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Autore: kleines licht    11/03/2016    2 recensioni
Dal testo: " [...]sinceramente non avevo idea di come cambiare le cose.
E avevo sicuramente paura di quel che eravamo, avevo paura di tutto quanto, sapevo che le cose continuando così sarebbero andate solamente i male in peggio ma non riuscivo a offrirle ancora quel che volevo. Mi sconvolgeva l’idea di volerle offrire davvero qualcosa ma forse dovevo imparare a conviverci."
DeanxJo
Written by: kleines licht & lastbreath
Genere: Drammatico, Romantico, Sovrannaturale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Dean Winchester, Impala, Jo, Sam Winchester
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Nessuna stagione
Capitoli:
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Titolo: I may I look I'm crazy, I should know right from wrong.
Fandom: Supernatural
Rating: Giallo
Avvertenze: Probabili modifiche alla cronologia della trama
Beta: lastbreath.
Trama: Dal testo: " [...]sinceramente non avevo idea di come cambiare le cose.
E avevo sicuramente paura di quel che eravamo, avevo paura di tutto quanto, sapevo che le cose continuando così sarebbero andate solamente i male in peggio ma non riuscivo a offrirle ancora quel che volevo. Mi sconvolgeva l’idea di volerle offrire davvero qualcosa ma forse dovevo imparare a conviverci."
DeanxJo


 
Pov Jo
La mia posizione diventava via via più scomoda.
La partenza di Dean non era stata semplice da digerire e..non credevo di prenderla in quel modo. Per carità, non ero il tipo che si chiudeva in casa a piangere, ma sinceramente sentivo...che mancava qualcosa. Era come se avvertissi cento, duecento volte di più l'assenza delle mani di Dean su di me, e dei suoi occhi che, vigili, mi osservavano e mi tenevano al sicuro in qualche modo che non riuscivo a spiegarmi.

Quel breve saluto che mi rivolse prima di andar via mi fece sentire, tutto sommato, meglio: sapevo quanto gli costasse una cosa del genere, e sapevo anche quanto costava a me dirgli certe cose, o anche solo attenderlo lì in quel corridoio. Lo lasciai andare via e basta; forse, dopo qualche giorno, ci saremmo risentiti. O forse no. Io di certo non potevo dirlo.
Effettivamente la telefonata non tardò ad arrivare, e come quella, anche le seguenti.  Avevamo pattuito che era lui a dovermi chiamare, probabilmente quando si liberava di suo fratello per almeno qualche minuto: doveva invece iniziare a preoccuparsi se lo telefonavo io.
Avevamo trovato un giusto equilibrio, sperando che prima o poi ci saremmo potuti rivedere. Sapevo che era con Sam, e qualcosa mi diceva che suo fratello non sapeva nulla della mia esistenza. Ma andava bene così, in fondo che cosa avrebbe dovuto spiegare? Che aveva un'amica con cui si telefonava spesso? Non mi sentivo di avere nessun altro tipo di definizione. Potevo significare tutto, così come anche niente. Era presto per dirlo, e forse..forse non volevo neanche una risposta. Quello era un modo per difendere me stessa: non avere definizioni equivaleva a non avere ancora un legame duraturo e quindi, meno probabilità di soffrire.
Continuavo a temere che mi spezzasse il cuore, in qualche modo. Dean Winchester era famoso per questo. Ma c'era qualcosa nella sua voce, quando gli raccontavo dei miei spostamenti e delle cacce che facevo, che era pur sempre simile alla preoccupazione. Mi facevo bastare questo, perché sapevo che, comunque, non si era in grado di fingere su un sentimento del genere. E ormai avevo quasi imparato, come un mantra, che al ritorno da qualsiasi caccia dovevo avvisare che ero sana e salva nel motel e il conto dei danni, se ce ne erano stati. Ma comunque era da tempo che non ci vedevamo. Qualcuno sosteneva che la lontananza alimentasse il fuoco della passione... Io l'unica cosa che volevo era sapere che stava bene, e che tutto sommato, aveva voglia di passare quei cinque minuti al telefono ogni tanto. Certo, mi mancavano le sue mani addosso ma... Ero sempre stata una che poco ci badava a quelle cose. Il sesso sì, come divertimento..era però raro che lo andassi a cercare volontariamente.
Stavo raggiungendo un paese in cui sapevo di trovare un demone che, a quanto pareva, si stava divertendo a sovvertire dei fantasmi in una casa, meta di molte coppiette che avevano bisogno di un posto dove stare. Li stava trucidando man mano, per lo più i ragazzi che cercavano di proteggevano le fidanzatine in preda agli attacchi dei fantasmi.
Quando però mi trovai davanti al demone, che si stava divertendo come un pazzo lì dentro, mi si raggelò il sangue. Non per quello che vidi, ma perché non appena il demone posò gli occhi su di me, mi chiamò "la piccola Harvelle".
Fu una delle prove più difficili della mia vita. La rabbia mi accecò quando iniziò a snocciolare la verità: conosceva mio padre, perché aveva occupato il suo corpo e anche l'intervento esaustivo di John Winchester era stato inutile. Mio padre era morto, il demone sparito nel nulla. Sapevo questa storia, fin troppo bene ormai, ma credevo che quella cosa rimanesse all'inferno per sempre. Invece, non era stato così. Erano anni che aspettava di "finire l'opera con me". Stava quasi per farcela, quando un impeto di forza, misto a desiderio di vendetta e a rabbia, mi fece tirare su e anziché esorcizzarlo, come avrei dovuto fare, torturai quel corpo. Fino a quando il demone non si decise a lasciare quel mondo con la coda tra le gambe.
Il risultato? Ero diventata una cacciatrice spietata che non si era piegata davanti a nulla, pur di soddisfare la propria sete di vendetta. Mi ero divertita nel vedere quel corpo soffrire sotto il coltello e l'acqua santa, nonostante sapessi che era fatto di carne e di ossa come me. Dovevo vendicarmi, e l'avevo fatto.
Solo quando vidi gli occhi vitrei, senza luce, di quell'uomo...mi resi conto di ciò che avevo fatto. E le sentivo ancora, le grida, con la differenza che stavolta non le associavo al demone, ma all'uomo che avevo ucciso nonostante tutto. Anche quando il demone era ormai uscito dal corpo, avevo dato tre o quattro coltellate, senza nessun motivo apparente. 
Il senso di colpa, ovviamente, non tardò ad arrivare. E mi portò a prendere la macchina e a rintanarmi da qualche parte, in silenzio, con solo me stessa e le mani sporche di sangue non mio. Non riuscivo a togliermi dalla testa il fatto che avessi torturato una persona per arrivare al mio scopo. Non potevo essere definita una cacciatrice, per quello che avevo fatto.
Era tardi, sicuramente mezzanotte passata, ed ero così sconvolta che non mi resi neanche conto razionalmente di aver preso il telefono e di aver composto il numero di Dean in meno di tre secondi, con le mani che ancora tremavano di rabbia. Stavolta nei confronti di me stessa.
-Che cosa è successo? Dove sei?!-. La voce spaventata di Dean rimbombò nel mio orecchio. In effetti avevamo pattuito che dovevo chiamarlo solo in caso di vera emergenza...ma anche se non ero ferita fisicamente, avevo davvero bisogno di parlare con qualcuno, di sfogarmi. E la prima persona che mi era venuta in mente era Dean.
-Sto bene...non agitarti così...- mi limitai a dire, la voce ancora leggermente tremolante. -Non sono ferita e non sto morendo...- aggiunsi poco dopo, e potei giurare di averlo sentito sospirare. E chiudere una porta.
-E allora perché hai quella voce? Vuota il sacco,  Jo. Se mi hai chiamato mi aspetto che sia una vera emergenza- aggiunse poco dopo, fermo. Beh certo, doveva in qualche modo proteggere Sam da quello che era un altro legame non familiare. Ma c'era bisogno di fare cosi?!
Comunque, feci un sospiro e mi passai una mani tra i capelli. Mi vergognavo da morire per averlo disturbato, ma davvero, non sapevo chi altro telefonare. E la sua voce, di solito, mi tranquillizzava. Per lo meno quando non mi attaccava così.
-Ho torturato il corpo che conteneva un demone. E quel demone mi ha riconosciuta. Come la "piccola Harvelle". Aveva i ricordi di mio padre- sussurrai, appoggiando stancamente la testa sul finestrino. 
Avrei voluto vedere l'espressione di Dean in quel momento. Se credeva che stessi scherzando, se magari mi stava dando dell'idiota perché l'avevo chiamato per una cosa del genere, o chissà che altro. Per cui ripresi a parlare dopo poco, per evitare sproloqui di altro genere. Non avevo bisogno di ulteriori "colpe" sulle spalle. -Scusa se ti ho fatto preoccupare, non volevo disturbarti. Ci sentiamo nei prossimi giorni e...buona notte-. Stavo per mettere giù, quando risentii di nuovo la voce di Dean, che in tutto quel frangente era rimasto in silenzio, e disse semplicemente: -Ti scrivo l'indirizzo del motel dove mi trovo. Quando sei arrivata dimmelo, anche se tra un paio d'ore. Alza le chiappe e rimettiti alla guida, Harvelle- e poi, sentii il classico bip del telefono dopo che era stata staccata la chiamata. Il solito sbruffone senza cervello. Avrei tanto voluto avere davanti la sua faccia in quel momento, ma sapevo di non poter pretendere troppo. In fondo.. avevo bisogno di lui, letteralmente, ed era l'unico da cui sarei andata di corsa, in quel momento. Perciò, riposi il telefono nel cruscotto della macchina e ripartii, dopo aver letto l'indirizzo.
Mi aspettavano altre due ore di viaggio, se mi andava bene. Eppure, ero più che consapevole che..fosse ciò che mi serviva. Solo il suo profumo era capace di calmarmi, assieme alle sue mani, alla sua voce e..al suo sguardo rassicurante. Solo al pensiero che avrei potuto riabbracciarlo in fretta, premetti subito il piede sull'acceleratore. La strada, in pratica, scomparve.
Pov Dean
Era da bambini. Bambini stupidi e incoscienti. Continuare a sentirsi con Jo era stata una scelta di entrambi, per quanto per me fosse estremamente assurdo: non mi facevo mai sentire, pensavo di non averne tempo e di non avere nemmeno il carattere necessario per farlo. Una persona per farsi sentire deve essere sicura di essere gradita e ancora di più deve tenerci. D’altra parte, per quel che mi riguardava, volevo proteggere Jo e avevo semplicemente bisogno di sentirla per assicurarmene.
Il fatto che mi facessi sentire io era una cosa principalmente  logistica – o almeno stavo lavorando per convincermene: non ero pronto a parlare di una cosa del genere a Sam, anche perché ero convinto che non ci fosse nulla di cui parlare. Semplicemente mi faceva piacere sapere come stesse, ma non volevo sicuramente farla passare per una cosa seria che non era.
Avrebbe dovuto capirlo sulla sua pelle, purtroppo, Jo: non ero capace di avere rapporti stabili e sani con qualcuno, nemmeno con la mia famiglia. Sfociavano sempre nel tentativo, spesso da parte mia, di difendere chiunque altro a costo della mia stessa vita e secondo molti erano un atteggiamento sbagliato e malato. Forse avrei davvero dovuto cominciare ad andare da qualche strizzacervelli…o forse molto semplicemente stavo bene così. La mia cura era rimanere da solo, prima o poi.
Ogni sera mi ritrovavo a macchinare in maniera quasi malata l’orario e il momento giusto per lasciare Sam da solo e chiamare Jo. Era diventato un rito, come tutti quelli che facevo alla fine di ogni singola giornata: c’era la mia auto, le mie armi … e c’era anche Jo. Sapevo semplicemente che il suo posto era lì, che appena Sam si fosse allontanato avrei potuto chiamarla e questo mi tranquillizzava.
Non lo avrei mai ammesso ad alta voce ma nelle giornate in cui tutto sembrava andare male anche quei dannati cinque minuti di telefonata, stupidi e spesso includenti, sembravano migliorare leggermente le cose. E mi sentivo un bambino anche solo a pensarlo.
Con Sam le cose si era ristabilite in qualche modo, anche se forse non riuscivo a capirlo fino infondo: sembrava aver in qualche maniera riflettuto molto, o semplicemente aveva quel sesto senso che lo convinceva che forse qualcun altro stava cominciando a diventare importante. Forse era possessività da fratello. O forse era semplicemente Sam…peggio di tutte le donne al mondo unite assieme.
Il fatto che ci sentissimo ogni sera spesso mi faceva venire lo stesso il latte alle ginocchia: non ero tipo che si faceva sentire tanto spesso, ma infondo era come se una parte di me ne avesse semplicemente bisogno. Non sentirla mi portava a pensieri che non volevo fare, a vedere cose che non esistevano e preferivo di gran lunga mantenere la mia sanità mentale.
La cosa positiva era che se sapevo che era viva e vegeta, le cacce andavano bene. Non avevo più commesso alcun errore e in poco tempo avevamo risolto parecchi casi, come un tempo. Cominciavo addirittura a pensare che fosse Jo ad avere una cattiva influenza su di me e a farmi fare le cazzate. Era ancora più da mammoletta ma forse era proprio la sua presenza a mandarmi in pappa il cervello. Avrei dovuto smetterla di darle tanto potere.
L’accordo era comunque chiaro, non avevo ammesso repliche, dal momento che lei era quasi sempre da sola e non aveva problemi di orari. Per quel che mi riguardava invece avevo il problema “Sam” e lui era piuttosto bravo a fiutare le cose da ragazzini, forse perché lo era lui per primo. E poi l’idea di sentirmi chiamare non mi piaceva: avrei cominciato a preoccuparmi se non fossi stato capace di rispondere e conoscendo Jo avrei sempre finito per pensare che fosse un’emergenza.
Infondo io avevo sempre Sammy che riusciva a coprirmi le spalle più che bene, Jo invece poteva contare solo su stessa e viste le sue doti non sembrava nemmeno troppo capace di ricucirsi da sola. Solo ripensare all’ultima ferita che si era fatta mi convinceva che non avrei dovuto essere dov’ero, ma con lei. E quello era un pensiero di troppo, anche per me.
Al termine dell’ennesima giornata mi fiondai dentro alla doccia. Controllai l’orologio, mentre l’acqua cominciava a bagnare le pareti e il piatto della doccia. Sapevo che era a caccia, e che non avrei dovuto chiamarla troppo presto. Di solito aspettavo degli orari assurdi, se sapevo che era impegnata, cosciente del fatto che avrei potuto provocare più danni che altro con la mia impazienza.
Non ero nemmeno un tipo paziente, almeno in certi ambiti, e per questo chiamare e rischiare di non ricevere risposta non faceva per me. Odiavo profondamente il fatto di avere così tante incognite e non ero fatto per quel genere di cose. Ma continuavo a farlo perché faceva bene a Jo e faceva bene anche a me, infondo.
Mi costrinsi a ignorare il telefono, e ad aspettare almeno qualche ora, concedendomi una lunga doccia. Avevo ancora addosso il sangue raffermo dell’ultima creatura che avevo ucciso e avevo seriamente bisogno di sentirmi libero e pulito in tutti i sensi.
Dopo l’ultima caccia fallita eravamo riusciti a recuperare, salvando un intero villaggio dall’attacco dell’ennesimo covo di vampiri, e avevamo risolto qualche altro caso assurdo sparso per uno qualunque dei cinquanta Stati della nostra Nazione. Avevo bisogno di riposare, a volte, ma nel momento in cui l’idea di trovare qualcos’altro da uccidere e di diminuire i miei sensi di colpa mi sfiorava di nuovo i miei muscoli cominciavano a fremere all’idea di fare altre vittime.
Ne avevo bisogno per salvarmi da me stesso, o forse la forza dell’abitudine. Sapevo di potermi trasformare velocemente in un mostro, sapevo che avrei potuto diventarlo a mia volta molto più facilmente di quel che si pensasse ma fino a quel momento non me ne era importato: avrei messo Sam al sicuro e avrei trovato un modo per uccidermi. Sam sarebbe sopravvissuto anche senza di me, poco ma sicuro, e io mi sarei tolto dalle scatole.
Ma adesso c’era Jo … se non l’avessi ricucita io chi lo avrebbe fatto? Quale sarebbe stato il suo destino? Non potevo lasciarla sola, in qualche modo, anche se era adulta e vaccinata e forse sarebbe anche riuscita a farcela. Era come se ora fossi diventato responsabile per lei, come se non potessi semplicemente lavarmene le mani. E non me lo stava impedendo lei, era semplicemente qualcosa che mi sentivo. E che avrei sempre tenuto segreto.
Tornai nella stanza, vestendomi velocemente e lanciando un’occhiata di controllo verso Sam, che stava sistemando nuovi documenti per altri casi. Lo lasciai semplicemente fare, buttandomi sul letto e cominciando a giocherellare con l’mp3 scassato che mi portavo sempre dietro. Avevo una strana sensazione addosso e in quel modo sicuramente non sarei mai riuscito ad addormentarmi, quindi tanto valeva non provarci.
Appena la musica chiara e riconoscibile della mia suoneria riempì la stanza mi alzai di scatto, con un balzo più agile di quanto credessi, e sparii in bagno prima che Sam avesse la possibilità di aprire bocca. Lo lasciai confuso e interdetto nella stanza, rispondendo al secondo squillo.
Se Jo mi stava chiamando era un’emergenza: il mio corpo lo aveva registrato prima ancora del mio cervello, e sentivo già il cuore pulsarmi in gola. Fu come se mi avessero iniettato qualcosa direttamente in vena, come se non potessi fare a meno di preoccuparmi per lei. Mi ritrovai a sbrodolare parole senza nemmeno pensarci, colto in contro piede e piuttosto spiazzato. Non mi aspettavo una sua telefonata, non pensavo che saperla in pericolo mi avrebbe reso così dannatamente vulnerabile.
Me ne accorsi troppo tardi, mi resi conto con poca velocità di aver risposto in maniera scocciata quando in realtà l’unica cosa che mi infastidiva era l’idea che qualcuno o qualcosa avesse potuto anche solo sfiorarla troppo intensamente. Mi arresi alla fine, e ancora senza pensarci le snocciolai una promessa. La volevo lì, questo era vero: volevo accertarmi con i miei occhi che stesse bene, che fosse viva e intera e … sapevo cosa significava stare male. E dal suo tono di voce, anche se poteva non aver riportato danni fisici, sicuramente non stava bene. Aveva bisogno di me –forse- e io non potevo non esserci.
Per quanto risultasse una mossa stupida, soprattutto se l’idea era quella di non presentarla a Sam –per ora o forse per sempre- non avevo altro modo e l’idea dopotutto non mi dispiaceva affatto. Tornai quindi in camera, ignorando semplicemente Sam e rispondendo vagamente alle sue domande per poi chiudermi nel mio silenzio stampa, in attesa.
Aspettai ore e ore, per un tempo che a me sembrarono anni luci interi, e quando il mio telefono si illuminò nel buio pesto della stanza scattai, molto più silenziosamente di prima, e mi avvicinai lentamente alla porta. Ripresi le chiavi della mia macchina e uscii nel corridoio, per poi raggiungere in fretta il cortile e il parcheggio del motel. Mi ritrovai a sorridere senza nemmeno rendermene conto quando incrociai la figura scura ma riconoscibile di Jo nella notte, e non feci altro che raggiungerla e stringerla a me.
-Forza, questa notte ti aspetta una camera di lusso…dormiamo nella mia auto- annunciai semplicemente. E se per lei non significava nulla, per me significava anche troppo.
   
 
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