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Autore: Astry_1971    30/03/2009    6 recensioni
Oggi sono venuto davanti alla tua casa per guardarti un’ultima volta. Eri bellissima col tuo abito da sposa, nel tuo giorno più bello. Il giorno in cui ti perderò per sempre. Il giorno in cui mi perderò per sempre.
Genere: Drammatico, Introspettivo | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Severus Piton, Voldemort | Coppie: Lily/Severus
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Malandrini/I guerra magica
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Autore/Data: Astry, Dicembre 2008.
Beta - reader: Ale senza saperlo.
Personaggi:Severus Piton, Voldemort.
Tipologia:One-shot.
Rating: PG 14.
Genere: Drammatico, introspettivo.
Avvertimenti: One-Shot
Questo racconto è nato nel forum Magie Sinister e si inserisce in una raccolta di brevi one-shot scritte dai partecipanti al forum per la sfida di Fanfiction intitolata “Sangue”.


Finché Morte non ci separi

Sto tremando, ho freddo. Il sole che ho visto splendere sul tuo viso solo poche ore fa sembra un ricordo lontano.
Le nuvole lo hanno oscurato, non lo vedrò più.
Cammino. Di fronte a me, una sottile riga rossa mi indica il percorso.
Corre verso il destino che mi attende oltre quest’infinità di pietre squadrate che spuntano dal terreno umido, e sono tutto ciò che resta del pavimento di un’antica Cattedrale.
Dell’immensa costruzione rimangono solo colonne sottili e altissime. Si innalzano sfuggendo caparbiamente agli artigli della vegetazione.
Inutili sostegni di un soffitto crollato ormai da secoli, proseguono, private del loro fardello, fino a perdersi nel cielo grigio.
Sembrano volerlo afferrare come dita scheletriche, ma non si può afferrare il cielo, come non si possono afferrare i sogni.
Chimere che si disegnano davanti ai miei occhi, tramutando queste fredde pietre in un accogliente ambiente intonacato, adorno di fiori. Persino questo lugubre serpente scarlatto assume l’aspetto rassicurante di una bella guida di velluto e altri passi si sovrappongono ai miei.
Passi altrettanto incerti, tremanti, come solo quelli di una giovane sposa possono essere.
Sei tu, Lily, sei tu che cammini su quel tappeto rosso. Vedo i tuoi occhi smeraldini, lucidi per le lacrime di gioia, mentre guardi diritto di fronte a te, verso l’altare, verso la certezza di un futuro felice.
Ho l’impressione di essere lì. Sarà a causa di questo luogo, così carico di magia e dei suoi fantasmi.
O, più semplicemente, i vapori che si sprigionano dal terreno precedentemente intriso di un’antica pozione mi annebbiano la mente e rendono così vivida la mia immaginazione.
Riesco addirittura a vedere i riflessi colorati della piccola vetrata istoriata sul tuo vestito.
L’ho visto sai? E’ magnifico.
Oggi sono venuto davanti alla tua casa per guardarti un’ultima volta.
Eri bellissima col tuo abito da sposa, nel tuo giorno più bello.
Il giorno in cui ti perderò per sempre.
Il giorno in cui mi perderò per sempre.
Oggi entrambi saremo legati. Tu all’uomo che ami, io al mio padrone.
Ho scelto io la data della mia iniziazione. Volevo che fosse la stessa del tuo matrimonio.
Fra poco riceverò il Marchio e non avrò tentennamenti, perché, di fronte a me, non vedrò il mago al quale dedicherò la mia vita, non vedrò la sua oscura magia, ma la tua mano adornata dell’anello che lui ti donerà.
Griderò il mio giuramento con tutta la forza, solo per non sentire il tuo che rimbomberà nella mia mente come l’urlo della morte.
Sarà il mio addio e mi sarà impresso a fuoco nella pelle, doloroso e definitivo.
Solo così potrò cercare di dimenticarti.
Solo così, forse, riuscirò ad avere pace.

Sono passati anni da quel giorno: il giorno in cui hai deciso che eravamo troppo diversi per poter essere amici.
No, io ero troppo diverso. Diverso dai ragazzi della tua casa, diverso da quel James, che da allora ti è stato sempre più appiccicato.
Lo odio. L’ho sempre odiato, da quando ha messo piede nello scompartimento di quel maledetto treno. Da quando è entrato nelle nostre vite.
Hai cominciato a guardarmi in modo diverso. Io ero quello sbagliato, i miei amici erano sbagliati.
“Non mi piacciono!” dicevi.
Avresti voluto che fossi come James Potter? Come quel Black? O forse come quello strano ragazzo che guardava dall’altra parte quando James dava il meglio di sé rivoltando su di me i miei incantesimi?
Sono arrivato ad insultarti quando sei intervenuta, non volevo essere aiutato. Non da te. Non dovevi vedermi così: un perdente.
Non lo sono, non era giusto. Non è giusto quello che ci hanno fatto.
Non ero io ad annaspare in mezzo alla polvere, ma il nostro sogno che veniva calpestato.
Te lo ricordi?
Hogwarts doveva essere bellissima, il luogo dove tutto era possibile: noi eravamo maghi.
Sarei arrivato ad uccidere Potter, non per ciò che stava facendo a me, ma perché stava infangando i nostri sogni.
Poi tutto è cambiato, tu sei cambiata.
James ha continuato ad infierire su di me, ma non mi importava più. Non potevi vedermi ormai: anche tu voltavi la faccia dall’altra parte.
Ogni giorno sceglievo per me un angolo sempre più appartato e buio della biblioteca, e restavo a guardare Potter mentre faceva di tutto per farsi notare.
Le prime volte questo suo comportamento ti infastidiva. Poi hai cominciato a sorridergli ed io a morire lentamente.
Sapevi che ero lì, ma riuscivi sempre a non incrociare il mio sguardo. Poi non ho più resistito: era una giornata fredda e piovosa, quando ti ho raggiunta nel cortile e ho gridato il tuo nome.
Ti sei voltata, mi hai guardato in silenzio.
Dio, quegli occhi! Un fuoco verde che bruciava la mia anima.
Volevo parlarti, ma non ce l’ho fatta, non sono riuscito a dire niente.
Cosa potevo dirti? Che ero cambiato, che ero come tu avresti voluto?
No, io ero sempre lo stesso. L’amico della tua infanzia del quale ti sei vergognata.
Non volevi più giustificare la nostra amicizia. Volevi essere come loro, i tuoi amici Grifondoro.
I Grifondoro disprezzano quelli come me. Forse avrei dovuto odiare anche te, come odiavo il dolore che provavo in quel momento. Sono rimasto muto a fissare i tuoi occhi, volevo portarli con me, avrei voluto poterti guardare ogni istante. Solo guardare.
“Severus!”
Qualcuno ha pronunciato il mio nome, ma non sei stata tu.
Se solo lo avessi fatto, forse le cose oggi sarebbero diverse.
“Severus, andiamo!” quella frase ha risuonato nel mio cuore come una condanna.
Lucius era dietro di me, cominciava ad essere impaziente.
Non mi sono voltato a guardarlo. Ero obbligato andare, il mio futuro mi aspettava, mentre ciò che desideravo in quel momento era solo un’illusione.
Lo sapevo, eppure ho pregato perché si avverasse, ho desiderato che mi chiamassi per nome, ancora una volta.
Poi ho sentito la risata sprezzante di Malfoy alle mie spalle. Dovevo sembrare veramente patetico agli occhi del mio amico.
Forse lo ero, eppure non mi importava.
Ora, mentre avanzo su questa distesa di pietre, dritto e determinato, non posso fare a meno di tornare con la memoria a quel momento.
Per la prima volta nella mia vita, il mio orgoglio sembrava come anestetizzato, mi sarebbe bastata una minima speranza per ucciderlo del tutto.
Solo una speranza.
Ma tu, improvvisamente ti sei voltata: James si stava avvicinando, gli hai sorriso. Sembravi volerlo tranquillizzare.
Lui ti ha guardata e poi ha fissato il ragazzo biondo alle mie spalle.
Il suo sguardo mi è scivolato addosso come se fossi fatto d’aria. Come se non esistessi.
Ecco, il tuo cavaliere pronto a difenderti.
Sono rimasto quasi accecato dalla sua lucente armatura, mentre si interponeva fra te e Lucius, ma c’ero io davanti a lui, e le parole di Malfoy sono affondate nel mio cuore come pugnali, ancora prima di raggiungere il tuo difensore.
“Vuoi restare qui a fissare la mezzosangue per tutto il giorno, Severus? Andrò da solo se non ti decidi”.
Ho visto la rabbia e l’odio deformare il volto di James, e ho visto la tristezza velare il tuo, ma io sono rimasto immobile.
Avrei voluto davvero che la voce del mio amico fosse stata solida. Avrei voluto poter bloccare quelle lame col mio corpo, ma non ho potuto.
Lo so, per te era come se fossi stato di nuovo io a pronunciare l’insulto che ti ha allontanata per sempre da me.
James ha sorriso sprezzante, sapeva di aver vinto. Io sarei andato con Lucius, avrei fatto mie le sue idee, avrei pronunciato ancora quell’odiosa parola, contro di te e tutti quelli come te. Non avevo scelta.
Quella sera stessa, infatti, ho fatto il mio ingresso in un nuovo mondo. Un mondo che i tuoi bellissimi occhi verdi non dovranno mai vedere. Terribile e seducente, prodigioso e mortale.
Era il mondo che temevi e dal quale avresti voluto tenermi lontano.
Ma io sono nato per questo, sono rapito da quest’oscurità, come una falena dal fuoco. Non posso farne a meno.
Le mie dita si stringono in un pugno, sento le unghie ferirmi il palmo delle mani, ma non mi fermo. Voglio sentire dolore, ne ho bisogno.
Quel giorno, per te, solo per te mi sarei strappato le ali, lasciandomi cadere nel lago verde dei tuoi occhi, e avrei dimenticato la fiamma tenebrosa che mi attirava, la fiamma che fra poco mi brucerà. E’ lì, davanti a me, la fisso inorridito e affascinato al tempo stesso.
Lily, Lily, perché non me lo hai chiesto, perché non mi hai chiesto di restare?
Sarei rimasto con te, se solo mi avessi di nuovo chiamato per nome, lì davanti a James, ma, soprattutto, davanti a Lucius.
Continuo a camminare, seguendo il filo di sangue. Sto ben attento a non calpestarlo, non so perché.
I miei compagni hanno formato un corridoio disponendosi ai lati del mio percorso.
La maschera che indossano li rende simili a statue inanimate. Guardando loro, posso immaginare il mio volto, ora celato dietro la stessa maschera.
Il mio respiro si è fatto affannoso, mentre il cuore sembra volermi sfondare il torace.
Deglutisco a fatica, ormai non ho più una goccia di saliva in bocca.
Ho assistito ad altre iniziazioni, so cosa mi aspetta. Tutto questo l’ho voluto io.
E allora perché continuo a vederti qui, col tuo magnifico abito da sposa, mentre mi sbarri il cammino?
Sei fiera e bellissima, ritta tra me e la mia condanna,
Sono tentato di allungare un braccio, ma poi davanti ai miei occhi compare ancora quella scena: tu e Potter nella piccola chiesa, mentre avanzate, mano nella mano, lungo la navata.
Un percorso così diverso dal mio. D’istinto chiudo gli occhi, in un disperato tentativo di cancellare tale visione.
Il mio passo si fa più rapido. E’ la rabbia che mi spinge, proprio come avevo previsto, scegliendo questa data.
Il Signore Oscuro è in piedi di fronte a me, sorride, scambiando questo mio atteggiamento per determinazione.
Giunto vicino a lui, mi inginocchio.
Tra me è il mio padrone, un fagotto bianco, piuttosto grande, galleggia a circa un metro da terra. Una strana aura lo avvolge, come una fiamma che però non lo consuma.
La sottile linea rossa si interrompe proprio in questo punto, e si fa più ampia alimentata da uno stillare continuo di gocce.
Sussulto come un bambino spaventato quando quello comincia ad agitarsi, ma me ne pento immediatamente: non è il momento di mostrare simili debolezze, lo sguardo del mio Padrone è più che eloquente.
Questa è una prova, non posso permettermi di non superarla, non posso distruggere tutto quello che ho fatto finora per conquistarmi la sua fiducia.
Ho desiderato questo, fin da quando mio padre ha cominciato a trattarmi come se fossi un mostro.
L’ho desiderato ogni volta che guardavo le sue mani callose coperte di sangue, il mio o quello di mia madre.
Sapevo che, se solo avesse voluto, lei si sarebbe potuta difendere. Era una strega, ma rifiutava di usare la magia di fronte a lui.
Mio padre la faceva sentire sporca, sbagliata ogni volta che lo faceva, ed ogni volta la rimproverava di aver generato un figlio altrettanto sbagliato.
Ma io non lo ero, non lo sono. Io sono un mago e sono orgoglioso di esserlo.
Non c’è niente di sbagliato o di sporco nella magia, qualsiasi magia, questa fa semplicemente parte di me.
Sì, io ho voluto questo, e l’ho desiderato ancora di più quando anche tu, Lily, hai cominciato a guardarmi come mi guardava mio padre. Mi vedevi come un mostro.
Mi hai giudicato e mi hai rifiutato.
Ecco, ancora la mia rabbia mi sostiene: mi rimetto in piedi e sollevo lo sguardo con fierezza, fissando gli occhi dell’Oscuro.
Protendo il mio braccio per afferrare ciò che lui mi porge con solennità.
E’ un bellissimo pugnale d’argento, l’arma dei Mangiamorte. Da oggi dovrò portarlo sempre con me, ma prima dovrò dimostrare di saperlo usare.
L’Oscuro Signore non parla: io so cosa devo fare. I miei futuri compagni osservano anche loro nel più assoluto silenzio.
Mi volto appena, e i miei occhi incontrano quelli del mio amico.
Lucius è in piedi al fianco dell’Oscuro. E’ l’unico a non indossare la Maschera. Posso vedere la sua ansia, quasi non respira, si sente responsabile per me. E’ lui che mi ha introdotto in questa ristretta cerchia di maghi, sa che, se qualcosa andasse storto, ne pagherebbe le conseguenze.
Ma io non lo deluderò.
Le dita si stringono sull’elsa del pugnale. E’ ora.
L’Oscuro ha cominciato a recitare una strana litania. E’ la magia per evocare il marchio nero, ma l’ingrediente fondamentale dovrò fornirlo io.
Guardo il fagotto davanti a me, come un disgustoso bozzolo continua ad agitarsi. Non riesco a non domandarmi chi vi sia rinchiuso: un nemico? Un traditore che deve essere punito?
Sollevo il braccio, il sinistro, come richiede il rito, e brandisco la mia arma.
Tuttavia qualcosa mi blocca: il fagotto ora ha preso ad emettere uno strano verso, come di animale ferito.
La mano trema, chiudo gli occhi.
Ho di nuovo bisogno della mia rabbia: richiamo alla mente la piccola chiesa e, immediatamente, altre parole si sovrappongono e si alternano a quelle pronunciate dall’Oscuro.
E’ tutto molto semplice, in realtà: l’incantesimo che avvolge questo luogo, mi stordisce abbastanza da permettermi di precipitare nei miei pensieri fino a perdermi completamente in essi.
Vuoi tu… E’ questo che voglio, è questo che desidero.
Tento ancora di muovere il mio braccio. Ho la nausea, vorrei urlare, ma non so più se è per ciò che vedono i miei occhi o la mia immaginazione.
…Lily… finché morte non vi separi…
Lily, Lily, no!
“Mosmordre!” I miei compagni gridano all’unisono.
Il Marchio Nero compare nel cielo con un rumore cupo simile ad un tuono.
Improvvisamente tutto si colora di verde. Dalle mie labbra serrate sfugge appena un lamento, mentre la mente grida: finché la morte non ci separi.
La mano scende come spinta da un enorme peso.
Il mio braccio, la mia vita… per il mio Signore… per Lily… per dimenticare.
Sento la lama lacerare la stoffa che oppone una minima resistenza, per poi affondare, con estrema facilità, nel corpo della vittima, la mia vittima.
Guardo con gli occhi spalancati il suo sangue che, ignorando la forza di gravità, comincia a fluire verso l’alto, come se il mondo fosse rovesciato.
Sale lungo la lama del pugnale, ricopre l’elsa e s’incanala fra le mie dita.
Sollevo la manica della tunica e ammiro quasi ipnotizzato il liquido color rubino che, dividendosi in rivoli sottili, lentamente avvolge il mio avambraccio, come in una rete.
Non so cosa provare. Osservo questa sostanza e non riesco a concepire che sia sangue umano. E’ densa e scura. E’ qualcosa che non riconosco, o, forse, non voglio riconoscere.
Non voglio ammettere con me stesso di averlo fatto davvero: ho appena ucciso un uomo, senza nemmeno sapere chi fosse.
Guardo il lenzuolo che lo avvolge, guardo la chiazza rossa che si spande nel tessuto, ma qualcosa nella mia mente si rifiuta di vedere la realtà. E’ come se osservassi la scena in un pensatoio.
Ciò nonostante mi rendo conto che sta per giungere il dolore: a questo punto tutti quelli che sono stati marchiati prima di me hanno urlato.
Stringo i denti e attendo.
Il sangue comincia a diventare caldo. Ecco, ora inizierà a bruciare, e il bruciore aumenterà.
Ne sono quasi felice. Sento il bisogno di aggrapparmi a qualcosa di vero, ad una sensazione forte, come solo il dolore può essere. Ne ho bisogno perché ho l’impressione di galleggiare in uno strano sogno, un’allucinazione.
Improvvisamente desidero solo svegliarmi.
Il bruciore sta diventando insopportabile, è come se avessi la pelle coperta di olio bollente.
Faccio qualche passo indietro e mi afferro il braccio sinistro cedendo all’impulso disperato di pulirlo dal sangue con gesti rapidi e scoordinati, ma non serve a niente.
Il liquido comincia a penetrare nella mia carne come se fosse un acido, incidendovi profondamente il Marchio di colui che oggi è diventato il mio padrone.
Il dolore mi costringe a chiudere gli occhi. Intravvedo, attraverso la fessura delle palpebre, il mio amico. Mi guarda come un padre guarderebbe il proprio figlio che muove i primi passi.
Sei soddisfatto, Lucius? Mi hai portato dove volevi, dove io ti ho permesso di condurmi.
Cado in ginocchio ansimando. Quanto durerà ancora?
Sento i miei denti scricchiolare, mentre li serro nel tentativo di non urlare in un modo indegno. Malfoy continua a fissarmi. Sa che, a questo punto, non posso più tornare indietro e sembra molto più rilassato, sorride persino.
Ho l’impressione di soffocare, istintivamente mi strappo la Maschera gettandola lontano.
Dio, perché fa così male?
Continuo a stringermi il braccio. Non lo guardo, ma lo sento pulsare sotto le dita.
Se solo tutto questo potesse servire a non pensare, ad annullarmi completamente diventando parte di questo fuoco che mi brucia le carni.
Ho appena fatto una cosa orribile, non credevo, non avrei mai pensato che sarei arrivato a tanto, e mi stupisco solo di quanto possa essere stato facile.
Terribilmente e tragicamente facile, come attraversare una soglia, come morire.
Oggi ho ucciso un uomo, ho ucciso la mia anima, ma non sono riuscito ad uccidere il mio cuore.
Mi ero illuso che, attraversando questa soglia, il ricordo di Lily non sarebbe venuto con me, ma mi sbagliavo.
Il mio folle amore mi ha trascinato per mano, mi ha spinto a compiere questo passo, ma non mi ha abbandonato: è precipitato con me in questo incubo.
Maledizione Severus, lei non è più tua, non lo è mai stata, e oggi meno che mai!
Una fitta più forte delle altre mi costringe a piegarmi in avanti, un lamento acuto e prolungato sfugge al mio controllo.
Crollo disteso, sbattendo violentemente la fronte contro le pietre del pavimento, ma quasi non sento il colpo. Mi rannicchio come quando da bambino cercavo inutilmente di proteggermi dalle percosse di mio padre, finché il dolore non cessa di colpo.
Sono sfinito, sollevo il braccio avvicinandolo agli occhi. Ho la vista appannata, ma riesco ad intravvedere il Marchio, spicca nitido, formando un rilievo scuro sulla pelle arrossata.
Il processo è terminato, ora sono un Mangiamorte.
Chiudo gli occhi, ma quando li riapro, deve essere passato molto tempo: i miei compagni non ci sono più. Anche l’Oscuro Signore se n’è andato.
Sollevo appena la testa, accanto a me, a pochi centimetri dal mio viso vedo un’ombra chiara.
Mi sforzo di mettere a fuoco l’immagine e subito mi rendo conto che si tratta del sacco bianco che prima galleggiava magicamente.
Chiunque ci sia all’interno è stato abbandonato qui con me.
Appoggiandomi al braccio ancora indolenzito, mi rimetto in ginocchio e mi sporgo al di sopra dell’involucro di stoffa.
Allungo una mano, il mio primo istinto è quello di scoprire il suo viso, ma poi mi manca il coraggio. Resto come paralizzato con il braccio teso e le dita pronte a stringersi sul tessuto, il mio respiro torna a farsi affannoso.
Chi sei? Cosa proverò guardandoti in volto?
Potrei anche decidere di non saperlo mai, potrei alzarmi da terra e allontanarmi da questo luogo, fingendo che non sia mai accaduto.
I miei occhi si posano sul pugnale, è ancora conficcato nel suo corpo.
Dovrei estrarlo: un Mangiamorte non abbandona la sua arma.
Sposto la mano verso l’elsa, ma ancora una volta non riesco ad avvicinarla abbastanza per afferrare il coltello.
Forse sono solo un vigliacco.
“Maledizione!”
Un moto di rabbia mi coglie all’improvviso, stringo l’elsa della mia arma, con più forza di quanta servirebbe in realtà, e la strappo via dal corpo gettandola lontano.
Un piccolo schizzo di sangue fresco fuoriesce dalla ferita, andando a ravvivare quello più scuro che già impregnava la stoffa.
Ne resto quasi ipnotizzato. Tutt’intorno a me è silenzio, tutto è immobile come me, come il corpo che sto fissando.
Tento di nuovo di avvicinare la mia mano all’uomo, riesco quasi a sfiorare il sangue, poi lentamente seguo la linea della sua spalla fino a quella che sembra l’estremità del lenzuolo che lo avvolge.
Continuo a tremare ma mi impongo di afferrarlo. Lo sollevo appena e una ciocca di capelli rossi scivola di lato.
Spalanco gli occhi, mentre sento qualcosa spezzarsi dentro di me, strappo il resto del lenzuolo scoprendo il volto.
Quasi non respiro: è una donna, una donna che somiglia crudelmente alla mia Lily.
“NOOO!”
Mi scosto di scatto, ho la nausea. Un conato di vomito mi costringe a piegarmi di lato, ma non ho niente nello stomaco, non mangio da due giorni.
Un velo di sudore gelido mi imperla la fronte, mi asciugo con la manica della tunica scansando i capelli che si sono incollati alle guance.
Non so per quanto tempo rimango chinato fissando il vuoto. Immobile, come se il mio corpo non mi appartenesse.
Poi riesco a sollevare il viso, lentamente. Mi guardo intorno e gli occhi si posano sulla linea rossa che mi ha guidato fino alla mia vittima.
Cosa ho fatto?
Non è questo che sognavo, io sognavo un futuro, ma il mio futuro l’ho appena cancellato, e del mio passato resta solo quella linea di sangue raggrumato: la mia strada.
L’ho scelta volontariamente.
Una strada che continuerò a percorrere, perché ormai non posso più fermarmi.
Vorrei solo fuggire lontano, invece mi volto, mi chino sul corpo della giovane, la sollevo con delicatezza circondandola con le mie braccia.
“Perdonami!” sussurro con voce strozzata.
Sto piangendo, non credevo di esserne capace, non l’ho mai fatto, nemmeno da bambino.
E’ questa la causa che ho sposato?
Continuo a singhiozzare affondando il mio viso tra i suoi capelli.
Volevo perdermi per non pensare a lei, volevo dimenticare Lily, il mio amore, la mia infanzia. Ora vorrei dimenticare questo.
“Perdonami!” continuo a mormorare, ma non mi basta, e allora grido, grido e continuo a farlo finché non ho più fiato in gola.
Infine mi rimetto in piedi, la ragazza è leggerissima tra le mie braccia.
Ha i capelli scompigliati che le ricadono davanti agli occhi ancora aperti.
Non riesco a sopportarlo, sento il bisogno di sistemare le ciocche scoprendole il volto pallido. E’ grazioso e delicato, anche se una smorfia di terrore ne altera i lineamenti.
Sorrido, mentre con attenzione le accomodo i capelli.
La stringo al petto e m’inoltro con lei nel folto degli alberi, ripercorrendo a ritroso la navata di questa costruzione in rovina. Lo sguardo fisso sul volto della ragazza.
E’ lei, è l’immagine della morte, e da oggi sarà la compagna.
Altri visi si sostituiranno al suo, presto, molto presto, lo so.
La mia sposa sarà sempre diversa eppure sempre la stessa.
Sarà così, “finché morte non ci separi.”


FINE

  
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