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Autore: callingonsatellites    14/03/2016    1 recensioni
L'aria fresca sulle braccia. Il sole che brucia negli occhi. Le gambe leggermente indolenzite, e una melodia sconosciuta che girava nella sua mente. Poi un forte dolore alla testa. E ora fissava quegli occhi color nocciola, e ogni domanda veniva annullata come se quei due pozzi scuri fossero l'unica cosa importante ed esistente, l'inizio e la fine di tutto.
Genere: Commedia, Romantico, Slice of life | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Nuovo personaggio, Un po' tutti
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Premessa: questo capitolo è infinito. A mio parere. °-°

Il pullman stava passando vicino alla fermata da dove Kim aveva cercato di salire poco prima, anzi, da dove era effettivamente salita; cioè quella vicino a casa sua.
Miles, il pazzoide, le aveva spiegato come fare a scendere senza farsi notare e arrivare tutta intera nello stesso tempo. In pratica dovevano saltare giù, a chiodo, e cercare di ammortizzare con le ginocchia. Molto semplice. Impossibile.
L’altra opzione era quella di buttarsi di fianco e rotolare giù, ma non era praticabile.
 
-Non possiamo semplicemente aspettare che si fermi e saltare giù con molta calma?- chiese, preoccupata.
 
Miles, appostato sul brodo del tettuccio, la fissò stranito.
-Ovvio. Scusa, credevi di saltare giù dall’autobus in corsa?
 
-Ah- fece Kim in terribile imbarazzo. –Hai ragione. Sì. Sì, ovvio. Razionale.
 
-Pronti!- la voce di un altro ragazzo, un biondino, vestito con l’eccezionale combinazione di bermuda da spiaggia e felpone da polo nord, richiamò l’attenzione del gruppo. Un secondo dopo, erano tutti sani e salvi sul marciapiede, che camminavano tranquillamente. Loro non erano assolutamente appena saltati giù da un mezzo pubblico.
 
-Ecco a lei- fece il ragazzo con l’espressione da criminale, porgendo una chiave argentata a Kim. Era identica alla sua.
-Te la regalo. Ti serve più che a noi.
 
-Molto gentile a concedermi uno dei tuoi cimeli- lo ringraziò lei prendendo la chiave. E non scherzava, anzi: in quel breve tratto di strada, era riuscita a conoscere quei quattro gatti pazzi un po’ meglio.
C’era Friedrich, detto Ed, detto Ad, detto Wanda, detto da lei Fried; il buonista del gruppo. Se c’era una cosa che non gli veniva, era di essere cattivo con la gente; e questo spesso lo faceva finire male. Cercava sempre di far stare tutti buoni, e spesso e volentieri si prendeva la colpa del quale era accusato … non perché non volesse controbattere, o accusare gli altri, ma perché non ne aveva proprio la forza psicologica. Non a caso era un bel bersaglio, a scuola. Ragazzino magro, debole, agnellino innocente e allettante. E così era stato, finché un tizio strano, dal sorriso ottimista e ricco di sottintesi come solo quello di un matto può essere, lo aveva trascinato su e giù per i palazzi di Magdenburgo al calare della sera, per poi finire davanti a un muro completamente dipinto, sulla facciata est di un edificio abbandonato. Poi gli aveva dato un grosso pennarello nero. La parete era ancora liscia, quindi si poteva scrivere. Gli aveva detto di scribacchiare qualcosa, o di disegnare la prima cosa che gli fosse venuta in mente.
Inizialmente Fried non sapeva cosa scrivere, anche perché non aveva ancora capito cosa ci faceva lì con quel tizio inquietante. Poi, il suddetto tizio si era stufato di aspettare, gli aveva preso la mano e aveva scritto bello in grande ‘VAFFANCULO’, sulla punta di un polipo verde con la cresta punk.
E allora Fried si era fermato, impalato per qualche istante davanti alla scritta, e poi era uscito con un ‘ma hai rovinato il polipo!’, che aveva definitivamente convinto il pazzoide che quel ragazzino era irrecuperabile.
Ma d’altronde non poteva mollarlo ai bulli, era comunque un pazzoide giusto e non poteva permettere che la situazione continuasse; così l’aveva preso lo stesso sotto la propria ala protettiva, fatta di saltare giù dai tetti, dipingere i muri esterni delle sale insegnanti, e scorrazzare sui tetti dei pullman in servizio notturno.
Codesto pazzoide era appunto Miles: essere non-umano, dotato di uno strano senso della vita e apparentemente adrenalinomane: apparentemente, perché a differenza di tutti gli altri drogati di adrenalina lui non aveva nessun bisogno di buttarsi in un burrone con l’elastico per soddisfarsi dell’adrenalina che avrebbe prodotto il suo corpo, perché per lui saltare giù da un burrone con l’elastico era normale come bere un bicchiere d’aranciata. E non farlo, per lui, equivaleva non bere aranciata. Della serie: no grazie, magari più tardi.
Ma non era solo: con lui c’erano già altri tre ragazzi: Christoph il graffitaro (vi basti sapere che, se una cosa non è scarabocchiata, non è sua. Mutande comprese), Albert il criminaloide, cresciuto con un padre oggi carcerato e domani no, dal quale per fortuna non aveva preso esempio che non fossero i soliti trucchetti che potrebbero rivelarsi utili, tipo la cosa delle chiavi; qualsiasi cosa possedessero quei ragazzi di utilizzo non totalmente legale (ma niente droghe: erano tutti rigorosamente contro fumo, tossici e iperalcolici … “ci teniamo alla pelle”, aveva detto Miles. Il che forse avrebbe potuto far venire qualche dubbio, se non fosse stato per l’approvazione assolutamente seria degli altri) era di sua proprietà; ed era etichettato con una scusa per giustificarne l’utilizzo nel caso qualcuno avesse chiesto qualcosa (“perché avete tutte quelle chiavi?” “eh, sapesse, ho tredici zie gemelle tutte mezze cieche, che vivono in tredici case diverse, perdono spesso la chiave di casa …”), e infine Rupert, Quello Intelligente, il semi-nerd del gruppo.
Con il tempo si erano aggiunti altri ragazzi alla banda, tutti cugini degli amici dello zio del portinaio della parrucchiera eccetera eccetera che un giorno erano capitati lì per caso, oppure ragazzi salvati da una situazione simile a quella di Fried; questi ultimi però se ne erano andati tutti dopo poco, giusto il tempo di rafforzarsi un po’ nel fisico e nell’animo, con l’aiuto degli angeli degli autobus. Perché era così che Kim li aveva soprannominati, gli angeli degli autobus, i suoi angeli degli autobus che l’avevano salvata da una morte lenta e dolorosa sotto le urla isteriche di sua madre e l’ordine esplicito di non uscire dalla propria stanza se non per mangiare, andare in bagno e a scuola, e l’obbligo di non prendere voti inferiori al nove e mezzo pena una padella sulla capoccia.
Comunque, erano abbastanza conosciuti a livello cittadino: erano un po’ come le crew dei film di danza, tutti sanno che ci sono, tutti sanno cosa fanno, e alcuni sanno anche chi di preciso sono; ma ufficialmente non esistono, nel senso che non sta scritto da nessuna parte che loro ci sono e che loro fanno questo e questo. Per farla breve, quando arriva la polizia tutti santerellini, anche se era raro che ci avessero a che fare.
Quei quattro gatti matti, che in realtà erano molti, molti di più (ve l’ho detto, non esiste nulla di ufficiale: potevano essere due e potevano essere duecento), erano la ‘crew’ di Magdenburgo. Non ce l’avevano un nome; erano semplicemente ‘loro’. Quando a Mag si parlava di ‘loro’, tutti sapevano a chi ci riferiva.
Era abbastanza facile riconoscerli: se incontravi un ragazzo/ragazza con ciuffo, Converse e skinny jeans, che cammina spedito, sorride e ti guarda come se sapesse esattamente tutta la storia della tua vita incontravi; in nove casi su dieci, uno di Loro.
 
-Ok, spero di non svegliare i miei …
 
-Ricordati: sei tornata a l’una, e loro si erano appisolati. Per quello non ti hanno sentita- le sussurrò il biondo di prima, detto Schweit, in pratica l’unico biondo di tutti. E tinto, a detta sua.
 
-Ovviamente, mamma, te l’ho detto che non dovevi aspettarmi- recitò lei fingendo risentimento.
 
Schweit  sorrise. Aveva un sorriso accecante.
Kim ricambiò, salutando e ringraziando di cuore i due che l’avevano seguita. Poi entrò, e salì con passo felpato fino al suo appartamento e si infilò nella propria camera senza fare rumore.
 
#
 
-Ma che vuole ancora?!
 
Imprecò un paio di volte, ricambiando lo sguardo d’odio che le era stato lanciato dalla cheerleader biondina, distante una decina di metri da lei e circondata dal suo bel gruppetto di galline ammaestrate.
 
-Stai buona e non guardarla- la ammonì Christina. –Non è bene farsi nemici del genere.
 
Alla fine, sarà incredibile da dire, ma sembrava che la goth avesse deciso che Kim era degna della sua compagnia. Non era proprio la ragazza più simpatica del mondo; ma era intelligente e sapeva come muoversi nel caso ti trovassi ad essere il bersaglio di mezza popolazione femminile della scuola. E quello era il caso.
 
-Lo so, maledizione- borbottò Kim in risposta. –Ma quella mi dà sui nervi. E io non ho i nervi molto saldi.
 
-Alla fine sei riuscita a tornare a casa ieri sera, spero- chiese la goth, per cambiare discorso.
 
-Beh … diciamo di sì. È una storia lunga … - si perse a guardare un punto della muratura alla quale erano appoggiate particolarmente interessante. –Ma tu come fai a sapere che ho avuto difficoltà a rientrare?- esclamò, dopo averci pensato.
 
Christina sorrise con aria di sufficienza. –Ti ho vista a correre come una pazza fuori dalla scuola. Non avevi la giacca, e nemmeno l’aspetto di una persona abbastanza lucida da essersi presa le chiavi di casa … sono rimasta fuori dal cancello per un po’, e non ti ho vista rientrare a prenderla. Quindi l’interrogativo mi è venuto spontaneo.
 
Kim la fissò stranita. –Fammi indovinare, tu sei il tipo che resta sveglia la notte per leggere Sherlock Holmes e non ha una vita sociale perché passa i pomeriggi a guardarsi tutti i polizieschi esistenti su questa terra stagione dopo stagione?
 
-Buon intuito. Sì, sono una Holmes-dipendente. E tu?- le chiese ironica.
 
-Sto leggendo Harry Potter, modestamente.
 
-Avada Kedavra*!- esclamò Christina, spostando lo sguardo per tenere d’occhio le cheerleader.
 
-Sì, volentieri, su di loro- disse mesta Kim, guardando anche lei il gruppetto.
 
-Occhio. Tizio castano con occhi chiari e sorriso strafottente in arrivo a ore sei- la avvertì Joey, che era rimasta in silenzio fino a quel punto.
 
-Omm…- Kim tirò un’imprecazione colorita, per poi posare lo sguardo su Aron, che avanzava inesorabilmente verso di loro.
 
-Non possiamo spostarci o far finta di non averlo visto. Possiamo solo far buon viso a cattivo gioco- constatò miss Holmes.
 
-Il che significa … - ormai era praticamente arrivato. - … sorridi e annuisci. Ciao .. – terminò Kim, salutando il ragazzo, alto ma non troppo robusto. Non aveva la corporatura di un atleta, ma sembrava molto agile.
 
-Buongiorno, signorine- ricambiò lui, teatralmente.
 
-Cosa vuoi di preciso?- lo pugnalò diretta Christina, con il suo sguardo duro spaccapietre.
 
-Oh-oh. Qui qualcuno non gradisce la mia presenza. Qual è il tuo problema? Possiamo parlarne.
 
-No, non mi va di ‘parlarne’- gli fece il verso lei. –Mi va che ti levi di torno. Tu porti guai, e i guai sono l’ultima cosa che ci servono.
 
-Oh, certo. Mi dispiace, in questo caso, credo di non poter farci niente.
 
La goth non gli levava gli occhi glaciali di dosso.
 
-Non ti ho più visto, ieri sera- esclamò lui, rivolgendosi a Kim. –Hai dovuto scappare, immagino. Avevi il coprifuoco troppo presto?
 
-Ehm … sì, certo, hai ragione- cercò una scusa Kim. Christina lo stava provocando. E lei voleva solo che si levasse il più presto possibile di torno. –Troppo … troppo presto. Beh, ora penso che dovremmo … - stava per filare via, ma Aron la interruppe.
 
-Questa penso che ti appartenga- venne fuori serio, afferrandola per un braccio. Teneva in mano la giacca jeans. –Il che mi fa sospettare del fatto che tu sia riuscita a tornare a casa… -aggiunse poi, tirando fuori le chiavi dalla tasca anteriore, e  un sorriso bastardo.
 
Kim rimase bloccata, a fissare il piccolo pendaglio a forma di orsacchiotto sorridente che pendeva dalla chiave di casa. Un attimo dopo però squillò la campanella, e fuggì rapidamente approfittando della marea di studenti che si era riversata su di loro.

*avada kedavra: incantesimo della morte, per uccidere le persone :D .. nota: non venite a fangirlarmi harry potter perché non l'ho letto nè visto. Ma è nella mia lista delle cose da fare :P

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Stava torturando nervosamente una povera matita innocente da più di mezz’ora.
-Ti vuoi dare una calmata?!- le sussurrò Joey per l’ennesima volta dall’inizio dell’ora.
 
-Ma che diamine gli racconto adesso?!- ribatté Kim agitata.
 
-Ma che te ne frega! Dì che avevi un’altra chiave, o che tua mamma ti ha aperto lo stesso … tanto mica vive sopra la tua testa, quello, che ne sa!
 
-Eh, magari fossi capace di inventare una megabugia del genere …
 
-Ehm, signorine! Di cosa stavamo discutendo?- intervenne la professoressa.
 
Kim e Joey fissarono la faccia truccata dell’anziana prof come due pesci lessi fissano il coperchio della pentola.
 
-Ricopierete l’intero capitolo per casa. Due volte- sentenziò la signora, dopo qualche istante sotto lo sguardo dei due pesci lessi.
 
La lezione riprese normalmente. La testa di Kim, invece, stava esplodendo per la seconda volta nel giro di due mesi.
 
#
 
-Allora?- le chiese Aron, dopo tre minuti che stavano appoggiati uno di fianco all’altra al muretto fuori dalla scuola.
 
-ALLORA COSA?! Fatti i cavoli tuoi! Mica sei mio padre, o … mio fratello o …
 
-O il tuo fidanzato?
La molesta vocetta nasale che aveva interrotto i farfugliamenti di Kim apparteneva ad una ragazza piuttosto alta e prosperosa, labbroni sporgenti e abbronzatura naturale quanto i boccoli platino che le ricadevano sulla giacca da cheerleader.
 
-E tu che cavolo vuoi?! Aaargh … mi farete impazzire in questa benedetta scuola- buttò fuori Kim senza pensarci tanto.
 
La biondina non si era mossa. –E allora vattene.
 
Rimasero a fissarsi per qualche minuto. La bionda immobile, occhi semichiusi, bocca a pesce e mano appoggiata sul fianco; Kim che fissava lei con un espressione poco lucida, posizionata sul muretto con la grazia di un cadavere; Aron che andava con lo sguardo da una all’altra divertendosi come un matto.
 
-Ti presento Gertrud. Gertrud, ti presento …
 
-Seh, seh. La ragazza del rasta sfigato- fece con sufficienza rivolta a lei. –E non chiamarmi Gertrud, stupido idiota!- strillò  poi rivolta al ragazzo, mollandogli un ceffone.
 
-AHI! Ma che cavolo hai in quella testa tinta!- urlò lui, continuando a imprecare.
 
Kim cercò di approfittare della situazione di litigio dei due per sgattaiolare via, ma una altro davanzale abbronzato artificialmente le si piazzò davanti alla faccia.
-Scusa, Ger, ma che dobbiamo fare con lei?- fece svogliatamente la proprietaria del davanzale, masticando una gomma rosa.
 
-Ah, sì! Oggi non sono qui per te stronzo, quindi levati di torno. Tu, piuttosto …
 
Kim osservò inquietata il numero rosso arrotondato che le si avvicinava piano. Poi uno scintillio di gel rosa shocking le volò davanti alla faccia, e dopo di quello la sua guancia si infiammò come se mille aghi l’avessero punta.
Si ricordava di quella sensazione. La ricollegava alla cucina, nella sua vecchia casa a Liverpool; lei con una manina sporca di panna, e sua madre rossa come un pomodoro che le gridava contro, perché aveva rovinato la torta per i suoi cinque anni.
Un altro brusco ceffone la fece tornare alla realtà.
 
-Ma che diamine?!- ebbe il tempo di dire, prima che l’ennesima mano perfettamente curata le volasse pochi millimetri sopra la testa. Da quel momento fu un tripudio di pugni, calci, ceffoni … altre persone accorsero; e al miscuglio si aggiunsero scintillii di borchie e cerniere argentate … poi alcune persone gridarono qualcosa; voci non del tutto nuove, e ci fu silenzio.
Kim si ritrovò seduta sul marciapiede ai piedi del muretto di poco prima. Le cheerleader di poco prima, accompagnate da alcuni ragazzi delle varie squadre di sport della scuola rigorosamente fidanzati e accaniti sostenitori delle ragazze pon-pon, erano tutti spariti. Erano rimasti solo lei, Aron, alcuni ragazzi accorsi lì a caso, Joey con la sua squadra di amici punk, chi con un occhio nero, chi si lamentava della cresta rovinata. Kim li ringraziò con lo sguardo, uno dopo l’altro: quelli ricambiarono sorridendo, per loro intervenire in una rissa era una cosa normale.
E poi, in piedi tutto intorno a loro, c’erano alcuni ragazzi col volto parzialmente coperto; che si scambiavano occhiate l’un l’altro.
Kim li osservò attentamente. Aveva una strana sensazione … in poco tempo, quando si furono assicurati che la situazione si fosse calmata, i ‘loschi figuri’ decisero di levare le ancore, e in men che non si dica, chi correndo, chi infilandosi in vicoli nascosti e chi arrampicandosi in fenditure nascoste degli edifici; sparirono.
 
-Maledizione a voi … - questo era Aron. Maledizione a lui, invece. Non se n’era ancora andato?
-Ecco, stavo per dirlo. Ti hanno aiutato loro a tornare a casa, l’altra sera. Lo so, inutile che neghi.
 
Kim rivolse uno sguardo interrogativo a Joey, seduta di fianco a lei. –I “Loro” di Magdenburgo. Sono più rispettati loro dell’esercito americano, qua, in pratica valgono più della polizia. Se c’è una cosa impossibile, per Loro è possibile. Non so se mi spiego.
 
-Li conoscevo, una volta. Dannazione a loro- aggiunse Aron, continuando a lanciare ingiurie contro i ragazzi che si erano defilati poco prima.
 
Kim, invece, fece un respiro di sollievo. Per nessuna ragione precisa, si sentiva semplicemente … meglio.
 
-Kim, scusa … - intervenne Christina, spuntata da chissà dove. –Credo che quello ti stia salutando.
 
Kim si voltò nella direzione indicata dall’albina. Un giovane, appeso fra un lampione vecchio e il muro di fianco ad esso, nella penombra di un vicolo, si abbassò per un secondo la bandana che gli copriva la bocca, rivelando un sorriso.
 
‘Fried?’
 
Gli fece ciao con la mano, ricambiando il sorriso. Un attimo dopo, Fried detto Ed detto Wanda detto Ad era scomparso.
 
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-E così … fate i poliziotti a Mag?- chiese Kim, fissando una stella particolarmente interessante, dall’alto di un muro scrostato in un vicolo imbucato nella Culonia di Magdenburgo.
 
-Diciamo che quando gli sbirri mancano li sostituiamo noi. È più comodo, no? Niente denunce, niente manette … tutti tornano a casa, e non è successo niente- rispose, molto esaurientemente, Albert, dondolandosi da un asta che una volta era servita a qualcosa.
 
-Vieni giù da lì … che ti ammazzi, e io non ho voglia di portare la tua bara sulle spalle- lo ammonì Schweit, aggiustandosi il cappellino sui capelli biondi, assolutamente inutile visto che era sera.
 
-Ah! Ma davvero? Pensavo mi avresti fatto questo piacere- commentò Albert, saltando giù dall’asta.
 
-Se quando morirai avrai perso almeno venti chili potrei pensarci.
 
-Non possiamo fare discorsi meno macabri?- intervenne Kim, che non aveva mai apprezzato troppo parlare di morti, ossa rotte, sangue che cola e cose simili.
 
-A proposito!- venne fuori Miles, girandosi di colpo verso di loro.
-Volevamo chiederti se ti andava di unirti a noi.
 
Kim lo fissò per qualche istante. –Ma … cosa devo fare?
 
-Assolutamente niente! Perché? – chiese Fried, con una ruga in mezzo alla fronte.
 
-Non so … di solito per entrare in gruppi come questi bisogna fare qualche strana iniziazione …
 
I ragazzi scoppiarono a ridere. –Hey, non siamo mica in una commedia americana! Rilassati, da qui si entra e si esce in ogni momento- spiegò Albert, rilassatissimo nell’osservare un manifesto teatrale vecchio di anni appeso al muro sul quale erano seduti.
 
-Sul serio?
 
-No, scherzavamo, per entrare nel nostro gruppo devi trovare dieci artigli di drago e tre capelli di sirena e farne una minestra da versare nel Sacro Graal.
 
-Ah. Ok. Dove trovo i draghi?
 
-Ma in Scozia! Sìììì, tutti in Scozia.
 
-E va bene. Chi vado a comprare i biglietti.
 
#
 
Stava tornando a casa, camminando sicura per le strade di Magdenburgo. Era profondamente diverso dal terrore che provava solo un paio di sere prima, percorrendo quelle stesse strade.
 
-Allora, ci hai pensato?- le chiese Fried, al suo fianco. Sì, ok che era più sicura, ma col cavolo che se andava in giro da sola.
 
-In effetti … non lo so. Insomma, saltare dai tetti, dipingere i muri, girare di notte … non so se fa per me.
 
-Sei sicura? Non sei obbligata a saltare dai tetti. Ci sono anche alcune ragazze con noi …
 
-Lo so, lo so … devo pensarci.
 
-Allora facciamo così … tu ci pensi, e quando decidi mi fai un colpo di telefono- le allungò un angolo di foglio a quadretti con un numero scribacchiato sopra.
 
-Mmmmh … ok. Andata!- si diedero il cinque, e si misero a ridere. Ridevano spesso, fra di loro.
Bene, dunque. Ora, oltre a conoscere la band più famosa del momento, ad aver perso la memoria per colpa di un incidente, e ad essere finita su un giornale insieme ai gemelli più conosciuti del mondo, poteva anche dire di avere la possibilità di entrare in una crew di parkouristi graffitari e chissà cos’altro. E aveva solo sedici anni. Wow.
 
 
Wooooo!!! Scusate l’immenso ritardo. Sono stata super impegnata ultimamente (vero niente, vero niente!! Ha dormito tutto il giorno!).
Spero che mi perdonerete D:
 
bene bene, ora che conosciamo un po’ meglio questi loschi figuri la faccenda si fa interessante (dopo 20 capitoli si fa interessante??). lo so che è un secolo che non si vedono i Tokio … tranquille, nel prossimo capitolo li ribecchiamo, e ce li portiamo dietro fino alla fine … perché sì, per la felicità del popolo di efp si può dire che questa ff sia verso la fine!! Yeee … no,scherzo, in realtà sto piangendo come una fontana. No, vero neanche quello.
 
Anyway!!! Lasciatemi qualche commentino carino … e ci sentiamo al prossimo capitolo, spero che questo vi sia piaciuto(nota: il titolo è dato di fretta, non ha molto senso lo so)!!! Ora scappo °-°
Bacioski :***************                     Lisa^^
 
 
 
 
 
 
 
 
 
   
 
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