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Autore: Arbiter Ex    15/03/2016    1 recensioni
Il regno di Boletaria, governato da Re Allant XII, fa fronte alla più grande crisi che l'umanità abbia mai affrontato. L'Antico si è risvegliato, e una densa Nebbia incolore è scesa sulla terra. Da essa, terribili Demoni emergono, rubando le anime degli uomini, e facendole proprie. Chi perde la propria anima perde il senno, e i folli attaccano i sani, mentre imperversa il caos. Presto o tardi la Nebbia ammanterà ogni terra, e l'umanità è soggetta ad una lenta estinzione. Ma Boletaria ha ancora una speranza: un prode guerriero, che ha attraversato la Nebbia. Nella sua lotta non sarà da solo, e di lui verrà raccontata la sua storia, narrata da chi lo ha seguito nella speranza che portasse la fine della Piaga e ristabilisse l'ordine del mondo.
Genere: Avventura, Fantasy | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Altri
Note: Cross-over | Avvertimenti: Violenza
Capitoli:
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Nota dell'autore: Che ritardo,eh? Spero vivamente che il capitolo sia valso l'attesa. Buona lettura!


Demon’s Souls:
Le cronache dell’uccisore di Demoni
Capitolo 16
 
La Valle di Corruzione era sinonimo di tutto il marcio che gli uomini si lasciavano dietro e contenitrice di ciò che ritenevano inutile, difettoso e da scartare. Una conca paludosa ed immensa, dove liquami tossici e velenosi si riversavano su una terra putrida, casa di creature disgustose e soggette ad un continuo disfacimento, parassiti abietti. Una perenne ed imperscrutabile coltre nera ammantava quella depressione ignobile, formata dai fumi venefici provenienti dalle carni putrefatte di carcasse mutilate, cadaveri abbandonati, aborti indesiderati. Da quel manto malsano cadeva pioggia acida incessante, in una notte eterna e profonda che non faceva mai posto alla luce del sole. La nascita della Valle era sconosciuta a tutti: da sempre si sapeva della sua esistenza, ma nessuno fu mai in grado di capirne l’origine o fu disposto a cercarla. Ancor prima dell’alba del regno di Boletaria e di quelli vicini, veniva già sfruttata come discarica di ogni sorta di rifiuto pensabile, e benché non era possibile che si espandesse nel territorio circostante, la corruzione che consumava quel luogo era fatale per chiunque vi s’addentrasse. Per un motivo e per un altro, ma soprattutto per ragioni che nessuno voleva ricordare, sorprendentemente il numero di coloro che vennero abbandonati nella Valle e che sopravvissero crebbe col passare dei secoli. Si parlava, comunque, di qualche centinaia di persone, ma il fatto che la presenza umana fosse riscontrabile persino in quel luogo era poco meno che un miracolo. Ma la vita che conducevano quegli emarginati, quei malati e malfermi, probabilmente non era meritevole di essere vissuta: regrediti ad animali violenti, storpiati nel corpo e nella mente, resi folli dalle condizioni disumane, diventarono esseri intrattabili ed irraggiungibili. Nessuno si preoccupò di loro. Nessuno, tra regnanti e membri del popolo, pensò di rivolgere anche solo un pensiero a quelle anime sfortunate ed al luogo a cui sopravvivevano, tanto era densa la tenebra che ne diffondeva l’idea. Nessuno ebbe il coraggio di affondare le mani nel sudiciume dei propri misfatti e delle proprie colpe, finché non nacque il Culto. Un giorno, un Capo altruista e magnanimo come nessun altro, incapace di voltare le spalle alle sofferenze di quelle povere persone, creò una comunità completamente devota al soccorso dei deboli e dei reietti, secondo gli insegnamenti di un Creatore benevolo e giusto. Dapprima piccolo gruppo, il Culto si espanse tanto da contare decine di migliaia da quasi ogni parte del mondo, uomini e donne le cui anime assopite si erano destate per correre in aiuto dei più sfortunati e dei dimenticati. Dopo molti tentativi ed altrettanti fallimenti, il Culto riuscì a stabilire un contatto e a guadagnare la fiducia degli abitanti della Valle di Corruzione, ed i governi furono sollecitati a finanziare operazioni di salvataggio in loro aiuto. Fu grazie agli sforzi del Capo che la società del suo tempo sembrò rinascere sotto l’egida di una giustizia benevola, al pari del primo governo dei popoli. Fu quella la speranzosa realtà, finché la sete di potere non traviò gli uomini, e discese la Nebbia. I Demoni emersero, uccisero e divorarono ovunque. Metà del mondo venne persa per sempre, innumerevoli anime vennero inghiottite dall’Antico, ed il tempo si riavvolse con spietata indifferenza. Il Culto si estinse, la Valle di Corruzione tornò ad essere l’inferno infetto che era sempre stata, e gli uomini dimenticarono il significato del sacrificio e della compassione. Del suo ordine, solo il Capo sopravvisse, per un destino crudele che lo vide testimone della vanificazione di tutto il suo lavoro e del suo sogno. Quando i Monumentali sigillarono l’Antico, bandirono le Arti dell’Anima, e crearono le Arcipietre, il Capo raccolse ciò che rimaneva delle sue fatiche, accettò una delle gemme, e si ritirò per sempre con i suoi sopravvissuti nella Valle di Corruzione. Il Culto non venne riformato, e lui esaurì la sua vita vicino a coloro per cui diede tutto sé stesso. Una volta morto, venne dimenticato: i suoi protetti, di nuovo ignoranti. La ruota del tempo tornò a girare, e dalle ceneri di quell’antica società, l’uomo ricostruì. Rinacquero i regni, primo tra tutti quello di Boletaria; rinacquero i popoli e le culture; dagli insegnamenti del Culto, rinacque la fede, con l’avvento della Chiesa. Tuttavia, furono imitazioni stanche e distorte di ciò che volevano rappresentare: l’immoralità intaccò la politica, il degrado guastò lo spirito della gente, la religione venne contaminata dalle ambizioni insaziabili. E prima che l’uomo si rendesse conto degli antichi sbagli che era destinato a ripetere, la tragedia tornò a stroncare i suoi sogni di grandezza. L’Antico venne di nuovo risvegliato, ed i Demoni tornarono sulla terra. L’umanità era sull’orlo dell’estinzione: spettava ad un solo uomo decretarne la fine, o gettare le fondamenta di un suo nuovo inizio.

Nel profondo della Valle di Corruzione, basse palafitte fatiscenti e per lo più distrutte venivano lentamente erose dal terreno molle putrefatto e dalla fine pioggia amara. Vicino a quei vecchi abbozzi di abitazioni pericolanti scorreva quello che una volta doveva essere stato un fiume, ora sostituito da un lento ma costante flusso di rifiuti organici di ogni tipo, su cui ronzavano e strisciavano innumerevoli tra insetti e parassiti. Tutt’intorno, il suolo grumoso emetteva vapori venefici da ogni suo poro, ribollendo indolentemente. Sotto un cielo nero pece, l’unica luce proveniva da numerose torce, appese ad ogni parete, e falò disseminati ovunque. Da sotto il tetto crollato di una delle dimore rovinate, s’aggiunse un nuovo lume: l’antica Arcipietra si accese debolmente, spaventando le miserabili bestioline intorno, che si dispersero confuse. Dal nulla comparvero tante piccole particelle opache, conversero informi finché non rivelarono Firion e Claire. La ragazza venne subito sorpresa dalla pesantezza dell’aria, satura di miasmi infetti e penetranti. Arretrò rivoltata dai piccoli striscianti ai suoi piedi, atti a nutrirsi delle carni morte, e dal suolo agitato sotto di essi. Le orecchie si riempirono della cacofonia dello sciamare di centinaia di quei piccoli esseri, facendole desiderare di perdere l’udito. Si coprì naso e bocca con una mano e serrò gli occhi, bruciati dai fumi insalubri. In un attimo le tornarono alla mente i momenti orrendi vissuti alla Torre di Latria. Rimase sconvolta e stupita dal vedere che potessero esserci spettacoli peggiori di quelli a cui fu costretta ad assistere in quell’incubo ad occhi aperti. Si accorse della pioggia sopra di lei, che la colpì ripetutamente sul capo, sulle dita e sul palmo: pizzicava. Firion la raggiunse e mosse velocemente le mani per metterle addosso il suo mantello. Strappò dalla cappa un lembo lungo per farne un cappuccio, che le aggiustò sulla testa. Claire non disse niente mentre lui lavorava per coprirla al meglio. Si limitò a fissarlo, assorto nel suo lavoro. Le fece un po’ impressione vederlo torreggiare su di lei, sembrava ancora più alto e grosso di quando lo conobbe. A dire la verità, era molto cambiato dalla prima volta che s’incontrarono: la sua pelle lievemente abbronzata aveva migrato ad un cinereo annerito da vene a fior di pelle innaturali, ed i capelli candidi sembravano ora macchiati di fuliggine; i profondi occhi nocciola avevano lasciato il posto ad un rosso sanguigno ferale e selvaggio; il suo sorriso caldo era svanito. Rimaneva un’espressione fredda e distante, che riusciva a trasmettere poco altro solo quando stava o parlava con lei. Per un attimo si disse che il cambiamento si fermava all’aspetto esteriore, e che il suo umore grigio era dovuto solo al fatto che la sua missione lo stava sensibilmente debilitando. In cuor suo, però, sapeva che c’era molto di più, troppo di più, dietro quelle apparenze. L’avvertimento che le aveva dato sua sorella in sogno era stato molto chiaro: Firion era soggetto ad un violento turbamento interiore, represso sotto una maschera stoica e dietro l’ossessione di una missione suicida.
“Questa che senti non è vera pioggia. Ricorda di coprirti sempre e di non esporti per troppo tempo” disse lui, finendo di posizionare per bene il copricapo.
“E tu? Non ti copri?”
Firion diede una piccola risata, priva di allegria.
“A me non può fare niente…”
Tacque e divenne silenzioso, guardandola intensamente per lunghi istanti. Claire non poté fare a meno di sentirsi un po’ a disagio, pensando che volesse dirle qualcosa che però non venne mai. Ruppe il contatto visivo e si portò poco più avanti, tenendosi a debita distanza da insetti e resti organici.
“Allora: sarà il caso di muoversi. Non mi va di restare troppo qui. Dove dobbiamo andare?” disse lei, rompendo il ghiaccio. Firion sembrò capire e seguì il suo suggerimento.
“Dobbiamo raggiungere la profondità estrema della valle, dall’altro capo della conca. Posso sentirlo: è lì il nostro obiettivo.”
“Immagino che dovresti essere tu a fare strada, allora.”
“Certo. Stammi vicino, però: è pericoloso qui.”
Claire diede un leggero cenno affermativo. Firion la superò e scese un piccolo dislivello, che lo portò in vista di nuovi fuochi che illuminavano la strada. Porse senza pensarci la mano a Claire per aiutarla. Lei l’accettò con un piccolo sorriso. Poi, s’incamminarono verso un largo corridoio roccioso, un passaggio per il centro della Valle. Firion si portò in testa, e la loro traversata ebbe inizio. Le uniche cose che li accompagnavano era il disgusto che suscitava quel luogo ed i loro pensieri. Quelli di Firion erano indecifrabili. Claire, invece, si distrasse pensando ai momenti che avevano preceduto la sua nuova partenza, quando il Cacciatore tornò al Nexus dopo aver incontrato Serah in sogno. Lei lo aveva aspettato per molto tempo, passato a legare col bambino che le aveva affidato Yuria. Alla fine Firion tornò, ma non come se lo sarebbe aspettato. La prima cosa che disse quando si materializzò davanti a loro fu che colei che aveva mandato Yurt non avrebbe più dato problemi: era riuscito a tenderle una trappola, e l’aveva fatta venire allo scoperto. Quando si vide messa con le spalle al muro, la donna affrontò Firion, senza dirgli niente su chi fosse e perché avesse sguinzagliato Yurt contro di loro, ammettendo solo di averlo fatto. Firion fu costretto a combattere, e scoprì che il suo avversario era un’umana tramutatasi in un demone molto potente, che era riuscito a mascherare l’onda della sua anima. Nonostante la sua enorme pericolosità, non fu comunque in grado di resistere a lungo sotto i colpi del Cacciatore, e venne ucciso rapidamente. A quel punto, Firion capì, la ragione per cui gli abitanti del Nexus furono assaliti era presto detta: una donna bramosa voleva l’anima del Cacciatore di Demoni per sé, ma non era abbastanza forte per ottenerla da sola. Si rivolse, quindi, ad un assassino, nella speranza che un’uccisione furtiva bastasse allo scopo. Probabilmente, aveva dato istruzioni di togliere di mezzo chiunque lo intralciasse o che ritenesse opportuno uccidere per portare a termine l’incarico. Era una supposizione: solo l’anima di quel demone avrebbe rivelato la verità, col tempo. Firion assorbì quindi un’altra anima demoniaca, che lo ridusse allo stato con cui si presentò ai suoi amici. La loro prima reazione fu istintiva, ma non meno sconfortante: si ritrassero tutti, impauriti e timorosi. Quando si resero conto di chi fosse, lo salutarono come meglio poterono, ma il danno era fatto. Solo Claire lo accolse abbracciandolo e sinceramente impensierita dal suo drastico cambiamento. Lui non ebbe tempo per chiedersi del mutamento repentino dell’umore della ragazza, godendo invece del contatto. Mentre era seduto su uno dei bauli di Thomas, vicino a Boldwin che lavava dal sangue le sue vesti, il Cacciatore tornò a parlare della donna colpevole di aver mandato Yurt contro di loro. Aggiunse malinconicamente che era solo colpa sua se Freke, Urbain, l’Accolito e Serah avevano perso la vita. Se non fosse stato per lui, loro sarebbero stati risparmiati. Il fabbro si affrettò a rispondergli enfaticamente che non doveva pensarlo neanche per un istante. Lui stava dando tutto sé stesso per salvare loro e la loro casa, non doveva permettere che l’operato spregevole di uomini vili offuscasse il suo giudizio. Claire la pensava come il vecchio artigiano, ma Firion non mutò la sua idea, tenendola nascosta. Dopo un po’, il giovane Cacciatore fu di nuovo pronto a partire, lui non aveva bisogno di riposare. Thomas si oppose e lo pregò di trattenersi il minimo indispensabile per recuperare le energie e tornare tra loro: forse non era chiaro a suoi occhi, ma Firion aveva bisogno di fermarsi per del tempo e riordinare i pensieri. L’altro gli rispose che mancava troppo poco per fermarsi ora, e con quello chiuse la discussione. Prima che partisse, Claire gli raccontò del contatto con sua sorella. Non si era ancora del tutto ripresa, e forse non ci sarebbe mai riuscita completamente, ma il fatto che avesse parlato con Serah era per lei la prova che era ancora viva ed accanto a lei, nel suo spirito, e questo la sottrasse a molto del dolore della sua perdita. Diede a Firion una mezza verità, dicendo che Serah le chiese di impegnarsi ad aiutarlo a superare le difficoltà della sua missione, omettendo invece il monito sull’oscurità nel suo cuore. Se gli avesse detto tutto, lui l’avrebbe quasi sicuramente allontanata, sentendosi messo in discussione, e lei non poteva rischiare. Firion non provò nemmeno a farle cambiare idea. Attese che si equipaggiasse opportunamente, e fu così che partirono per la Valle di Corruzione, luogo abietto casa dei peggiori peccati dell’uomo e della natura. Claire pensò in quei termini finché non arrivarono all’altro capo del corridoio che avevano imboccato. Il cammino si fermava su di un dirupo che dava sull’ambiente centrale della Valle, un’estesa palude priva di vegetazione, dove non vi era acqua ma lividi veleni, e dove, in lontananza, numerose torce accese facevano scorgere costruzioni in legno. Uno stretto ponte consunto, costruito tra le sporgenze rocciose, portava in basso, rendendo la discesa scomoda ma fattibile. Firion e Claire lo percorsero con cautela e senza fretta, alla luce di fiaccole e candele. Non ci fece caso prima, ma Claire rifletté che quei fuochi, che bruciavano su resine di alberi come la trementina, dovevano essere recenti. Qualcuno doveva averli accesi: che fossero pericolosi o meno era ancora da scoprire, ma che li avrebbero incontrati, era fuor di dubbio. Arrivarono ad una larga sporgenza, che li separava per circa mezzo metro dai liquidi melmosi della palude, la cui superfice era increspata dalle goccioline di pioggia. Firion segnò a Claire di fermarsi. S’inginocchiò ad esaminare quei fluidi, scrutò davanti a sé, e sembrò considerare in silenzio, per qualche momento, la loro situazione.
“Siamo sulla strada giusta, ma sembra che non ce ne siano altre. Non è possibile aggirare la palude, possiamo solo attraversarla. Però, quella che vedi qui sotto è una mistura letale che corroderebbe la pelle di un uomo normale in pochi secondi. Armature e vesti verrebbero risparmiate, ma non la carne viva. Sta di fatto…”
Firion si tuffò dalla sporgenza, rubando un fremito a Claire ed alzando piccoli schizzi. Era immerso fin poco sotto il bacino, sempre calmo ed impassibile.
“…che io non sono un uomo normale.”
“Mi hai fatto venire un colpo! Non farlo più!” sospirò di sollievo la ragazza.
“Beh, il problema è risolto per te. Io come faccio ad attraversare?”
“Ti traporto io.”
Claire alzò un ciglio, recalcitrante all’idea.
“Cosa? Vorresti prendermi in braccio? E’ stata la cosa migliore che ti è venuta in mente?”
“E’ stato il metodo più veloce che mi è venuto in mente. Credo che per te sia anche il più comodo.”
Claire fece diverse smorfie, cercando e ricercando le alternative che aveva. Alla fine, ammise a sé stessa che Firion aveva ragione: trasportarla sarebbe sicuramente stato più veloce che montare una zattera. Non che fosse certo che ci fossero i materiali adatti per costruirne una in un luogo come quello, probabilità già abbastanza remota.
“E va bene. Facciamo in fretta…”
“Hai paura che ti possa vedere qualcuno?” insinuò lui con un accenno d’ironia.
“Non farmi cambiare idea…” minacciò lei chinandosi. Firion protese le braccia, la sollevò dalla sporgenza, e con estrema attenzione la sospese al sicuro dal veleno. Le permise di sistemarsi, e poi mosse i primi passi. Teneva un’andatura lenta, ma costante. La melma vincolava i suoi movimenti, era talmente viscosa e densa che muovercisi dentro sarebbe stato più sfibrante che tra la neve voluminosa dei monti più alti. Ma la fatica non era un problema per lui, che aveva acquisito capacità fuori dal comune. Quando furono abbastanza lontani, un drappo di oscurità cadde su di loro. Claire pensò di usare le pietre magiche che le diede Firion, così da illuminare almeno un po’ la strada che percorrevano. Al limite del campo brillante che si sprigionò dal suo palmo, poté distinguere le sagome di barili, carri, recinti, barche, mobili ed altro ancora fluttuare alla deriva, sinceri tentativi di portare normalità in quel posto orrido. Vide anche strane, brutte forme grigie galleggiare intorno. Erano grosse e tondeggianti, e le sembrò di scorgere come dei tentacoli.
“Non ti preoccupare. Sono offensive solo se minacciate” la rassicurò Firion.
“Ne parli come se fossero animali. Non sarebbe difficile, per me, credere che siano dei demoni.”
“Non hai nulla da temere da loro. Sono altri i demoni qui, ma li affronteremo solo se necessario. Ricorda che cerchiamo un Arcidemone: una volta tolto di mezzo, sarà più facile occuparsi dei più piccoli. Guarda, siamo quasi arrivati.”
Firion le fece un cenno verso uno stretto sentiero che emergeva dalla robaccia viola, una sorta di secca asciutta ai cui lati bruciavano altri falò. Portava sotto un enorme tetto roccioso, al di sotto del quale stavano i resti di una baraccopoli, interamente in legno ed all’apparenza disabitata. Firion mise a terra Claire, che fu libera di togliersi il cappuccio, e ne imboccarono la via d’accesso. Lungo la strada evitarono le lumache e le zecche giganti, malfatte visioni orripilanti che strisciavano da una rientranza anfrattuosa ad un’altra come tanti scarafaggi. Claire non si sentì fiduciosa e pensò che avrebbe rimesso lì, davanti a Firion, se avesse dovuto osservare anche per un solo secondo in più quei mostri nauseabondi. Fortunatamente, passarono oltre e lei si calmò. Nel giro di poco arrivarono al centro della città legnosa, costruita sulle pareti della Valle e le cui misere abitazioni erano accatastate una sull’altra. Gli spazi stretti echeggiavano dei loro passi mentre transitavano presso quei vecchi ambienti vuoti. Era tutto decadenza e rovina, assi rotte e marce, tetti sfondati e cadaveri, tra corpi arsi su alti pali e carcasse consumate fino all’osso. Per quanto restassero solo pezzi di quegli esseri, Claire ne intuì la forma vagamente umanoide, la testa malforme, le orbite profonde, e come un becco lungo che si protendeva dal volto. Stava ancora muovendosi tra quegli orrendi dettagli quando urtò accidentalmente contro la schiena di Firion, immobile come una statua tra le case diroccate. Gli avrebbe chiesto cosa gli fosse preso, se lui non si fosse portato un dito sulle labbra con occhi da predatore.
“Non siamo soli…” sussurrò. Claire portò istintivamente la mano al suo arco. Prese una freccia e la incoccò, tendendo lentamente la corda per non farsi sentire, pronta all’assalto del nemico. Firion s’inoltrò avanti, acuendo la vista in cerca di chi li stesse osservando. Claire lo seguiva mandando occhiate dietro e sopra di loro, in preda ad una calma smaniosa mentre fissava le tenebre fuori la portata dei fuochi. Avanzarono con cautela, guardando ovunque con sospetto, finché non arrivarono ad uno slargo dove delle rampe portavano al livello superiore della città. Firion si fermò di colpo. Claire avvertì il cambiamento nel compagno e si voltò per capirne la causa. Quando vide, sussultò sconvolta. Al centro della strada, legato ad un palo, stava il corpo del Discepolo: era stato sventrato ed eviscerato, aperto dal petto allo stomaco. La sua espressione serena di morte creava un contrasto spaventoso davanti alla cavità svuotava che esponeva le sue costole.
“Oddio, no…”
Claire lasciò malamente la freccia e si premette la mano sulla bocca, voltandosi per non dover guardare ed ingobbendosi per sforzarsi di non rimettere. Non avrebbe mai dimenticato quell’immagine. Firion si avvicinò e lo esaminò da vicino, facendo seguire alle dita i tagli e le incisioni. Posò la mano sul capo reclinato di quell’uomo buono una volta suo amico, rimpiangendone la morte così violenta ed immeritata.
“Cosa ti hanno fatto…”
Claire si costrinse a riprendersi, ma non riuscì comunque a posare gli occhi su quei resti disonorati. Aveva conosciuto quell’uomo, aveva condiviso con lui un rifugio, cibo, idee. Era uno dei più saggi, gentili, onesti e comprensivi uomini che avesse mai incontrato. Vederlo ridotto a quello stato, era un’offesa troppo grande e dolorosa.
“Firion…la sua anima…”
Il Cacciatore si concentrò lunghi secondi, poi scosse la testa amareggiato.
“Svanita. Lui è perso, per sempre…”
D’un tratto, sentirono movimenti affannati tutt’intorno. Sopra di loro, affiorarono dall’oscurità figure corte e corrotte. Se un tempo erano stati uomini, le orbite nere, il becco lungo, la mascella sfondata, che lasciava penzolare lingue innaturalmente lunghe, e la pelle immonda, prolungamento del putridume della Valle, li identificava come qualcos’altro. Comparirono numerosi ed illuminati dal fuoco, brandendo pugnali e picche, squadrandoli dall’alto come tanti avvoltoi, pronti a strappare via le loro vite. Claire riprese la freccia a terra e sentì montare la rabbia e la determinazione. Quei mostri avevano massacrato un suo amico: non ne avrebbe lasciato uno in vita.
“Non essere avventata. Uccidi, ma non farti uccidere. Non lo meritano…” avvertì Firion posando una mano sull’elsa del suo spadone.
“Non hai bisogno di ripetermelo: i demoni meritano soltanto la morte. Sarò più che felice di portargliela.”
Una delle creature deformi si agitò ed emise un lamento acuto, ed improvvisamente l’intera orda si riversò contro i due viaggiatori al centro. Firion lasciò che gli assalitori venissero a lui, carne da macello pronta per essere sminuzzata dalla sua lama. Bastarono pochi fendenti per aprire in due una dozzina di quei folli privi di ragione, e le sezioni e le membra andarono ad aumentare ed accumularsi su una pozza sempre più larga di sangue ai suoi piedi.
Claire lì caricò scoccando dardi mortali e colpendoli al petto, agli occhi ed alla testa. Si girava e si muoveva costantemente, evitando gli attacchi nemici con agilità e restituendo colpi fatali. Ovunque si voltasse, aveva un bersaglio su cui sfogare la sua frustrazione e ed il suo rancore, riducendo qualunque cosa vedesse muoversi ad un guscio inanimato e martoriato. Correva, non fece attenzione a cosa la circondasse. Era mossa solo dal desiderio di uccidere ancora, e tutto divenne sfocato. Cominciò a vedere solo nemici, maschere agonizzanti le cui urla lenivano l’avvilimento dei suoi tanti giorni passati nel dolore. Nella frenesia della carneficina, perse sé stessa. Incoccò un’ultima freccia, si voltò pronta a scagliarla alla fronte della sua prossima vittima. Prima che potesse farlo, qualcosa la fece rinsavire: un lamento straziato. Tornò ai sensi, capendo che si era allontanata da Firion. Ascoltò il suo respiro affannato, ritrovandosi davanti uno di quegli esseri ripugnanti schiacciato contro la parete di una delle case decrepite, proteggendosi con le mani, singhiozzante e tremante. Tremante di paura. Un brivido freddo le corse lungo la schiena.
"Ma loro... loro non sono-"
Non finì il pensiero che Firion apparve dal nulla, facendo cadere la sua arma micidiale sull’avversario inerme, riducendolo a poco altro che pezzi di carne. Claire si ritrasse spaventata, tentando di evitare gli schizzi di sangue. Il Cacciatore, imbrattato di rosso, rinfoderò lo spadone e si voltò con espressione preoccupata.
“Tutto bene, Claire? Claire, puoi sentirmi?”
La ragazza fissò il punto dove vide la creatura venir disintegrata finché Firion non la destò da quella sua ipnosi.
“Sì, sto…sto bene” disse con poca convinzione.
“Ti avevo detto di non essere avventata. Comunque, questo era l’ultimo, ma potrebbero essercene altri in giro. Meglio muoverci. Seguimi: siamo vicini, ormai.”
Firion si mosse avanti, ma quando diede un’occhiata dietro la sua spalla e vide Claire bloccata con gli occhi persi nel vuoto, si fermò e le parlò impensierito.
“Claire, sei sicura di star bene? Claire?...”
La ragazza non rispose. Tenne la testa china e lo superò a passo spedito. Firion non seppe cosa dedurre dal comportamento della compagna, ma sapeva che la tana dell’Arcidemone era davanti a loro. Riprese a muoversi e tenne pronta la lama sul suo dorso, sapendo che non sarebbe stato facile sottrarre l’anima a quel demonio.
Camminarono lungo le vie strette della città, che si estendeva verticalmente più di quanto non facesse sulla distesa velenosa su cui si ergeva. Claire permise a Firion di tornare in testa, concentrata e turbata da quello che aveva visto prima dell’arrivo del Cacciatore. E se avessero sbagliato? E se quelli che avevano ucciso così ferocemente erano solo gli abitanti disperati di quel luogo infame? Certo, erano ostili, erano responsabili dell’assassinio del Discepolo, e li avrebbero uccisi se l’avessero permesso, ma questo giustificava la strage che commisero? Cosa non era permesso, nel mondo buio in cui erano precipitati? Smise di pensare a quelle riflessioni angosciose solo quando Firion le fece segno che erano arrivati. Avevano raggiunto il livello più alto della città, potevano scorgere l’intera estensione della palude e le tante torce che, come lucciole, brillavano nella notte. La piattaforma su cui si trovavano portava alla bocca di una grande caverna, di cui poteva già intravedere il tetto alto. Firion le rivolse uno sguardo che le chiedeva se fosse pronta o meno. Nonostante tutti i suoi dubbi, Claire soppresse come meglio poteva le incertezze ed annuì. Varcarono la soglia che li chiamava ad entrare, e si ritrovarono in un grande spazio vuoto, su di una pedana scricchiolante ai cui lati ardevano alcuni fuochi. All’estremità opposta, poterono notare l’inizio di una nuova galleria, che sembrava scendere nella roccia, in meandri ancora più oscuri. Si guardarono intorno, osservando le pareti nude e silenziose della grotta. All’improvviso, il legno sotto i loro piedi prese a vibrare vivacemente, minacciando di andare in pezzi sotto la forza che lo scuoteva. Da ogni fessura visibile della roccia e del terreno, provennero infiniti tra sanguisughe, locuste, scolopendre, mosche ed insetti e parassiti di ogni tipo, strisciando tra i loro piedi. Conversero tutti in un solo punto, creando un enorme umanoide dal tronco spesso e lunghe braccia, le cui mani erano mazze massicce. Si agitò convulsamente, lanciando uno dei suoi arti contro i due pericolosi intrusi. Firion e Claire si mossero allo stesso momento, uno scansò l’attacco a destra e caricò per rispondere all’offensiva, l’altra schivò a sinistra, tenendosi a distanza e scagliando le poche frecce che le rimanevano. Tuttavia, i dardi scoccati trapassavo il colosso da parte a parte senza ferirlo, vanificando gli sforzi della ragazza. Il Cacciatore pressava il gigante con fendenti rapidi e potenti, ma la sua spada sembrava tagliare l’aria, in quanto non uno dei microbi che componeva la mostruosità veniva ucciso. Ogni volta che lo tagliava in pezzi e gli esserini si disperdevano, quelli tornavano al loro posto e le parti ricrescevano quasi immediatamente. Non vide il grosso pugno dell’orrore vivente e prese il colpo violento in pieno petto, venendo lanciato indietro come una bambola. Rotolò malamente finché non piantò la lama nella pedana e si issò di nuovo in piedi, apparentemente illeso.
“Le armi convenzionali non funzionano!” gridò Claire oltre il ronzio assordante nella caverna, schivando un altro attacco che fracassò le travi sotto di lei.
“Si rigenera costantemente! Vanno uccisi tutti gli insetti che lo compongono contemporaneamente!” rispose Firion, tornando all’attacco ed attirando a sé l’attenzione del grosso demone. Claire rifletté alcuni attimi: subito pensò ai falò che li circondavano. Sarebbe bastato riuscire ad appiccare il fuoco ed il colosso si sarebbe acceso come una torcia. Corse al falò più vicino, tagliò un grosso lembo del suo mantello con il coltello da caccia che aveva alla cinta, e, con estrema attenzione, lo bagnò nella trementina che attendeva di essere combusta. Infilzò lo straccio con una freccia che scagliò sul gigante, troppo impegnato con Firion per accorgersi di lei. Infine, diede fuoco alla punta di un altro dardo, che puntò sul cencio grondante resina infiammabile.
“Via, Firion!”
Firion obbedì all’istante e si tirò indietro con un balzo: non sapeva cosa sarebbe successo, ma si fidava di Claire a tal punto da non chiedersi in cosa consistesse il suo piano. Claire mollò la corda e la freccia infuocata, centrando in pieno il brandello. Le fiamme presero subito vita e si propagarono ai piccoli vermi striscianti, che vennero bruciati vivi. Il colosso immondo si contorse ed emise un grido fatto dei lamenti di ogni piccolo essere che lo formava, collassando finalmente e disperdendo piccole candele carbonizzate.
Claire si avvicinò di fretta a Firion, che guardava i resti fumanti accertandosi che non si rialzassero.
“Ha funzionato?”
“E’ stato esattamente quello di cui avevamo bisogno. Sei stata perfetta, Claire.”
“Beh, è stato facile a dire la verità. Era l’Arcidemone più debole che abbiamo affrontato finora” ammise Claire, alzando le spalle. Firion si voltò verso la galleria al capo estremo della grotta, un’ombra inquieta sul suo viso.
“Non era quello l’Arcidemone.”
“Cosa?” esclamò Claire.
“Era solo un cane da guardia, un mastino rabbioso. No, il padrone è più in fondo, laggiù.”
Firion si diresse verso quel grosso buco nel terreno. Claire lo seguì e, sporgendosi un poco, poté riconoscere la densa Nebbia degli Arcidemoni, che li aspettava in fondo al passaggio. Emise un sospiro stanco e deluso: ne aveva abbastanza di combattere solo per ritrovarsi davanti a nemici sempre più pericolosi e diabolici. Per una volta le sarebbe piaciuto che le cose si risolvessero facilmente come aveva fatto poco prima col gigante putrido. Con riluttanza, cominciò a scendere la parete rocciosa, appigliandosi alle sporgenze che offriva con cautela. La galleria non era molto alta, ma percorrerla tutta in sicurezza le avrebbe richiesto molto tempo. Firion la guardò interrogativamente. La vide sforzarsi ed affannarsi a non perdere la presa sulle rocce, scendendo lentamente, un piccolo movimento dopo l’altro. Stette a fissarla finché non decise di scendere anche lui: fece un passo oltre il margine e si buttò di sotto. Claire, a bocca aperta, lo vide volarle accanto ed atterrare indenne.
“Sbruffone…” pensò, vedendolo così indifferente e calmo.
Lui alzò le braccia e le allargò sopra la sua testa.
“Lasciati andare. Ti prendo io.”
“E’ una cosa che posso fare da sola!” mentì lei, i muscoli che le bruciavano ed i polmoni affaticati.
“Lo so che ne sei in grado, come sei in grado di tirarci fuori dai guai quando io non posso, nonostante tutta la mia forza. Non hai bisogno di dimostrarlo ancora…”
Claire fu colpita dalle sue parole: in un momento, lui riuscì ad esprimere tutto il rispetto che stava alle fondamenta del loro rapporto, e lei si ricordò quanto questo lo rendesse diverso dagli altri. Chiuse gli occhi, mollò la presa, e prima che se accorgesse era tra le braccia di Firion.
“E’ stato più facile, no? Fidarsi di me…”
“Molto più facile.”
La mise a terra, e poi si baciarono. Non lo pensarono né rifletterono. Lo fecero e basta, sentirono di doverlo fare e non si trattennero. Per quell’attimo, tutto sparì, insieme alla Valle ed all’Arcidemone. Si separarono e furono costretti a tornare alla realtà, preparandosi ad un nuovo, estenuante scontro. Attraversarono la Nebbia, sorprendentemente a cuor leggero e privi del solito nervosismo. Raggiunsero il cuore della Valle di Corruzione, una profonda spelonca in cui sozze cascate si riversavano in un fiume sporco, dove piccoli corpicini si agitavano nella melma. Erano bambini, aborti indesiderati. Una sporgenza seguiva la parete sinistra della cava portando in basso, dove poterono scorgere due figure, una vestita di bianco ed una in armatura. Su una di destra, invece, alcuni degli umanoidi che li attaccarono alla baraccopoli erano prostrati a terra, in riverenza. Claire osservava senza fiato: si aspettava mostruosità provenienti dagli incubi più terribili e demoni diabolici. Quello che vide, era solo incomprensibile e straziante. L’espressione di Firion era sicura e risoluta, ma lei pensò che dovesse esserci un errore.
“Per favore, lasciaci, Cacciatore di Demoni…” sentirono improvvisamente. La voce di una donna echeggiò nelle loro menti, dolce ed affranta.
“…Qui, i reietti ed i perduti trovano rifugio. Non troverai gloria o trofei. Te ne prego, ora va’…”
Firion ignorò la richiesta e cominciò a scendere lungo la sporgenza di sinistra. Claire, incerta, lo seguì.
“…Ti imploro…”
Firion proseguì, sordo alle suppliche. Claire non sapeva cosa pensare: aveva bisogno di capire, prima di poterlo fare. Quando furono a metà della sporgenza, videro la figura in armatura avvicinarsi. Uno splendido elmo lo copriva completamente, brandiva uno scudo ed un’arma enorme, una mazza dorata dall’aspetto pesantissimo. Firion stese una mano davanti a Claire ed impugnò la sua lama, pronto ad estrarla.
“Fatti da parte. Siamo venuti solo per l’Arcidemone.”
“Fino a questo punto sei ebbro della sete di sangue e potere?” lo provocò l’uomo, la voce cupa, ovattata dal metallo.
“Astraea è venuta qui per alleviare le sofferenze di queste povere anime. Lei porta conforto e compassione a questa Valle dimenticata: risana le ferite dei suoi abitanti, riporta alla vita chi non ha mai visto la luce, ed accoglie le preghiere di chi si è perso. Voi, invece, invadete il nostro rifugio, distruggete la nostra casa e minacciate la nostra umile vita. Lasciateci in pace!”
“Astraea? La Sesta Santa Astraea?” esclamò Claire incredula.
“T’inganni. Lei è un Demone: non prova niente, merita soltanto la morte” disse Firion con voce glaciale. Claire lo guardò sorpresa e spaventata da quello che disse, ma lui non la vide.
“Non permetterò ad alcun male di toccare la carissima Astraea. Che tu possa marcire negli abissi più profondi di questa palude!”
L’uomo corazzato caricò ed estese il braccio per colpire con il suo possente martello. Firion lo intercettò e deviò il colpo, assestando un pugno feroce con la mano libera. Il cavaliere lo parò con lo scudo, ma la forza con cui il Cacciatore lo scagliò era talmente grande che venne spinto indietro. Tuttavia, non perse l’equilibrio e tornò all’attacco. Claire estrasse l’arco e puntò una delle ultime frecce che aveva. Sarebbe bastato un tiro ben piazzato e la battaglia sarebbe finita. Qualcosa però la fermò: non sapeva se fosse il dubbio sulla presunta impurità della Santa e le sue buone azioni, ma sapeva che non avrebbe scagliato la sua freccia.
Il Cacciatore ed il cavaliere scontrarono le armi con veemenza, facendo accendere scintille e danzando tra fendenti, schivate, calci e colpi violentissimi. Nonostante l’incredibile forza ed ardore del Guardiano della Santa, però, Firion aveva un vantaggio insormontabile: le sue energie erano pressoché illimitate. Non ci volle molto prima che agitare la sua enorme mazza diventasse per il Guardiano sempre più difficile, e che i suoi movimenti si facessero più lenti e prevedibili, finché non barcollò sotto l’offensiva dell’aggressore. Fu allora che il Cacciatore cominciò a guadagnare terreno, con fendenti fulminei ed implacabili. La fine dello scontro arrivò quando Firion fece volare via l’arma al cavaliere, che non poté fare altro che ripararsi dietro il suo scudo. Seguirono attacchi rabbiosi e spietati che spinsero il Guardiano sempre più indietro, finché anche lo scudo non gli venne portato via e lui volò a terra, ai piedi di Astraea. Lei, una bellezza pura, dalla chioma bionda, gli occhi chiari e la pelle e la veste candide, guardò inorridita.
“Garl!” gridò, buttandosi sul cavaliere ed incurante del Cacciatore.
“Sta’ indietro!” le disse lui portandosela alle spalle, frapponendosi, esausto, tra la Santa e Firion. Lei fissò uno sguardo implorante sul loro assalitore, ma tutto ciò che ottenne era un freddo disprezzo.
“Morirete insieme…” disse Firion alzando la spada. I due sotto di lui si strinsero e chiusero gli occhi, rassegnati alla loro sentenza. Prima che potesse trafiggerli, Claire corse a perdifiato e gli si parò davanti, tentando di spingerlo via.
“Claire… che significa?”
“Non puoi farlo, Firion!” esclamò lei usando tutta la sua forza per sbilanciarlo, ma lui era inamovibile.
“Devo farlo! Lei è un Arcidemone, uno strumento di distruzione privo di senno! Finché respira, la Nebbia non si ritirerà, e l’Antico sarà in grado d’inghiottire le anime dei morti. E’ il fato che ha subito il Discepolo insieme ad innumerevoli altri. E’ colpa sua!”
Firion la spintonò di lato, ma lei si riprese immediatamente e continuò a dargli contro.
“Abbiamo sbagliato tutto, Firion! Abbiamo sbagliato! In questa Valle ci sono solo persone, non dobbiamo uccidere nessuno!” gridò disperata, sforzandosi di farlo tornare in sé.
“Causerà la fine del nostro mondo se la lascio vivere!”
Il suo viso era diventato una maschera assassina di rabbia e di odio, voleva azzannare la donna tremante ed il suo Guardiano sentendo la loro vita fuggire via dalle sue mani.
“Usa il suo potere a fin di bene, come te! Non è un Demone!”
Venne spinta di nuovo, cadendo pesantemente a terra. Si rialzò a fatica, ma tornò ad ostacolare il Cacciatore.
“I Demoni vanno sterminati tutti!”
“Firion!” pianse infine Claire, facendolo finalmente voltare verso di lei. Le sue lacrime esasperate ammorbidirono subito la sua espressione famelica. In quel momento, tornò a ragionare come l’uomo che fu una volta.
“Guardala…Guardami…Non puoi farle del male…Non puoi…”
Firion tornò in sé e fece come gli venne detto. Fissò il suo sguardo atterrito sulla donna implorante ai suoi piedi, stretta al Guardiano pronto a morire per lei. Impresse nella sua mente la paura che leggeva in quegli occhi innocenti, e qualcosa nel suo profondo si frantumò. Un sentimento, un ideale alle fondamenta del suo cuore, s’infranse e gli tolse il fiato. Cosa era diventato?
La mano che serrava lo spadone lasciò la presa languidamente, la lama echeggiò miseramente quando fece contatto col suolo. Firion si allontanò di qualche passo, fino ad arrivare sulla sponda del fiume. Lì, cadde in ginocchia. La voce, rotta come non lo fu mai.
“No, non può essere…Ho fallito…Non posso portare a termine la mia missione…”
Nello specchio sporco davanti a sé, vide un’immagine distorta e rovinata: la sua. Gli occhi rossi bestiali, la pelle di cenere come terra arida, le vene nere sul viso di sangue lurido e corrotto.
“Io mi sono ridotto così…Quanti sono morti perché io diventassi così?... Quanti muoiono adesso perché io sono diventato così?... E’ tutta colpa mia… E’ stato tutto inutile… Non è servito a niente… non è servito a niente…”
Firion pianse. Il cavaliere ed Astraea rimasero immobili, non sapendo cosa fare davanti alla reazione del Cacciatore. Claire guardava, sopraffatta dall’emozione. Firion si era sempre dimostrato superiore ad ogni difficoltà, ad ogni fallimento, ad ogni perdita. Credeva che niente potesse buttarlo giù, e che, se anche fosse caduto, lui si sarebbe rialzato più forte di prima. Ora era lì, distrutto e disperato. Lo raggiunse e s’inginocchiò davanti a lui, abbracciandolo forte. Lui la strinse a sé, piangendo sulla sua spalla perché incapace di fermarsi.
Astraea provò grande mestizia per il Cacciatore: quell’uomo triste fu costretto a mettere da parte la sua umanità nella speranza di ristabilire l’ordine nel mondo. Aveva sacrificato tutto sé stesso, solo per scoprire che i suoi sforzi erano stati vani. Non aveva intenzione di ucciderla, e questo non gli avrebbe permesso di affrontare l’Antico. Si sciolse dal suo protettore, riluttante a lasciarla andare.
“Grazie di tutto, Garl. La mia vita non sarebbe stata la stessa senza di te…”
Si avvicinò alla coppia in lacrime. Claire le diede uno sguardo esitante ed afflitto, Firion lo tenne basso per la vergogna.
“Qual è il tuo nome, Cacciatore?”
“Firion. Una volta potevo rispondere a questo nome…”
“Firion, quando partii in pellegrinaggio, alla ricerca di un contatto con il mio Signore, mi diressi qui. La gente era moribonda, infelice, ostile, costretta ad una vita orripilante. Pregai e pregai, ma come potevano le mie preghiere salvare la vita di quelle povere persone? Come poteva il mio signore permettere l’esistenza di un dolore simile? Fu così che mi concedetti all’anima di un Demone, rinnegando gli insegnamenti della Chiesa. Ho creduto fino alla fine, e divenni in grado di aiutare davvero le persone attorno a me. Tuttavia, non potei mai eradicare la corruzione da questa terra: la Nebbia lo impedisce. Tu lo farai? Potresti farlo tu, per me?”
Firion alzò il capo, guardandola in un misto di confusione e tristezza. Astraea unì le mani al petto, offrendogli un sorriso gentile, dietro cui si nascondeva una sofferenza incontenibile.
“Per quanto le tenebre ti abbiano accecato, il tuo cuore è sempre stato un faro di purezza. Le tue intenzioni sono buone, Firion, e voglio aiutarti. Non volterò le spalle a coloro che chiedono aiuto come ha fatto il mio Signore. Se la mia esistenza è un peso così insostenibile per questo mondo, sono disposta a cederla…”
“No! Aspetta!” esclamò Firion tendendo la mano.
Astraea estrasse dal suo essere la sua anima e gliela porse sulle mani. Emanava un chiarore splendido come il sole.
“Salvali…tutti…”
Astraea vacillò e si accasciò a terra, gli occhi chiusi e l’espressione serena. Firion e Claire non riuscirono a muoversi, esterrefatti e pieni di rimorso e rammarico. Garl scattò verso la donna, gridando d’angoscia.
“Astraea!”
Cadde davanti al corpo, ormai immoto. Scostò una ciocca di capelli d’oro dal viso con una mano tremante, mentre il suo respiro si faceva un singulto irregolare. Si chinò su di lei disperato, portandosi vicino alle labbra dolci. Vide l’anima che levitava sulla mano aperta. La prese con cura, si abbassò davanti a Firion, e la offrì.
“Prendila. Voleva che tu l’avessi…”
Firion era precipitato in un turbinio di emozioni che non provava da quando assistette alla morte della sua famiglia e che, sapeva, lo avrebbero cambiato per sempre. Con mani esitanti, prese con sé l’anima, ospitandola nel suo più profondo.
“Non tradirla. Promettimi, che vivrà sempre nel tuo cuore…”
Firion non seppe fare altro che annuire. Garl diede un deciso segno di riconoscimento. Poi diede loro le spalle e prese in braccio Astraea.
“Ora, vi prego di lasciarci…”
Claire fissò Firion con occhi tristi, che dicevano che era il momento di tornare a casa. Firion raccolse lo spadone, Claire lo abbracciò e poggiò le dita sul suo Marchio: in un attimo svanirono nell’etere. Da solo, Garl Vinland rimase in contemplazione. Si voltò verso il fiume, che si perdeva nelle viscere di quella terra malsana. Fissò gli occhi sul viso della sua amata, di cui s’innamorò da quando erano ragazzi, ma a cui non fu mai in grado di dichiararsi.
“E’ tempo di riposare, Astraea. Ascolterò la tua voce una volta ancora…”
Garl scese dalla sponda e sparì nella corrente, il suo spirito ed il suo amore immortali.
   
 
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