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Autore: casty    20/03/2016    3 recensioni
Cosa ci fanno Sherlock e John travestiti da Merlin e Arthur al Comicon di Londra? Cercano un serial killer, che domande! Se la dovranno vedere con un gruppo di fanciulle furbe, spietate e ossessionate da una strana passione...
[post stagione 3][rapimento]
Genere: Azione, Commedia, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: John Watson, Nuovo personaggio, Sherlock Holmes
Note: nessuna | Avvertimenti: Spoiler!
Capitoli:
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Il corpo nudo di Sherlock emerse dalle onde bello e imponente come quello di Poseidone, l’acqua salmastra scintillava magicamente sui suoi muscoli scolp…

«La doccia è libera» disse Sherlock uscendo dal bagno, capelli gocciolanti e un asciugamano avvolto in vita.
John prese a cliccare furiosamente sul tasto backspace del suo laptop, ma per qualche assurda ragione il programma si inceppò dopo aver cancellato appena due lettere. La frase che aveva scritto campeggiava nera su bianco nell’editor del suo blog, sul browser.
John iniziò a sbattere il dito con violenza sul dannato tasto, mentre Sherlock si avvicinava sempre più.
Merda, ma cosa stavo pensando?
Sherlock stava per passare dietro le spalle di John, se poi si fosse voltato avrebbe letto facilmente la frase. John tentò allora di chiudere la finestra del browser, ma anche il puntatore del mouse era bloccato: il suo pc aveva deciso di incepparsi proprio nel momento migliore. Capì che non ce l’avrebbe fatta, quindi tirò giù di scatto lo schermo del laptop proprio mentre Sherlock gli passava a fianco. Si stiracchiò simulando noncuranza, mentre Sherlock gli lanciava un’occhiata sospettosa. «Non preoccuparti John, non ho nessuna intenzione di sbirciare il noiosissimo resoconto della nostra ultima disavventura» disse.
John era troppo imbarazzato per rispondere qualcosa e si limitò a biascicare un goffo «bah» come per fingere che non gli interessava se Sherlock sbirciava o meno il resoconto. 
Sherlock uscì in veranda e ammirò il panorama con i pugni puntati sui fianchi: mare verdeazzurro a perdita d’occhio. Si trovavano in un bungalow palafitta con vista mare in un esclusivo resort alle Bahamas, gentile omaggio di Mycroft che aveva insistito per pagare loro una vacanza di due settimane «per rilassarvi in un ambiente diverso dal vostro appartamento, dopo lo stress che avete dovuto subire su quel set infernale». Sherlock ovviamente si era opposto («Non esiste nulla di più noioso di una vacanza») ma Mycroft l’aveva convinto con un caso.
Ebbene sì, un caso. 
Erano in vacanza, ma stavano anche lavorando: dovevano scoprire l’identità di un criminale informatico a capo di una vasta organizzazione mondiale specializzata in ransomware. Tutti gli indizi portavano a credere che avesse residenza alle Bahamas. Proprio quella sera stessa John e Sherlock si sarebbero intrufolati in incognito a un party dove Sherlock era certo di smascherare il misterioso individuo.
John era moderatamente soddisfatto: Sherlock si rilassava lavorando al caso, mentre lui si rilassava godendosi il mare, la cucina locale, le bellezze che passeggiavano sulle spiagge e Sherlock che si tuffava nel mare azzurro ed emergeva dalle onde bello e imponente come Poseidone.
Dannato Sherlock!
John battè un pugno sul tavolo.
Sherlock si era seduto su una sedia sdraio in veranda, all’ombra della tettoia di paglia, e si era messo a esaminare da un tablet chissà quali informazioni sul caso.
«Potresti anche approfittarne per prendere un po’ di sole, non pensi sia il caso di ripristinare le tue scorte di vitamina D?» disse John.
«Con tutte le passeggiate in costume che siamo stati costretti a fare per pedinare i sospetti direi che le mie scorte di vitamina D sono ripristinate per i prossimi dieci anni.»
L’immagine mentale di Sherlock finto turista, in bermuda a fiori, cappello di paglia e succo di frutta con cannuccia sbirula, fece sorridere John.
«Mentre io memorizzo le identità degli invitati alla festa puoi riprendere a scrivere il tuo post, se vuoi, da qui non riesco a leggere alcunché sul tuo schermo. Anche se non mi è difficile immaginare cosa scriverai: Sherlock è stato intelligentissimo, Sherlock ha salvato tutti come sempre, Sherlock grazie alla sua mente geniale ha battuto la lega delle shipper malvagie, Sherlock, Sherlock, Sherlock, bla bla bla, cuoricini e punti esclamativi.»
«Smettila di… come hai detto scusa?»
«Sherlock Sherlock Sherlock, bla bla bla, cuoricini e punti esclamativi. Lo vuoi scrivere? È una frase interessante, credo che potrebbe piacere ai tuoi lettori dal quoziente intellettivo al cinquantesimo percentile.»
«Ma no… la frase precedente, la lega… la lega delle shipper malvagie? The evil shipper league… È un ottimo titolo per il post!» disse John sollevando nuovamente il coperchio del suo laptop.
«Grazie Sherlock.» disse Sherlock.
«Grazie Sherlock.» gli fece eco John.
La finestra del browser era ancora aperta sull’editor, nel punto dove aveva smesso di scrivere poco prima. John provò di nuovo a cancellare quella frase idiota su Sherlock che usciva dall’acqua bello come Poseidone (ma perché l’aveva scritta?) e il pc questa volta rispose al comando. Ovviamente. Il computer decideva di bloccarsi sempre nei momenti meno opportuni, quando invece non era importante funzionava a meraviglia.
John riprese a scrivere il resoconto dal punto in cui l’aveva interrotto.

Mi sono chiesto come avesse fatto Sherlock a salvare se stesso, me e tutti gli ostaggi grazie a un semplice, stupido ombrello e ho inizialmente ipotizzato che al suo interno fosse stato installato un dispositivo di trasmissione radio o un GPS con cui Mycroft poi è riuscito a tracciare la nostra posizione. Ma nulla di tutto questo! È stata una combinazione dell’intelligenza straordinaria dei due fratelli Holmes.
Tutto è iniziato durante la prova della battaglia a paintball. Ho scoperto in seguito che Sherlock aveva esplicitamente richiesto alle shipper una prova all’aperto nella speranza di riuscire a capire la posizione geografica della nostra prigione dall’ambiente circostante. E ovviamente c’è riuscito! A me sembrava un comunissimo bosco come tanti altri, invece Sherlock dall’esame della flora ha capito che si trattava di un bosco situato in una regione che non posso citarvi per questioni di segreto di stato (si tratta di un’ex area di uso militare, e non posso aggiungere altro)!
Dopo aver scoperto la nostra posizione, Sherlock ha ideato un metodo geniale per comunicarla a Mycroft: l’ombrello! Con uno stratagemma è riuscito a convincere le shipper a rubare a Mycroft un ombrello particolare della sua collezione, un ombrello artigianale il cui manico era stato intagliato nel legno di un arbusto che in Inghilterra cresce solo in quel bosco! Ora, se l’ombrello fosse stato mio e l’avessi visto sparire da casa mia non avrei mai intuito che si trattava di Sherlock che cercava di mandarmi un messaggio… e anche se l’avessi intuito chi avrebbe mai pensato che il messaggio andava cercato nei materiali di costruzione? Ma, come si suol dire, buon sangue non mente! E il cervello di Mycroft Holmes non ha nulla da invidiare a quello di Sherlock Holmes!
E così Mycroft ha intuito il luogo del sequestro e organizzato la spedizione di salvataggio.

John rilesse quello che aveva scritto e si stropicciò gli occhi. L’indomani avrebbe scritto una breve conclusione e pubblicato il post sul blog. Aveva raccontato i piani delle shipper, il folle scopo del sequestro, le prove. Aveva ovviamente omesso alcuni particolari: come le foto del bacio a Sholto durante la prova paintball. O il quasi bacio durante l’ultima prova.
Il quasi bacio.
Se chiudeva gli occhi poteva rivivere la scena come se fosse appena successa: il viso di Sherlock a pochi centimetri dal suo, il rumore del suo respiro, la sensazione ruvida dei suoi capelli tra le dita.
John, sovrappensiero, si toccò le labbra. Quando si rese conto di quello che stava facendo si voltò verso la veranda: se Sherlock l’avesse visto così, con lo sguardo perso nel vuoto e le dita sulle labbra, avrebbe capito in un lampo a cosa stava pensando.
Ma per fortuna Sherlock stava ancora scorrendo le schede sul tablet.
Il sole era ormai calato e il cielo era illuminato dalle ultime luci del tramonto. John guardò l’ora sul laptop: erano le nove. Meglio iniziare a prepararsi. Aprì la bocca per richiamare l’attenzione di Sherlock ma venne preceduto: «Sì, prepariamoci.» disse lui alzandosi.
John aggrottò le sopracciglia. «Leggi anche il pensiero adesso?»
«Ci sto lavorando.» disse Sherlock. Poi si alzò e con fare energico si diresse all’armadio. Aprì l’anta e ne estrasse due smoking nuovi di zecca.
«Il tuo è quello più corto» disse.
«Non ci sarei mai arrivato da solo, grazie.» commentò John sarcastico.
Sherlock rispose con un sorrisetto.

Il party, a cui partecipavano con le identità fittizie di due dignitari del governo britannico, si teneva in una immensa sala ricevimenti dell’Atlantis, l’hotel più lussuoso dei Caraibi, su Paradise Island. Col suo smoking nero e una microscopica ricetrasmittente nell’orecchio John si sentiva un po’ James Bond.
«House e Wilson» disse Sherlock allo steward addetto agli inviti. Erano i nomi delle due identità fittizie inventate da Mycroft: Gregory House e James Wilson. John avrebbe preferito se il suo nome falso fosse stato meno simile a quello reale: stesse iniziali. Per lo meno il nome fittizio di Sherlock non iniziava per S. Curiosamente, per Sherlock Mycroft aveva scelto il nome del loro caro amico Lestrade. Era solo una coincidenza? Gli venne in mente di aver notato una strana confidenza tra Mycroft e Greg, l’ultima volta che li aveva visti interagire.
Lo steward scorse la lista degli invitati poi fece loro un gesto di benvenuto accompagnato da un largo sorriso. John e Sherlock si fecero strada.
La sala ricevimenti era immensa e già gremita di persone.
«Stasera devi sfoderare tutto il tuo fascino da seduttore» disse Sherlock con nonchalance mentre si addentravano nella sala.
John lanciò un’occhiataccia a Sherlock. «Il mio cosa?»
Sherlock fece un gesto sprezzante con la mano. «Quella cosa che ti rende irresistibile a tutti gli individui eterosessuali di sesso femminile» si fermò, rifletté qualche secondo e aggiunse: «e a quelle omosessuali di sesso maschile.»
«Non credo di essere…»
«Il tuo soprannome nell’esercito era John “tre continenti” Watson.»
«Be’» John ridacchiò imbarazzato «effettivamente…»
«E di recente hai aggiunto anche l’Australia, a Europa, Nord America e Asia. Non era di Perth la cantante lirica con cui sei uscito per qualche mese due anni fa?»
«Non mi sembrava di averti mai detto da che città…»
«L’accento era inconfondibile.»
«Riconosci persino gli accenti delle diverse città australiane?»
«Quindi John “quattro continenti” Watson. Considerando il modello di suddivisione globale a sette continenti stasera potresti aggiungere il tuo quinto alla lista.»
«Fammi indovinare: Sud America?»
«Esatto. La criminale che dobbiamo stanare è Maria Luiza Abreu, brasiliana. Dall’esame dei suoi comportamenti e spostamenti online sono ragionevolmente certo che sia eterosessuale e sessualmente molto attiva.»
«La criminale è una donna?»
«Ti stupisci?»
«No. Mi preoccupo. L’ultima volta che abbiamo avuto a che fare con criminali donne non è finita molto bene. Te lo devo ricordare? È passata poco più di una settimana.»
«Non dovrebbe essere difficile per te. E neanche spiacevole.» continuò Sherlock ignorando i commenti di John «È una donna molto bella, per quanto possa capirne io di bellezza femminile.»
Cosa intendeva dire Sherlock con quell’ultima precisazione? John non ebbe tempo di rifletterci su perché Sherlock attirò la sua attenzione.
«Eccola» disse «è lei. Vestito rosso.»
«Ne sei sicuro?» disse John. Era effettivamente una bellissima donna: alta, snella, occhi vivaci, uno splendido sorriso, pelle ambrata e una cascata di ricci naturali mozzafiato.

«Quella sarebbe un criminale informatico? Una specie di… hacker?»
«Non è una hacker, è un’imprenditrice. Ha investito risorse per costruire una rete criminale.»
«E dovrebbe cadere ai miei piedi perché…?»
Sherlock sbuffò. «Basta che la convinci a uscire insieme a te sul terrazzo e la fai avvicinare alla statuetta del putto alato che sorregge la colonna destra della tettoia. Lì Mycroft ha installato un dispositivo di decrittazione di traffico dei dispositivi mobili. Mentre starà lì a tubare con te le invieremo un’email trappola, lei la leggerà e nel momento in cui effettuerà l’accesso alla sua casella avremo anche noi accesso alla suo database email. Una volta ottenuto l’accesso avremo conferma dei suoi traffici illeciti.»
«Non ci ho capito molto, ma ok. Cercherò di portarla fuori.» commentò John.
«Bene.»
«Hai notato che sta venendo verso di noi?»
«Il tuo fascino sta già sortendo il suo effetto.»
«Sta sorridendo a te.»
«A me?»
«Mi pare proprio di sì. E ora ti saluta con la mano. Sorridi, Sherlock.»
Sherlock sorrise nervosamente mentre Maria Luiza Abreu si faceva sempre più vicina. Era affiancata da due minacciosi energumeni, probabilmente le sue guardie del corpo.
«Chi ho il piacere di ammirare?» disse la Abreu facendo un inchino a Sherlock. La sua voce era bella quanto il suo aspetto: un seducente contralto.
Sherlock si voltò perplesso verso John.
«Il signor Gregory House» disse John sfoderando un sorriso smagliante, per venire in aiuto all’amico.
«Il signor Sherlock Holmes, come immaginavo» disse la donna «e il suo fido compare John Watson»
Il sorriso morì sul volto di John.
«Pensavate di passare inosservati? A una come me?» rise. «Prima che vi preoccupiate di portarmi sul terrazzo: i miei uomini hanno già trovato e distrutto il dispositivo di decrittazione nascosto nella statuetta.»
John guardò Sherlock, che era rimasto impassibile a questo annuncio.
«Non se la prenda, signor Holmes. Mi piacerebbe comunque parlare un po’ con lei. Posso offrirle qualcosa da bere?»
«A che scopo?»
«Non le interessa fare una chiacchierata con una delle più grandi menti criminali del secolo?»
«Si sta sopravvalutando. Ho conosciuto menti criminali molto più brillanti della sua.»
«Non mi pare mi abbia ancora conosciuta. Potrei farle cambiare idea.» disse lei accennando un sorriso.
Sherlock strinse gli occhi e John capì che stava riflettendo sui ciò che avrebbe potuto ottenere dall’eventuale chiacchierata con la donna. Infine annuì. «Parliamo pure qui.»
«In mezzo a tutta questa gente?» tese una mano verso destra e una delle bodyguard le posò sul palmo una chiave tessera, che lei porse a Sherlock.
«Stanza 1895. Tra mezz’ora. E senza il reggimoccolo.» disse indicando John. 
Poi si voltò e si allontanò ancheggiando.

John guardò l’orologio. 
Venti minuti.
Venti minuti da quando Sherlock era entrato nella stanza 1895.
Alla fine Sherlock aveva deciso di andare all’appuntamento. John aveva tentato di convincerlo che non era una buona idea, ma aveva saputo da subito che sarebbe stato un tentativo vano.
Avrebbe voluto accompagnarlo alla stanza, ma appena Sherlock aveva strisciato la chiave tessera nel lucchetto, due uomini della scorta della Abreu erano usciti dalla stanza e avevano costretto John a tornare all'ascensore. 
Aveva quindi acceso l’auricolare per seguire l’incontro, ma solo per sentire la voce di lei che lo salutava e lo informava che avrebbe gettato via la cimice di Sherlock.
John ovviamente non si era arreso e aveva tentato di avvicinarsi a Sherlock per vie secondarie. Dopo aver studiato la posizione della stanza su una planimetria di evacuazione aveva individuato una scala incendio secondaria che portava sul piano della stanza, su un corridoio diverso. Aveva appena finito di salire dieci rampe di scale e stava ansimando all’ingresso del corridoio. Una rapida occhiata rivelò che non c’erano guardie del corpo in vista. Strano.
John si addentrò nel lunghissimo corridoio deserto, porte alla sua destra e alla sua sinistra. Il silenzio era totale, ma il tappeto al centro del pavimento fortunatamente attutiva il rumore dei suoi passi. Arrivato in prossimità dell’angolo si schiacciò contro il muro. 
Adesso doveva fare attenzione, dopo la curva c’era il corridoio su cui dava la camera 1895. Non poteva uscire allo scoperto, ma sarebbe rimasto lì in attesa, nel caso si fosse udito qualche rumore strano, qualche segno di colluttazione o (sperava di no) uno sparo, sarebbe balzato fuori dal suo nascondiglio in aiuto di Sherlock.
Attese.
Secondi, minuti. Dal corridoio nessun rumore, non un passo, non un respiro.
Anche le camere erano silenziose. Certo, quella era l’ora del divertimento, alle Bahamas, e le stanze erano quasi certamente tutte vuote, la gente in discoteca e nei locali. E la stanza 1895 era troppo distante dal punto in cui si trovava, quindi qualsiasi discussione stesse avvenendo al suo interno era impossibile udirla da dove si trovava John, anche nel silenzio totale.
Che strana sensazione, sembrava quasi di trovarsi in un hotel deserto.
«Signor Watson?»
La voce femminile esplose dal nulla, improvvisa. John fece un balzo all’indietro dallo spavento.
Qualche secondo dopo Maria Luiza Abreu spuntò da dietro l’angolo. Da quanto tempo era lì? John notò che era scalza. Aveva camminato in punta di piedi, trattenendo il respiro, come la migliore soldatessa stealth. Ma John non aveva udito nemmeno la porta della stanza aprirsi, e in quel silenzio avrebbe dovuto udirla, anche se era distante.
«A cosa sta pensando signor Watson?»
«Io…»
Maria Luiza rise. «Pensava di essersi nascosto bene? Pensava che i miei uomini non avessero seguito ogni sua mossa dal momento in cui è entrato in ascensore?»
John si sentì improvvisamente molto stupido.
«Dov’è Sherlock?» chiese.
La donna non rispose.
Gli fece cenno col dito di seguirlo, si voltò e sparì dietro l’angolo da cui era spuntata.
John voltò l’angolo e la seguì.
Deglutì a bocca asciutta. Avvertiva una brutta sensazione.
A passi lenti la Abreu lo condusse alla sua stanza. La porta era spalancata. La donna varcò l’uscio.
Era una suite. In un’anticamera spaziosa illuminata da un lampadario chandelier due guardie del corpo stavano ritte in piedi ai lati di una porta a due ante, petto in fuori, mascelle serrate, sguardi impenetrabili.
«Dov’è Sherlock?» chiese John, rompendo il silenzio.
La sua voce rimbombò minacciosa nell’ampia stanza.
«Entri pure in camera, signor Watson.» disse freddamente la donna.
Le gambe di John si mossero senza che lui se ne rendesse conto, partirono, lanciate in direzione della porta, e quasi perse l’equilibrio quando allungò la mano verso la maniglia per girarla. Avvertiva una strana sensazione di pesantezza alla testa.
Sherlock sedeva a terra, la schiena appoggiata a un lato del grande letto, camicia aperta sul petto, testa abbandonata su un lato.
«Sherlock!» gridò John correndo verso di lui. In due passi gli fu accanto e notò che le sue labbra erano livide.
«E questa è la fine indecorosa del grande Sherlock Holmes» disse la donna alle spalle di John.
Fu il suo istinto da dottore a prendere il sopravvento: la mano corse alla fronte per saggiare la temperatura. Era caldo. Afferrò la lampada accesa sul comodino lì accanto e la puntò sul viso dell’amico. Con pollice e indice dilatò le palpebre per controllare se la pupilla reagiva.
La pupilla era dilatata e immobile. Nessuna reazione.
Le dita di John tremarono e la lampada gli scivolò di mano, illuminando la scena con una spettrale luce dal basso.
Con la mano incerta avvicinò pollice e indice al polso di Sherlock.
Nessun battito.
Premette le dita sulla giugulare.
Nessun battito.
Appoggiò l’orecchio al petto.
Nessun battito.
In un ultimo gesto sciocco e disperato sollevò il viso dell’amico.
«Sherlock?»
Il viso gli scivolò di mano e il mento crollò sul petto.
John portò le mani alla bocca.
Stese Sherlock a terra e cominciò a praticare massaggio cardiaco e respirazione bocca a bocca.
Dopo un paio di ripetizioni John udì una voce alle sue spalle, la voce della Abreu.
«È inutile, signor Watson. È morto da dieci minuti.»
John si voltò di scatto verso la donna, che lo guardava freddamente, dall’alto in basso.
«No…» disse John.
«Non si preoccupi» aggiunse lei, con tranquillità «ho usato un veleno ad azione immediata che non gli ha causato sofferenza. Se vuole tenergli compagnia ne è rimasto un po’ in quella fiala. Sarà più che sufficiente anche per lei.» Indicò una boccetta posata sul tavolino in centro alla camera. «Vi lascio soli» aggiunse. Dopodiché sbatté la porta e serrò il chiavistello.
John era come in trance.
Passarono diversi minuti in cui rimase in ginocchio accanto a Sherlock, il cervello completamente svuotato. Poi, dopo un periodo di tempo imprecisato, voltò lentamente la testa verso il tavolo, verso la boccetta col veleno. Si sentiva come ubriaco.
No, non ce la poteva fare.
Non per la seconda volta.
Non dopo quello che avevano passato durante il sequestro.
Non dopo aver capito che lo amava.
«Sì» disse ad alta voce. Riusciva ad ammetterlo, ora. Quando era troppo tardi.
Si accorse di avere il volto bagnato di lacrime.
Si alzò in piedi lentamente, a fatica. Le gambe erano un groviglio di tendini. La forza di tenersi in piedi era al limite, ma riuscì a raggiungere il tavolo. Vi si appoggiò. Sentiva la lucidità venire meno.
Il veleno era scuro, un blu intenso quasi nero. Se non avesse saputo cos’era avrebbe detto che si trattava di succo di mirtillo.
Aprì la boccetta e osservò il liquido attraverso la luce, si lasciò ipnotizzare per qualche secondo dai riflessi violacei. Poi guardò il corpo senza vita di Sherlock appoggiato al letto. Per qualche strano motivo gli venne in mente la storia di Romeo e Giulietta. Lui si uccide dopo aver trovato il corpo senza vita di lei, morta avvelenata.
Ma non c’entrava nulla. Quello di Giulietta era un finto suicidio, mentre qui si trattava di omicidio. Reale. Ma il fatto che gli fosse venuto in mente gli fece pensare alle shipper e alle loro malate idee di romanticismo.
No. Non avrebbe pensato a quelle bastarde. Avrebbe dedicato gli ultimi pensieri a Sherlock, solo a lui. Si trascinò a fatica vicino al suo corpo, ancora steso a terra dopo il vano tentativo di rianimazione. Lo tirò su e lo rimise a sedere, la schiena appoggiata al letto. Poi gli sedette a fianco e gli prese la mano, che era ancora calda. Sembrava ancora vivo.
Sollevò la boccetta, come per brindare al destino beffardo, e bevve il liquido scuro tutto d’un fiato.

Che strano. Sa proprio di mirtillo, pensò John mentre perdeva conoscenza.

 

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Ok, mi rendo conto che postare un nuovo capitolo nel cuore della notte di sabato quando tutti sono in giro a folleggiare e io sono costretta a letto da un raffreddore di proporzioni epiche potrebbe non essere un'ottima idea. Questo capitolo l'avrò scritto e riletto e riscritto una ventina di volte, la fanfic era ferma quasi da un mese e se avessi rimandato ancora sarebbe passato un altro mese di indecisione.
Ho pensato a più possibili conclusioni della storia (tutte avevano un punto fermo, che continua a esserci, ciò che cambia è il contorno) e sono ancora indecisa su quale sia la migliore.
L'ultimo ultimissimo (!!!) capitolo della fanfic è già abbozzato, non voglio promettere che lo pubblicherò la prossima settimana, conoscendomi non ci riuscirò, ma almeno in un paio di settimane dovrei farcela.

Questo comunque mi servirà di lezione per il futuro: prepararsi sempre un po' di capitoli in anticipo prima di iniziare la pubblicazione, per garantire un ritmo regolare.

Grazie a tutti i lettori per la pazienza :P

   
 
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