Anime & Manga > L'Attacco dei Giganti
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Autore: kamony    20/03/2016    10 recensioni
Le riflessioni di Eren, su se stesso e su i suoi sentimenti, dopo un incidente in battaglia, che lo porta a guardarsi dentro e a trovare un aiuto, da chi, forse, non si sarebbe mai immaginato.
*** Questo è il mio primo tentativo di entrare nella testolina di Eren e capire che cosa possa frullarci dentro, soprattutto nei confronti di chi gli è sempre stato molto vicino. Una sorta di missing moment appena avanti nel tempo rispetto alla narrazione in corso. Ho messo l'avvertimento spoiler per precauzione, in realtà non dico niente di così compromettente che non possa essere letto anche da chi non segue il manga, ma la prudenza non è mai troppa ^_^ ***
DAL TESTO [...] Il mondo così come l’aveva conosciuto ormai non esisteva più da molto tempo.
Era finito quel giorno, in bocca a quel gigante insieme a sua madre
[...]
Genere: Introspettivo, Malinconico, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna, Het | Personaggi: Eren Jaeger, Jean Kirshtein, Mikasa Ackerman
Note: Missing Moments | Avvertimenti: Spoiler!
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Questa fic è dedicata a Ryoredwarrior per ringraziarla della sua grande generosità :)
Spero di aver reso giustizia al tuo amato Eren, in caso avessi fallato, sappi che mi ci sono impegnata tanto, quindi apprezza la mia buona volontà.
Con sincero affetto DG.

E (spero) buona lettura a tutti!


Quelle parole che non ti ho mai detto…




Il silenzio in quella stanza, paradossalmente, gli risultava assordante.
Immobile, quasi ligneo nella postura, osservava quel letto, mentre una folla di pensieri gli si rincorreva veloce nella mente. Del resto non poteva far altro che pensare.

Il mondo così come l’aveva conosciuto ormai non esisteva più da molto tempo.
Era finito quel giorno, in bocca a quel gigante insieme a sua madre.
Cercava di non pensarci mai, quella scena gli faceva troppo male. Il suo dolore si era convertito in rabbia e la sete di vendetta si accompagnava alla voglia di distruggere. Non aveva paura di morire, voleva solo sterminare quei mostri. Voleva farli a pezzi con le sue stesse mani, comprimere le loro teste fino schiacciarle come insetti per cancellarli dalla faccia della Terra.
Questa sua ossessione però si era divorata la sua giovinezza, la sua speranza e lentamente stava inghiottendo anche la sua umanità.
Erano passati mesi e poi anni, in un soffio, si era ritrovato da recluta a soldato, da ragazzino ad adulto, sebbene non avesse ancora neppure vent’anni. Questo processo si era compiuto attraverso la paura, la sconfitta, il dolore, la perdita e il senso di colpa, poi finalmente era riuscito a mettere da parte ogni sua debolezza umana. Era diventato un mostro, proprio come loro. Solo così avrebbe potuto sconfiggerli. Si era dovuto dimenticare che erano stati suoi amici, che erano ragazzi come lui. Così come si era dimenticato, forse per sempre, di ciò che era accaduto con suo padre. Nella sua testa c’erano delle stanze chiuse, che contenevano qualcosa che non poteva, o non voleva ricordare. Per questo a volte era così schizzato, irascibile, perché l’orrore lo aveva segnato per sempre e giaceva dentro di lui come un morbo infetto.
Era fermamente convinto che ci fosse qualcosa di sbagliato in lui, del resto era diventato un assassino a soli otto anni. Freddo e lucido aveva fatto fuori due uomini.
Poi c’era lei.
L’unica cosa più vicina a una famiglia che gli era rimasta.
Negli ultimi tempi qualcosa era cambiato, si era fermato a guardarla di sottecchi, mentre mangiava, o si allenava ed era stato come se la vedesse per la prima volta. Sempre più schiva e solitaria. Mikasa era una specie di samurai. Stava molto per conto suo, silenziosa, pensava solo a fare esercizio fisico, ad allenarsi per diventare sempre più forte. Era diventata una delle punte di diamante del Corpo di Ricerca. Uno dei soldati più capaci e più forti. Spietata e coraggiosa, taciturna e letale.
Solo con lui si trasformava. Era abituato ad averla tra i piedi con il suo fare apprensivo, o aggressivo, a seconda della circostanza. Se la sentiva sempre alle costole e ciò lo aveva sempre molto irritato perché lo faceva apparire debole, per questo era molto scostante nei suoi confronti.
Eren era un concentrato d’emozioni e lui stesso non sapeva mai quale avrebbe prevalso.
Eppure le voleva bene. Un bene che non aveva mai messo in discussione ma neanche analizzato, men che meno esteriorizzato. Non si era mai soffermato sulla natura di quel sentimento che lo legava così profondamente a lei.
La trovava troppo appiccicosa e tendeva a tenerla a distanza, anche più del necessario a volte.
Poi un bel giorno si era alzato ed era stato come se improvvisamente gli fosse caduto un velo dagli occhi.
Mikasa era bella da togliere il fiato. I capelli neri come l’ebano, le labbra piene e rosate, gli occhi scuri e scintillanti come una notte stellata. Il fisico scattante e tonico, che il movimento tridimensionale aveva scolpito quasi fino alla perfezione.
Tutti i ragazzi, quando passava, fiera e taciturna, con quell’aria distaccata e severa, si giravano e la guardavano sognanti, perché di tutte era la più bella, la più affascinante e di sicuro la più pericolosa.
Solo lui era sempre rimasto indifferente, quasi infastidito.
Anche lei alla fine era cambiata. Nell’ultimo periodo lo teneva a distanza. Si preoccupava sempre, ma in modo più distaccato mentre con gli altri, perfino con Jean, appariva meno algida.
Non c’era stato neppure il tempo di rifletterci, perché erano sempre coinvolti in qualche battaglia e i suoi pensieri si erano inevitabilmente rivolti altrove.
Sembrava facile agli occhi dei suoi compagni. Tutti pronti a ricordargli che il destino dell’umanità era nelle sue mani. Che era l’unico Titano dalla parte degli uomini. Sapeva solo lui che calvario fosse quel potere immenso e così selvaggio che non riusciva a mai completamente a domare, che spesso gli sfuggiva di mano, che era ribelle, proprio come lui. Quel potere che sembrava un’estensione carnale della sua rabbia folle.
Da qualche tempo si era trovato a chiedersi se avesse mai potuto permettersi di pensare a una ragazza, qualunque ella fosse stata. Poteva sperare in una vita normale? Gli era concesso il lusso di innamorarsi? Ma poi cos’era l’amore? Avrebbe mai fatto in tempo a conoscerlo e viverlo? O sarebbe morto prima di scoprire quel sentimento di cui tutti parlavano?
Erano domande che a volte, a caso, gli si affacciavano nella mente, perché alla fine era solo un ragazzo e dentro, anche se non lo esternava mai, gli mancava di poter viversi la parte più lieve e più bella della sua gioventù.

Una sera, per caso, aveva scorto Mikasa passeggiare da sola e di nascosto era rimasto a osservarla.
Lei così forte e fiera era una guerriera nata, ma era anche una ragazza introversa e solitaria, di poche parole. Era stato piacevole guardarla, era vestita in abiti civili, la cosa gli aveva ricordato quando erano piccoli, solo che adesso Mikasa era molto più simile a una donna che a una bambina. Qualcosa dentro lo aveva turbato. Non aveva mai pensato a lei in quel senso e gli era parso davvero strano quel lampo d’attrazione improvviso che aveva avvertito, come se solo in quel momento avesse realizzato che non era solo un suo compagno d’arme.
Si era però subito risolto a fare spallucce e aveva continuato fare finta che Mikasa fosse solo una sorella fastidiosa.
Che bella scusa che si era inventato, comoda e confortante, in cui accucciarsi per non affrontare una realtà scomoda e anche improvvisa, che lo aveva colto decisamente alla sprovvista. Ma la vita è una sorpresa continua riesce sempre a coglierti in contro piede e non sempre in modo piacevole o benevolo.

Era ancora davanti a quel letto, aveva perso il senso del tempo. L’umidità della stanza lo fece rabbrividire appena, ma forse era solo ancora un altro modo di mistificare la realtà. La natura di quei brividi era tutt’altra.
La stava osservando, avviluppata in quel sonno innaturale, che la faceva somigliare a qualche principessa di qualche favola antica, di cui aveva sentito parlare da bambino.
Le labbra piene erano leggermente violacee e il suo incarnato troppo pallido, quasi cinereo. Il respiro lieve, quasi impercettibile e i grandi occhi erano come sigillati, chiusi in quello strano torpore.
Mikasa era ferma, immobile, adagiata su quel letto candido, macchiato solo dalla massa scura dei suoi capelli folti e lucenti e dalla sciarpa rossa che teneva tenacemente stretta in una mano, come se stesse aggrappata a un appiglio per evitare di scivolare per sempre nell’oblio.
Se non fosse stato per quel leggero respirare sarebbe potuta sembrare morta.
A Eren parve che il suo cuore sanguinasse, come se un pugnale lo avesse bucato, passandolo da parte a parte.
Si sentiva impotente esattamente come quando, davanti ai suoi occhi quel gigante aveva inghiottito sua madre distruggendo per sempre ogni sua illusione.
Nel frattempo Jean era arrivato alle sue spalle, silenzioso, furtivo e in religioso silenzio si era messo a osservare Mikasa.
Eren non si era neppure girato. Era rimasto fermo, in attesa che sbottasse e gliene dicesse di tutti colori, magari che lo prendesse pure a pugni, per una volta tanto riteneva di meritarsi ogni grammo del suo astio.
Si sentiva così inutile e addolorato, per colpa sua lei era tra la vita e la morte.
Fermo. Immobile. La fissava come per cercare delle risposte da quel corpo ferito.
Aveva sempre creduto che fosse stato Armin il più debole, quello da proteggere e difendere, invece era stata Mikasa che ci aveva quasi rimesso le penne. Nella furia della battaglia era quasi caduta perché lui aveva pensato a raccogliere e a proteggere tutti, tranne lei, che era partita da sola, all’attacco, così com’era capitato un sacco di altre volte. Era bastato quell’errore di valutazione per essere stato la causa di una nuova disgrazia.
Ancora una volta aveva fatto la scelta sbagliata. Non aveva capito che Mikasa era quella fragile, che si nascondeva dietro la sua freddezza e dietro la sua forza fisica, mentre Armin grazie alla sua intelligenza aveva mille risorse.
Non aveva capito niente. Era stato cieco e sordo e questa ne era la conseguenza
Aveva dato alcune cose per scontate, che inevitabilmente erano passate in secondo piano e aveva finito per dare anche Mikasa per scontata al suo fianco, come se fosse immortale e invincibile, come se non fosse umana. Lei c’era sempre stata da quando era entrata nella sua vita e le aveva regalato quella sciarpa scarlatta. Non si erano di fatto mai separati. A volte l’aveva detestata perché gli faceva pressione e lo metteva davanti alle sue debolezze, spronandolo a vincerle, oppure perché lo soffocava di premure irritandolo. In verità lei era tutto ciò che gli restava e stava rischiando di perderla. Per sempre.
Jean era ancora alle sue spalle e non parlava, allora Eren si girò e lo fissò. Kirshtein rimase di sasso. Scorse in quegli occhi verdi, che conosceva bene come sempre pieni di rabbia, solo un profondo dolore. Erano due pozze colme di lacrime trattenute, l’immagine di un’anima straziata.
In quello sguardo muto e ferito aveva letto tutto il senso di colpa e l’angoscia che stavano schiacciando Eren.
«Non è stata colpa tua. Non puoi prevedere ogni mossa di una battaglia e non puoi incolparti per ogni incidente, o morte che accade o accadrà. Ficcatelo in quella testa dura!» si sorprese per primo a dirgli.
Poi gli si sedette accanto. Sapeva quanto Mikasa fosse attaccata a Eren e dato che provava dei sentimenti per lei, il minimo che poteva fare era consolarlo, dato che purtroppo a lei, al momento, non poteva essere di alcun aiuto. C’era solo da aspettare e augurarsi che superasse la notte, come avevano detto.
Così lo spronò a fare ciò che avrebbe voluto fare al suo posto.
«Prendile la mano e dille quanto le vuoi bene. Obbligala ad ascoltarti, tirala fuori da quel limbo e riportala tra noi. Se le parlerai, anche dall’altro mondo lei ti ascolterà!».
Eren lo guardò stupefatto. Non capiva perché Jean gli dicesse quelle cose, ma su un punto aveva ragione, non le aveva mai detto quanto le volesse bene. In quel momento capì molte cose, guardò il compagno più intensamente e lesse nei suoi occhi il suo stesso dolore, come il riflesso di uno specchio.
«E tu promettimi che la amerai come io non sono capace di fare» gli disse in un soffio. Quelle parole gli costarono molto più di quanto avesse mai immaginato.
Jean incurvò le labbra in uno dei suoi sorrisetti ironici, che poi prese una piega amara. «Sei sempre il solito impulsivo che non ragiona. Non hai capito niente! Non sta a noi decidere, ma a lei. Posso amarla fino a morirne, ma lei è te che vuole, possibile che tu sia l’unico che non se ne sia mai reso conto?».
Fu come se Eren avesse ricevuto uno schiaffo.
Rimase in silenzio.
Era come bloccato. Non riusciva a prenderle la mano. Non riusciva a carezzarle i capelli, non riusciva a dirle che se fosse morta non se lo sarebbe mai perdonato.
«Quello che non hai mai capito è che ci vuole più coraggio a vivere e amare, che a uccidere e compiere una vendetta» aggiunse Jean «Quindi per una volta nella vita tira fuori le palle e affronta i tuoi sentimenti, aiutala ad avere un motivo valido per vivere!» concluse.  Era così fuori di sé che neppure si era reso conto di cosa avesse detto e perché. I suoi sentimenti avevano avuto la meglio sul suo egoismo, e il suo amore per Mikasa gli aveva ordinato di fare ciò che era più giusto per lei. Non era forse questo essere un uomo? Già, anche lui, nonostante non avesse ancora vent’anni doveva per forza essere adulto, non c’era più tempo per adagiarsi sull’adolescenza, la guerra si era presa tutto, tranne i loro sentimenti. A dispetto della devastazione in cui erano costretti a vivere nel loro animo erano limpidi e freschi come una sorgente d’acqua, né la morte, né il sangue li avevano ancora del tutto infettati.
Non potendo più rimanere lì a guardarla immobile, Jean uscì da quella stanza con il cuore gonfio di dolore, ma anche con una flebile speranza, se c’era qualcuno che poteva strappare Mikasa alla morte, era solo Eren. Lui poteva solo farsi da parte.
Jeager rimasto solo nella stanza sospirò. Jean aveva ragione. I suoi sentimenti erano incatenati dall’odio e dalla rabbia, prigionieri nella gabbia della vendetta. Era questo che lo stava tramutando in mostro, piuttosto che il suo potere da Titano.
Due lacrime calde e salate gli rigarono le guance, non voleva essere un mostro, ma soprattutto non voleva che Mikasa, la sua Mikasa morisse. Così si fece coraggio e le prese la mano tra le sue, stringendola goffamente. Da quando era morta sua madre e si era arruolato, non aveva avuto mai più un momento di tenerezza con nessuno e da nessuno. Solo lei gli era stata accanto dandogli tutto il suo affetto. Era per questo che la teneva alla larga, perché amandolo era come se spargesse sale sulle sue ferite.
«Ti voglio… bene» mormorò a fatica, come se le parole gli scivolassero lente dalle labbra contro la sua volontà. Era così difficile, più difficile che uccidere quasi. «Non te ne andare… ho bisogno di te» aggiunse «Non te l’ho mai detto, ma sei ciò di più caro che mi sia rimasto e credo che non ce la farei senza di te… perciò non fare scherzi, combatti Mikasa, combatti!» concluse a singhiozzo con il cuore che gli scoppiava in petto.

Lei non si mosse rimase ferma e immobile respirando piano, come se quelle parole l’avessero accarezzata dolcemente, ma senza farle aprire gli occhi.
Eren rimase a vegliarla tutta la notte, da solo, aveva mandato via tutti, anche Armin. Voleva sorbirsi quella sofferenza fino all’ultima goccia, come un calice amaro, perché sentiva di meritarsela tutta.
Quando l’alba fece capolino dai monti, con un fascio timido di luce che illuminò appena il volto di Mikasa, Eren, che si era assopito, aprì gli occhi di soprassalto con il cuore in gola, maledicendosi perché si era fatto vincere dal sonno.
Fu allora che la vide. Lo osservava, con la mano ancora stretta alla sua.
I suoi occhi erano lucidi e cerchiati da occhiaie scure, illuminati da un lampo d’incredulità e stava sorridendo.
«Ho fatto un sogno bellissimo» gli disse quasi senza fiato non appena lo vide sveglio «Ho sognato che mi dicevi che mi volevi bene» concluse a fatica, era ancora molto debole.
Fu allora che Eren non riuscì più a trattenersi e scoppiò a piangere a dirotto, abbracciandola. Ce l’aveva fatta lei era di nuovo con loro.

Forse non sarebbe cambiato niente, o forse sì. Ma dentro di lui qualcosa si era trasformato per sempre e dopo tanto tempo, e tanta sofferenza, una felicità quasi dolorosa gli scoppiò in petto, ricordandogli che era vivo, che aveva ancora dei sentimenti che lo rendevano umano.

 

 


BUONSALVE!
Buona domenica a tutti!
Solo due parole. Per la prima volta, in una storia su questo fandom, lascio Levi in panchina! :D
Questa storia ce l’ho intesta da tempo immemore. A dire il vero nell’idea iniziale avrebbe dovuto essere una comica, come avrete letto è diventata tutt’altro!
Sono molto curiosa di capire che cosa ne pensate, se vi va, perché è la prima volta che entro così profondamente nella testa di Eren e non so se ci ho acchiappato! Quindi fatevi sotto e fatemi sapere, mi farete davvero piacere.

PS la raccolta di Levi verrà aggiornata in settimana :)

Grazie a chiunque sia passato di qua e abbia letto!

Disclaimer: Eren, Mikasa e Jean (purtroppo) non mi appartengono, ma sono proprietà di Hajime Isayama

 

  
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