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Autore: Leonhard    17/03/2016    2 recensioni
"Il Lifestream circola all'interno del Pianeta: vedilo come un corso d'acqua all'interno di un percorso circolare".
"Allora, se io ad un certo punto getto un ramo all'interno del Lifestream, dopo qualche tempo lo vedrò passare nuovamente dal punto in cui l'ho buttato?". Cloud si prese il suo tempo per rispondere.
"Spero di no..." rispose, ma la faccia era seria, preoccupata. Aveva probabilmente colto nel segno.
Genere: Azione, Drammatico, Introspettivo | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Un po' tutti
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Contesto generale/vago
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7. Angeli


Quell'ultima frase di Rufus ebbe il potere di fargli torcere le budella. Lui non poteva essere Sephiroth, ma c'era qualcosa nello sguardo dell'uomo che gli fece accarezzare l'idea che potesse essere la verità. Alla fine Sephiroth chi era? O meglio, COSA era?

Un progetto.

Un esperimento.

Un successo? Un fallimento? Oramai non lo sapeva nemmeno più.

“Sephiroth è una calamità” ringhiò. “Ha quasi distrutto il pianeta; ha tradito, ucciso, terrorizzato il mondo intero. Lui è il male”. Rufus scosse la testa: aveva un sorriso paziente e vagamente divertito, come se stesse spiegando le tabelline ad uno scolaretto.

“Sephiroth non era malvagio” disse. “Sephiroth era pazzo: c'è differenza”. Cloud non si sentì di ribattere. “La follia è stato un effetto indesiderato. Non si poteva prevedere, ma è successo; adesso che il fallimento è stato distrutto, abbiamo avuto modo di apportare le modifiche necessarie, ma ci serviva una cavia per testarle. E l'unico che ancora possiede le cellule di Jenova...”.

“...sono io” concluse il SOLDIER. “Quindi ho trovato l'idiota...” borbottò poi a mezza voce. Volse uno sguardo fuori dall'elicottero e vide con stupore Midgar in lontananza: stavano tornando indietro.

“Sento di doverti delle spiegazioni” osservò Rufus, con noncuranza. Sollevò una siringa a doppio serbatoio: in uno di essi riluceva un liquido rosso e nell'altro uno verde. “Vedi, il tuo sangue è la più grande fonte di cellule Jenova al mondo ormai: è questo serbatoio qui, vedi?” indicò la parte della siringa scarlatta. “Mentre quella verde è il DNA sintetizzato di Jenova che abbiamo reperito dal reattore a Nibel. Ah a proposito grazie per quella scazzottata: abbiamo raccolto dati preziosi mentre affrontavi i miei specchi per le allodole”. Cloud si sentiva ribollire il sangue. “Sono curioso di quello che capiterà iniettandoli entrambi nell'ultima cavia che mi è rimasta”.

A sorpresa afferrò il braccio del pilota e piantò la siringa nell'incavo del gomito. I serbatoi si svuotarono lentamente, inesorabili, mentre le vene del braccio nudo si gonfiavano per accogliere quella sostanza e si tingevano di un viola più scuro, seguendolo nella sua assimilazione.

Cloud agì in un lampo. Sentì le forze tornargli nei muscoli, il sangue invadere impetuoso ogni cellula del suo corpo, il cervello crepitare di quella decisione improvvisa ed immediata. La sua mano saettò verso il portello dell'elicottero e, in una sola mossa, lo aprì e saltò fuori.

Ed il vento torno, dandogli il bentornato con una sferzata ai capelli e seccandogli momentaneamente gli occhi. Sentì la leggerezza, il salto che aveva fatto e che già la gravità stava vincendo. Ma sentì anche un'altra cosa, una cosa che il vento non riuscì a nascondere, una cosa che aveva sperato, pregato di non sentire più.

Una voce.

Una voce nelle orecchie, anzi no: più in profondità. Una voce che rimbombava nella sua testa, una voce glaciale, bassa e leggermente roca. Quella voce che per così tanto tempo gli aveva sussurrato cosa doveva fare e da cui aveva assaporato la libertà per un tempo che sarebbe per sempre stato troppo breve.
 
Perchè stai scappando?

La testa gli diede una fitta e per qualche secondo Cloud temette di perdere l'equilibrio; sentiva come una lama di ghiaccio conficcata nel cervello. Il suolo era sempre più vicino e l'elicottero sempre più lontano, il suono dell'elica era smorzato dal fischiare del vento nelle sue orecchie,
 
Hai paura? È la paura che anima il tuo corpo?

che poco poteva fare per coprire quella maledetta voce
 
E di che cosa precisamente hai paura?

pregna di ricordi terribili ed incubi spaventosi e morti dolorose. Tornò in mente Aerith, il candido volto pieno di speranza mentre pregava nella Città Dimenticata, gli occhi calmi che si sollevavano verso di lui: gli aveva sorriso, nonostante l'avesse sorpreso con la spada puntata verso di lei.
 
Di che cosa può aver paura un semplice burattino?

Ma non era veramente lui: la sua mente, la sua volontà, le sue azioni. In quei pochi secondi era Sephiroth ad avere il controllo. E Sephiroth in quel momento, in quei brevissimi istanti, tutto quello che voleva era la morte di Aerith: aveva fallito con lui e per questo aveva esposto personalmente un clone di Jenova.

Sentì la Masamune conficcarsi anche nel suo di stomaco e la testa pulsare sempre più dolorosamente: si sarebbe sfracellato al suolo, esattamente come doveva finire un burattino.
 
Sei solo un burattino: non sei diverso da quello sull'elicottero, da tutti quelli che hanno partecipato alla Riunione o persino da quelli cresciuti alla Shin-ra. Sei solo un burattino. Vuoto per giunta.

E in quanto tale, si sarebbe rotto.

Lo sapeva: sarebbe andato in mille pezzi nel momento in cui avrebbe toccato terra. Era un dato di fatto e lui da solo non poteva fare assolutamente nulla per fermarlo: non era abbastanza forte.
 
Accettalo, Cloud:

Lui era solo
 
tutto quello che sei

un burattino
 
è un burattino

 
vuoto.

Torse il proprio corpo ed atterrò dolcemente sulla landa desertica poco lontano da Midgar. Sotto il suoi piedi si sollevò una piccola nuvoletta di polvere e nulla più. L’elicottero sopra di lui stallò e perse rapidamente quota; poco prima dell’impatto con il suolo due figure saltarono fuori ed atterrarono poco lontano da lui.

Rufus toccò terra dopo una lenta discesa, mentre l’atterraggio del pilota fu più brusco, ma non riportò nemmeno un graffio. I tre si scrutarono a vicenda, immobili. Cloud percepì la presenza di una grossa spada, una lapide metallica che indicava un luogo vuoto, senza salme o bare e, al di là di quella, la città diroccata che per anni era stata fonte e teatro dell’ascesa e declino della Shin-ra Comporation. Lo scheletro della compagnia si stagliava, curvo come la schiena di un vecchio, contro il cielo plumbeo.

Il vento gli accarezzò i capelli, gli sussurrò nelle orecchie poi si fermò. In quella battaglia era solo e tale sarebbe dovuto rimanere fino alla fine, indipendentemente dall’esito. Rufus gli lanciò un’occhiata e sorrise.

“Non penserai di abbandonare il posto di lavoro prima di aver finito” osservò. “Che fine ha fatto la professionalità?”. Si avviò con passo tranquillo verso la Buster Sword: la lama era coperta di ruggine ed il filo smussato dalle intemperie. “Non l’hai mai sentita veramente tua questa spada, vero?”.

"Ti diverti a giocare a fare Dio, Rufus?” sibilò Cloud. L’uomo lo guardò con un sorrisetto sprezzante, poi afferrò l’elsa della spada e la divelse dal suolo. La lama abbandonò la sua sede nella polvere con un piccolo sbuffo e la punta tornò a vedere la luce.

Usura, graffi e ruggine

“Più o meno quanto ti diverti tu a fare il deicida” replicò. Si volse verso di lui e brandì l’arma: i movimenti erano fluidi, la posizione perfetta, l’impugnatura salda. L’ombra della spada lo copriva quasi completamente, ma non mostrava cenni di fatica nell’impugnarla.

Un’esplosione di piume nere alle spalle di Rufus gli rispose alla domanda che gli vorticava in testa. Un’enorme ala color pece faceva capolino dalla sua spalla destra e si spandeva in tutta la sua fluente e soffice eleganza. Grosse e soffici piume danzavano nell’aria attorno a lui e Cloud ebbe un orrido flashback che lo informò di quello che stava per succedere.

Il Second accanto a lui emise un gorgoglio strozzato e barcollò, mentre il suo corpo veniva invaso da un sottile fumo scuro. Poi lo scoppio, simile ai petardi che Denzel e Marlene scoppiavano sotto la sua finestra, accompagnato da un lampo verde di pochi istanti.

Rufus guardò il SOLDIER leggendario materializzarsi senza cambiare espressione; gli lanciò un’occhiata incuriosita, come se fosse la reazione insolita di un esperimento, poi tornò a guardare Cloud, i cui occhi saettarono verso Sephiroth con un’urgenza che tuttavia era assente nello sguardo.

Uno sguardo glaciale, inespressivo, che invadeva le sue iridi verdi e le pupille verticali.



NOTA DELL’AUTORE: Non che mi soddisfi particolarmente, ma questo è il meglio che posso fare ora come ora.

Anche qui, temo di dover espandere la storia di un capitolo, ma spero che ne varrà la pena. Prossimamente il nuovo aggiornamento, stay tuned.

Leonhard
   
 
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