Libri > Il fantasma dell'Opera
Segui la storia  |       
Autore: Elphie94    19/03/2016    1 recensioni
«Devo essere pazza per seguirti. Secondo te lo sono?» gli chiesi con voce appena udibile oltre il flusso inondante dei miei pensieri.
Si voltò verso di me – nel buio, i suoi occhi erano come stelle sulla distanza.
«Mia cara, tu sei sana di mente quanto me.»

Meg è la figlia di Madame Giry, la migliore amica di Christine Daaé, un'anonima ballerina di fila. Quando il giornalista Gaston Leroux la rintraccia trent'anni dopo gli strani accadimenti dell'Opera Garnier, lei - vedova di un barone, senza figli - gli racconta la sua versione, in cui è finalmente protagonista. Insieme a un uomo che era diverso da tutti gli altri...
[Correntemente in fase di revisione.]
Genere: Drammatico, Introspettivo, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Altri, Erik/Il fantasma
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
 <<    >>
Per recensire esegui il login o registrati.
Dimensione del testo A A A

xiv

heathcliff




Trascorsi la metà della notte a pensare che avevo scelto bene il mio libro: dal suo inizio, pareva uno di quei romanzi gotici che facevano salire i brividi sulla schiena delle allieve ballerine e, ironia della sorte, vi era anche uno spettro di mezzo. Gustai i primi capitoli, dal punto di vista di un noioso Mr Lockwood, aspettandomi chissà quale storia fantasmagorica su Cime Tempestose, la residenza misteriosa in cui era ambientata la vicenda.

Non accadde. La storia abbracciava quella della famiglia Earnshaw – padre, madre, fratello e sorella – e del trovatello Heathcliff, e del rapporto tra quest'ultimo e la minore degli Earnshaw, Catherine.

Mi addormentai con il libro in grembo, stordita dalla crescente febbre. Il mio sonno fu inquieto come solo un sogno febbrile sa essere, ma mi svegliai all'accogliente odore di uova e bacon. Aprii gli occhi e mi ritrovai con una porzione di quella seducente colazione sulle ginocchia, con in più due fette di pane fritto. Il mio stomaco emise un languorino. Non ricordavo da quanto tempo non mettevo qualcosa di commestibile sotto i denti.

«Ma che…?» mormorai a mezza voce. Osservai quel ben di Dio con tanto d'occhi. Era una porzione fumante di uova in padella e bacon arrostito, accompagnata da un paio di toast. Il tutto sistemato perfettamente su un bel vassoio alla mia portata. Sul comodino al mio fianco intravidi un bicchiere colmo di succo d'arancia.

Che visione paradisiaca! Stavo ancora sognando?

«Ben svegliata.»

Quella voce impossibile mi entrò nei timpani dal nulla e rabbrividii. No, purtroppo il sogno era finito.

«Che cosa significa tutto questo?»

«Che devi mangiare. Intendo, qualcosa di solido. Ora.»

Era sulla soglia, alto e distinto come sempre. Questa volta era abbigliato finemente, col frac e tutto. Era una visione imponente.

«Ricordati che non puoi darmi ordini» dissi stancamente.

«Non è un ordine, è un consiglio. Da quanto tempo non mangi cibo solido?»

«Cosa t'importa?»

«Ti ho portata fin qui.»

«Quindi si tratta di mia madre. Del legame che hai con lei. Si fida così tanto di te da permetterti di portarmi qui sotto?»

«Si fida abbastanza, credimi. Perché sa che è l'unica possibilità che ha se vuole rivedere sua figlia.»

«L'ospedale…»

«In ospedale ti ucciderebbero.»

«Questo lo so.»

«E lo sa anche lei.» Mi guardò da oltre i buchi della maschera. «Ora mi farai la cortesia di mangiare?»

Osservai il ben di Dio sul mio grembo. «L'hai preparato tu?»

Lui diede in un breve cenno d'assenso.

«Per me?»

Chinò il capo.

«Non ci credo.»

«Grazie della fiducia.»

«Voglio dire, sai cucinare?»

«Come credi che viva qui?» In effetti, era un normale appartamento da scapolo… Se non si considerava il fatto che si trovava sotto terra – e, naturalmente, la camera adibita a Christine.

«Cosa ti aspettavi, candelabri e nebbia e grate?» scherzò lui, aprendo le braccia in un movimento circolare, come per mostrarmi ciò che mi attorniava. In effetti, non somigliava alla tomba di un vampiro. Ma sapevo che da qualche parte, destinata per lui, aveva una bara e una camera che si poteva dire mortuaria. Un luogo a cui sicuramente non avrei mai avuto accesso, ed era meglio così. Non ci tenevo a vedere la tomba che Erik si stava preparando con le sue stesse mani – una tomba che avrebbe allargato anche per Christine, se… Non sapevo se queste parole erano state dettate dalla furia dell'essere smascherato o da un'intenzione reale. In quest'ultimo caso, eravamo entrambe nelle mani di un pazzo. Ma io sospettavo che fosse l'effetto della rabbia, da cui di per sé bisognava guardarsi, a farlo parlare così.

«Quindi hai cucinato tutto questo per me?»

Lui annuì di nuovo. Avvertii un certo imbarazzo nell'aria.

«E mi hai curato?»

«Sei fuori pericolo, ma la febbre potrebbe ricomparire. Pertanto dovrai sorbire le tue medicine in silenzio. Chiaro?»

Annuii, ma non aveva compreso quel che intendevo dire. «Mi hai curato tu

«Sì.»

«E allora ti ringrazio.»

Lui chinò di nuovo il capo, come in accettazione. Allora feci qualcosa di inaspettato, tanto che stupii non solo lui ma anche me stessa. Gli tesi la mano, che lui prese prima di pensare davvero al significato del gesto. Ci stringemmo le dita e un calore m'inondò il corpo, malgrado il gelo della sua pelle. Non mi scostai al suo tocco, ma lo accolsi, già conoscendolo.

«Grazie.»

Lui non rispose, ma ebbi l'impressione che volesse dirmi la stessa cosa.

«Adesso finisci di mangiare» disse in tono serio. Poi si ritirò, rapido come era apparso – una visione.

Mi gettai con foga sul piatto fumante, ingozzandomi di uova e bacon, attenta a non inghiottire troppo velocemente per timore di dare di stomaco. Conoscevo il rischio, e non mangiavo cibo solido da giorni, proprio come aveva detto Erik.

Quando ebbi spazzolato tutto, posai il vassoio sul comodino e bevvi avidamente dal bicchiere, dissetandomi di succo d'arancia. Finalmente sazia, mi sgranchii le gambe troppo a lungo inutilizzate. Quanto ancora avrei dovuto attendere prima di ricominciare a ballare?

Se c'era una cosa che mia madre mi aveva insegnato era che la danza necessitava di un esercizio costante. Ero rimasta inerte troppo a lungo; i miei piedi avevano sostenuto ben altri sforzi. Ma ora per me era impossibile ricominciare a danzare. Me ne resi conto quando tentai di alzarmi: l'unico risultato che ottenni fu quello di scivolare giù dal letto, le gambe tremanti, senza la forza di reggermi in piedi. Avrei dovuto passare ancora un bel po' di tempo sotto le lenzuola, come un frutto lasciato lì a marcire. Non ero abituata alla quiete. Avrei dovuto accontentarmi di restare a leggere il libro preso in prestito dalla collezione di Erik, che lui era stato così gentile da mettermi a disposizione. Ripensai al momento di reciproca sopportazione condivisa tra noi: avrei dovuto davvero essergli grata? In fondo sì, mi aveva salvato la vita. In base a ciò non potevo odiarlo, malgrado la situazione con Christine. Mia madre si era fidata di lui, e lei era saggia: c'era qualcos'altro in quella storia che non mi era stato detto, un patto tra Antoinette Giry e il fantasma. Mi aveva rivelato che l'aveva conosciuto in un momento in cui era piccolo e degno di compassione, ma non era rimasto il bambino di un tempo, anche se mia madre lo avrebbe sempre ricordato così. C'erano anfratti oscuri in lui, ora, che temevo di svelare, e di cui Christine aveva appena sondato la superficie: erano crepe orrende, dolorose, cancerogene, ma io non riuscivo a scostare lo sguardo. Ero malata quanto lui? Quella insana curiosità – diciamo pure attrazione – era normale?

Repressi a stento un brivido. Si può essere attratti da una mente in subbuglio? Non è un peccato, quanto l'innamorarsi di un angelo?

Ritornai alla ruvida brughiera di Cime Tempestose, leggendo dell'infanzia dell'inquieto Heathcliff. Nella sua durezza trovavo similitudini col mio salvatore – era strano appellarsi a lui in quel modo, ma era la verità. Mi aveva fatto del bene, forse non volendo, ma ne era capace. E la consapevolezza mi turbava.

Pensai al legame che sulle pagine – era evidente – si andava formando tra Heathcliff e Catherine Earnshaw. La piccola era una selvaggia fatta e finita, con la brughiera inglese nelle vene. Tra lei e Heathcliff c'era un'affinità, una comprensione che mi incuriosì, malgrado la mia delusione nello scoprire che non si trattava di una storia dell'orrore, ma di passioni umane. Né lui né lei uscivano dalla pagina come ritratti felici: lui duro come la roccia e tempestoso come la casa che della tempesta portava il nome, lei volubile come un uccello e il vento. C'erano parole non dette tra loro, parole che la Brontë non aveva trovato necessario scrivere perché erano già impresse sulla carta, come aliti di vita, e davano respiro al racconto.

Non mi riconobbi in nessuno dei protagonisti: nel nel geloso Hindley, né nell'intelligente ma crudele Heathcliff, né nella volubile Catherine, ancora così poco donna. In Edgar, nella sua gentilezza, potevo forse riconoscere un po' Raoul, il visconte, che eppure possedeva un fuoco che al personaggio del romanzo era estraneo. Per il resto, non potevo che trarre la conclusione che Christine fosse – fortunatamente – dissimile da Catherine nell'amabilità con cui vedeva e trattava tutti: con bellezza e bontà, soprattutto nei riguardi di chi non vedeva bellezza e bontà in se stesso.

Da come era impiantata la storia, sapevo che non sarebbe finita bene per i protagonisti: non poteva esserci lieto fine, non per anime così rozze e crudeli come la bufera inglese, la sua natura aspra e selvaggia. In qualche modo, sperai che così non fosse per noialtri, persino per Erik: per quanto rassomigliasse Heathcliff nella sua durezza, in questi non trovavo quel nocciolo di umanità che tanto aveva colpito mia madre e la stessa Christine in lui; quel singhiozzo silenzioso, quella tragedia innominabile, quel genio senza abisso che era Erik.

In quei giorni imparai a conoscerlo, o meglio, a conoscere le sue abitudini. Usciva di rado dalla sua stanza, dove probabilmente scribacchiava le sue composizioni. Sapevo che non avrebbe permesso alle mie orecchie mortali di cogliere le soavi note del suo Don Giovanni trionfante, che doveva restare inedito fino alla sua morte. Potevo farmi un'idea del suo capolavoro solo attraverso la descrizione che di esso mi aveva fatto Christine, che ne aveva uditi gli straordinari accenti.

Io stessa uscivo poco, giusto quel tanto per scegliere un libro dalla vasta collezione che Erik mi metteva a disposizione – come si vede, mi trattava quale un'ospite di riguardo – e lo vedevo di rado: veniva da me per portarmi da mangiare – il cibo era semplice, ma sempre delizioso – e le medicine.

«Dove hai imparato a cucinare così?» chiesi, ingozzandomi di brodo di pollo. Lui strinse le labbra, in una lieve smorfia di disgusto di fronte alle mie cattive maniere che riuscì a stento a dissimulare.

«Non parlare con la bocca piena.»

«E tu potresti non trattarmi come una bambina?»

«Se ti comporti da bambina, io ti tratto da bambina.» Mi diede un buffetto di rimprovero su una guancia, ma il contatto con la sua pelle fredda mi fece tremare. Lui abbassò lo sguardo, arretrando come fossi un ferro rovente, meditabondo e sconcertato per la sua avventatezza.

«Scusa» mi disse, e questo era il massimo che potevo ottenere da lui in quel momento.

Scossi la testa. «Figurati» proseguii come se nulla fosse accaduto, come se quel tocco non fosse stato acqua gelida per la mia pelle. Inghiottii una cucchiaiata di brodo.

«Non hai risposto alla mia domanda, comunque.»

«Un uomo solo impara quel che può.»

Distorsi le labbra. «Bella risposta enigmatica. Comunque, se sei bravo nella musica almeno la metà di quanto lo sei in cucina…»

«Sono molto più bravo, credimi. In cucina sono perlopiù discreto.»

«Non sei uomo da mezzi termini, tu.» Sorrisi e mi pulii il mento che gocciolava di brodo. «Posso rassicurarti sulle tue capacità culinarie, però.»



Mi ripresi in fretta, tanto che quando terminai Cime Tempestose (e di solito non ero una lettrice rapida) erano trascorsi solo pochi giorni ed ero già in piedi. Ero ancora tremante, avvolta nel mio scialle – Erik, con non poca riluttanza, immagino, aveva finito per concedermi di usare gli abiti e gli accessori destinati a Christine – ma mi reggevo abbastanza bene sulle mie caviglie sottili. Provai ad eseguire una pirouette, ma quasi cascai tra le braccia di Erik, che giunse nella camera proprio in quel momento per vedermi incespicare come una ragazzina alle prime armi e non una ballerina esperta. Mi afferrò tra le braccia e mi strinse a sé, stupito nel sentir provenire dal mio petto un singhiozzo a metà.

«Impazzirò se non faccio qualcosa.»

«Hai sempre la lettura.»

«Impazzirò se leggo troppo. E poi non amo leggere, lo sai.»

Alzai gli occhi verso i suoi: oscuri, giallastri, impenetrabili, e li trovai – di certo in un accesso di follia – magnetici. Non avevo mai visto occhi simili in un essere umano, e non riuscii a scostare lo sguardo. Lui sollevò una mano, come per seguire i lineamenti del mio viso; eravamo così vicini che udivo il suo cuore palpitare con il mio, in un unico abbraccio di sangue e vene ansanti. Poi fece cadere la mano, e in qualche modo questo mi deluse.

«Ritornerai presto a danzare, Meg. Te lo prometto.»

Avevo osservato che non mi chiamava mai solo con il nome: in quel momento, doveva essere oltremodo serio. Decisi di credergli, e feci bene. Nessuno mi diede più voglia di danzare di lui, nelle settimane – e nei mesi, tanti incredibili mesi – seguenti.

«Lo giuri?»

«Sì. Erik lo giura. Ma tu devi riguardarti. Non fare sforzi. Sei una sciocca e insolente ragazza…»

Ecco che era tornato a porre un muro di distanza tra noi, proprio ora che appariva in parte abbattuto.

«Devi sempre fare così?»

«Così come?»

«Agire come fossimo nemici. Sto cercando di instaurare un dialogo, e credimi, non è cosa da me…»

«Se il tuo tentativo di “instaurare un dialogo” è incespicarmi addosso, fa pure.»

Arrossii fino all'attaccatura dei capelli. Poi diceva che quella impertinente ero io.

«Ho trovato qualcosa da fare: prenderti a pugni.»

«Se ci riesci, cosa di cui dubito.»

Per qualche strana ragione, ne dubitavo anch'io. Avrei voluto, ma lui era troppo forte, anche se di certo qualche colpo ben assestato se lo meritava. Mi aveva salvato la vita, me la stava salvando ancora, ma non dimenticavo la sua insana ossessione per Christine.

«Christine verrà presto a trovarti» mi riferì, come se mi avesse letto nel pensiero.

«Che cosa?»

«Le ho detto che stai meglio e che sei in condizioni di ricevere visite. Verrà da te domani, quindi preparati.»

Con preparati, intendeva: non indossare uno dei vestiti che le appartengono. Avrei dovuto accontentarmi della mia vecchia vestaglia da notte, o fare di testa mia: avrei sfidato il diavolo?

«E lei è venuta a trovarti in questi giorni?»

Lui esitò, ma infine desistette. Qualunque cosa fosse accaduta tra noi in quel periodo, sentivo che si fidava maggiormente di me, come io di lui.

«Sì.»

Non disse altro, tanta fu l'emozione, e per una volta tacqui anch'io. Quanto a lungo pensava di tenerla con sé? Raoul sarebbe partito tra settimane. E dopo, cosa ne sarebbe stato di Christine? Non poteva costringerla a rimanere lì con la forza, quindi la attirava con la sua musica, il che era la stessa cosa. La stava subdolamente manipolando, perché ero certa che continuasse a darle lezioni in un qualche anfratto nascosto dell'Opera. E Christine in questo modo non si sarebbe mai liberata di lui – del ricordo di suo padre, della musica, della pietà che le suscitava, della paura che le inoculava dentro come ghiaccio nelle vene. Una paura sottile, terribile, incarcerante. Perché Erik non accettava la volontà di Christine, e fin quando così non fosse stato, non avrei mai potuto perdonarlo del tutto, neanche se mi avesse salvato la vita dieci volte.

Ma potevo conoscere il nemico, sondarlo, scoprire i suoi punti deboli, le sue crepe invisibili. Questa era l'unica cosa che potevo fare per aiutare Christine. Per il resto, doveva cavarsela da sola, almeno per il momento. Ero certa che ce l'avrebbe fatta; dentro aveva un'armatura invisibile alla vista che solo chi la conosceva bene aveva provato sulla propria pelle. Io e Raoul e lo stesso Erik ne eravamo un esempio, solo che Erik avrebbe voluto piegare quel metallo, farlo suo… e ciò non andava bene per nessuno dei due.



«Cosa posso fare?» chiesi un giorno, disperata. Avevo terminato il libro e ne avevo cominciato un altro, a cui stavo trovando difficile appassionarmi – I Miserabili di Victor Hugo. Avevo tralasciato Il gobbo di Notre Dame per le troppe analogie con la nostra storia, conoscendo il balletto ad esso ispirato, e la tragedia che, lo sapevo, nascondeva tra le sue pagine. L'ozio mi stava dando alla testa. Credevo che tra quelle quattro mura sarei impazzita: ora sapevo come si sentiva Christine, senza la musica, però… Era davvero come essere seppelliti in una tomba.

«Tu come ci sopravvivi?»

«Sei troppo abituata al mondo esterno, Madamoiselle. Dovresti dar retta anche a quello interno.»

«Quello interno?»

«Diciamo che vivo più nella mia mente che nel mondo reale. Così trascorro le giornate: tra musica, studi, libri… Non ti sembra una vita appagante, vero?»

«Mi appare più che altro solitaria.»

«Ho la compagnia di Figaro» disse lui come se bastasse.

«Sì, ma ti occorre dell'altro.» Ecco perché desideri Christine al tuo fianco. Ecco perché ti stai abituando persino alla mia sfortunata presenza, che non credo tu sopporta. «Non hai mai qualcuno con cui parlare?»

«A parte la bara nella mia stanza?» fece lui, sarcastico. «O magari l'organo? Non fare quella smorfia, so che Christine te ne ha parlato. Come non avrebbe potuto, in fondo? Non gliene faccio una colpa.»

«Finirai per impazzire qui dentro.» Se non hai già dato di matto. A me pareva di esserne sull'orlo.

«Un uomo si deve abituare a molte cose. Anche un uomo come Erik» fece lui, enigmatico. Poi si voltò verso di me: eravamo seduti al tavolino del soggiorno, e lui mi somministrava la medicina quotidiana. Non pranzavamo mai insieme: non l'avevo mai visto mangiare né, se è per questo, sfilarsi la maschera. A quello era attentissimo.

«Cosa sai fare, ragazza?»

«Intendi, a parte ballare?»

«Sì. Sai spazzare, cucinare?»

«Non so fare molto.»

«Bene» fece lui, beffardo. «E le tue capacità canore mi sono note, o meglio, mi è nota la loro assenza, quindi niente lezioni per te.»

«Ehi, io non ti ho chiesto niente!» commentai, punta sul vivo. Non sapevo cantare, ma non doveva per forza farlo sembrare un difetto insormontabile.

«Fammi capire, vuoi che ti faccia da domestica?»

«No. Voglio che ti dia da fare, così da non crollare in una crisi di nervi. Non ho medicine per l'ozio. Spazza, spolvera, lava – se lo desideri, è ovvio.»

«Sono diventata Cenerentola, adesso?»

«Se non perdi nessuna scarpetta.»

Sospirai. Non vedevo opzioni migliori. «E va bene, dammi uno spolverino. Vedrò cosa posso fare.»



Non potevo fare molto. Mi limitai a spazzare un pavimento già lucido e qualche mobile poco polveroso – a quanto pareva Erik era molto ordinato – e ad approfittare per spolverare la libreria, l'unico mobilio che mi attirasse in quella stanza antiquata, eccetto il pianoforte a coda ben in mostra su una pedana e lasciato intoccato in mia presenza, poiché lui non suonava mai dinanzi a me. Mi limitavo a sfiorarlo con sguardi languidi, senza osare toccarlo. Tracciava in me il cordolo di memorie troppe dolorose.

«Non mi chiedi cosa ho pensato di Cime Tempestose?» gli domandai un mattino – o quel che mi pareva un mattino. Era lui a tenermi il conto delle ore e dei giorni, dato che per me era impossibile non perderlo in quel meandro di notte sempiterna. Mi chiesi come ci riuscisse Erik, anche se sospettavo che a volte perdesse anche lui il senso del tempo e dello spazio.

«Non lo ricordo bene.»

«Almeno lo hai letto o lo tieni solo per collezione?»

«Sì, l'ho letto, ma tanto tempo fa; forse tu non eri nemmeno nata. Ero giovane. Non avrei comunque compreso molto.»

Era la prima volta che ammetteva una sua sconfitta, il che era un po' fuori carattere: avevo il sospetto che si considerasse perfetto in molte cose e terribile, un verme strisciante, in parecchie altre. Quell'uomo era una contraddizione infinita e mi affascinava proprio per questo, come un'equazione particolarmente complessa può interessare un matematico appassionato.

Gli ricordai la trama intricata del libro, che lui non fece fatica a memorizzare; gli descrissi l'amore distruttivo tra Heathcliff e Catherine, le scelte sbagliate dei due. Non sapevo neanche se il libro mi fosse piaciuto o meno.

«Non credi che Heathcliff sia stato esagerato nel volersi vendicare anche sulla figlia della donna che amava e sull'uomo che lei aveva sposato?» gli chiesi, curiosa della sua opinione al riguardo. Sapeva che non stavo più parlando di Heathcliff.

«E tu non credi che Catherine avrebbe potuto sposarlo?»

«Non poteva.»

«Lei lo amava. Tanto bastava.»

«E invece no. Non lo ha sposato per motivi egoistici, e sia, ma forse non aveva molte altre possibilità. Se lo avesse sposato, non avrebbe posseduto più nulla. Non sarebbe valsa più a nulla. Tu sei un uomo, non puoi capire.» Era l'unico momento in cui avevo simpatizzato con Catherine, con la sua scelta di vita. Quella della ragione al posto di un cuore che alla lunga si sarebbe bruciato da solo, e non sarebbe valso più a nulla.

«Sono un uomo, dici? Ebbene?»

Sembrava non credere che lo avevo appena accomunato a tutto il resto del genere maschile.

«Una donna senza matrimonio in questo mondo non è una donna vera, se capisci quel che intendo. Molto peggio di un uomo senza figli maschi. Per Catherine era l'unica possibilità per realizzarsi in questo mondo. Non aveva altro.»

«Aveva Heathcliff.»

«Un bruto. Un amore adolescenziale. Per quel che vale…»

«Ma se l'avesse sposato…»

«Sì, lo so, Heathcliff non avrebbe progettato quella vendetta atroce. Anche perché lei non ne sarebbe morta. La compatisco, tutto qui. Innamorarsi di un lupo non è cosa semplice, e questo vale per entrambi.»

«Non se anche dentro di te hai il sangue del lupo.» Strinse le labbra – non era abituato ad essere interrotto – e mi guardò intensamente. Sentii un calore improvviso nascermi nel petto come un'onda anomala, involuta – un pezzo di carbone tra i diamanti.

«Le scelte di Catherine non giustificano quelle di Heathcliff, tutto qui» sentenziai, e per quella volta non mi contraddisse. Di nuovo, sapeva che non mi stavo riferendo a dei personaggi di un libro di fantasia.

«Tu spazza in quell'angolo. Io ti porto la cena.»

Se ne andò col suo passo curvo, eppure languido, sinuoso. Mi chiesi come facesse. Si muoveva come un ragno nella sua tana. A proposito di ragni – ne scovai un paio sotto la credenza che chiudeva la libreria in un angolo. Feci una smorfia e agitai la scopa come un'arma.

«Sciò, sciò!» borbottai, invano.

«Cosa succede?»

Erik era tornato col vassoio della cena, che si affrettò a posare sul tavolino del soggiorno. Mi si avvicinò quasi si aspettasse un altro guaio da parte mia, come quella volta che per sbaglio aveva fatto cadere a terra un libro antichissimo e prezioso, rovinandone la copertina rilegata in oro.

Non mi aveva rivolto la parola per un giorno intero, chiuso nel suo studio a mormorare frasi come: «Sciocca, impudente ragazza…»

«Sì?» mi ero messa di mezzo io per spezzare la tensione, cercando altre commissioni da fare nell'ozio putrido in cui ero cascata.

«Niente, sono solo ragni.»

«Solo ragni?» Il suo tono di voce assunse una sfumatura gelida. Si mise le mani sui fianchi, in una posa che sarebbe sembrata quasi comica se la sua espressione non fosse stata tanto raggelante.

«Cosa hai in mente di fare, ragazzina?»

«Questa ragazzina qui – che poi non sono una ragazzina, sono persino più grande di Christine – vorrebbe rendere questo un posto decente dove vivere, e quindi ha deciso di liberarsi di queste odiose creature. E ora, se non ti dispiace…»

Mi strappò la scopa di mano prima che potessi dire altro.

«Come osi, piccola insolente?»

«Non capisco. Vuoi favorire tu?»

Se fosse stato mia madre, mi avrebbe tirato le orecchie, ne ero certa.

«Cosa ti hanno fatto queste creature?»

«Niente. Sono solo ragni. Sporcano e…»

«Non è assolutamente vero!»

«Certo che sì, emerito idiota! Sono ragni! Cosa ti aspetti che facciano?»

«Mi aspetto che tu non uccida creature innocenti!»

Mi ci volle un attimo per capire. Chinai lo sguardo verso il mucchio di polvere e ragnatele ai miei piedi. «Stai scherzando?»

«Io non scherzo mai. Ora dimmi cosa ti hanno fatto – o potrei cambiare idea e spazzare via te, che ne dici?»

Non trovai la battuta niente affatto divertente. Per quanto dicesse di non beffare, godeva nell'usare il sarcasmo sugli altri, soprattutto sulla sottoscritta. «Niente in particolare» ammisi, attonita e innervosita, «se solo andassero a covare nidi altrove. Ma questa è una casa per degli essere umani e…»

«E allora? Anche loro hanno bisogno di luce, piccola sciocca, o no? Non possono ripararsi dalla bellezza altrui, se non fanno nulla di male – perché presumere che sono pericolosi, o...?»

Oh. Capito. Di nuovo, non stavamo parlando dei ragni.

«Sono solo insetti» dissi, presa da un nuovo accesso di tosse. Tutto quel parlare di polvere non mi aveva fatto bene. Presi a tremare come un infante tra le braccia della madre.

Era ovviamente la cosa sbagliata da dire. Lui mi fissò dall'alto in basso, ogni traccia di colore – lo sbalorditivo oro dei suoi occhi – perso in un liquame di freddezza. Se avevo ottenuto la sua pur delicata fiducia in quei giorni, ecco che l'avevo perduta di nuovo.

«Dovrei lasciarti a congelare qui, piccola, spietata bambina senza cuore.»

«Non sono senza cuore. E comunque non potresti.» Tossii ancora. «Non spezzare un altro cuore: quello di mia madre.»

E di Christine, ma fu vano aggiungerlo.

Lui si morse un labbro invisibile e mi prese tra le braccia. La sua stretta era meno confortevole che nei giorni precedenti, dalla quale mi ero sentita inspiegabilmente attratta, ma ugualmente fredda.

Mi condusse a letto, non senza le mie medicine. Mi rimboccò le coperte come un amico gentile, cosa che lui non era affatto.

In quel momento ricordai due cose: la sua immensa sofferenza, che lo portava a paragonarsi a dei ragni, e il fatto che no, non lo odiavo più, ma comunque non potevo ancora fidarmi di lui. E la cosa mi distruggeva in un modo che non riuscivo a capire.


Note dell'Autrice: Non chiedetemi perché ho scelto Cime Tempestose, e se davvero sia possibile trovarlo nella libreria (immensa, immagino) di Erik. So solo che è un libro al quale sono molto affezionata, ed Erik forse vi sarebbe stato attratto per il fatto che è stato scritto da una donna, cosa un po' inusuale all'epoca (ma ragionando in questo modo avrebbe dovuto leggere anche Jane Eyre di Charlotte Bronte, la sorella di Emily, e tanti altri). Diciamo che è meglio che non prenda ispirazione dai personaggi del libro (ma sappiamo che farà anche di peggio, il maledetto XD). Il rapporto tra i due testoni – Erik e Meg – si fa sempre più complicato: riusciranno ad andare d'accordo, per una volta? Vedremo. (Beh, io lo so. Muhahaha.)


Malinconica: Cara, hai perfettamente ragione quando dici che Erik è consapevole della sua intelligenza e ci tiene a farla notare (in fondo è qualcosa che il Persiano dice anche nel libro, se non sbaglio). Mi fa tanto, tanto piacere che questo capitolo ti sia piaciuto, e spero che quest'altro non ti annoi. Un bacio <3


Captain Willard: Le tue recensioni mi fanno morire. No, sul serio (in senso buono). XD Per me è un sollievo il fatto che mi dici che il mio Erik sia IC, è così difficile da trattare, una vera sfida – anche se molto, molto divertente. Erik supereroe, sì! XD Beh, lui sarebbe più come il Joker; Christine è Batgirl e Raoul è ovviamente il suo Robin; e Meg... Meg sarebbe un'eroina un po' dark e allo sbando, tipo Jessica Jones. Okay, basta sclero. XD Adesso ci saranno tanti bei capitolozzi di "convivenza coatta", come l'hai chiamata tu (un termine che si adatta perfettamente, credimi XD). Spero che tu ti goda anche questo capitolo e non vi abbia rotto le palle a tutti co' sto Cime Tempestose (qualcosa dovevo inventarmi per far passare il tempo a Meg, là nei sotterranei; non guardatemi male XD). Alla prossima! <3

   
 
Leggi le 1 recensioni
Segui la storia  |        |  Torna su
Cosa pensi della storia?
Per recensire esegui il login oppure registrati.
Capitoli:
 <<    >>
Torna indietro / Vai alla categoria: Libri > Il fantasma dell'Opera / Vai alla pagina dell'autore: Elphie94