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Autore: Itsamess    18/03/2016    3 recensioni
Esistono casi irrisolti e sentimenti irrisolti.
I primi puoi esaminarli nelle fredde vacanze natalizie insieme al tuo coinquilino, i secondi invece no - dal momento che li provi proprio nei confronti di suddetto coinquilino.
Tre indagini, due puntali inspiegabili e una lettera difficile da aprire.
(dedicata alla mia sorellina, la Sherlock del mio John)
Genere: Commedia, Mistero, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: John Watson, Sherlock Holmes
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Epilogo


Tre giorni dopo la bruciatura del taser era ridotta semplicemente ad una pallida e fastidiosa ustione superficiale, non diversa da quelle che  John avrebbe potuto procurarsi preparando pancakes o arrostendo castagne, tuttavia il fatto che si trovasse proprio in mezzo al suo petto e non ad esempio sul dorso della mano la faceva sembrare molto più grave di quanto non fosse in realtà. Durante l’addestramento militare, John aveva seguito un lungo seminario sull’utilizzo di armi a stordimento di cui ad essere sincero non ricordava molto, se non due informazioni fondamentali. La prima era che il taser era stato inserito dall’ONU fra i metodi di tortura, il che non faceva esattamente guadagnare punti-simpatia a Moriarty. La seconda era che l’arma si basa sull’utilizzo di scariche tanto forti da far contrarre violentemente i muscoli motori del soggetto colpito, paralizzandolo.
La sofferenza non è quindi data dall’ustione, ma dal voltaggio elettrico.
Proprio come un’ingessatura o un cerotto, la scottatura in bella vista sul suo sterno, silente sotto ad una fasciatura bianca, era solo un promemoria di quel dolore. E svolgeva bene il suo dovere, perché da quando John  era stato rapito gli altri avevano iniziato a trattarlo con maggiore riguardo: Molly era passata spesso da Baker Street con la scusa di fargli visita (anche se John sapeva che era solo un pretesto), Mike lo aveva invitato a cena e la signora Hudson lo aveva ricoperto di pasticcini alla crema e raccomandazioni di fare maggiore attenzione, in futuro. E Sherlock-
Sherlock era perfino andato a comprare il latte, dimostrando di conoscere l’ubicazione del supermercato.
Gli aveva medicato le lievi ferite superficiali con la stessa cauta attenzione con cui avrebbe maneggiato un pacco bomba, come se avesse paura di rovinare tutto con un movimento troppo avventato. Trattenendo a stento l’irritazione, aveva disfatto con cura l’albero riponendo i due puntali nella scatola delle decorazioni natalizie, ma solo dopo aver mimato un harakiri per veder sorridere l’amico.  E John aveva sorriso, chiedendosi se lo trattava con gentilezza perché era malato o perché era innamorato di lui e non aveva saputo trovare un risposta e si era rimesso a dormire.
 
Quella mattina, quando il barista aveva annunciato che erano pronte le loro ordinazioni  - un Espresso  per Charlocks e un Frappuccino per Ron, dato che era lunedì – era stato il Sherlock ad alzarsi per entrambi, lasciando l’altro, ancora convalescente, al tavolo. John lo aveva guardato avvicinarsi al bancone con una circospezione maggiore del solito, come se da quando aveva risolto il caso del Monet Maledetto temesse di trovare baristi assassini ad ogni angolo.

«Il tuo Frappuccino. Tranquillo, è privo di marshmallow, ho controllato»
Sherlock appoggiò entrambi i drink fumanti sul tavolino, non senza aver lanciato uno sguardo esasperato ai nomi scritti sui bicchieri, e prese posto davanti all’altro. Solo in quel momento John si accorse che i suoi occhi, solitamente color del ghiaccio, si erano fatti più scuri, quasi grigi, mentre la sclera era venata da sottili capillari rossi. Sembrava stanco, ma di quella stanchezza bella che si prova dopo una giornata sulla neve o una maratona di Scarabeo. Evidentemente andare a comprare il latte lo aveva sfinito.
 
«Ti ringrazio» mormorò John, senza però nemmeno avvicinare il bicchiere alle labbra. Doveva farlo subito, prima di avere il tempo di cambiare idea.  Prese un profondo respiro. Odiava l’idea di rovinare l’equilibrio che avevano finalmente raggiunto, fatto di colazioni al bar e serenità, eppure non potevano continuare a fare finta che il loro fosse stato un Natale normale «Sherlock. Sono già passati tre giorni e ancora non ne abbiamo parlato»
 
L’altro sembrò cadere dalle nuvole. Se stava fingendo, lo faceva benissimo.
Di cosa?»
 
«Di cosa?! Di quello che è successo a Natale!» esclamò John con un tono di voce talmente alto che un paio di avventori si voltarono verso il loro tavolo, subito fulminati con lo sguardo da Sherlock. Il biondo ridusse la voce ad un sussurro, non voleva che mezza Londra sapesse che era stato rapito da un pericoloso criminale, per di più al momento a piede libero «Ho molti vuoti di memoria su quella giornata e sebbene preferisca pensare che siano dovuti alle scariche elettriche che mi ha inflitto Moriarty, non so perché ma ho la sensazione che tu non mi abbia raccontato tutta la verità»
 
Sherlock, sospirando,  appoggiò sul tavolo il proprio Espresso e rivolse all’amico uno sguardo annoiato «Ti già ho detto tutto quello che dovevi sapere… questa tua mancanza di fiducia è irritante»

«Senti chi parla» replicò John con un sorriso un po’ tirato, come a rammentargli che era lui quello che aveva guardato con diffidenza la barista di Starbucks che gli aveva chiesto lo spelling del suo nome «E comunque ho il diritto di sapere, dal momento che sono vivo per miracolo-»

«Sei vivo per merito mio» puntualizzò Sherlock, ma John lo ignorò.

«Devo sapere come ha fatto quel bastardo a farla franca di nuovo, questa volta ce l’avevamo praticamente in pugno… E per l’amor del Cielo si può sapere perché mi hai chiuso gli occhi? Cos’è che non dovevo vedere, del tuo rendez-voilà con Moriarty?!»
 
«Rendez-vous» lo corresse Sherlock
 
«Fa lo stesso!» ribatté John esasperato, sbattendo il Frappuccino sul tavolo in modo plateale. Non lo stava nemmeno bevendo. Lo aveva solo sollevato e poi sbattuto sul tavolo, tanto per fare scena. Sherlock se ne era accorto ed ora stava trattenendo a stento una risata. John, nuovamente, lo ignorò «Allora?»
 
Il moro arrossì e distolse lo sguardo «Occhio non vede, cuore non duole… La gente dice così, giusto? Ho pensato che non avresti approvato quello che stavo per fare e così ti ho impedito di vedermelo fare»
 
John si sentì letteralmente morire, trafitto da un dolore non meno intenso da quello inflitto dalla scarica elettrica del taser. Era gelosia, ma anche rabbia, stupore e odio tutti concentrati in un solo centimetro del  suo petto, all’altezza del cuore. Prima, quando nel suo pessimo francese aveva accennato ad un rendez-vous stava solo scherzando, non pensava davvero che ci potesse essere un qualche tipo di attrazione malata fra Sherlock e Moriarty... ma forse invece ci aveva visto giusto. Del resto erano così dannatamente simili- Jim riusciva a comprendere Sherlock in un modo che a John non sarebbe mai stato possibile, non importa quanto ci provasse.
E ci aveva provato, Dio solo sapeva quanto ci aveva provato.
Aveva passato notte intere a leggere il blog di Sherlock, cercando di capire perché fosse tanto convinto che i vegetariani potessero essere individuati esclusivamente dal tipo di calzature che indossavano; non aveva quasi mai perso la pazienza di fronte ad i suoi macabri esperimenti sparsi per casa (e soprattutto a pezzi nel frigo) e aveva fatto del proprio meglio per capire come funzionasse il meraviglioso ed instancabile meccanismo della sua mente. Ma era al di là delle sue possibilità.
Sherlock era come un puzzle da mille pezzi, venduto senza scatola. John poteva procedere solo per tentativi, un tassello alla volta, per vedere con quale degli altri novecentonovantanove si incastrava.
Moriarty invece sembrava comprenderlo davvero, come se avesse già visto l’immagine originaria e sapesse come disporre i pezzi. Forse in questo consisteva l’amore, pensò John, nel sapersi ricomporre a vicenda. L’idea di Sherlock e Moriarty insieme gli procurò un conato. E dire che non aveva nemmeno toccato il Frappuccino. Eppure doveva essere succeso qualcosa fra di loro, perché quando aveva domandato a Sherlock perché gli avesse coperto gli occhi, lui aveva evitato il suo sguardo, imbarazzato.Di solito non si imbarazzava mai.
Tremava la voce di John quando disse «Non l’avrai-»
 
Baciato era la parola che John non ebbe nemmeno la forza di pronunciare, lasciato andare furono quelle che invece pensò Sherlock, quando subito confessò «Sì, lo ammetto, l’ho lasciato andare »

Il sollievo che invase istantaneamente il petto di John all’idea che Sherlock non avesse baciato il suo acerrimo nemico fu subito sostituito da un’ondata di sdegno. Riusciva a malapena a credere alle proprie orecchie: lasciarlo andare? Dopo tutto il male che aveva causato?
«Non posso credere che tu abbia fatto una cosa del genere! È vero che a Natale dobbiamo essere tutti più buoni, ma stiamo parlando di Jim Moriarty, per l’amor del Cielo!» gridò sbattendo il Frappuccino sul tavolo, questa volta per davvero «E perché lo avresti fatto?!»
 
Sherlock chiuse gli occhi e prese un profondo respiro, come se stesse scegliendo con cura le parole dentro di sé e avesse paura di usare quelle sbagliate.
Parlò lentamente «Perché lui- lui è come me»
 
«E questo cosa diavolo vorrebbe dire?»
 
«Siamo uguali. Noi ragioniamo nello stesso modo – ovviamente la mia mente è più acuta della sua, ma devo riconoscere che è astuto… Entrambi abbiamo scelto una vita solitaria, entrambi agogniamo il pericolo, entrambi ci annoiamo facilmente…»
 
«E allora?»
 
«Sarei potuto diventare come Jim Moriarty, John. Forse non subito, forse non domani. Ma in futuro non posso escluderlo. Mycroft è convinto che io sia dipendente dagli stupefacenti, ma è l’adrenalina la mia vera droga. Devo sentirla scorrere nelle vene per sentirmi realmente vivo. Ti ricordi il giorno in cui ci siamo conosciuti, quando ti ho portato con me sulla scena del delitto, nel luogo dove era morta la donna che lavorava in televisione-»
 
Tutti quei dettagli, probabilmente volti a fargli ricordare il loro primo caso, erano del tutto inutili. John aveva scolpito quella giornata nella memoria, quasi fosse uno spartiacque fra il Prima ed il Dopo Sherlock. Come poteva anche solo pensare che se lo fosse dimenticato? John non gli lasciò neanche il tempo di finire e mormorò «Lo studio in rosa»
 
 
«Lo studio in rosa, già» un lieve sorriso comparve sul volto di Sherlock, subito sostituito dalla sua solita espressione seria «La Donovan ti ha preso da parte e ti ha consigliato di stare alla larga da me, perché ero un folle geniaccio e presto non mi sarebbe più bastato indagare sui crimini  commessi da altri e li avrei commessi io stesso»
 
«No. No» ripeté l’altro scuotendo vigorosamente la testa, come se potesse scacciare l’idea con quel semplice movimento «Lei non ti conosce. Non come ti conosco io. So che non arriveresti mai a fare del male a nessuno, perché non sei James Moriarty, per quanto tu voglia continuare a ripeterlo»
Lo chiamò apposta con il suo nome completo, per rimarcare l’estraneità  che c'era fra di loro e quel folle maniaco.
«Non sei Moriarty  e non sei un criminale. Un criminale non sventa attentati, non insegue rapinatori  e di certo non collabora con Scotland Yard risolvendo casi di omicidio-»
 
La bocca sottile di Sherlock si piegò in un sorriso triste, quello che faceva sempre quando John se ne usciva con le sue deduzioni errate che dimostravano che non aveva capito nulla dei suoi Tutorial.
«Ed è qui che ti sbagli: io non risolvo casi perché sono un eroe o perché voglio che la giustizia trionfi, ma perché traggo piacere dal farlo. Un piacere fisico, solo mio. Sono una persona tremendamente egoista, John. Potrò anche essere dalla parte degli angeli, ma non pensare nemmeno per un istante che io sia uno di loro»
 
«Smettila. Non credo ad una sola parola di quello che dici. E non ci credi neanche tu, quindi smettila, per favore»
 
Ma Sherlock era lontanissimo, lo sguardo perso nel vuoto.
«Ho lasciato andare Moriarty perché se io sono come lui, allora per corrispondenza biunivoca ne consegue che lui è come me. Può ancora passare dalla parte degli angeli. Si può ancora redimere. Si può ancora salvare»
Aveva parlato lentamente e a scatti, con un tono di voce un po’ incerto che l’altro non credeva di avere mai sentito, abituato come era alle sue brillanti ed esatte deduzioni. Per una volta, Sherlock non sembrava sicuro di ciò che stava dicendo e a John fu chiaro il perché: non stava parlando di Lavoro, stava parlando di sé, dei propri sentimenti. Si muoveva in un territorio straniero e inesplorato e di conseguenza aveva pronunciato ogni parola con la stessa cautela con cui avrebbe camminato in un campo minato.
 
Il rossore diffuso sulle sue guance lo faceva apparire più giovane e più sincero, ma John non era sicuro di preferirlo in quello stato così emotivo. Era come assistere ad una lunga e difficile operazione chirurgica: quello tra di loro non era più un semplice tavolino dal bar quadrato, ma un tavolo operatorio e su di esso non vi erano bicchieri ma cuori. O forse solo uno, perché John non si era particolarmente sbilanciato. Quindi un cuore, un cuore solo. Esposto, scoperto, vulnerabile.
John non pensava che si sarebbe mai trovato in una situazione del genere e non sapeva come comportarsi. Gli sembrava di invadere la preziosa privacy dell’amico, a fargli domande così personali, eppure doveva sapere, quindi ostentando nonchalance  si costrinse a chiedere «E tu, credi di esserti salvato?»
 
Sherlock recuperò in fretta la maschera da sociopatico iperattivo  ed in tono di scherno replicò «Nessuno si salva da solo, John. Non sei tu lo scrittore? Dovresti sapere che nei romanzi c’è sempre una vittima in pericolo ed un eroe pronto a metterla in salvo. Quindi no, no non penso di essermi salvato. Sono stato salvato»
 
Una sola domanda lottava in quel momento sulle labbra di John, ma era troppo spaventosa per essere pronunciata davvero. Rimase in sospeso fra di loro, in bilico sulle volute grigie che si levavano dai loro bicchieri fumanti
Sono stato io a salvarti, Sherlock?
Il biondo non osò chiederglielo, senza nemmeno sapere se aveva più paura di un sì o di un no. Si lanciò su una domanda un po’ meno rischiosa «Lo pensavi davvero quello che hai detto nel negozio di fiori - che l’amore copre il dolore e ci fa sentire ancora meravigliosi?»
 
Sherlock fece spallucce  «L’ho presa da un libro. Oscar Wilde»

«Non hai risposto alla domanda. Lo pensavi davvero?»

«Non l’avrei imparata a memoria se non la ritenessi una citazione veritiera» replicò allora Sherlock in tono serissimo e John capì che quello era il suo modo per dire che sì, credeva nell’amore e sì, non aveva perso la speranza che un giorno, accanto alla persona giusta, si sarebbe sentito ancora meraviglioso.

Quanto avrebbe voluto poter essere lui, quella persona. Se solo fosse potuto restare.
Restare o partire, restare o fuggire – di cosa aveva più paura?
Si domandò se servisse più coraggio ad accettare  di rivelare a Sherlock i suoi sentimenti o se invece non ne servisse di più a lasciarli inespressi.
Era il momento. Doveva parlargli della lettera dell’esercito, la quale, a differenza della scatola piena di casi da risolvere, non era stata un trucco di Moriarty – come si era ritrovato a sperare - ma era vera. Tutti quei giorni di serenità che avevano trascorso cucinando pancakes e addobbando l’albero erano solo tempo rubato, che ora andava restituito.
«Sherlock. Non c’è un modo carino per dire quello che sto per dire»
 
«Dillo e basta»
 
«Ci sto provando, per l’amor del Cielo! Non rendermi tutto più difficile, lo è già abbastanza. D’accordo, allora- qualche giorno fa ho ricevuto una lettera»

«Dell’esercito. Lo so già. L’ho letta»
 
John sgranò gli occhi, anche se riflettendoci non era un comportamento così strano, considerato che si trattava di Sherlock Holmes, Consulente Investigativo e Detective Freelance.
«L’hai- letta?»
 
«Sì. È questo che si fa con le lettere. Si chiamano così per un motivo»
 
John prese un profondo respiro, come faceva sempre quando cercava senza grande successo di calmarsi.
«Era indirizzata a me, Sherlock, a me»
 
«Condividiamo un appartamento, quindi ciò che è mio è tuo e ciò che è tuo è mio, in un certo senso» concluse senza arrossire minimamente «L’ho trovata nella tasca della tua vestaglia da notte»
 
«Trovata» sospirò John «Eufemismo per dire che hai frugato fra le mie cose»
 
Sherlock gli rivolse improvvisamente uno sguardo triste ed esausto. Doveva essere stanco di litigare sempre sulle stesse cose, almeno quanto lo era l’altro di dover continuamente difendere la privacy della propria corrispondenza
«Ha davvero importanza, John?»
 
«No, hai ragione. Non ha importanza» gli concesse l’amico, cercando di tenere a mente che quelli potevano essere gli ultimi istanti che trascorreva in sua compagnia « Allora, se l’hai letta- dimmi. Che cosa- ne pensi?
 
Sherlock gli rivolse un sguardo interrogativo «Che cosa mi stai chiedendo?»
 
«Non lo so. Una ragione per restare, forse»
 
Quella risposta così sincera, così rischiosa, sembrò coglierlo di sorpresa. Come se John avesse fatto un passo falso nel campo minato ma la bomba non fosse ancora esplosa. Sherlock meditò qualche istante e poi rispose con franchezza «Non ce l’ho.  Se vuoi un volantino sulle bellezze della nostra Inghilterra vai all’Ufficio Turismo, o guardati Notting Hill, perché io in tutta onestà posso solo dirti che Londra è inquinata e rumorosa, le auto circolano sul lato sbagliato della strada e Starbucks è decisamente sopravvalutato»
 
Un  Frappuccino non era esattamente quello a cui pensava quando gli aveva chiesto una ragione per restare, tuttavia John fece finta di niente. Ormai c’era abbastanza abituato.
«Quindi dovrei andare? È questo il tuo consiglio?»
 
«Un consiglio? Chiedere consiglio a me è la cosa più illogica e idiota che tu possa fare, perché sono un egoista, John, e metto sempre i miei desideri davanti a quelli degli altri . Sono la persona sbagliata a cui chiedere un consiglio, perché rispondo quello che rappresenta il maggior vantaggio per me» lo avvertì gelido. Prese fra le mani l’Espresso ancora fumante e tacque per qualche secondo. Forse si aspettava una risposta, o forse stava solo assaporando il calore del bicchiere. In ogni caso, quando parlò la sua voce si era fatta più calda e più sincera, come se il caffè lo avesse bevuto davvero.
«Sono un egoista, ma so riconoscere la cosa giusta da fare quando viene il momento. Ed è giunto il momento di lasciarti andare... Dovresti andare, dico davvero. Sul fronte puoi essere utile, dare una mano. Va’ a salvare altre vite umane, tu hai già  salvato la mia in tutti i modi possibili- »
 
«No, non in tutti» lo interruppe John prima di baciarlo, rimediando finalmente alla sua mancanza.
 
 




 
Angolo dell’autrice
Innanzitutto scusate il ritardo nella pubblicazione: volevo revisionare alcuni passaggi per potervi consegnare il miglior epilogo di cui ero capace. Spero di esserci riuscita!
Lo specifico ora perché non ci siano malintesi: questo è esattamente il finale che mi sono immaginata, con John che si sporge sul tavolino dribblando Frappuccini ed Espressi vari per baciare Sherlock e salvarlo per davvero. Non parte, of course (dopo aver baciato Sherlock quale persona sana di mente se ne andrebbe?). Che l'amore salvi è una specie di topos di molte mie altre storie, il che mi rende un po' come quelle vecchie zie che ripetono sempre le stesse cose. Tipo in una fanfiction vecchissima aveva descritto due che giocando a scarabeo si interrogavano sulla validità o meno della parola "salvifico"
(
«SALVIFICO. 39 punti» Jesse posizionò con estrema cura le tessere sul tabellone, con un sorriso vittorioso stampato sulla faccia.
«Non vale! Ma che parola è? Non credo che esista, io non l'ho mai sentita» brontolò Rachel mentre scriveva "CANE"
«Il fatto che tu non l'abbia mai sentita non significa nulla»
«Ma siamo sicuri sia legale? Voglio dire, puoi comporre una parola negletta, sconosciuta, obsoleta?! »
«I tuoi climax ascendenti non mi fermeranno. 39 punti»
«D'accordo, sapientone, usala in una frase»
Il ragazzo sbuffò «Cos'è, una gara di spelling? »
«Vedi che non sai cosa significa! Lo sapevo, cancella e scrivi zer- »
«L'amore è salvifico» la interruppe Jesse
«Ovvero?»
«E' tutto ciò che ci salva, che ci permette di non perderci in questo mondo, di ritrovare la via di casa. E' quello che tu definisci, impropriamente, paracadute
»)
Vecchia zia, dicevamo

Ringrazio tutti coloro che hanno recensito ed inserito fra le preferite/ricordate. E ringrazio i tanti piccoli lettori silenziosi.
Se mi permettete una raccomandazione di lettura, correte a leggere Le sei cose impossibili di Hermione Jean Granger. Perché è la johnlock più awesomissima che io abbia mai letto.
Ancora mille grazie a tutti, alla prossima (maybe)
Itsamess
  
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