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Autore: Sandra Sammito    11/03/2016    0 recensioni
Christie viveva una vita meravigliosa, accompagnata dalle note del suo pianoforte e dall'amore incondizionato per suo padre. Un giorno, però, è vittima di un incidente che la indurrà a uno stato d'incoscienza duraturo. Il suo corpo è addormentato, ma la sua mente è ancora sveglia e vaga, lontana dal corpo, vivendo un parallelismo dissociato, in cui incontra e conosce altre persone, bloccate nella sua stessa situazione. Ma al suo risveglio... 
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Spero che la storia sia di vostro gradimento e mi piacerebbe se lasciaste delle recensioni perché le vostre critiche mi sarebbero d'aiuto. XOXO 
Genere: Drammatico, Sentimentale, Triste | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het
Note: AU | Avvertimenti: Contenuti forti
Capitoli:
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PARTE PRIMA
1. Ritorni
 
Do.
Una nota.
Un accordo.
Un’eccellente armonia.
Era così che iniziava la Sonata numero 16 in do maggiore di Mozart e le melodiche note uscivano da quel pianoforte a coda, nero e luccicante, colmando ogni spazio silenzioso del Backery Street. Nella modesta casa numero 143 viveva la famiglia Ackles, benestante e altruista, e non c’era un giorno in cui la dimora non allietasse il vicinato con sonore melodie. Le mani dell’artista ondeggiavano e sfrecciavano come schegge su quei tasti bianchi e neri, a volte pareva che non li sfiorasse nemmeno per la tanta maestria. I suoi occhi si chiudevano di volta in volta e, con le labbra socchiuse, voleva quasi far credere che la musica l’avesse inglobata e che adesso uscisse direttamente dalla sua gola. Sembrava che facesse l’amore con il suo pianoforte, le sue esecuzioni erano perennemente passionali e aggraziate, prive di errori o arresti.
In questo modo, Christie Ackles, riusciva a non recare disturbo al vicinato, anzi. La gente apprezzava la sua musica, tant’è che restavano taciturni ad ascoltare al solito orario, come se assistessero ad un concerto dal vivo. E Christie si avvaleva di questa consapevolezza per esibirsi come fosse di fronte ad una platea, e suonava principalmente per loro che per se stessa. Non che fosse una maniaca del protagonismo - Christie era esageratamente timida - ma il fatto che la idolatrassero e la apprezzassero, le infondeva grinta e la rincuorava. E per una come lei, la quale gran parte delle volte riteneva il suo lavoro e le sue capacità scadenti e insoddisfacenti, era da considerarsi un punto a suo vantaggio, che la stimolasse per sopprimere la sua poca autostima.
Durante quell’umida estate del 2015, Christie applicò anima e corpo su quei tasti, i quali dovettero patire le mille reazioni della musicista, innervosita a causa degli studi difficili. Il suo lavoro era teso alla preparazione per gli esami d’ammissione alla Royal Academy of Music che, dopo la Juilliard a New York, era l’accademia più efficiente in Inghilterra. Ed era proprio lì che la giovane Christie puntava da tre anni, era ormai diventato il suo unico obiettivo. Frequentare l’accademia era il suo sogno dal primo giorno in cui iniziò a posare le sue dita su un pianoforte, ossia da nove anni, e adesso era ostinata solo a tramutare in realtà i suoi sogni nel cassetto.
La gente possedeva vari modi per sfogarsi dei propri problemi: la box, la palestra, l’alcool, rompere ogni qualsivoglia oggetto sotto mano o piangere stritolando un cuscino. Christie, però, aveva trovato un modo più costruttivo per rasserenarsi quando si rattristiva o veniva infastidita dai soliti criticoni. Il pianoforte era il suo vero amico, pronto ad accoglierla, e Christie non aveva bisogno di altro. Grazie a quello strumento i suoi problemi si prendevano una vacanza, si eclissavano per un po’ di tempo. Era il luogo in cui entrava in un mondo parallelo, in cui non esistevano periodi bui e in cui regnava la spensieratezza e la serenità spirituale.  
La signora Ackles le aveva sempre ripetuto di continuare a maturare e di non smettere di sperare, di non mollare, e di certo non poteva non raccomandarla allo stesso modo il signor Ackles. Quest’ultimo era un insegnante di chitarra in una scuola residente a Oxford, motivo per cui era sempre lontano da casa. Tornava in città, a Sunderland, una volta al mese durante il fine settimana, permaneva due giorni e poi ripartiva. Il legame che Christie aveva con suo padre era pari all’amore che provava per la musica, e la sua lontananza da casa la percepiva continuamente come una fitta allo stomaco, ma si era ormai abituata. Sunderland non poté offrire al signor Ackles un lavoro fisso, perciò si ritrovò costretto ad accettare quel posto libero a Oxford, pur di mantenere la famiglia. Stefan Ackles era un eccellente insegnante, abile e gentile con i suoi allievi, e fu proprio lui a trasmettere la passione alla figlia. Quand’era piccola la adagiava sulle sue ginocchia e le faceva ascoltare della buona musica, canticchiandole di volta in volta all’orecchio. Le spiegò in modo semplice l’utilizzo delle note e dell’armonia, fu lui a portarla ai concerti e a invogliarla a studiare uno strumento. Le disse che avrebbe potuto sceglierne uno qualsiasi, ma Christie era già consapevole della sua scelta, sin da quando andò ad un concerto di un pianista giapponese. L’affascinò enormemente, come essere stata trafitta da un colpo di fulmine e da allora scattò la scintilla che si tramutò nel suo sogno. Il suo insegnante di pianoforte rimase sbalordito dalle sue esecuzioni, svolte in maniera eccelsa a una sola distanza di due anni dall’inizio degli studi. Si inorgoglii e rese orgogliosi anche i suoi genitori.
Per tal motivo, durante quell’estate, il suo unico desiderio era fare l’esame d’ammissione e ricevere la lettera dalla Royal Academy:
 
Con le nostre sincere congratulazioni, comunichiamo alla signorina Christie Ackles che ha superato brillantemente gli esami d’ammissione richiesti dalla Royal Academy of Music.
 
Dopo aver terminato gli studi liceali, la sua concentrazione era legata interamente ed esclusivamente alla sua carriera e allo scopo di porre le basi del suo successo. Oltre ad essere ammessa, un altro piccolo sogno di Christie era quello di andare via da Sunderland. Era una bella città, pulita e accogliente, con nessuna traccia di vandalismo, dov’era nata e cresciuta e dove aveva conosciuto le persone a lei più care. Non era, però, qui che avrebbe avuto la possibilità di diventare ciò che desiderava. Tutti prima o poi si distaccano dal nido e spiccano il volo, per procedere da soli verso la propria strada. Anche sua sorella, Berta Ackles, andò a vivere  e a studiare per cinque anni a Londra, lontana dalla sua vecchia vita. Per Christie era difficile allontanarsi dalla sua casa e dalla sua città, ma nella vita si ha la possibilità di cambiare per variegarsi e dare spazio alle novità. Christie amava il cambiamento, perciò partiva avvantaggiata. Era travolta dalla curiosità di vivere in un nuovo ambiente, relazionarsi con altra gente, scoprire nuovi aspetti del mondo e respirare un’aria differente. In mezzo a tutto ciò, però, prevaleva sempre la speranza di essere ammessa e in cuor suo sapeva che, se al primo tentativo non avesse superato gli esami, ci avrebbe provato e riprovato, anche a costo di invecchiare. Christie coltivava l’idea che i sogni dovessero essere inseguiti come farfalle e non aspettarsi che accadesse l’inverso, perché essi corrono veloci come il vento ed è facile seminarli durante il percorso. Christie credeva fermamente che quando qualcuno si arrendeva di fronte a un ostacolo, era solo perché aveva già smarrito da parecchio tempo la strada corretta per abbrancare il sogno e realizzarlo. Christie non sarebbe giunta a quel punto, di fronte alle sue cadute e ai suoi fallimenti si sarebbe rialzata e avrebbe detto: «L’importante è averci provato!». I fallimenti sono inevitabili, servono alla crescita e al perfezionamento di se stessi, ma non devono apparire ai propri occhi come muri insormontabili o strade inagibili. Nessuno ha la strada spianata, bisogna solo imparare a rialzarsi, seppur con mille cicatrici.
Anche se estate, il signor Ackles continuò a lavorare fuori città, per un progetto orchestrale. Quel giorno, però, sarebbe ritornato per la felicità di Christie. Era venerdì e per un mese intero la giovane pianista fece il conto alla rovescia, attendendo il ritorno di suo padre. Al suo risveglio era l’immagine della felicità, un sorriso a trecentosessanta gradi e un’eccitazione incontenibile. Non vedeva l’ora di fargli ascoltare i suoi nuovi studi e di ascoltare la sua voce dal vivo, non tramite una cornetta.
Mentre la sonata di Mozart echeggiava ancora tra le mura in boiserie del salotto, le orecchie di Christie riuscirono a percepire un ulteriore suono, a lei molto familiare: quello della chiusura della portiera di una macchina. Distaccò le dita dai tasti e tese le orecchie, con le palpitazioni a ritmo accelerato.
«È arrivato papà» strepitò Berta, irrompendo in salotto.
Christie dimenticò le buone maniere, quelle per cui avrebbe dovuto riassestare il salotto e sistemarsi i capelli e il viso. Contrariamente scattò dallo sgabello e si recò all’ingresso, pronta ad accogliere calorosamente suo padre alla porta. Nonostante fosse trascorso un mese dall’ultima volta che lo vide, per lei apparve più un anno. È incredibile come il tempo passi in fretta quando non vorresti e a rilento quando preferiresti che acceleri. In quel momento Christie fremeva dalla voglia di abbracciarlo e di annusare il profumo dolciastro della sua giacca.
Pronte all’ingresso, la signora Ackles aprì la porta e Christie si commosse alla vista dell’uomo della sua vita. Stefan Ackles era un uomo alto, esilmente robusto, con spalle larghe e mani forti; il filo di barba gli slanciava il viso e i suoi occhi marroni erano più accesi che mai, quelli in cui Christie vedeva il riflesso dei suoi. La giovane non indugiò un secondo per corrergli incontro e abbracciarlo amorevolmente e, nonostante fosse ormai diventata una routine, Christie non smise mai di provare la stessa emozione. Il rapporto che avevano instaurato non era come quello che Stefan aveva con Berta. Quest’ultima adottò sempre un atteggiamento più distaccato, ma non perché non gli volesse bene, bensì perché la sua natura era quella di contenere le emozioni e di non sbilanciarsi con l’esternazione dei sentimenti. Si volevano bene, questo è ovvio, ma Berta assomigliò tutta a sua madre, Rosemary. A prescindere dai rapporti del signor Ackles con Berta, questa non gli negò certamente il saluto e lo abbracciò insieme a Christie.
Non trascorsero neanche cinque minuti dal suo arrivo, che il signor Ackles estrasse dalle tasche della giacca tre pacchetti regalo, rispettivamente per sua moglie e per le sue figlie. Era suo solito tornare con qualche pensierino e questa volta non fece eccezione. Christie scartò immediatamente il suo e saltò di gioia alla vista di un braccialetto, sul cui ciondolo a forma di pianoforte a coda c’era incisa la sua iniziale, C. Berta ricevette l’ennesimo romanzo sentimentale, mentre la signora Ackles una saponetta profumata a forma di cuore. La cosa principale da dire sul signor Ackles era la seguente: era un romanticone.
Dopo un mese il posto a capotavola fu nuovamente occupato dal capo famiglia e, anche se Rosemary tendeva a mascherarlo, era colei che più di tutti gioì del ritorno del marito. Anche lei ne sentiva continuamente la mancanza. L’uomo con cui avrebbe voluto condividere vividamente ogni successo, ogni tristezza, ogni evento, viveva distante. Tentò di proporre al marito il trasferimento dell’intera famiglia a Oxford, ma si presentarono un susseguirsi di problemi. In primis il disaccordo di Christie nel voler lasciare la scuola e i suoi amici, accantonato da Berta che finalmente aveva trovato un lavoro a Sunderland nel suo settore. Telma Ackles, la nonna paterna, aveva bisogno di sostegni e di compagnia, perciò Rosemary non avrebbe potuto abbandonarla o addirittura costringerla a partire. Si giunse alla conclusione che avrebbero accettato la lontananza, seppur con difficoltà.
«Allora? Vi sono mancato?» domandò Stefan, con tono sarcastico.
«No, questa volta non ci sei mancato per niente.» rispose Christie allo stesso modo. Suo padre se la rise.
«Stai studiando per gli esami d’ammissione, vero?»
«Certo. Temo sempre di non farcela, ma ce la sto mettendo tutta.»
«Francamente non vedo il motivo per cui non dovrebbero ammettere una ragazza talentuosa come te. Ormai ne esistono pochi.» la incoraggiò Stefan, imboccando l’ultimo morso di patate a forno.
Il signor Ackles era la spinta necessaria per ricaricare Christie quando si abbatteva e si paragonava a una nullità. Le bastavano i suoi complimenti per continuare a credere.
 
Dopo cena Christie si sdraiò sul letto della sua stanza, riflettendo che fosse meglio lasciare un po’ soli la mamma e il papà. Abbrancò il libro che lasciò in sospeso da una settimana e riprese la lettura. Era ancora ferma all’introduzione. A volte le introduzioni sono così lunghe e noiose che fanno svanir la voglia di proseguire, poi però la curiosità ti preme e ti ritrovi all’ultima pagina in men che non si dica.
Ancora una volta la lettura di Christie fu interrotta da una vibrazione: il suo cellulare. Sul display apparve un messaggio e quando Christie lesse il mittente, capì immediatamente che l’arrivo di suo padre non era stato il momento più euforico della giornata. Se le avessero detto che sarebbe accaduto, non ci avrebbe creduto. Theo, il suo ex fidanzato, le inviò un messaggio. Ma non di quelli con scritto: «Ehi ciao, puoi tenermi il cane stasera?». E neanche di quelli: «Ehi come butta? Rivoglio il braccialetto che ti ho regalato per i nostri due mesi.». Era un messaggio decisamente diverso, composto da tre parole con alle spalle mille interrogativi. Di quelli che appena leggi, ti confondono e ti costringono a riavvolgere il nastro.
Nel messaggio c’era scritto: «Ehi. Devo parlati.»
   
 
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