Libri > Divergent
Ricorda la storia  |      
Autore: _candyeater03    13/03/2016    1 recensioni
{Jeanine Matthews}{OneShot; 2611 parole}
***
Dal testo:
Uno spettacolo inquietante quanto bellissimo. E per un attimo, un attimo solo, sei contenta di non essere tu ad essere stata uccisa.
Credi che imparare a reprimere, soffocare ogni cosa, sia abbastanza. Lo credi davvero.
E non sai di sbagliarti ancora.
Genere: Angst, Drammatico, Introspettivo | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Andrew Prior, Jeanine Matthews, Nuovo personaggio
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Per recensire esegui il login o registrati.
Dimensione del testo A A A
Un errore.
Riavvolgi con noncuranza la sciarpa intorno al tuo collo, per evitare di farla scivolare via.
Un solo, piccolo, inutile, insignificante errore.
Sposti tutta la tua concentrazione su oggetti dimenticati per terra. Una stuoietta strappata, taglienti frammenti di bottiglie di vetro, qualche straccio dai colori sbiaditi.
Come hai potuto sbagliare? Gli Eruditi non sbagliano mai.
L’atmosfera è carica di elettricità. Ogni cosa trasuda miseria. Sei in un territorio estraneo.
Hai ucciso una persona.
Un Escluso. Alle autorità non importa se è vivo o morto, dato il suo stato sociale. 
A nessuno importa. 
Soltanto a te. 
La sua involontaria assassina.
Immediatamente le lacrime offuscano la tua vista. Ti asciughi gli occhi liquidando silenziosamente quel minimo di umanità che ti aveva concesso di preoccuparti per le tue azioni. 

Andrew ti aveva implorato di fermarti, ma la sua ben nota inclinazione Rigida ti aveva impedito di prenderlo sul serio. Dopo qualche minuto aveva iniziato a imporre l’ordine con più insistenza, ma tu ti eri limitata ad interromperlo con un gesto noncurante, stizzita.
Ora avresti voluto ascoltarlo.

Il suo sguardo ti penetrava l’anima. Spaventato, indignato, e infine semplicemente indifferente, ti squadrava come per studiare le parole che sarebbero state più adatte al momento. Avevi aspettato quel momento per interminabili secondi, con una spavalda consapevolezza. Il significato era risultato più conciso e doloroso di quanto non avresti mai potuto aspettarti.
“Se pensi che ti perdonerò anche per questo, non lo farò, Jeanine. Non più.”
Ti aveva rivolto un impercettibile gesto di saluto, formale e fulmineo. Poi si era voltato ed era sparito in un vicoletto di cui non ricordavi il nome. 

“Non sembra che il ragazzo l’abbia presa bene”, aveva commentato Norton con quel suo ghigno orribile, tenendo la siringa vuota in una mano.
Ti eri allontanata senza dire una parola, in un altro, uguale, vicoletto di cui non ricordavi il nome. 

Potrai continuare a mentire a te stessa? Essere sinceri con sé stessi è il primo passo per diventare sinceri con gli altri. L’avevi sentito dire ad un Candido imprecisato, quando ancora eri troppo piccola per capirlo. Tu non sei Candida. Essere sincera non è una tua priorità. Ciò non costituisce un problema.
Sarai capace di reggere il rimorso? Senti pesanti lacrime di sangue esattamente dietro le palpebre, per coglierti impreparata. 
Sola.
Forse sarai capace di gestirlo, comunque vadano le cose. Tu sei capace di gestire ogni cosa. Anche il fatto di essere diventata un’assassina a quindici anni.

I tuoi pensieri scivolano via, lasciando il posto all’immagine degli alti palazzi del quartier generale degli Eruditi che si avvicinano. In lontananza riesci a scorgere la recinzione, che ti separa dal mondo esterno, oscuro e misterioso.
Il sole pallido illumina a stento il cielo esangue, proiettando solo ombre di altre ombre. Impercettibili. Nulla che non sia l’insignificante riflesso di tutto ciò che sta sotto. Una città relativamente grande, ma immensamente piccola. 
Uno spettacolo inquietante quanto bellissimo. E per un attimo, un attimo solo, sei contenta di non essere tu ad essere stata uccisa.
Credi che imparare a reprimere, soffocare ogni cosa, sia abbastanza. Lo credi davvero.
E non sai di sbagliarti ancora.

 
 
*


I muri azzurrognoli devono alle numerose e inesperte mani di vernice il loro apparente tremolio. La stanza, circolare ed enorme, è priva di arredamento al di fuori di una sedia del medesimo colore della tappezzeria.
Un solo suono è provocato dal fievole e rilassato respiro di una persona. Una ragazza, in attesa, seduta sull’unica sedia presente in quella stanza. Con la mano destra sfiora l’intonaco della parete dietro di lei, che si sgretola immediatamente al suo tocco.

Gli occhi grigi acquosi di Cheryl Matthews si muovono convulsamente rapidi sulla pagina di giornale che tiene in mano. Nulla che le interessi, a dire il vero. Solo un pretesto per tenere occupata la mente.
I caratteri minuscoli si rimpiccioliscono ulteriormente, confondendosi in sfuocate e instabili figure. 
La ragazza strizza gli occhi e allontana da sé il foglio di una ventina di centimetri. Non ha intenzione di portare gli occhiali, anche se affetta da una leggera ipermetropia. Si rifiuta di incarnare, anche in semplici dettagli, lo stereotipo della sua fazione, come per un capriccio infantile. Crede che vivere nel proprio anticonformismo sia il massimo della realizzazione umana. 

La porta a vetri davanti a lei si apre, smuovendo evidenti nuvole di polvere. Tre figure si materializzano all’istante nella stanza, troppo lontane per poterle identificare. Una macchia blu, che molto facilmente si confonde con il colore della tappezzeria, affiancata a due più scure, nere come la notte. Si avvicinano di qualche metro, e la ragazza scoppia in una risata amara ma fragorosa.
“Buongiorno madre”, saluta con tono calmo, ma scandendo ogni lettera.

Jeanine Matthews si ferma a pochi metri di distanza dalla ragazza, accompagnata da due guardie Intrepide, e sorride quasi mellifluamente. Si liscia la gonna di una limpida tinta celeste ed espira profondamente, senza smettere di sorridere.
“Buongiorno Cheryl”, risponde la donna, quasi meccanicamente, “tutte le pratiche necessarie sono state svolte. Ora possiamo procedere con la tua esecuzione.”

“Perfetto”, la ragazza annuisce brevemente, con sguardo accusatorio e falsamente accondiscendente, “non aspettavo altro.”
Non si è accorta di stringere i pugni con rabbia, le nocche che stanno mutando il loro colorito pallido in una tenue sfumatura di rosso. Incrocia le braccia al petto, guardando le unghie mangiate fino alla carne viva, lo smalto violetto quasi totalmente consumato.
Una delle due guardie apre con cura la scatoletta rettangolare che porta con sé, mostrando una siringa piena di un liquido violaceo. Avvicina l’ago al collo scoperto della ragazza, che chiude gli occhi con rassegnazione.

“Un momento”, esclama, spalancando gli occhi di botto.
La guardia si blocca, stizzita, e Cheryl gli prende la siringa. La porge a sua madre e, per un attimo, nessuno comprende il suo intento. 

“Deve essere lei a farlo”, annuncia con soddisfazione, “a voialtri pregherei di andare via”.
Uno dei due uomini prova a ribattere, ma la capofazione liquida il suo tentativo facendogli segno di uscire. Le guardie Intrepide si volatilizzano con sguardo sorpreso, mentre la donna stringe la siringa violentemente.

“Sei una stupida, Cheryl Matthews”, annuncia con leggero rimprovero, spingendo lo stantuffo.
Il siero della morte entra nel flusso sanguigno placidamente. Il corpo non lo riconosce nemmeno come qualcosa di estraneo.

“Presumo che tu ti stia riferendo al mio Quoziente Intellettivo infinitamente basso”, Cheryl le rivolge un sorriso beffardo, “mi stavano per buttare fuori dagli Eruditi.”

“Scegliere di unirsi alla nostra fazione sapendo di essere Divergente è un’azione incosciente”, puntualizza la donna, lasciando cadere a terra la siringa vuota, “questo è ciò a cui alludevo. Mi sarei sicuramente sorpresa se tu fossi riuscita a capirlo.”
Cheryl alza le spalle con indifferenza. Inizia a sudare e tremare in contemporanea, avvertendo un leggero intorpidimento dei muscoli.

“Volevo vivere la mia scelta”, ribatte, con tono di voce fievole, “non quella della mia paura di morire.”
La stanza cala in un breve silenzio, carico di tensione. La sedicenne sente le sue membra afflosciarsi lentamente, il respiro farsi sempre più pesante.

“Perché hai insistito affinché fossi io a iniettare il siero?” gli occhi della capofazione brillano d’interesse per un momento. Poi incrocia le braccia guardando altrove, quasi pentita della domanda.
La sedicenne sorride debolmente, per quanto le sia concesso. Le lacrime le offuscano pigre gli occhi, e Cheryl non è sicura che sia solo l’azione del siero.

“Non stai provando rimorso. Te ne rendi conto?” spiega, quasi incomprensibilmente. “Hai ucciso un essere umano, e non sei pentita. Hai ucciso tua  figlia, e non ti importa. Hai ucciso una Divergente, ed è solo una preoccupazione in meno.”
Sente di stare per morire. Alzare un braccio costerebbe una fatica immane. Le lacrime le scivolano fuori dalle palpebre, copiose e gelide. Lascia che il dolore le fuoriesca dagli occhi, consapevole che non la abbandonerà mai del tutto. Ogni istante si rigenera di nuovo dolore, che le offusca la mente, che le inonda il cuore. Che la affoga dentro. Che la uccide prima che il siero della morte le spenga gli occhi.

“Sei un mostro!” grida con tutta la voce che ha ancora in gola, ingoiando le lacrime che le scivolano sulle labbra. “ Ti odio!” 
Negli occhi della madre, così simili ai suoi, lei avrebbe sperato di trovare anche solo un accenno di malinconia. Vi legge solo confusione.

Senza accorgersene, Cheryl Matthews si addormenta per sempre su quella sedia, con l’ultimo dispiacere impresso nel cuore.
Tutto è immobile, fermo. Nulla osa rompere quell’ordine perfetto. Solo le pareti, se presti attenzione, ondeggiano ancora.


 
*


La postura regale tradisce il senso di sgomento che provi, percependo l’aura di speranza che aleggia nell’aria.
Marcus Eaton pronuncia il suo discorso con noncuranza, passeggiando tra le coppe delle fazioni rivestito di falsa innocenza.

Nessuna persona è veramente innocente. Nessuna lo sarà mai, in quella società che generazioni prima di te hanno faticato per costruire, un mattone per volta. Affannandosi per mantenerla salda, senza capire che si regge in piedi da sola.
Un automa su fondamenta di ossa. Un piedistallo sollevato da esseri umani, che gemono nella convinzione che il loro dolore sia l’unica concezione ammessa. Un piedistallo occupato da pochi, da troppi, da competenti, da immeritati. Un piedistallo destinato a cadere, in un futuro spaventosamente prossimo, nell’inevitabile coincidenza del tempo inesorabile con la ribellione del popolo di fronte alla propria ignoranza.

I nomi vengono gridati al silenzio devoto che possiede la sala.
Ti scorrono addosso, privi di apparente significato, lettere alla rinfusa scandite da passeggera euforia. Persone uguali e inferiori che si muovono con occhi brillanti da cui trabocca l’anima ancora priva di passato. 
Persone la cui prima impressione agli occhi altrui è esprimibile con scarsezza di parole.

“Mason Undersee.” Pacifico. Interno. Le membra che trasudano debolezza interiore. Impensabile che sia un Divergente.
“James Tucker.” Candido. Il primo trasfazione dell’anno, proveniente dagli Intrepidi. Nonostante sembri piuttosto terrorizzato, ha una leggera aura di anticonformismo. Potresti avere paura di lui.
“Sirya Travies.” Intrepida. Interna. Espressione allegra e speranzosa. Non hai remore a pregiudicare il suo carattere come ingenuo.
“Julie Richardson.” Erudita. Trasfazione, proveniente dai Pacifici. Occhi castani calcolatori e perspicaci. Interessante.

Ascolti un nome dopo l’altro formulando un breve giudizio per l’apparenza di ognuno, che rapidamente scompare nella memoria. Sei consapevole del fatto che nessuno di loro potrà mai sperare di essere ricordato, sei consapevole che ognuno di loro sparirà nel nulla, prima o poi.
Ed è un pensiero triste, ma inevitabile.
Ed è un solo, piccolo, inutile, insignificante particolare che ti fa alzare lo sguardo. Che riesce a distrarre la tua inumana imperturbabilità. 
Ed è così strano che non lo credi possibile, ed è così ovvio che senti di averlo sempre saputo.
E ha un tempismo così perfetto che ti accende un sorriso in volto, così naturale e così malvagio.

“Caleb Prior.”
Si muove con sicurezza, in modo elegante.
E sceglie gli Eruditi.
E viene accolto con incredulità, mentre la sua fazione natale lo squadra piena di odio.
E si siede senza far rumore, senza dare fastidio.
E sorride, inarcando leggermente le sopracciglia e l’angolo sinistro del labbro.
Ed è identico a suo padre. 

 
 
*


“George Wu.”
Non hai il tempo di realizzare il dolore fisico causato dal coltello che ti trapassa da parte a parte, che il dolore psicologico ti inonda con esponenziale tempestività.
Ti guardi intorno e sei accasciata contro la parete di una stanza azzurra.
Sei contenta di stare per morire in una stanza azzurra.
Anche lei era morta in una stanza azzurra.

“George Wu.”
La tua mente registra il suono delle parole che sei troppo egoista per udire come tali. 
Gli occhi della Divergente ti scrutano inquisitori, prima di capire cosa è effettivamente successo. 
Cerchi il suo sguardo limpido  negli occhi cristallini di Beatrice Prior. 
Cerchi le sue iridi grigie nell’espressione sgomenta della ragazza davanti a te.
Ricordi come un’immagine viva.
Ma non trovi più niente
.
La Rigida inarca le sopracciglia, un leggero spavento le si legge in viso.
Sai che se stesse sorridendo piegherebbe leggermente l’angolo sinistro del labbro all’insù.
È identica a suo fratello.
Ed è identica a suo padre
.

“George Wu.”
Quel nome ti rimbomba nella mente, di continuo, distruggendoti ogni secondo di più.
Ma non è quello il nome che senti.
Non è quel nome che ti distrugge.
Lui non era morto in una stanza azzurra.
Effettivamente, non era morto in alcuna stanza.
Eppure la stuoia su cui aveva esalato l’ultimo respiro si trovava ai piedi di un edificio dalle pareti leggermente azzurrognole.
La vita non è mai una coincidenza.
Nemmeno la morte.

“George Wu.”
Non lo conoscevi nemmeno.
Non sapevi chi fosse.
Era solo un Escluso.
Un solo, piccolo, inutile, insignificante Escluso.
Eri riuscita a notare una sola cosa.
Aveva gli occhi neri.
Era impossibile distinguere la pupilla dall’iride.
Aveva gli stessi occhi di Andrew.

“George Wu.”
Per un momento è il buio, e hai paura che sia finita.
Ma poi capisci che è tutto uno sprofondare in un buio sempre più buio, e mai risalire.
Hai paura.
Una paura che divora da dentro, irrefrenabile.
Anche se significa che sei ancora viva non ti senti sollevata.
Affatto.

“George Wu.”
Quel nome che muta in innumerevoli altri nomi, che si accalcano gli uni sugli altri nella tua mente.
Finché i colori non sono così confusi che creano solo altro buio.

“George Wu”, che si trasforma in “Cheryl Matthews.” 
Cheryl Matthews con la frangia da bambina e la mente follemente geniale. Con gli occhi sereni e il sorriso radioso. Intelligente e sincera. Ora pensi che avresti potuto essere orgogliosa di lei. Ma è troppo tardi.
L’hai uccisa con le tue stesse mani. L’hai sentita gridare mentre il siero della morte fluiva nelle sue vene.
Un rimorso del genere non sarebbe mai svanito totalmente.
Mai in un’eternità.
Una ferita che avrebbe continuato a perdere sangue senza che il sangue finisse mai, mai, mai.
Una lacrima ti scivola oltre le palpebre, gelata ma invisibile.

“Cheryl Matthews”, che perde la sua sostanza. Senti un suono che non riesci a cogliere, ma sei sicura di saperne qualcosa. Il nome che apparteneva all’Escluso, quello che hai ucciso trent’anni fa.
Quello di cui ricordi solo gli occhi neri, come quelli di Andrew. Quello che è stato la tua prima vittima.
Se potessi tornare indietro, sai che forse ora la tua vita sarebbe diversa. Sai che forse non l’avresti fatto un’altra volta, sai che forse avresti abbandonato Norton e i tuoi esperimenti senza nemmeno pensare, sai che forse avresti preso un’altra strada. Sai che forse ti saresti buttata tra le braccia di Andrew e gli avresti detto che lo amavi, anche se a lui non importava, perché nemmeno a te importava, perché avevi tutta la vita davanti e avresti avuto il tempo di innamorarti di nuovo.
Col senno di poi, tutto acquista più senso.

Suoni indistinti che si fondono in un nuovo nome, che diventano “Caleb Prior.”
Caleb Prior che quando sorride inarca leggermente le sopracciglia e l’angolo sinistro del labbro.
Che è così identico a suo padre.
Lo hai ucciso gettandogli tutto quel peso sulle spalle. Parlandogli di cose che erano così tanto più grandi di lui, che avrebbero potuto distruggerlo.
E ti senti in colpa perché è solo un ragazzino, come  lo eri stata tu, anni fa. Così fragile e spaventato.
Sai che non avresti dovuto farlo.

La confusione si impossessa di te, mentre centinaia di altri nomi ti sommergono finché non inizi ad annaspare. Volti si confondono scorrendo sopra altri volti, lettere che si stringono e diventano sempre più confuse. I colori delle cinque fazioni si susseguono funereamente, così veloci che diventano bianchi.
Ed è tutto uno sprofondare in un buio sempre più buio, e mai risalire.
Tori affonda il coltello per una seconda volta, con più violenza.
E il buio finale è gelido ed eterno.
E sembra non esistere.






NdA:
Vorrei tanto scrivere qualcosa di serio, ma devo essere realista. Sono le 23.52 e sto dormendo davanti al computer. Inoltre la mia grammatica si è probabilmente addormentata prima di me, quindi perdonate eventuali errori in questo spazietto. 
Sto lavorando su questa One-Shot da tantissimo tempo. Ma davvero tanto. Credo l'avessi iniziata a novembre.
Solo che poi ho dimenticato il progetto e ho ripreso a scrivere due giorni fa, per la vostra gioia :)
Ho sempre desiderato scrivere qualcosa su Jeanine, se non altro perché volevo provare a rendere il suo passaggio da normalità a inumanità. Non mi è mai stata totalmente antipatica (anche perché sono filo-Erudita da prima ancora di conoscere la saga ^*^) e penso che trattenendo gli abitanti di Chicago all'interno della recinzione lei volesse semplicemente tenere tutti al sicuro. Poi probabilmente sono l'unica persona che la pensa così, ma vabbè.
Spero di non aver fatto troppi errori, e ringrazio tutti coloro che sono arrivati fin qui.
Buonanotte fanvergenti!

Candy<4
   
 
Leggi le 1 recensioni
Ricorda la storia  |       |  Torna su
Cosa pensi della storia?
Per recensire esegui il login oppure registrati.
Torna indietro / Vai alla categoria: Libri > Divergent / Vai alla pagina dell'autore: _candyeater03