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Autore: __kristenbree    14/03/2016    0 recensioni
È da quella notte che ebbe inizio la vera storia di Louis Tomlinson.
È da quella notte che decise di dare un taglio netto alla sua vita.
È da quella notte che decise di stravolgere tutto, seppur inconsapevolmente.
Durante il corso delle sua storia non farà altro che cercare di distaccarsi dal suo passato, ma il tentativo di poter dimenticare la sua vecchia vita sarà piuttosto vano perché, si sa, coloro che cercano di dimenticare il passato, sono condannati a riviverlo.
Genere: Angst, Fluff, Introspettivo | Stato: in corso
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: Harry Styles, Liam Payne, Louis Tomlinson, Un po' tutti, Zayn Malik
Note: AU | Avvertimenti: Contenuti forti, PWP, Tematiche delicate
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1. The Room

Probabilmente rimasi fermo lì, a fissare quella dannata porta per ore.

Per la prima volta in tutta la mia vita mi sentii totalmente privo di forza, quasi come se qualcuno si fosse divertito a prosciugarmele via, privandomi sia la facoltà di intendere sia quella di volere.

Mi sentivo un tale debole, un tale vigliacco, un tale codardo e in più non avevo neanche il coraggio di spostare verso il basso quella maledetta maniglia e riuscire a vedere, finalmente, quello che fui in grado di fare, o meglio, quello che fui in grado di distruggere.

Trattenendo un gran respiro, proprio come se dovessi prepararmi a stare al di sotto delle acque oceaniche per un tempo indefinito, spinsi in avanti la porta e, non appena vidi il caos a cui ebbi dato vita, avvertii immediatamente un gran senso di vuoto che mi desolò l'anima.

In quel preciso istante mi sentii soffocare, quasi come se qualcuno mi stesse stringendo la gola con una mano, mentre con l'altra fosse intento ad infliggermi un coltello dritto nel petto, dritto nel cuore.
Non solo mi mancava il respiro, ma dopo un po' iniziai ad avvertire anche una dolente fitta al cuore, proprio come se qualcuno mi avesse colpito veramente.

Quel che riuscì ad aggravare ancora di più il tutto, fu il ricordo di quelle spiacevoli parole che altro non fecero se non riecheggiarmi continuamente nella mente.

«Sei un misero coglione che continua a vivere nella vana speranza che le cose un giorno possano cambiare»

Erano parole cosi atroci, cosi crudeli. Parole dettate da una rabbia quasi indomabile e mi chiedevo se veramente, lui, considerasse quelle cose vere.

D'altronde una cosa del genere me la sarei dovuta aspettare, prima o poi.

In fondo era lui la mia fortezza, era lui la mia ancora, era lui il mio veliero.
O almeno cosi credevo.

«Svegliati, cazzo! Ancora non l'hai capito che in quella maledetta azienda tutti ti leccano il culo solo perché io ti fotto?»

Con gli occhi pieni di lacrime, chiusi la porta alle mie spalle e ci scivolai sopra lentamente, finché non mi ritrovai seduto sul pavimento, continuando a tenere nella mia mano destra la bottiglia di whisky.

«Quelli non sono tuoi guadagni, ma miei Lou, solo miei! Quel successo non ti appartiene!»

Reclinai il capo e, appoggiandolo delicatamente sulla porta, chiusi gli occhi. Ne approfittai per tirare giù l'ennesimo sorso e fu proprio da quel momento che cominciò a girarmi la testa.

Ero seduto lì, completamente sbronzo, intento ad osservare quella piccola camera completamente distrutta.

Tutto era distrutto, cosi come lo ero io.

Dopo qualche minuto sentii la forte esigenza di dover respirare aria diversa; aria pura, fresca e non più quell'aria insolente, atroce.
Cosi, quando mi decisi, mi alzai cercando invano il mio equilibro ma, continuando a barcollare, riuscii a stento a raggiungere quella finestra che tanto mi fu d'ispirazione per mesi.

«Sei solo un misero fallito»

Fuori pioveva a dirotto e, osservando minutamente le nuvole grigiastre, pensai che probabilmente il cielo non stesse scatenando una tempesta, ma che stesse semplicemente dando sfogo ai suoi sentimenti.

Quella non era pioggia, erano lacrime. Le stesse che avrei dovuto tirare io fuori.
Chissà, probablmente anche lui era stato ferito da qualcuno.

Il cielo però non era come me, non era debole, vigliacchio e codardo.
Lui aveva un gran bel coraggio e lo dimostrava mostrando i suoi sentimenti.
Io inveve no, volevo solo reprimerli e scappare.

Lui, il cielo, le tempeste le scatenava fuori di sé, io dentro di me.

«Ma ancora non l'hai capito? Piccolo Lou, fino ad ora hanno accettato i tuoi lavori solo perché io li costringevo! Tu non hai talento, cazzo!»

Voltando lo sguardo verso la stanza, ancora non mi capacitavo di quello che fossi riuscito a fare.
'Veramente sono stato in grado di distruggere il mio mondo?' pensai tra me e me.

Quella stanza aveva lo strano potere di farmi evadere completamente dal mondo reale, riuscendo, non solo a liberarmi dalla disperata e noiosa quotidianità con cui ogni l'uomo si ritrova a fare i conti da sempre, ma era in grado di sprigionare completamente la mia essenza, la mia arte.

Mi sentivo protetto, rassicurato.
Era quel posto in cui nessuno disponeva la facoltà di giudicarmi. Ero sicuro del fatto che potessi essere semplicemente me stesso.

Però, da quella maledetta notte, quel posto divenne tutt'altro che rassicurante ed io ne fui la causa, perché io, proprio io, Louis Tomlinson, fui in grado di distruggerlo.
Ma in fondo, si sa, distruggere quello che si ama appartiene all'indole dell'uomo.

In quel momento, il pavimento era sommerso dalle mie migliori creazioni che precedentemente appesi alle pareti tinteggiate di colore rosso.
Non riuscendo a tenere lo sguardo su quello scompiglio, mi diressi lentamente verso la scrivania che poco prima capovolsi con fin troppa rabbia. Accanto a sé era presente un piccolo divanetto bianco, ormai caratterizzato da varie chiazze nere, a causa dei calci tiratogli contro.

Su quel divanetto passai diverse notti, forse fin troppe, a disegnare sulla tavola grafica o a fantasticare su tutti quei romanzi che non ebbi mai il coraggio di scrivere.

Era più forte di me, era una sorta di liberazione e dovevo farlo. Certe volte era come se, in maniera del tutto improvvisa, la mia mente me lo imponesse, quasi come se il suo unico scopo fosse la mia completa realizzazione o il completo rafforzamento delle mie capacità.

A volte mi sembrava di impazzire, ma a quelle voci, a quei bisbigli, a quegli ordini... non potevo di certo sottrarmi.

Girando lo sguardo sulla destra, alla vista di quella vetrinetta andata completamente in frantumi, mi spuntò un sorriso amaro sul volto, accompagnato, a sua volta, da una piccola lacrima.

Era da anni che collezionavo macchine fotografiche e ogni volta che ne compravo una, andavo immediatamente a disporla lì, nella vetrinetta.

Purtroppo, ancora non mi capacitavo di come in un attimo, in un solo attimo dominato dalla mia fottuta rabbia repressa, fossi stato in grado di distruggere anche la mia collezione di macchine fotografiche.

La fotografia era il mio tutto per il semplice fatto che fosse l'unica cosa in grado di manifestare al meglio la mia essenza ed io? Io l'avevo distrutta. Avevo distrutto tutto: me, lei e la mia arte.

Quel che riuscì a distogliermi dai miei pensieri fu la suoneria del cellulare che, improvvisamente, iniziò a squillare.

Senza badare al nome risposi di malavoglia, ma non appena sentii la sua voce, l'unica che in quel momento potesse confortarmi, subito mi rasserenai.

«So che magari ti sembrerà azzardato, ma magari potresti venire qui, che ne dici? Cambiare aria ti farebbe bene.» mi disse Zayn con una tonalità del tutto convincente, nonostante stesse dall'altra parte del telefono.

«Zayn non so dai, poi ti richiamo. » gli risposi dimostrandogli chiaramente il mio disinteresse.
In realtà, in quell'istante, non considerai affatto la sua proposta. Pensavo che scappare dai problemi fosse una cosa del tutto demenziale e non era mio obiettivo trascinarmi dietro le spalle degli scheletri, degli scheletri del passato. 

«Ehy, non devi necessariamente trasferiti. Cambia aria, anche solo per un paio di giorni. Sono del parere che ti servirebbe, non solo per chiarire la faccenda della tua arte, ma anche quella di Dan.» mi disse lentamente, cercando ancora per una volta di convincermi.
In fondo aveva ragione, avrei dovuto riflettere a lungo riguardo al mio futuro, ma non ne avevo voglia, l'unica cosa che volevo era solo scappare e rifugiarmi sotto le coperte.

«Che poi, non potrei mai credere al fatto che tu voglia rinunciare alla tua arte per il nulla. Tu sei nato per fare il grafico digitale, hai fatto tanto per riuscire a realizzare il tuo sogno e poi? Molli?» poco dopo mi disse e, pronunciando quelle parole tutto d'un colpo, mostrò chiaramente il suo disaccordo.

«Zay, ti prego, non mi va di parlarne ancora.» quella, più che un'affermazione, mi parve una supplica.
Volevo solo star tranquillo, era tanto da chiedere?

Intanto il mio sguardo girovagava ancora per la stanza e vederla in quelle condizioni, mi distrusse.
In quel momento, quel piccolo studio, nel quale ci rimisi l'anima per realizzare le mie opere, era un po' come se fosse lo specchio della mia anima: distrutta e disorientata.

Dovevo lasciare la mia arte? Lasciare Dan? Lasciare Doncaster? Raggiungere Zayn? Vecchia vita o nuova vita? Sentivo che a breve la mia testa sarebbe esplosa.

«Secondo me dovresti venire qui, seriamente, giusto per schiariti le idee, ci sono io e altri amici che potrei farti conoscere, andiamo! » Non feci in tempo per ribattere, perché subito dopo continuó dicendomi: «Che poi, pensandoci, qui a Firenze c'è la galleria degli Uffizi e sappiamo entrambi quanto muori dalla voglia di vedere dal vivo le opere di Botticelli.»
Quella era una fottuta provocazione, ma nonostante ció riuscì comunque a stamparmi un gran sorriso sul volto.

Era semplicemente unico.

«Tu sei un fottuto stronzo» gli dissi cercando di trattenere una risata.

«Sono tuo amico, é diverso, coglione! Comunque tu pensaci, d'accordo? Casomai il biglietto te lo pago io!»
A quel punto entrambi scoppiammo in una fragorosa risata.

«Ti faró sapere Zay, buonanotte» gli dissi e mentre cercavo di trattenere altre risate, staccai la chiamata.

   
 
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