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Autore: BrokebackGotUsGood    21/03/2016    5 recensioni
Per Sherlock l'amore non è altro che uno svantaggio pericoloso. Riuscirà John a fargli ammettere di essersi...beh, sì, sbagliato?
«Credo di star attraversando una...u-una crisi d' identità, ecco».
[...]
«Di identità sessuale?»
«Per l'amor del cielo, non pronunci quella parola!!».

[Johnlock]
Genere: Romantico, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: John Watson, Sherlock Holmes
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Capitolo II







«Madre single sulla quarantina, talmente ossessionata dalla ricerca di un nuovo amore da iscriversi ad un sito di incontri. Riceve uno stipendio modesto e conduce uno stile di vita alquanto stressante».
Osservai con attenzione (naturalmente senza farmi notare) la donna dai lunghi capelli castani seduta ad un tavolo poco distante dal nostro, cercando di individuare i dettagli che avevano permesso a Sherlock di trarre quelle conclusioni, ma come al solito non arrivai a nulla.
«Sì, lo so, aspetti delle spiegazioni» disse con una leggera aria di superiorità, che ormai non mi dava più fastidio come ai primi tempi, per poi cominciare a parlare ininterrottamente. «Quando l'uomo con cui si doveva incontrare si è avvicinato al suo tavolo, lei gli ha rivolto uno sguardo dubbioso e l'istante dopo si è scusata con lui per non averlo riconosciuto subito, quindi è molto probabile che si siano conosciuti su un sito d'incontri e che prima d'ora avessero avuto un'idea l'uno dell'aspetto dell'altra solo tramite delle foto scambiate online; lei indossa solo bigiotteria e vestiti vecchi di almeno tre anni, il che significa probabilmente che non può permettersi di meglio, dal momento che per una serata galante avrebbe di certo messo un vestito nuovo di zecca o, per lo meno, qualcosa di più elegante; i segni sotto ai polsi sono stati lasciati dal bordo di una scrivania, non dal tavolo a cui è seduta, perché è rimasta con le braccia sul grembo per tutto il tempo: lavora in un ufficio e, a giudicare dalle unghie mangiucchiate, il suo lavoro, oltre a non soddisfarla pienamente dal punto di vista economico, la tiene continuamente sotto stress»
«E come hai fatto a capire che è una madre?»
«Ah, beh, quello è stato facile. Dieci minuti fa stava parlando al telefono con una certa Joey, a cui ha raccomandato di non andare a letto troppo tardi, perciò l'interlocutrice non poteva che essere sua figlia. Non una nipote o un'altra ragazzina a cui badare, non l'avrebbe mai lasciata a casa da sola sapendo di averne la piena responsabilità».
Annuii, abbassando poi lo sguardo sul mio piatto e arrotolando alcuni spaghetti sulla forchetta.
Sherlock invece non aveva toccato cibo e continuava ad osservare i clienti attorno a noi.
«Due coppie di amici» ricominciò, dopo aver adocchiato altri soggetti da sottoporre al suo attento studio. «La moglie dell'uomo biondo tatuato e il marito della donna dalla pettinatura anni '80 hanno una relazione segreta. Sono visibilmente a disagio, come si può vedere da...»
«Sherlock, vorresti farmi il favore di mangiare almeno un boccone? Non ricordo nemmeno l'ultima volta che ti ho visto mettere qualcosa sotto i denti».
Dalla sua espressione corrucciata capii che non gli era piaciuta per niente quella mia interruzione, ma lo avevo portato lì con l'intenzione di distrarlo momentaneamente dal lavoro e, al fine di raggiungere il mio scopo, non avevo avuto altra scelta se non zittirlo una buona volta.
Era praticamente da quando avevamo messo piede nel ristorante che non smetteva di espormi le sue deduzioni e, per quanto mi piacesse sempre ascoltarlo, non era così che volevo trascorrere l'intera serata.
Con mia grande sorpresa, ubbidì (seppur di malavoglia) e inforcò un pomodorino per portarselo alla bocca.
«Ti ringrazio» dissi con un mezzo sorriso.
I seguenti cinque minuti li trascorremmo senza proferire parola, facendo calare un silenzio interrotto solo dal picchiettare delle forchette sul fondo dei piatti e dalle chiacchiere dei clienti; io continuai a mangiare fino a svuotare il piatto, sazio e soddisfatto della cena, mentre è inutile dire che lui, dopo avermi concesso qualche boccone, non era più andato avanti a mangiare, ma mi trattenni dal rimproverarlo, ritenendolo solo uno spreco di tempo.
«Davvero non vuoi sapere come ho fatto a capire che quei due stanno insieme?» mi chiese dopo un po', intrecciando le mani sul tavolo e inarcando un sopracciglio in aspettativa.
A quel punto presi un lungo respiro e lo guardai con quella che aveva tutta l'intenzione di sembrare calma e pazienza, ma che non nascondeva un briciolo di esasperazione.
«Ascolta, capisco che ti dia fastidio non essere riuscito a risolvere il caso prima della confessione dell'assassino, ma...»
«Confessione senza cui Lestrade starebbe ancora navigando in mare aperto» si affrettò a precisare.
«Sì, non lo metto in dubbio. Come stavo dicendo, capisco la tua frustrazione, ma ti farà impazzire continuare a palesarla fino all'arrivo di un nuovo caso. Non pensarci, va bene?».
Tenne il suo sguardo fisso su di me con la fronte leggermente aggrottata, come se stesse cercando di capire se dietro le mie parole ci fosse chissà quale significato oscuro nascosto, mentre io mi pulivo la bocca con il tovagliolo e prendevo un sorso d'acqua dal mio bicchiere.
Poi rivolse nuovamente la sua attenzione alla clientela, senza però osservarla minuziosamente come poco prima, anzi, dal suo volto sembrava trasparire solo noia, se non addirittura fastidio.
«Iscrizioni a inutili siti, occhi dolci, sorrisi teneri, mani che si sfiorano "casualmente"...non è una cosa estremamente ridicola, l'amore?» disse con una più che percettibile nota di disprezzo, gli occhi trasformati in due fessure impenetrabili.
«Beh...no. No, io non lo definirei in questo modo» risposi pacatamente.
Alzò gli occhi al cielo. «Certo che no, non mi aspettavo diversamente. Basta vederti con una delle tue ragazze e diventi ridicolo quanto gli altri».
Non mi offesi più di tanto per quel commento; ormai ero più che abituato alla sua totale assenza di tatto e non mi dava più così fastidio come una volta (durante il nostro primo caso mi aveva dato dell'idiota e ricordo di esserci rimasto piuttosto male). Era fatto così e avevo imparato ad accettarlo.
Non che mancassero del tutto le volte in cui mi faceva arrabbiare, sia chiaro; anzi, come già accennato in precedenza, mi ero ritrovato più volte a lottare contro l'istinto di mollargli un ceffone.
Ma non era quello il caso.
«Sono stato bene con le ragazze con cui sono uscito fin ad ora, ma...non credo si possa parlare d'amore. L'amore è tutta un'altra cosa» dissi a bassa voce, quasi stessi parlando a me stesso, giocherellando distrattamente con il barattolino degli stuzzicadenti.
Improvvisamente sembrò interessarsi alla conversazione e mi guardò appoggiando il mento sulle mani intrecciate: probabilmente non vedeva l'ora di smontare la mia stupida e sentimentale spiegazione.
«E che cosa sarebbe, se non una serie di reazioni chimiche che conducono inevitabilmente al deterioramento di una persona che potrebbe sfruttare le proprie capacità intellettuali per scopi di gran lunga più produttivi?».
Feci una mezza risata, scuotendo la testa e abbassando per un istante lo sguardo sul mio piatto vuoto.
«Beh, è...». Esitai. «...Penso che sia quando ci si fida talmente tanto di una persona da essere disposti a seguirla ovunque ad occhi chiusi, non temendo minimamente i rischi e le conseguenze; quando basta un solo sguardo per leggersi a vicenda e rendere completamente inutili le parole; quando ci si rende conto che una persona è in grado di riempirti la giornata con gesti che possono sembrare sciocchi e privi di significato. Quando quella persona diventa, a volte inaspettatamente, ciò che nella tua vita è sempre mancato».
Avevo scelto con cura quelle parole, ma le avevo pescate in un angolo dentro di me la cui esistenza mi era sempre stata ignota, dal momento che con tutta probabilità, anche se non me n'ero mai realmente reso conto, non avevo mai provato quel sentimento nella sua pienezza, non importava il numero di ragazze con cui ero stato.
Io, John Hamish Watson, sapevo davvero più di Sherlock Holmes riguardo all'amore...?
Mi aveva ascoltato in silenzio e durante i secondi che seguirono non seppi decifrare la sua espressione, nemmeno quando le sue labbra a cuore si curvarono in un sorrisetto beffardo.
«Quindi in passato il nostro John Watson è stato innamorato» disse, come se avesse appena scoperto un indizio interessante per la risoluzione di un caso.
«No, non esattamente. Diciamo che questa è solo la visione che ho io di questo sentimento».
Ecco, ora che lo avevo detto mi sentivo un po' meno ipocrita.
«Mpf, noioso» rispose con una smorfia.
Feci un debole sorriso curioso e inclinai leggermente la testa di lato, come a volte faceva la mia terapista quando mi scrutava nel tentativo di leggermi più a fondo, di capire al di là della mie parole.
A volte mi chiedevo se fosse veramente possibile che Sherlock, da essere umano quale era, in trent'anni della sua vita non avesse mai provato nulla di vagamente simile all'amore nei confronti di una persona. Insomma, ok che rispetto a lui il resto del mondo sembrava possedere un quoziente intellettivo pari a quello di Anderson e sapevo quanto Sherlock cercasse di tenersi più alla larga possibile dagli idioti, ma doveva esserci una sola persona in grado di indebolire la sua corazza.
Che so, Irene Adler, per esempio.
Non appena quel nome fece capolino nella mia mente, mi ricordai di un piccolo particolare collegato alla vicenda della Dominatrice.
«Una volta mi hai accennato qualcosa riguardo al fatto che l'amore fosse "uno svantaggio spericoloso". Posso sapere che cosa intendevi esattamente?».
Congiunse i polpastrelli e socchiuse gli occhi, poi, sicuro di sé, alzò il mento come se mi stesse sfidando o, più probabilmente, come se fosse pronto a darmi una bella lezione di vita.
Ma quando fece per dire qualcosa si bloccò con la bocca semi aperta, interrotto da Angelo che si avvicinò al nostro tavolo per ritirare i piatti.
«Spero che la cena sia stata di vostro gradimento» disse con un sorriso affabile, guardandoci alternatamente (anche se immaginavo si stesse rivolgendo più che altro a me, dato che il piatto di Sherlock era rimasto mezzo pieno. Meno male che la maggior parte delle volte avevamo la fortuna di non dover pagare, altrimenti sarebbe stato un vero spreco).
«Sì, grazie, era tutto molto buono» risposi.
Lui fece un cenno con la testa e si allontanò con i piatti impilati su un braccio, andando poi incontro a nuovi clienti per indicare loro i posti liberi rimasti.
Dopo qualche istante Sherlock sì alzò dalla sedia e si infilò il lungo cappotto, seguito dalla sciarpa blu.
«Andiamo. Devo controllare se sul sito c'è qualche caso interessante».
Cercai di ribattere, ma decisi di lasciar perdere e sospirai con rassegnazione, alzandomi a mia volta: in fondo aveva già resistito abbastanza senza omicidi (ben quattro ore!) e, anzi, apprezzavo quello che per lui doveva essere stato un enorme sforzo.
E mi piaceva pensare che lo avesse fatto per me.



 

Ella Thompson accennò appena un sorriso e si sporse in avanti per appoggiare i gomiti sulle ginocchia, movimento che fece tintinnare i suoi lucenti orecchini di perle, in netto contrasto con la sua pelle scura.
«Dunque, se ho capito bene, il vero scopo della cena era quello di fare in modo che il signor Holmes dedicasse più tempo a lei piuttosto che ad uno dei suoi casi».
John si inumidì le labbra e passò la lingua all'interno della guancia, per poi annuire con indecisione: sì, ricordava che in quei giorni aveva avuto l'insolito desiderio di ricevere più attenzioni da parte di Sherlock e doveva ammettere di esserne rimasto piuttosto sorpreso, dal momento che fino ad allora non aveva mai dato peso al fatto che il consulente investigativo a volte lo ignorasse per ore, immerso nel suo palazzo mentale; da un po' di settimane a quella parte, invece, avrebbe voluto trascorrere con lui ogni momento libero che riusciva a sottrarre alle loro frenetiche ed estenuanti giornate, ma non aveva mai avuto modo di farglielo capire.
Insomma, sarebbe stato piuttosto imbarazzante.
«Naturalmente non ci sono arrivato subito» spiegò il dottore, schiarendosi la voce. «Ho rimesso insieme i pezzi solamente quando mi sono reso conto che più i giorni passavano, più cercavo in ogni modo di...ecco, ridurre la distanza tra di noi, capisce?»
«E quando se n'è reso conto, esattamente?».
John ci rifletté un momento.
Beh, forse quella stessa sera, quando quella distanza si era...decisamente ridotta.



 

«...Il ragazzo in due posti diversi allo stesso orario?»
«Terribilmente banale. Nel 92% dei casi si tratta di gemelli, non ho intenzione di perderci del tempo»
«Va bene, allora la statua rubata da un museo d'arte moderna...?»
«Noioso»
«Che ne dici del marito che tradisce la moglie con una ragazza che non è mai esistita? Sembra interessante»
«Farò finta che tu non l'abbia detto»
«Beh, a questo punto sembra che ci resti solo il gattino scomparso».
Sherlock sbuffò scocciato, si passò entrambe le mani sul viso e un secondo dopo scese dal divano con un abile balzo, per poi passare dall'altra parte del tavolino lì di fronte salendoci direttamente sopra, senza prendersi la briga di aggirarlo.
«Diavolo, diavolo, diavolo! I criminali hanno deciso di fare una pausa caffé, per caso??» esclamò con rabbia, arruffandosi i capelli e cominciando a fare avanti e indietro per il salotto.
Gli feci segno di abbassare la voce. «Sherlock, sta' calmo, vedrai che domattina Lestrade o Mycroft ci daranno qualcosa»
«Io lo voglio adesso» puntualizzò, mettendo enfasi sulla parola adesso.
Feci un sorrisino, chiusi il computer, rimettendolo sul tavolo, e andai a sedermi sulla mia poltrona. Poi lui si bloccò improvvisamente al centro della stanza, come se avesse avuto un'illuminazione, e si voltò verso di me con sguardo serio.
«John»
«Mh?»
«Il Cluedo».
Ecco, lo sapevo.
Come avevo potuto vivere nell'illusione che avesse finalmente capito che non intendevo più giocare secondo le sue regole e non quelle del foglietto di istruzioni?
Sospirai rumorosamente, lanciandogli un'occhiataccia. «Sherlock, ne abbiamo già parl...»
«O quello o le sigarette»
«Ah no, te lo scordi! Le sigarette rimangono dove le ho nascoste»
«John. Ti prego». Mi si avvicinò, piantanto i suoi occhi nei miei senza lasciarmi via di scampo, e «Fallo per me» disse con un filo di voce, visibilmente sull'orlo di una crisi di nervi.
Tanto lo sapevo che era una battaglia persa sin dall'inizio: non ero mai ruscito a rimanere impassibile davanti alle sue rarissime e quasi adorabili suppliche.
Ma sì, in fondo cosa importava se lui riteneva che la vittima potesse uccidersi da sola? Aveva bisogno di sfogarsi in qualche modo e non volevo di certo negargli questa possibilità.
«E va bene...» acconsentii rassegnato. «Vado a prendere la scatola».
Sherlock sorrise con soddisfazione e un pizzico di gratitudine, dando vita a delle simpatiche fossette sulle guance pallide e rischiarando l'ombra di malumore che gli velava il volto.
Si sedette al tavolo in maniera stranamente composta mentre io recuperavo il gioco dal mobiletto accanto al camino, scuotendo la testa tra me e me, meravigliandomi del fatto che in guerra non mi fossi mai fatto impietosire da nessuno, mentre lui era capace di farmi cambiare idea in meno di tre secondi usando come arma nient'altro che i suoi bei occhioni azzurri.
Mah.
Giocammo per quasi due ore, facendo venire le undici di sera, e credo non sia necessario precisare che tutte le partite le vinse lui (c'era di buono che aveva tentato di seguire il regolamento); ad un certo punto, però, le mie palpebre iniziarono a far sentire tutto il loro peso e, nonostante cercassi di rimanere sveglio, venivo continuamente tradito dagli sbadigli.
«John, va' a dormire» mi esortò Sherlock, avendo notato la mia aria non proprio sveglia e vigile.
Risposi con un mugugno indistinto, stropicciandomi gli occhi. «No, se vuoi possiamo fare un'altra partita, ce la faccio»
«No che non ce la fai, e non c'è bisogno delle mie deduzioni per capirlo. E poi stavo cominciando a stancarmi, credo che mi metterò a fare qualche esperimento. C'è ancora un sacchetto di orecchie umane nel frigorifero»
«Sì, ho notato».
Sorrise.
Trovare pezzi di cadaveri dove conservavamo il cibo rimaneva sempre disgustoso dal mio punto di vista, ma ormai non mi arrabbiavo più quando succedeva, avendo capito che fosse per...sì, beh, per il bene della scienza.
Misi a posto la mia pedina (che non mi ero nemmeno accorto essere Miss Scarlet*) e mi alzai dalla sedia, facendola stridere sul pavimento. «D'accordo, allora...vado» dissi con tono leggermente strascicato, ma venni bloccato dalla voce di Sherlock prima di potermi dirigere verso la mia camera da letto.
«John?».
Mi voltai verso di lui, incuriosito. «Sì, Sherlock?».
Si alzò a sua volta e venne verso di me, vicino, troppo vicino, tanto da poter contare le pagliuzze delle sue iridi, che in quel momento avevano assunto una chiara sfumatura di grigio. Era sorprendente il modo in cui erano in grado cambiare colore a seconda della luce dell'ambiente in cui ci trovavamo: potevano variare dall'intenso azzurro cielo ad un celeste ghiacciato, o da un brillante verde smeraldo ad un colore, come in quel momento, simile al grigio di una giornata di pioggia.
Non mi ero mai davvero reso conto di aver prestato così tanta attenzione ad un dettaglio come quello.
«Grazie» disse con voce profonda e sincera, a causa della quale il mio cuore perse un battito.
Grazie di cosa? Per aver accettato di giocare a Cluedo?
Avevo la mente troppo annebbiata per riuscire a chiederglielo, sia per il sonno che per la sensazione del suo caldo respiro sul mio viso.
Ma mi accorsi di quanto effettivamente non fossi lucido quando sentii l'impellente bisogno di un contatto fisico, qualcosa che annullasse definitivamente quei pochi centimetri che ci separavano; qualcosa che non mi ero mai azzardato a fare per paura di venire respinto, ma che più volte, soprattutto in situazioni particolarmente emotive, avevo desiderato.
Fu così che mi ritrovai ad avvolgere le mie braccia attorno alle sue spalle, sentendolo subito irrigidirsi per la sorpresa.
Fu strano.
Era un abbraccio piuttosto impacciato, ma dovevo ammettere che mi piaceva la sensazione dei nostri petti che aderivano, dei nostri cuori che battevano all'unisono e dei suoi riccioli che mi solleticavano la tempia.
Non mi aspettavo che lui ricambiasse la stretta, come infatti non fece, e quando mi staccai gli diedi un paio di pacche amichevoli nel tentativo (inutilissimo) di smorzare l'imbarazzo inevitabilmente creatosi.
«Buona notte, Sherlock» dissi dopo essermi schiarito la voce e, senza il coraggio di alzare lo sguardo per vedere la sua espressione, mi diressi verso le scale che portavano al piano di sopra.
Non mi rispose, il che lasciava dedurre che lo avessi sconvolto non poco.



 

Se non fosse stato per lo scoppiettio delle fiamme nel camino, nel salotto avrebbe regnato il silenzio più totale.
Mi sembrava quasi di essere da solo in casa, tant'è che ogni tanto mi ritrovavo a lanciare qualche veloce occhiata a Sherlock da sopra il giornale, giusto per verificare che fosse sempre lì seduto al tavolo con l'attenzione completamente focalizzata sul suo computer.
Anzi, sul mio computer, dato che la maggior parte delle volte il suo rimaneva confinato in un angolo della sua camera da letto.
«Stai ancora valutando quale caso sia degno del tuo tempo?» gli chiesi distrattamente, leggendo un piccolo paragrafo dedicato allo sport.
Silenzio.
Abbassai il giornale sulle ginocchia, spostando lo sguardo su di lui.
«È da due ore che sei davanti allo schermo» continuai, ma dovetti attendere qualche altro istante prima di ricevere una risposta.
«Mh? Ah, no, veramente stavo...stavo facendo delle ricerche»
«Su cosa?»
«Qualcosa che potrebbe tornarmi utile in situazioni di emergenza»
«Significa che hai trovato un caso a causa del quale potresti cacciarti in guai particolari?»
«Oh, ma per favore! Non ho bisogno di fare ricerche su come ci si toglie dai guai e penso che questo tu lo sappia perfettamente».
D'accordo, per qualche strana ragione non voleva dirmi cosa stava combinando da più di due ore.
Annuii con finta indifferenza, concentrandomi nuovamente sul quotidiano.
Da un paio di giorni Sherlock si stava comportando in modo alquanto strano nei miei confronti; non che i suoi atteggiamenti in qualsiasi altra circostanza si potessero definire esattamente nella norma (insomma, era Sherlock), ma avevo notato qualcosa di innegabilmente diverso nel suo modo di parlarmi, di guardarmi, persino di stringermi la mano dopo essersi congratulato per aver risolto con successo un intricato omicidio (sì, alla fine Lestrade non ci aveva deluso).
Era diventato più freddo, introverso e scostante del solito, eppure non ricordavo alcuna discussione accesa, alcun episodio particolarmente sgradevole che potesse fornirmi una spiegazione plausibile.
Sicuramente non mi avrebbe risposto sinceramente se avessi provato a chiedergli cosa stesse succedendo, ma in un modo o nell'altro, costasse quel che costasse, lo avrei scoperto.
Mai sottovalutare le abilità di John Watson.
Ad un tratto la quiete venne interrotta dalla signora Hudson, che con il suo solito «Yoo-hoo?» fece capolino all'ingresso con un vassoio in mano.
«Buongiorno, miei cari, vi ho portato il vostro té» disse con voce gentile e un allegro sorriso, avvicinandosi con due belle tazze di té fumante e appoggiando il vassoio sul tavolino accanto a me.
«La ringrazio molto» dissi anche per Sherlock, che, totalmente immerso nella sua ricerca, non le aveva rivolto nemmeno uno sguardo.
Lei sembrò non darci peso e continuò a parlare. «Come stanno andando le cose qui? Avete avuto a che fare con qualche altro serial killer?»
«Ah, no, nessun serial killer, ma abbiamo comunque risolto un omicidio piuttosto complesso»
«Ho risolto, vorrai dire» precisò Sherlock, degnandoci per un istante della sua presenza. «Tu ti sei praticamente limitato ad esprimere la tua meraviglia riguardo alle mie osservazioni».
Lo guardai e aggrottai la fronte, confuso per il tono tagliente con cui aveva pronunciato quelle parole, oltre che indignato per le parole stesse.
Feci per rispondergli, ma la signora Hudson mi precedette.
«Oh, Sherlock, com'è scortese! Non dovrebbe trattare John in questo modo» lo rimproverò con fare prettamente materno.
Lui le lanciò un'occhiataccia, poi, imbronciato, rivolse nuovamente l'attenzione allo schermo.
«Oh, John, non avrete mica bisticciato, vero?» domandò preoccupata la signora, chinandosi verso di me e portandosi le mani al petto.
Le feci un sorriso rassicurante e scossi la testa. «È solo un po' nervoso a causa della noia. Non si preoccupi, gli passerà presto».
Ne dubitavo molto, ma non volevo che facesse troppe domande, anche perché non avrei nemmeno saputo darle delle risposte.
«Beh, d'accordo...se avete bisogno sapete dove trovarmi».
Annuii e la salutai con un cenno della testa, aspettando poi che uscisse per levarmi il sorrisino finto di dosso e sostituirlo con l'aria stranita di poco prima.
«Perché hai detto quelle cose?»
«Perché è la verità» .
«Ma non...non è vero! Che diavolo, mi sono quasi fatto sparare e hai il coraggio di dire che non ti ho aiutato?»
«Sono i normali rischi del mestiere, John. Per quanto riguarda la risoluzione del caso, no, non mi hai aiutato».
Io davvero non lo capivo. Ci provavo, sul serio, ma era qualcosa che a quanto pareva non rientrava nelle mie possibilità.
Due giorni prima mi aveva persino espresso la sua gratitudine, cosa che non avrei mai pensato potesse accadere, e invece ora mi umiliava facendomi sentire sciocco e inutile?
Ok, avevo avuto la prova definitiva: qualcosa lo turbava profondamente.
Sospirai esasperato e tornai a sfogliare il giornale, girando però le pagine con evidente irritazione (una si stropicciò leggermente) e facendo scorrere lo sguardo sulle righe dei paragrafi senza capire una parola.
Mi arresi dopo pochi minuti di silenzio, durante i quali si poteva quasi toccare con mano la tensione creatasi nell'aria.
«Va bene, che ti succede, Sherlock?» chiesi stancamente, alzandomi per posare il giornale sul tavolo e avendo così un pretesto per avvicinarmi a lui.
Sbuffò scocciato. «Non mi succede proprio niente»
«Sai che non me la dai a bere»
«Ho detto che non mi succede niente!».
Sussultai per l'improvviso aumento del volume della sua voce, seguito dal suo brusco alzarsi dalla sedia, chiudere il computer e sparire in bagno, da cui qualche istante dopo udii il getto della doccia.
Approfittando della situazione, riaprii il pc e provai a controllare la cronologia, sapendo però che doveva averla sicuramente cancellata.
Lo stupore si disegnò sul mio volto quando vidi che invece non l'aveva fatto (come poteva Sherlock Holmes aver commesso un simile errore?), ma la vera sorpresa arrivò quando lessi ciò che aveva digitato nella barra di ricerca: "Sintomi dell'innamoramento e rimedi".







 

*Per chi non ha mai giocato a Cluedo, cosa che ritengo alquanto improbabile, Miss Scarlet (in alcune versioni scritto Scarlett) è uno dei personaggi del gioco :3 Quello che da piccola volevo essere sempre io, lol
 

Non so voi, ma io sono elettrizzata a livelli pericolosamente estremi per le imminenti riprese della quarta stagione, WAAAH *_* Sapere che tra pochi giorni rivedremo Martin e Ben insieme mi riempie il cuoricino di gioia.
Anyway, finalmente ce l'ho fatta ad aggionare :') Anche se non credo proprio che questo capitolo sia worth the wait e mi scuso per questo :( Cercherò di movimentare le cose il più presto possibile :(
Ci stavo pensando da un po', ma credo che questa storia, da quel che sta venendo fuori (e non so esattente che roba ne stia venendo fuori), possa essere collocata tra The hounds of Baskerville e The Reichenbach fall. Non che possa interessarvi particolarmente, ma era tanto per darle una posizione nel tempo :')
Grazie a tutti quelli che l'hanno aggiunta tra le seguite/preferite/ricordate e a coloro che l'hanno recensita fino ad ora :*
Ci leggiamo (?) al prossimo capitolo!
Baci
Melissa

   
 
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