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Autore: Cubono    19/03/2016    0 recensioni
Scontri bellici e interiori calpestano la vita di ogni creatura. Tutti hanno un cuore, una mente e una voce. Chi è pronto faccia il primo passo.
Genere: Fantasy | Stato: in corso
Tipo di coppia: Nessuna
Note: Raccolta | Avvertimenti: nessuno
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Strisciava sul ventre tra la terra bagnata e fredda. Il suo volto indossava una maschera di sangue e i suoi occhi erano vitrei, spenti, vuoti. Sbatteva le palpebre e l'aria si tagliava. Era come se qualcosa di immateriale si frantumasse, per poi provocare un agghiacciante suono. I rossi e lunghi capelli sporchi si camuffavano con il suolo fangoso, erano radici terrose di un albero umano, e ciò che distingueva quella vita dal resto, erano gli occhi che, nonostante fossero inespressivi, brillavano ancora di un giallo vivido simili a quelli di un serpente.

Si portava avanti con le proprie braccia esili e malnutrite, aggrappandosi al terreno, trascinava il proprio busto con le unghie insanguinate. Le gambe, purtroppo, erano distrutte, gonfie e piene di graffi sanguinolenti, il fango le sporcava, come per il resto del corpo.

La vittima si trovava all'interno di un grande antro buio e umido, con pareti alte dalle quali emergevano voluminose sporgenze rocciose. Il tetto era rivestito di stalattiti, da cui colavano gocce d'acqua, che bagnavano la superficie della grotta, a sua volta ricoperta di stalagmiti e fango. Lo speco era chiuso e , l'unica via d'uscita era l'entrata, posta in cima ad una parete e serrata da un portone in ferro. Il quale non era mai stato aperto sino al giorno in cui la vittima si era ritrovata all'interno di quel tugurio.

L'intera caverna era esaminata dagli occhi rettili dell'affamato che aveva udito qualcosa. A volte il luogo gli immolava un'ostia per poter sopravvivere e i sacrifici erano per lo più insetti.

Il volto scarno e il mento appuntito alzati in ascolto, scrutavano insistentemente nel nulla finché, il portone, nell'aprirsi, generò un forte rombo metallico troncando l'indagine del povero.

Dall'adito emerse una figura che rabbuiò parte della grotta. Il resto, invece, era illuminata da fasci di luce provenienti da dietro la sagoma imponente. Il chiarore rendeva il volto scarno e appuntito del contuso più visibile. Era una giovane donna.

Gli occhi vitrei e insanguinati cominciarono a lacrimare, la sottile bocca si apriva: stava per annunciare un urlo :” Basta !! “. La voce acuta e piena echeggiò.

“ Liberami subito! Sai chi sono?! Sai.... chi.... sono?! Sono Leinhia, guerriera di al servizio del Re Nestor, ho il titolo di Guerriero Terso, e per te questo... non è... UN BENE!!”.

L'urlo finale, fece rimanere l'essere che la sovrastava, del tutto impassibile. Quelle parole avevano privato la giovane esangue delle ultime forze di cui disponeva. Le lacrime, intanto, sgorgavano e lavavano il viso dal quel sangue rappreso che l'aveva coperta. I singhiozzi le toglievano il fiato. La malinconia, la sofferenza, lo strazio, il tormento di quei giorni, che erano stati nascosti dal suo coraggio, si ripresentarono tutti assieme, e come un uragano, la scagliarono via, sino al limite.

 

Sembrava finita. Come si poteva morire così? Morire in quel modo, tra l'afflizione e la fame, immersa nelle proprie feci e nel proprio sangue?

Il suo pensiero labile era legato alla morte. La stava già baciando. Vedeva le ali nere, il lungo abito e il volto che le sarebbe venuto se fosse scappata con lei. Un volto vuoto, senza una pelle che l'avrebbe rivestita, senza i lunghi capelli di cui ne andava fiera e senza i due lingotti splendenti che la contraddistinguevano dagli altri. Avrebbe dovuto farlo, avrebbe dovuto porre fine ai propri giorni di agonia in quel buco fangoso, ma non poteva. No! Non poteva!

Sapeva o almeno sperava nell'aiuto di sua sorella, della salvatrice, di colei che avrebbe messo a soqquadro l'intero mondo pur di trovarla. Lo aveva fatto quando erano piccole, perché non adesso? Quando aveva potuto ottenere ciò che volevano: una casa, una famiglia, una vita.

SI! Sarebbe arrivata, era questione di tempo, doveva arrivare.

Avrebbe aperto quella porta, vedendola in quello stato, esangue e ricoperta di fango, con gli arti inferiori distrutti, sarebbe scesa e lacrimando avrebbe fissato i suoi occhi gialli, vuoti e colmi dei ricordi di un trascorso da dimenticare.

Questione di giorni.... di ore.... forse di minuti, ma sarebbe arrivata. Sarebbe arrivata a salvarla.

La sagoma all'entrata lanciò qualcosa in aria. La contusa dopo aver udito un sonoro splash, si avvicinò alla radice di quel rumore. Immergendo le mani dentro la pozza, e tastando l'oggetto. Ne identificò una mela. Il frutto al tatto sembrava fatto di roccia, doveva essere ancora acerbo.

La giovane provò a morderlo, ma quel boccone, era come la sua sopravvivenza, inutile.

I pochi denti che le erano rimasti sembravano imitarla. Deboli, fragili. Tutto ciò provocato dal fatto che, l'unica cosa da mangiare in quei giorni, erano stati fango, acqua e qualche insetto.

Resasi conto della sua condizione frantumò la roccia verde a terra, in una delle uniche parti asciutte di quel buco bagnato e ,con le mani denutrite, faceva scorrere tra le dita i consistenti pezzi di frutta.

Sembrava un sogno prendere con mano qualcosa di nutriente; appoggiarlo tra la lingua e il palato, spappolarlo e succhiare il succo che ne fuoriusciva. Era l'unico modo per poterlo assimilare.

L'immagine di quell'agghiacciante grotta, dell'appena vivente scheletro che assaporava il desiderio dominante di quei giorni e della morte che ombreggiava nel buio più buio, rappresentavano la vera afflizione. Peggio di un desiderio spazzato, peggio di un amore non ricambiato, peggio di perdere la propria vita.

Se fosse stata …..... più forte... o .. più valorosa … o semplicemente, più giusta. Come lo era stata quando ciò che la contraddistingueva era proprio questo, un pizzico di umiltà. Non dava mai colpa agli altri. Non voleva essere un peso, ma ora era quello che stava facendo per sua sorella, essere solo una zavorra.

 

L'uomo in cima all'adito scrutava con occhi felini il posto, sembrava che vedesse tra le tenebre di quella grotta che trasudava dolore. La giovane giaceva nel fango sordido, o meglio nelle proprie feci, e, con la bocca piena e gli occhi sofferenti, guardava in alto come se sentisse il calore (nutriente) da quel poco chiarore che faceva rifulgere le bagnate sporgenze rocciose. Sopra di esse la luce danzava. Sembravano loro, le “Isabbele”, le minuscole danzatrici del lago Lenzovatonuv, docili e leggiadre creature, dal viso bianco e perlato, prive di occhi perchè a loro superflui. Solo il suono, le voci e la musica le guidano e questo basta per loro. Le gambe filiformi appoggiarsi sul pelo dell'acqua, blandendola, come creature speciali e profonde quali sono, e con le piccole braccia alate (come quelle delle farfalle), volteggiano tra i suoni della vita, della natura che le accompagna in una musica soave e rassicurante. La loro danza non è per occhi di glorificazione o stupore, ma solo per le orecchie. Cercano di far capire che la loro arte è per l'esaltazione del vento che soffia tra le foglie, dell'acqua che sciaborda lungo le cascatelle, degli animali che risuonano nel giorno e nella notte. Tutto ciò è il vero spettacolo, loro non lo vedono, ma l'importante è sentirlo, ti porta, ti rallegra, ti accarezza. La dolce mano di una natura che ti sfiora il volto per darti sicurezza, fidandoti solo dell'ascolto. Il canto è mutabile, la natura lo modella, lo plasma con gli strumenti che possiede.

Ora però ciò che poteva salvarla non era l'udito, perchè l'unico suono era lo stillicidio delle gocce sulle stalattiti che rendevano quel posto ancor peggiore.

 

“Chiudi gli occhi e sogna, sogna un posto che ti renda felice...... lo vedi...... bene, adesso pensa che tu ci sia dentro, in questo istante......... come è? È bello vero? “ …... “si, è bellissimo”.

Eccola lì, quel dolce volto, dal sorriso fresco e dagli occhi dorati. Cammina tra i lunghi fili d'erba e i fiori appena sbocciati, tra il vento tiepido e l'innocenza. Sfiora le margherite come se fossero un energia mistica che la potrà salvare. La piccola apre la bocca, facendo godere lo spettatore di un sorriso di purezza. Comincia a correre come inseguita, non da un qualcosa di brutto, ma bensì da una figura positiva. Una figura di sicurezza che la riesce a prendere, abbracciandola nella sua morsa di salvezza. Un momento felice, era questo, solo questo. Un momento felice da poter vedere con la mente, non con gli occhi.

 

Ora infatti era la sua unica visuale dell'intero mondo. Uno sguardo interiore e non più esterno, come la maggior parte delle persone. Magari, adesso, poteva comunicare meglio, forse le sue emozioni sarebbero venute fuori con gli altri , e non solo con la sorella di “sangue rosso”.

 

La figura dallo sguardo felino tirò giù una corda nella fogna e scese. L'uomo toccò il fango e la povera sentì il cuore palpitare come il trottare di mille cavalli lungo Shi Ena Du Epsa -La Via della Veglia-. Un battito dopo l'altro di paura -Toom toom toom – e sulla spalla si posò una mano dalle lunghe dita scheletriche che le toccava la carne prelibata, dotata di un calore che solo la vita poteva produrre.

La morte stava aspettando, desiderosa e impassibile, con gli occhi persi nel vuoto . Un lungo abito tenebroso la ricopriva, sembrava composto da una sostanza nera che si perdeva, come nebbia. Pareva che l'accompagnassero le anime che aveva preso, lamenti e gemiti invisibili rimbombavano in una testa persa nell'angoscia.

Il destino della giovane indietreggiò e aspettò. Forse se ne stava andando, probabilmente non era ancora giunta la sua ora, non doveva defungere/decedere lì allora. La sua consapevolezza, riguardo a ciò che stava per verificarsi, era sopra una bilancia e si stava pesando su le due possibili soluzioni, morire e vivere.

 

 

Ogni passo del carnefice erano due o tre battiti del cuore femminile e pauroso.

 

 

Toom toom ….. una vita iniziata infelice, continuata con sbalzi di allegria e tristezza, conclusa così, come era cominciata.

 

Toom toom …..... un padre egoista e irresponsabile, di cui le era rimasto solo un ricordo repulsivo e sgradevole.

 

Toom toom …..... un marchio che le aveva dato sofferenza e riconoscimenti. Rimanendo il simbolo del passato, del padre e di ciò che faceva alla figlia minore.

 

Toom toom …..... era l'ora di un ultimo pensiero beato............. “Chiudi gli occhi e sogna un posto felice” …....... .. … ..

 

I grandi campi dei Colli ….. . Si trovava lì, a guardare ciò che le veniva dato. Era sdraiata, sentiva l'erba che l'avvolgeva, i lunghi capelli rossi sparsi lungo il contorno della sua figura e gli occhi d'oro che guardavano il cielo, la facevano rassomigliare ad una divinità. Vicino a lei percepiva un'entità familiare, la sorella.

Il vento soffiava leggero e i capelli corvino mascheravano il volto della donna marchiato dai lievi segni dell'esperienza. Mirava il paesaggio che sorgeva lungo Shi Beuziwu du Thenia -Le terre del Rinnovo- , ricco di vegetazione, sorto dopo le prime colonie degli antenati stanziatori che avevano creato tutto il loro benessere. La dama dal viso coperto indossava un lungo abito perlaceo, le ondulate pieghe della gonna rivestivano lunghe gambe ambrate e le braccia scoperte giacevano parallele lungo il busto, con i pugni saldi. Una statua elegante colorata dalla vita.

 

 

 

Aveva trascorso un'esistenza tormentata quanto quella della sorella, ma con un altro punto di vista, forse più angoscioso; lo sguardo di colei che, priva di ingenuità, era riuscita a contenere una sofferenza saputa dalle ricche immagini sanguinolenti che le si propinavano lungo una terra distrutta da mostri. Era stata derisa da individui ancor più terribili, che sapevano di lei, ma che comunque la vedevano come un “non essere”, poichè privi di sensibilità di fronte ad un giovane volto che chiedeva aiuto dopo una triste sorte.

La donna era riuscita a vedere la bambina pudica nella sua fine e nella sua rinascita. La fanciulla dai capelli rossi era pura e liliale, una bambola valorizzata dai suoi particolari, che l'avevano resa adatta a quel gioco perverso.

Esso consisteva nell' “appoggiare il piede sulla soglia bianca e lucente dell'Oltre, per poi riprendere coscienza e potersi vantare del prestigio degli Orginari ”, era stato definito così dal filosofo Erectio, il quale aveva impiegato il suo sapere nella conoscenza dei “segni” e della loro interpretazione. Erectio sosteneva che essi fossero il linguaggio degli “Originari”, i quali trascendevano al di sopra di tutti e di tutto.

La marionetta, comunque, era riuscita ad entrare in quella cerchia ristretta con strazio e dolore, fino ad arrivare alla morte; la quale l'aveva lasciata andare dopo due giorni e due notti.

Nonostante la prova sconsiderata, la sorella maggiore, che in quel tempo era una giovane di 14 anni, non aveva alzato un dito. Era rimasta ad osservare dietro la porta della stanza in cui si stava svolgendo il misfatto. I suoi verdi occhi rivolgevano lo sguardo a quella scena sofferta: la bambina che piangeva dal dolore di quei squarci sulla schiena e dal sangue che ne fuoriusciva, come se il suo cuore lacrimasse per lo stesso strazio.

La sorella, invece, era “una statua all'interno di quei strani maneggi“ e la sua impassibilità era all'insaputa della più giovane, la quale, erigendole un monumento, non aveva visto le basi su cui era posto; e forse la salvezza agognata, in quel momento, era solo un illusione creata dall'immaginazione di una devozione.

 

La fanciulla stava a lato della dama nera e finalmente , libera dal blocco di quella chiusura, riusciva a riemergere sana: felice, contenta e beata. Contemplava il celeste e le nuvole che l'affiancavano, sentiva la letizia fluire lungo l'intero corpo e …......

 

Toom toom …. è finito tutto. Una fine certa stava per giungere.

 

La mano dell'individuo, sporcata da segni, lambì la fronte della vittima; la quale, teso il mento in avanti, aveva intuito la propria cessazione.

Un spada argentea oltrepassò il cranio della sventurata e il pavimento roccioso fu lordato di rosso. Gli occhi vitrei spenti dalla cecità furono estinti da quel fendente e il volto tagliato dallo squarcio “si portò a terra”, macchiandosi dell'acqua sporca e scarlatta che scorreva lungo quel tugurio.

La ragazza fu baciata dalla fredda morte e il suo cadavere fu abbandonato a quel mondo materiale, posto all'interno di quel sudicio antro. Lei, salutando il suo corpo terreno, si portò avanti a quella sfera ricca di corruzione, superbia, disprezzo e quant'altro. Giunse finalmente in quelle terre in cui era stata solo passante e divenne spettatrice della sorte di ognuno.

 

…...... "Dilettiamoci a questo gaudio spettacolo"     

   
 
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