospetto, mentre si allontanavano.
*
Era
ormai calata la sera su Rosewood, ormai da qualche ora. Sam si era
appisolato
sul divano: era tutto buio, solo la televisione faceva luce. Dopo
essersi
stiracchiato, fece uno sbadiglio, comprendosi la bocca, per poi
controllare
l’ora sul telefono e i messaggi, le labbra secche. Di
messaggi, stavolta, però,
non ce n’erano.
Assetato,
si alzò, dirigendosi in cucina, praticamente ad occhi
chiusi, perché continuava
a grattarseli. Non accese alcuna luce, giunse davanti al frigorifero
senza
problemi, aprendo lo sportello. La luce interna lo illuminò,
costringendolo a
spostare lo sguardo, infastidito, recuperando la bottiglietta
d’acqua. Senza
chiudere lo sportello, si voltò dall’altra parte,
sorseggiando grandi quantità
d’acqua. Improvvisamente, però, si
fermò, osservando quella parte della cucina
ben illuminata dalla luce del frigorifero. Poggiò la
bottiglietta, aguzzando la
vista, agghiacciato: le sedie erano girate al contrario, poggiate sulla
superficie del tavolo, come quando si fanno le pulizie. La cosa,
inoltre, gli
parve molto strana, dal momento che, prima che si addormentasse, erano
poggiate
a terra.
Sam
uscì velocemente dalla cucina, dirigendosi
all’ingresso, davanti al quadrante
del sistema d’allarme.
Allarme
disattivato, lesse.
Preso
dal panico, provò ad uscire da casa sua, ma ecco che un
messaggio, precedette
quell’azione.
“Hai
bevuto l’acqua che ti ho lasciato in frigorifero? Fresca,
non è vero?”
-A
In
quell’esatto istante, Sam iniziò a vederci doppio,
costretto a reggersi sulla
parete. Continuava a scuotere la testa ad occhi chiusi, cercando di
liberarsi
da quella sensazione, ma la cosa peggiorò. Sempre
più debole, iniziò ad
accasciarsi, la mano che strisciava sulla carta da parati. Perse i
sensi, ormai
steso sul pavimento.
Poco
dopo, Sam riaprì gli occhi, ma non completamente; si sentiva
ancora stordito.
Gli sembrava di svegliarsi a scatti, a distanza di minuti. Un attimo
prima,
aveva la sensazione che qualcuno lo tenesse in braccio, che lo stesse
trasportando da qualche parte, sempre all’interno di casa
sua, sulle scale.
Cercava di scrutare un volto, ma perdeva i sensi ancora prima di
metterlo a
fuoco. L’attimo dopo, invece, gli parve di essere sdraiato su
qualcosa di
morbido; il suo letto, pensò. Da lì, vedeva
qualcuno muoversi, davanti a lui. Sembrava
solo un’ombra, un cappuccio nero. Gli occhi si chiusero
ancora, non riuscì a
vedere nulla di più.
*
Rider
ed Eric stavano raggiungendo il laboratorio, al terzo piano. Lungo il
corridoio, discutevano sulla conversazione avuta con la Professoressa
Marx.
“Quindi
ora che facciamo, Rider? – domandò, isterico
– Eh? So a cosa stai pensando!”
“Ah
sì? – replicò, mantenendo lo sguardo
fissò davanti a sé, mille cose che gli
passavano per la testa – Sai a cosa penso? Bene, a cosa
penso?”
“Dimmi
che non ci butteremo sotto al metal detector di un aereoporto per farti
contento!”
“Caspita,
la tua telepatia è disarmante!”
Eric
lo fermò per le spalle: “Rider, seriamente! Avremo
dovuto raccontare tutto a
quella Professoressa e lei ci avrebbe aiutati. Come diavolo rileviamo
una
cimice, da soli? Tanto vale darci fuoco!”
“NON-POSSIAMO-COINVOLGERE-NESSUNO!
Ok? A si vendicherebbe!
– si scosse,
liberandosi dalla presa – Ecco il laboratorio, cerchiamo
Nathaniel e andiamocene.
Troveremo questa apparecchiatura su internet!”
I
due si affacciarono, le luci erano accese, ma sembrava non esserci
nessuno.
“Nat??”
lo chiamò Rider, puntando lo sguardo in tutta la stanza.
Una
testa spuntò fuori da sotto ad uno dei banchi. Era lui.
“Ehi,
eccoti! – esclamò Eric – Che cavolo ci
fai nascosto lì sotto?”
“Ehm…
- si guardò attorno, per terra – sto,
ehm…cercando topi!”
“Cosa?
– si allarmò Rider – Ma di che stai
parlando? – seguì il suo sguardo, sempre
più spaventato – Perché guardi a
terra?”
“Ehm,
aspettate…” si avvicinò alla lavagna,
scrivendo qualcosa, evitando di dirlo a
voce.
Quelli
lessero, dopo che aveva finito.
“C’è
questa casa dei topi e i topi
hanno addosso dei cinturini con sopra un cip localizzatore. Ho pensato
di
staccarli dai topi per usarli con i nostri sospettati e vedere chi ci
porta al
covo di A per
recuperare i nostri video e
andare finalmente alla polizia!”
“Geniale!”
esclamò, Eric. Un sorrisino si dipinse sulle sue labbra.
L’altro
non la pensava allo stesso modo e quando sentì squittire,
salì sopra uno dei
banchi.
“Ratto!”
gridò Rider, in piedi sul banco, indicandolo.
I
due lo fissarono, cercando di non sorridere, ma fu inevitabile.
Eric
si avvicinò al topo, prendendolo tra le mani.
“Rider,
rilassati. E’ un topo, non una palla di fuoco!”
“Ehi,
devi metterlo qui! – lo chiamò Nathaniel,
indicando la casa – Il cinturino
gliel’ho già tolto, ma mi era sfuggito.”
Quello
rimise il topo dentro la casa, mentre Rider scendeva dal banco,
disgustato.
“Possiamo
andarcene, adesso? Fino a prova contraria stiamo commettendo un
furto!”
“Aspetta,
dimenticavo. – Nathaniel recuperò il tablet
– Anche questo ci serve!”
E
avanzò verso di loro. Nel preciso momento in cui Nathaniel
si spostò dal punto
in cui era, Rider notò qualcosa che prima non aveva notato,
preso anche dalla
paura per il topo.
“Oh
mio Dio… - fissò quella cosa – Ditemi
che quella è una riproduzione fedele di
un metal detector...”
“Dio,
è proprio un metal detector!” esclamò
Eric, mettendoci gli occhi sopra.
“Che
mi sono perso?” domandò Nathaniel, confuso.
Rider,
avvicinandosi al metal detector, si affrettò a spiegare:
“Abbiamo parlato con
la Professoressa Marx. Ci ha suggerito di usare un metal detector,
più o meno!”
“Non
le avrete detto mica la verità, spero.”
“No,
si è finto un podcaster!”
“Cos’è
un podcaster?”
Ma
Rider lo ignorò, mettendosi davanti
all’apparecchiatura, quasi ipnotizzato.
“Togliete
anelli, bracciali, orologi…Tutto!”
Quelli
eseguirono, guardandosi fra loro.
Dopo
che Rider aveva fatto lo stesso, si apprestò a passare sotto
l’apparecchiatura,
come si fa in aereoporto.
Ci
passò, ma non si sentì alcun suono. Guardandosi
con i compagni, ci ripassò una
seconda volta, ma niente.
Basito,
rimase lì impalato.
“Ma
che diavolo??”
“Ok,
dai. – si avvicinò Nathaniel – Ci provo
io!” e dopo aver appoggiato l’orologio,
i cinturini dei topi e il telefono, passò sotto la lastra.
Anche
con lui, dopo due tentativi, l’apparecchio non emise alcun
suono.
Eric,
a braccia conserte, pensò: “Dite che A si
è accorto di quello che stiamo facendo e ha disattivato le
cimici?”
“Se
ce li ha messi addosso, - replicò Rider, con disappunto - il
metal detector
dovrebbe rilevarli ugualmente, anche se sono stati
disattivati.”
“Provo
io!” si avvicinò Eric.
Mentre
ci stava passando sotto, Rider lo avvertì di lasciare il
telefono, che aveva in
mano.
“Ehi,
aspetta!”
Troppo
tardi, però, perché Eric ci era passato sotto. E
il metal detector aveva
suonato. Quello si spostò immediatamente.
“E’
normale, no? – chiese Nathaniel – E’ un
telefono con parti in metallo, no?”
“Sì,
è normale, ma… - riflettè Rider,
attentamente, fissando i due amici – Se non
abbiamo le cimici addosso, questo vuol dire che…”
“Oh
mio Dio, - ci arrivò Eric, prima che l’amico
continuasse - sono nei telefoni!”
“Ma
ne siete sicuri?”
Rider
ne era certo: “Dove altro possono essere, se non sono addosso
a noi? Ogni volta
che ci diciamo qualcosa, sono i nostri telefoni ad essere con
noi…Avremmo
dovuto intuirlo prima, A l’aveva
già
fatto con il telefono di Anthony.”
Anche
Nathaniel se ne convinse, a quel punto: “E adesso che
facciamo?”
“La
parte difficile è trovare la cimice, poi, quando si trova,
basta distruggerla.
In qualsiasi modo. - Eric citò la Professoressa
Marx – Dobbiamo distruggere
i nostri telefoni!”
“Cosa?
– lo trovò assurdo, Nathaniel, guardando entrambi
– Dite sul serio?”
“Hai
presente il piano che vuoi realizzare? – cercò di
convincerlo, Rider - Come
pensi di farlo se ci ascolta?”
Quello
ci riflettè, trovandosi d’accordo con lui:
“Hai ragione… - e suggerì, a quel
punto – Tra Brokehaven e Rosewood c’è
una stazione di servizio. Li distruggiamo
lì.”
In
uno sguardo d’intesa, erano tutti d’accordo, pronti
a lasciare il dipartimento.
*
Intanto,
Sam, aveva appena aperto gli occhi. Stavolta, perfettamente cosciente,
anche se
abbastanza intontito. Steso sul suo letto, sbattè le
palpebre, per via degli occhi
leggermente annebbiati. Scrutò la sua stanza, ricordandosi
dell’ombra che aveva
visto e che, prima di chiudere gli occhi, si trovava in piedi al piano
di
sotto. Il suo sguardo, poi, si spostò verso la porta aperta,
il corridoio buio
e silenzioso. Si sollevò, per alzarsi, poi si
bloccò di colpo, provando una
strana sensazione sulla bocca. Immediatamente, se la toccò
con le mani,
sentendo qualcosa di ruvido e rendendosi conto che non riusciva ad
aprila;
qualcosa glielo impediva, era come serrata.
Preso
dal panico, si alzò dal letto e corse in bagno, accendendo
la luce. Un
messaggio in rosso sullo specchio e la sconvolgente scoperta: A aveva incollato le sue labbra.
“Hai
voluto tenere la bocca chiusa? Ora ce l’hai chiusa per
davvero.”
-A
I
suoi occhi si riempirono subito di lacrime, gemiti disperati, nel
tentativo di
staccarsi le labbra; il sangue cominciò a fuoriuscire,
mentre agiva con forza.
*
Giunti
a Rosewood, i ragazzi si erano ormai disfatti dei loro telefoni.
Discutevano
sulla prossima mossa, mentre Nathaniel era alla guida.
“Quindi
abbiamo solo sette cip, giusto?” chiese conferma, Eric.
Rider
annuì: “Direi che sono sufficienti, sospettiamo
solo di Violet e Colton!”
“E
se non fossero loro? – pensò, Nathaniel - Forse
dovremmo sfruttarli tutti e
sette!”
“E
su chi altro?” ribattè Eric.
“Su
tutti quelli citati nel video!”
“Mezza
scuola, allora! – Rider si rilassò sul sedile
posteriore, sarcastico – Forse
dovremmo tornare indietro ad acciuffare qualche altro topo!”
Nathaniel
gli lanciò un’occhiataccia attraverso lo
specchietto retrovisore: “Parlo di
persone specifiche, come Morgan Patterson, che mi ha tirato un pugno,
ricordi?”
“O
Lisa Nelson, che se n’è andata via dal Brew
assieme a Violet!” aggiunse Eric,
seduto accanto a Nathaniel.
“Bene,
allora consultiamo anche Sam, avrà sicuramente un nome anche
lui! – esclamò
seccato – Ma sono sicuro che Violet
e Colton sono A. Vedrete se non ho
ragione!”
“Dio,
- Nat controllò l’ora - si è
già fatto buio. Ho promesso a Sam che sarei stato
con lui, dopo i messaggi che A gli
ha inviato!”
“Ma
almeno sa che siamo andati a Brokehaven? – chiese Rider -
Avete detto che non
c’era a casa sua, no?”
Perplesso,
Nathaniel lo fissò nuovamente dallo specchietto:
“Sam lo sa che siamo andati a
Brokehaven. Lo hai avvisato tu, no?”
“Io?
– fece una smorfia, confuso – Non sento Sam dalla
notte al lago!”
Quello,
allora, fermo la macchina, voltandosi meglio.
“Come
sarebbe?”
Eric
si aggregò alle sue perplessità: “Sam
ci ha mandato un messaggio, sapeva di
Brokehaven. Se non gliel’hai detto tu, - fissò i
due – allora chi...??”
“Oh
mio Dio… - Nathaniel abbassò lo sguardo,
comprendendo che Rider non ne sapeva
davvero nulla – è stato A
a scrivere
il messaggio.”
E
immediatamente mise in moto la macchina, mentre Rider metabolizzava
quanto
dedotto dall’amico.
“Stai
scherzando, vero? – andò nel panico – E
se l’avesse rapito o fatto del male?”
Nathaniel
non rispose, Eric si limitò a fissarsi con Rider, pensando
al peggio, gli occhi
sgranati.
*
Circa
dieci minuti dopo, i ragazzi erano di fronte all’abitazione
di Sam. Erano
appena scesi dalla macchina. La porta era aperta.
“Non
è un buon segno, - dedusse Eric, intimorito -
vero?”
Nathaniel
era già dentro, Rider lo seguì a ruota e anche
Eric.
“Saaam?”
urlò, Nathaniel, affacciandosi in tutte le stanze buie.
Eric
e Rider accesero luci e lampade, gridando il suo nome. Insieme salirono
al
piano di sopra, dove c’era una stanza già accesa:
il bagno.
Si
precipitarono tutti lì, restando bloccati alla soglia,
sgranando gli occhi per
la scena a cui assistettero a primo impatto: Sam inginocchiato a terra
con la
bocca e le mani insanguinata, il pavimento macchiato.
Nathaniel
ed Eric lo aiutarono subito a rialzarsi, mentre quello era in lacrime,
sotto
shock.
“Oh
mio Dio… - sussurrò, Rider, ancora impalato,
mentre osservava il messaggio
sullo specchio – è totalmente fuori di
testa…”
“Sam,
stai bene?” gli domandò Nat, mentre lo portavano
nella sua camera.
Quello
scosse la testa, liberandosi dalla stretta dei due.
“No
no, non ci torno in camera. – si dimenò,
instabile, tremante, lo sguardo basso,
per poi urlare – Portatemi via da qui!”
Rider,
dietro di lui, lo prese per le spalle: “Sta calmo, ho capito.
Ora puliamo tutto
quanto, in modo che tuo padre non veda nulla. Ti portiamo a casa mia,
ok? –
cercò di tranquillizzarlo - Resterai da me!”
Sam,
scoppiando in lacrime, lo abbracciò.
“Ok,
ok…” singhiozzò ancora, creando un
magone nei suoi amici, che lo osservavano
pietrificati.
Mentre
si sfogava, Rider si lanciò uno sguardo preoccupato con gli
altri due. Si erano
appena resi conto che la faccenda non era più un gioco di
semplici messaggi e
minacce. A stava andando oltre.
SCENA
FINALE
A
era
appena
entrato nei bagni di una stazione di servizio. Si avvicinò
al cestino che c’era
in fondo, accanto allo sportello aperto dell’ultimo bagno.
Con la mano, sempre
i guanti neri indosso, spostò le cartacce sporche, trovando
sotto dei telefoni,
distrutti, a pezzi. Li prese, ne erano tre. Li mise dentro un sacchetto
di
carta che teneva con l’altra mano.
Uscito
dai bagni, si diresse al bar. Entrò, poggiandosi sul bancone
con i gomiti. La
tv fissata alla parete, in alto, dava il notiziario notturno.
Si
avvicinò il barista, anziano; asciugava un bicchiere di
vetro con un panno:
“Non ti fa freddo con solo quella felpa addosso?”
A
scosse
la
testa.
“Cosa
ti do?”
A
gli
fece
cenno di alzare il volume della televisione.
“Vuoi
che alzi il volume? – l’atteggiamento di A
lo lasciò perplesso – Non ami parlare
molto, eh?”
Ed
eseguì, senza aggiungere altro.
Il
notiziario parlava di un arresto, appena avvenuto.
“La
polizia ha finalmente catturato
Jasper Laughlin, ricercato da giorni per l’omicidio di Kevin
Dimitri, 44 anni, e
Anthony Dimitri, suo figlio, di 17. L’uomo è stato
trovato al confine dello
stato con molti contanti e un’auto
noleggiata…”
CONTINUA
NEL SESTO CAPITOLO