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Autore: _fromthebibleofnone_    15/03/2016    0 recensioni
Morgan è, malgrado il nome, una sedicenne dai capelli e dagli occhi scurissimi. Ha un viso grazioso, l'onestà e l'intelligenza viva dei ragazzi cresciuti tra le montagne e i boschi, nella campagna intorno a un piccolo paesino, ma sin da piccola porta dentro una cattiveria, ripropone con gli altri il modello di violenza usato con lei. Cadere dall' alto.
Michael è più grande di lei, timido, tranquillo e dolce, ma anche sveglio e originale. Piacerebbe a molte ragazze, se solo non sembrasse così strano ai loro occhi... Ma Morgan lo capisce perfettamente, e lui capisce lei. Il problema è proprio questo: ognuno vede perfettamente attraverso le crepe dell'altro. E questa è la loro storia.
Genere: Introspettivo, Sentimentale, Triste | Stato: in corso
Tipo di coppia: Nessuna, Het
Note: Lime | Avvertimenti: Contenuti forti
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Capitolo 1

Era un sabato pomeriggio di aprile e Morgan era sdraiata sul divano, stava leggendo.
La ragazza scostò dagli occhi il ciuffo di capelli neri, poi chiuse pigramente il libro guardando l'orario sul cellulare. 
Erano già le 16, l'ora a cui aveva previsto di uscire.
Si alzò di scatto ed andò a cambiarsi
Tolse la tuta da ginnastica che aveva indossato a scuola, indossando un paio di jeans grigi dritti e abbastanza larghi, una t-shirt nera con la faccia di Nietzsche e la felpa blu elettrico di Star Trek. Prese al volo la borsa di jeans a tracolla e ci mise dentro il cellulare e le chiavi, poi si infilò gli immancabili Dr. Martens appartenuti a sua mamma, l'unico capo di abbigliamento di marca che aveva.
Corse fuori di casa e mise in moto il motorino, diretta verso il centro della città, correndo con il vento nei capelli.

Venti minuti dopo, quando scese, le nuvole promettevano pioggia. Camminò velocemente per gli stretti vicoli del quartiere dove prima abitava Damian. 
La loro scuola elementare era a due passi, quella dove avevano frequentato i primi anni di scuola. 
Quando arrivò davanti al cancello, notò il cartello che avvisava dell'imminente demolizione dell'edificio.
Per quel motivo era tornata lì dopo tanto tempo, per dire addio all'ennesimo ricordo di loro tre, Damian, Clara e lei.
Spinse il cancello di ferro battuto, che si spostò cigolando. Passò nello stretto spazio, e quando entrò nel cortile di pietra pensò a quando nell'intervallo si arrampicavano tra i rami del melo che ora era secco. 

La piccola, graziosa scuola in mattoni rossi si ergeva a pochi passi, abbandonata da alcuni anni. Loro probabilmente erano stati l'ultima classe ad utilizzarla. 
Non si ricordava molto dei suoi compagni, se non che erano tutti estremamente stupidi o piagnucoloni, e a volte la prendevano in giro. Era permalosa, e lì per lì se la prendeva, ma non potevano farle del male, all'epoca era inattaccabile.
La porta, com'era prevedibile, era chiusa, ma quella sul retro, di legno, mancava del tutto perciò entrò. Sgranò gli occhi guardando le pareti azzurre e le porte rosse, ora sporche e dalla vernice scrostata, finché non trovò quella della loro aula, la IV A.

I piccoli banchi, incredibile a dirsi, c'erano ancora, coperti da due dita di polvere e calcinacci. I vetri della finestra erano in frantumi sul pavimento, perciò si guardò bene dal calpestarli.
Il soffitto era punteggiato da segni di muffa ed umidità.
Notò un segno verde sul muro e si ricordò di quella volta che Clara, durante l'ora di disegno, aveva cercato di colpire Jack, un loro compagno piantagrane con cui spesso litigava, con un pennello intinto nella tempera verde.

I tre banchi in fondo, vicino all'armadio che ora era rotto e il cui contenuto era sparpagliato per terra, se li ricordava bene. Lì si erano seduti per quattro anni, prima che la scuola venisse chiusa e trasferita altrove per motivi di sicurezza. E dietro la lavagna doveva esserci una scritta... Perché doveva essere tutto finito? Perché Damian e Clara non c'erano più, almeno non lì? Non aveva più nessuno.

La sollevò delicatamente, senza fare rumore, ma si bloccò. C'erano dei passi leggeri. Il rumore di un altro respiro. Cosa avrebbe dovuto fare? Nascondersi? La polizia? Era illegale entrare in un edificio abbandonato... Ragionò velocemente, ma non le veniva in mente niente che avrebbe potuto fare. Nascondersi sotto un banco sarebbe stato semplicemente ridicolo, ma non c'erano altri posti...
Prima che potesse fare qualsiasi cosa, qualcuno irruppe nella stanza.
"Chi sei?" gridò lo sconosciuto. La lavagna ritornò al suo posto, lasciata cadere dalla ragazza con un tonfo sordo. Fece per scappare, ma lui la bloccò, tenendola con forza per la manica. 

"Aspetta! Non ti farò niente di male!"

Morgan lo guardò. Il ragazzo era molto più alto di lei (e non ci voleva tanto, la ragazza era di statura piuttosto bassa), aveva la pelle chiara e dal cappello nero, portato al contrario, che non aveva la scritta da truzzo "NY", spuntavano riccioli neri. Gli occhi erano di un colore indefinito tra il grigio, il verde e l'azzurro, i tratti del viso armoniosi. Indossava una felpa nera degli AC-DC, dei jeans chiari e delle converse verde militare. La sua vista la colpì. Era innegabilmente figo, e perdipiù in lui c'era qualcosa di particolare che la attraeva.

"Che ci fai qui?" Gli chiese con tono arrogante.
"Potrei farti la stessa domanda" ridacchiò "Comunque, questa era la mia classe. La demoliscono, lo sapevi?"
"Sì. Anche io sono venuta a scuola qui, quattro anni dopo." Rispose Morgan.
"Se mi dici perché sei qui, te lo dico anch'io" 
"Dovrebbe fregarmene qualcosa?" Rise la ragazza.
"No, ma a me sì" Replicò quello.
"Mi dispiace, ma è pericoloso dare confidenza agli sconosciuti." 
"Non sembri avere paura. E se aggiungessi una Light?" Rilanciò sorridendo.
"Mi spiace, ma non fumo" Mentì.
"E allora perché" insinuò il ragazzo, raccogliendo qualcosa dal pavimento "prima ti è caduto un accendino?"
"Giusta osservazione, ti facevo più stupido. Però stai attento, le Light sono estremamente da checca, ti fanno sembrare ancora più effeminato. 
Diciamo che ora sono qui per salutare dei ricordi." Concesse la mora, riprendendosi l'accendino.
"Grazie dei complimenti, eh!

"Questo edificio è stato un rifugio per anni, per me. Fammi vedere se dietro la lavagna..."
" C'è scritto 'I am the king of carrot', in tre colori diversi." Concluse lei.
" 'Flowers', e i colori sono quattro. L'ho completata io qualche anno fa, è una citazione..." Disse, alzando la lavagna. La prima parte, "I AM", era scritta con un pastello marrone, la seconda, "THE KING", con la tempera verde, la terza, "OF CARROT", con una bomboletta arancione e "FLOWERS", l'ultima, con un pennarello indelebile nero. La vista di quell'immagine fece barcollare Morgan.
"Dei Neutral Milk Hotel, lo so. L'abbiamo scritta noi da piccoli. Contava, per me. Oggi ero venuta per completarla." Concluse. Come si era permesso, di modificare la loro scritta?

"Noi chi?" 
"Non sono cazzi tuoi." Disse, scurendosi in volto e diventando subito più ostile. "E ora, la sigaretta." 
"Ecco a te, principessa" Sorrise Michael, che ancora non le aveva detto come si chiamava, ma essendo io l'autrice lo so benissimo e posso scriverlo quante volte mi pare, tirando fuori dalla tasca della felpa un pacchetto di sigarette, ne estrasse cerimoniosamente una e gliela porse. Ignorò l'insulto, pensando che ognuno di noi ha ferite più o meno dolorose e questa doveva essere una di quelle.

"Come hai detto, scusa?" Scattò su come colpita da uno spillo mentre accendeva la sigaretta. "Mi prendi per i fondelli?"
"Ehi, calma! Non intendevo offenderti. " Le rispose il moro. 
A quel punto, Morgan decise di battere ritirata. Sentiva il rumore del suo cuore e le fischiavano le orecchie, quel ragazzo aveva qualcosa che... "Senti bello, è stato un piacere e grazie ma io devo proprio..."

"Venire con me a prendere qualcosa da Cisco, già. Comunque, sebbene mi faccia piacere sentirmi chiamare bello, mi chiamo Michael." Concluse l'altro con un sorriso disarmante. 
"E va bene, basta che non rompi le scatole." annuì senza un motivo ben preciso. 
Sbuffando una nuvoletta di fumo, si lasciò condurre per le vie tortuose della cittadina da Michael, sotto l'acquazzone che era scoppiato poco prima. Era strano che lei, di solito così ombrosa, desse confidenza a una persona in quel modo solare.
Era molto più grande, ma non si sentiva in soggezione nei suoi confronti. Lei era davvero dura, e si rendeva conto di quanto lui fosse più vulnerabile e dolce, ma inspiegabilmente non intendeva comportarsi male nei suoi confronti. Forse il fatto che Michael non conoscesse davvero il lato peggiore di lei, e si comportasse di conseguenza, la rendeva migliore. Non era nemmeno arrabbiata, piuttosto si sentiva come se in lei si fosse rotto e aggiustato qualcosa nello stesso tempo.

Al bar, un posto non troppo frequentato considerando che era un sabato pomeriggio, presero rispettivamente una Fanta e un caffè e si sedettero ad un tavolino a chiacchierare del più e del meno. Scoprì che Michael aveva ventun anni, cinque più di lei, suonava la chitarra e studiava matematica e scienze naturali alla Wesley, un ottimo college a circa due ore di viaggio da lì, dove sarebbe dovuto tornare prima di notte. Parlarono di scuola, professori, musica, libri, gente e tanti altri argomenti, come se ci tenessero a conoscersi nel minor tempo possibile, come se credevano fosse possibile.
Michael era intelligente, buono e sensibile, spesso solitario ed asociale, e si rifiutava di vivere come sarebbe piaciuto agli altri, ma non ci teneva a sbandierarlo ai quattro venti, a "fare il ribelle", perché credeva che non ci fosse cosa più stupida di agire in un certo modo per sembrare qualcuno o qualcosa, che tra l'altro era ciò che voleva evitare.
Quaranta minuti dopo, dopo che ognuno ebbe pagato il suo e furono usciti dal locale, non aveva ancora smesso di piovere. 

Michael la riaccompagnò al posto dove aveva lasciato il motorino, un parcheggio piuttosto isolato. Lui sarebbe tornato al college in autobus. Morgan stava dicendo qualcosa che riguardava il Pardosso di Einstein - Podolsky - Rosen, quando la sua attenzione si focalizzò sulle labbra del ragazzo. Subito provò l'impulso di baciarlo, ma anche alzandosi in punta di piedi era troppo bassa, il moro sarà stato 1,80 mentre lei non era più alta di 1,60. Il ragazzo però stava pensando la stessa cosa. 

Immediatamente smisero di percepire qualsiasi cosa intorno a loro, la pioggia, il vento, qualche passante.

 Le mise una mano sulla vita sottile, l'altra tra i capelli leggermente ondulati, e la spinse violentemente contro il muretto, gettandosi sulle sue labbra come se fossero di vitale importanza per lui. Si fissarono negli occhi. Fu un bacio intenso, e quando, dopo un'eternità, si staccarono, la ragazza ansimava. Le labbra di Michael sapevano di fumo, caffè e chewin-gum alla menta, lui emanava un vago odore di carta e inchiostro, lo stesso dei libri appena stampati, e i suoi occhi erano straordinariamente ricchi di sfumature di verde, nocciola, grigio e azzurro. Il cuore le batteva forte, le rombava il sangue nelle orecchie, tremava leggermente. 

Lui la fissò. Non sapeva il perché del suo gesto violento, così inusuale rispetto a come si comportava di solito. Non si sentiva per niente timido e, sebbene sapesse che Morgan non era tipo da avere paura di un semplice bacio, sperava di non averla spaventata. Mio Dio, pensò, è una bambina, è molto più piccola di me. Perché, così minuta ed esile, non rendeva l'idea della potenza che aveva, che era. Sembrava un graziosissimo scricciolo, un fiore di papavero che poteva essere schiacciato o portato via dal vento. 

Ma dopo qualche secondo, il tempo di riprendere fiato, lui prese prepotentemente i suoi polsi, sentendo i muscoli tendersi, e li schiacciò con forza contro quella parete. Spostò il peso del suo corpo contro quello della ragazza, lasciandola senza fiato, e si precipitò ancora una volta sulla sua bocca. Stavolta la bruna chiuse gli occhi -tremava come il piatto della batteria-, sentiva una tensione salire dalla pancia ed insinuarsi in lei. 

Quando si staccarono, le girava la testa, ma tutto contribuiva a rendere stupendo ciò che stava provando. Si ritrovò a cercare di tirare giù la zip dei pantaloni del ragazzo, ma lui le fermò la mano, arrossendo violentemente.

"Non è ciò che volevi?" Chiese.

Il sangue di Michael pulsava violentemente, e non si poteva dire che non volesse fare cose poco caste con lei, ma cercò di ragionare. 

"Calma, piccola." disse, ansimando. "Io ho ventuno anni, tu sedici. Non può andare bene... Ho paura di farti del male." 
Stavolta toccò a Morgan arrossire. "Non m'importa. Sono pronta" disse.
"Non ho un preservativo. E scommetto che sei vergine. E posso essere accusato di pedofilia. E potrei continuare per ore, senza avere torto."
Fu costretta a dargli ragione.

 Lui la strinse in un abbraccio, un abbraccio dolce e delicatissimo, completamente diverso dalla morsa di poco prima. Si scambiarono i numeri di telefono e poi lei andò via sul motorino, mentre l'altro si allontanò a piedi.

Morgan spinse al massimo quello stramaledettissimo affare che non andava a più di 47 km/h, scappando il più velocemente possibile dai suoi stessi pensieri. 

   
 
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