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Autore: Marmati72    21/03/2016    9 recensioni
Anna è una normalissima ragazza italiana con la sua vita e i suoi interessi.
Un giorno, mentre si trova a Parigi con il suo fidanzato, ha una furiosa litigata e, sconvolta, scappa dall’albergo di corsa.
Camminando senza meta per le vie della città si trova in una zona stranamente buia, silenziosa fin tanto che non vede una carrozza in fiamme e la folla inferocita che le corre incontro.
Cosa le sta succedendo? Chi è quella gente?
Senza saperlo Anna si trova vittima di un salto temporale che le farà conoscere l’amore, una meravigliosa e affascinante donna/soldato e lo scopo del suo viaggio singolare.
Genere: Avventura, Romantico, Sovrannaturale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Alain de Soisson, André Grandier, Marron Glacé, Nuovo Personaggio, Oscar François de Jarjayes
Note: Missing Moments, What if? | Avvertimenti: nessuno
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~~Oscar Francois de Jarjayes è entrata nella mia vita in una giornata di marzo del 1982, (allora avevo 9 anni) e lì è rimasta fino ad ora.
In qualche modo l’ho sempre portata con me, anche fisicamente. Ancora adesso, nella casa in cui mi sono trasferita dopo il matrimonio, sul mio comodino (guai a chi lo tocca !!) c’è il fumetto e l’album delle figurine.
Mi ricordo bene che allora, come penso alla maggior parte delle bambine, non mi era affatto piaciuto il finale della storia. Oscar era la mia eroina e non doveva morire. Perciò fantasticavo e correvo a salvarla da quei proiettili fatali.
La scorsa estate, mentre cercavo su internet le sigle dei “miei” cartoni animati per mia figlia, ho scoperto questo sito con le FF a lei dedicate.
E mi sono riavvicinata a questa donna meravigliosa.
Ho letto, e leggo tutt’ora, moltissime belle storie dal finale alternativo ed è stato naturale che anch’io iniziassi a pensare ad una storia tutta mia.
Così ho voluto dare ascolto a quella bambina di nove anni e, prendendo spunto da un bellissimo libro di Stephen King (22/11/63) ho attraversato la mia personale (e inesistente…) “buca del coniglio” e sono corsa a salvare la mia eroina.
Spero che la mia storia vi piaccia. A me è piaciuto scriverla. Chiedo scusa per gli eventuali errori “tecnici” ma purtroppo il tempo che ho potuto e posso dedicare a questo racconto è sempre poco rispetto a quello che, ovviamente, devo e voglio dedicare alla mia famiglia.
Dedico questa mia storia a mia figlia Matilde che ama giocare con le spade.
Ti voglio bene Mati.


CAPITOLO 1 - ANNA

“Ed eccoci arrivati a Place de la Bastille, probabilmente una delle piazze più famose di Parigi e forse anche di tutta la Francia!  In questo luogo originariamente sorgeva la fortezza omonima famosa per essere stata presa d’assalto dai rivoluzionari il 14 luglio 1789. La presa della Bastiglia rappresenta, come ben sapete, proprio il simbolo di questa rivoluzione. Al centro della piazza ……”
Mentre la guida turistica parlava i pensieri di Anna vagavano e andavano proprio a quel momento della storia francese, la Rivoluzione.
Era sempre stata affascinata da quel particolare periodo storico fin dai tempi della scuola. Aveva letto libri, osservato quadri, aveva preparato persino la tesi di laurea in lingue sulla Rivoluzione Francese, sentiva quasi di appartenere a quegli anni, come se fosse nata nel secolo sbagliato.
Lì, in quel luogo, percepiva la forza di un popolo che, finalmente unito, prendeva in mano le redini del proprio destino e cercava di cambiarne la direzione. Proprio lì le parole cardine della Rivoluzione “Liberté, égalité, fraternité” echeggiavano forti nel 1789, limpide e pure non ancora intaccate dal cinismo e dall’apatia che pian piano avrebbe avvolto i secoli successivi.
Quanti uomini o donne allora avevano sacrificato la propria vita ed i propri affetti per combattere in quei giorni? Lo avevano fatto ubbidendo con fiducia al significato di quelle parole.
Quale popolo europeo, oggi, correrebbe il rischio di morire per quegli ideali? Siamo così assuefatti alla libertà e all’uguaglianza e così allergici alla fratellanza che preferiamo stare seduti in poltrona a lamentarci sgranocchiando patatine.
Abbiamo tutto adesso, pane, latte, persino le brioches che voleva darci Maria Antonietta….
Anna, che era comunque una donna moderna e che non aveva mai dovuto soffrire la fame o le ristrettezze economiche di un paese portato al fallimento, sentiva, in quella piazza, dentro di sé il fuoco della rivolta come se fosse stata una di quelle donne che, ai piedi della fortezza, con in mano un bel forcone urlava tutto il suo disappunto e la sua rabbia.
Un deciso colpo sulla spalla fece svanire le sue riflessioni come lo scoppio di una bolla di sapone e la ragazza ritornò inesorabilmente alla realtà.
Il suo fidanzato la stava chiamando. La guida turistica aveva terminato il suo lavoro e adesso loro erano liberi.
“Finalmente – sbuffò Alessandro – non ne potevo più di tutte quelle parole, ma come fai tu ad ascoltare tutte quelle stupidaggini? Non capisco proprio…dai andiamo che ho una fame terribile!”
E si incamminarono lungo uno dei viali alberati che si dipartivano dalla piazza in cerca di un ristorante.
Stavano percorrendo il viale da poco meno di cinque minuti ed erano circa le sei di sera quando Alessandro si piombò in un piccolo locale piuttosto sudicio e, a giudicare da una prima occhiata, anche abbastanza mal frequentato.
Con stupore Anna disse: “… ma hai intenzione di cenare qui?! Guarda che se facciamo due passi in più possiamo trovare qualcosa di più decente”.
Alessandro le rispose che aveva fretta e un posto valeva l’altro tanto non dovevano certo cenare “a ostriche e champagne”. E poi quella sera c’era la partita di Champions League per cui dovevano tornare di fretta in albergo che non poteva perdersela.
La reazione della ragazza non tardò ad arrivare: “Scusa ma fammi capire bene, siamo a Parigi, una delle città più belle del mondo, insieme, e tu mi porti a mangiare in una bettola perché dopo devi vedere assolutamente la partita??!! “
“Oh dai calmati – replicò lui con gli occhi al cielo – non farne una tragedia, domani ci rifacciamo, tranquilla piccola”.
Anna incassò il colpo ma non poteva non nascondere una certa delusione.
A malincuore doveva ammetterlo, soprattutto a sé stessa, la storia con Alessandro non si era dimostrata quella sperata. Si erano conosciuti un anno e mezzo prima e le cose, almeno all’inizio, erano perfette.
Poi, col passare dei mesi il loro rapporto si era pian piano deteriorato. Non avevano più l’intesa iniziale e litigavano spesso. Anna aveva colto al volo l’occasione di quel viaggio per tentare di rimediare e, alla vigilia della partenza, sembrava essere tornato tutto come prima o quasi…
Adesso però, il comportamento tenuto nell’ultima mezz’ora l’aveva fatta ripiombare nella frustrazione.
Avevano cenato, se di cena si poteva parlare, ed erano ritornati subito in albergo. Ovviamente, come promesso, Alessandro si era precipitato nella hall dove, insieme ad altri ospiti dell’hotel, si era piazzato davanti al televisore maxi schermo per vedere la tanto sospirata partita di calcio.
Anna era salita in camera con la scusa di leggere qualcosa, in verità a riflettere sulla situazione.
Era una fresca serata di metà settembre, il sole concedeva ancora delle splendide giornate e, quella sera, il tramonto regalava agli occhi magnifiche sfumature rosso-arancio che rendevano tutto ciò che illuminavano particolarmente affascinante.
La ragazza era affacciata alla ringhiera della porta-finestra ad ammirare quel magnifico panorama. I tetti delle case di Parigi si stendevano sotto i suoi occhi. Come era bella quella città, soprattutto quando, verso sera, iniziavano ad accendersi migliaia di luci che sembrava quasi di osservare la Via Lattea.
Anna aveva sempre amato quella città e aveva anche sempre sognato di passarci un week-end romantico con l’uomo di cui era innamorata ..
E adesso che questo piccolo sogno si era realizzato le veniva voglia di piangere. Come era potuto accadere che Alessandro, il suo Alessandro, in pochi mesi si fosse trasformato così? Prima era così romantico, attento, premuroso poi basta. Era diventato insofferente, sgarbato, scortese.
Lentamente, nella mente di Anna si insinuò un piccolo pensiero, un tarlo. Le vennero in mente le parole dei suoi genitori che, all’alba della loro relazione, lei non aveva accettato anzi, aveva considerato offensive e ostili. Come potevano mamma e papà intromettersi nella sua decisione di frequentare Alessandro?
Lei era una ragazza di buona famiglia, doveva ammetterlo, i suoi avevano una piccola azienda di tessuti ed economicamente non se la passavano affatto male. Ed inoltre, era anche una bella ragazza. Alta, magra, non troppo formosa ma ben proporzionata, capelli castani lunghi e mossi, occhi dello stesso colore.
“Anna, ascoltaci per cortesia. Lo sappiamo che Alessandro è un bel ragazzo, attraente e affascinante ma, credici, è assolutamente un ragazzo inconcludente.
Vive alla giornata, ama il lusso e i divertimenti, non ha idea di come farsi una posizione nella vita.
Non ha un lavoro fisso, passa da un incarico ad un altro nel giro di pochi mesi.
Vedrai, il suo scopo è di appendere il cappello al chiodo. Tu sei figlia unica cara e lui non vede l’ora di mettere le mani sull’azienda di famiglia. E poi vedrai il risultato….”.

Aveva sinceramente odiato quel bel discorsetto di suo padre. Come si permetteva di giudicare Alessandro? La sua reazione non tardò ad arrivare. Era sempre stata un tipo impulsivo ed irruente così decise di rompere con i suoi. Se la sarebbe cavata da sola. Aveva un lavoro, anche se non le piaceva molto, ma questo le bastava. Decise di andare a vivere con il suo fidanzato nell’appartamento che usava quando frequentava l’università a Milano. Era piccolo ma accogliente e poi lei voleva solo stare con il suo uomo e niente e nessuno avrebbe potuto impedirglielo.
Ora, a malincuore, doveva ammettere che, forse, i suoi non avevano poi tutti i torti. Anzi, tutto ciò che le avevano pronosticato era successo ancora più in fretta di quanto loro andavano dicendo.
Le lacrime non tardarono ad arrivare, iniziò a singhiozzare appoggiando la testa sulla ringhiera con le braccia incrociate.
“Non voglio più stare qui ….voglio andare a casa….casa mia” si ripeteva da alcuni minuti, da quando in cuor suo la decisione di troncare quella relazione, ormai giunta al termine, aveva iniziato a prendere forma.
Anche questa volta l’istinto la fece da padrone. Per lei tutto era o bianco o nero, non c’erano vie di mezzo. O amava totalmente una persona o era meglio finirla lì prima che la situazione diventasse insostenibile.
Consapevole della propria irrevocabile decisione si asciugò le lacrime con il dorso della mano e, dopo essersi rinfrescata il volto, si sedette al tavolino vicino alla finestra e aspettò.

Erano passate da poco le 22:00 quando il ragazzo rientrò in camera.
Anna notò che aveva un’andatura leggermente barcollante ma non ci dette troppo peso, in camera non c’era la luce principale accesa ma solo una piccola applique di fianco al letto.
“Ehi piccola ancora sveglia?” chiese lui.
Odiava sentirsi chiamare così. Per un po', per amore di Alessandro, aveva sopportato quel nomignolo, adesso non ce la faceva più. Strinse forte i pugni sul bracciolo della poltroncina su cui era seduta.
“Sì Ale, sono ancora sveglia. In fondo sono solo le dieci, pensavi che sarei andata a dormire con le galline?” non riusciva a non essere scortese, era più forte di lei.
Alessandro la guardò un po' stupito ma non disse nulla.
Anna prese coraggio e continuò: “Sai Ale, come credo abbia potuto notare anche tu, ultimamente noi non riusciamo più a comunicare come una volta. Litighiamo spesso, sembriamo quasi due perfetti estranei. Tu che hai le tue passioni, alle quali evidentemente non intendi rinunciare nemmeno in vacanza, e io che, nonostante tutto, cerco di starti dietro per farti piacere ma che sinceramente adesso non mi va più.
Forse sarà anche colpa mia, non lo metto in dubbio, però credimi che per me è sempre più difficile pensare ad un futuro insieme a te.”
Bene, lo aveva detto, si sentiva un po' più leggera, ma adesso veniva il bello…
“Così ho pensato, anzi no, ho deciso che io domani mattina me ne torno a casa in Italia. Da sola.” le ultime due parole le aveva pronunciate scandendole bene in modo fermo e risoluto.
“Tu resta pure fino alla fine della vacanza. L’hotel è già pagato. Divertiti.”
Alessandro, per tutto il tempo, era rimasto a fissarla al centro della stanza. La sua espressione passò lentamente dallo stupore all’incredulità e subito dopo all’irritazione.
“Che cazzo dici?” fu la sua risposta.
“Ah, vedo che le parole non ti mancano ...” lo canzonò lei. Poi proseguì.
“Dico che sono stufa. Stufa dei tuoi modi di fare, del tuo comportamento sempre insofferente, insomma, in poche parole sono stufa di te.”
Forse aveva alzato un po' il tono della voce ma il nervoso accumulato non poteva non sortire quel risultato; si stava sfogando, stava facendo venir fuori la sua rabbia repressa forse per troppo tempo.
Quello che accadde subito dopo fu molto veloce e concitato. Si ritrovò il volto rabbioso di Alessandro ad un centimetro dal suo, così improvvisamente, senza neanche rendersi conto dei movimenti del ragazzo.
Puzzava d’alcool e la cosa la fece inorridire. Poi si sentì afferrare i polsi trovandosi le proprie mani all’altezza del volto.
“Così mi fai male Ale…” gemette Anna.
Inaspettatamente poi inciampò sul tappeto e cadde all’indietro sul letto, trascinandosi il pesante corpo dell’uomo su di sé.
“Lasciami Ale o chiamo aiuto !!” le riuscì di dire nonostante il peso le impedisse di respirare a pieni polmoni.
Cosa aveva intenzione di fare? Perché quella reazione così violenta? Si aspettava un litigio, degli insulti, non certo quello.
“Tu non andrai da nessuna parte...” furono le parole che uscirono dalla bocca del ragazzo e, così bloccata, non le fecero affatto una bella impressione.
Non le riusciva proprio di muoversi nonostante cercasse di divincolarsi, poteva solo girare la testa da una parte all’altra per evitare la bocca di Alessandro che adesso cercava la sua. Si doveva preparare al peggio?
La testa iniziò a pulsare; il respiro, già provato dal peso di lui, era sempre più corto, il cuore martellava senza sosta sempre più velocemente, i pensieri si susseguivano disordinati, stava per soccombere.
Ma quando lui le strattonò violentemente la camicetta per togliergliela non ci vide più dalla rabbia e, trovando le forze non so dove, con un bel calcio assestato dove sapeva di fare male le riuscì di uscire da quella morsa decisa.
Appena alzata afferrò dalla poltrona il golf indossato quel pomeriggio e, senza pensarci due volte, uscì velocemente dalla stanza.
Non sapeva se Alessandro la stesse inseguendo, correva sempre più forte giù per le scale. Non aveva voluto neanche aspettare l’ascensore.
In un attimo si trovò fuori dall’albergo in mezzo alla gente che passeggiava sul marciapiede.
Il suo aspetto non era dei più tranquilli. Così come il suo torace che si alzava e abbassava freneticamente per l’agitazione e la corsa. Sperò di non essere notata troppo.
Si incamminò lungo il viale alberato con un’andatura abbastanza spedita, voleva allontanarsi il più possibile da lui e dalla sua reazione improvvisa e smisurata. Aveva bisogno di mettere ordine nei suoi pensieri che, in quel momento erano parecchio annebbiati.
Iniziava a fare freddo, nonostante fosse il mese di settembre così si strinse il golf e le braccia al petto.
Camminava senza meta, senza guardare troppo avanti a sé, preferiva concentrarsi sul selciato.
L’aria fresca le colpiva il volto e questo le donava una sensazione di benessere, come a voler scacciare via l’ultima mezz’ora della propria esistenza.
Non poteva credere alla reazione dell’uomo che fino a qualche ora fa rappresentava il suo compagno, il suo amico, il suo amante, il suo amore.
Certo, il loro rapporto era come un albero già in parte spoglio. Adesso però una folata di vento aveva spazzato anche le poche foglie rimaste attaccate ai rami.
Cercava con gli occhi qualcosa che la potesse distrarre, una piazza, una chiesa, anche solo una vetrina illuminata ma il suo girovagare senza meta l’aveva portata in una zona piuttosto buia e deserta.
Da quanto tempo camminava? Dove si trovava? Non conosceva così bene Parigi, a parte le vie principali, e quella in cui si trovava non era sicuramente tra quelle.
Intorno a lei alcune case a graticcio la osservavano silenziose. Nessuna luce alle finestre. Doveva essere una zona antica. Molto caratteristica. Non pensava di trovare ancora case del genere in una città che, in epoca ottocentesca era stata oggetto di una sapiente e completa ristrutturazione.
Era meglio allontanarsi da lì, non era il caso di fare brutti incontri proprio quella sera.
Girò a destra dove le sembrava di intravedere, in fondo, una via più luminosa.
Effettivamente la via era più luminosa e più ampia solo che qualcosa non quadrava.
Come mai mancavano i pali dei lampioni e, al loro posto attaccate ai muri delle case, brillavano, piuttosto flebili, solo delle lanterne?
Anna si incamminò lungo la via. Si sentivano, in lontananza dei rumori, sembrava il vociare di un folto numero di persone, quasi un corteo.
I rumori provenivano da un’altra via che incrociava quella in cui si trovava Anna a poco più di un centinaio di metri.
Decise di andare a vedere. Il rumore era sempre più forte. Quando raggiunse l’incrocio e giunse sull’altra strada i suoi occhi si aprirono in uno sguardo esterrefatto.
Una folla inferocita le veniva incontro alla sua sinistra; alla sua destra, a circa cinquanta metri, una carrozza bruciava tra le fiamme e, oltre la carrozza, altra gente che urlava.
Che cavolo stava succedendo? Cosa voleva quella gente, perché urlava?
La ragazza non fece in tempo a decidere sul da farsi che qualcosa la colpì in testa; tutto improvvisamente fu buio intorno a lei, poi più nulla.
 
   
 
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