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Autore: _Atreius_    23/03/2016    0 recensioni
Sommersi dalla tecnologia, dai nostri piccoli mondi elettronici, spesso non siamo in grado di distinguere quale sia la vera realtà...
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"Continua.
Nuovo gioco."
Genere: Introspettivo, Malinconico | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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SUBARASHI KONO SEKAI – QUESTO MONDO MERAVIGLIOSO

 
Ẻ solo un giorno grigio come tanti altri.
Ci sei tu, che cammini a testa china, le mani affondate nelle tasche del cappotto.
C’è la pioggia, che scroscia dal cielo grigio e scivola sulla strada, inzuppandoti le scarpe.
Ci sono le luci dei negozi, appannate e tremolanti, un invito a rifugiarti all’asciutto.
Ma preferisci continuare con i tuoi passi umidi, un rivolo freddo sul collo, i capelli fradici e i vestiti zuppi.
Quanto manca a casa? Forse hai già oltrepassato la soglia senza rendertene conto, il pensiero talmente fisso sul telefonino che stringi nella tasca da non aver prestato attenzione ai numeri civici.
Alzi per mezzo secondo lo sguardo: no, per fortuna devi ancora arrivarci, mancano solo pochi passi.
Eccolo, il 25, con il portoncino incastrato tra un cartolibreria e un negozio di vestiti.
Affondi le mani alla ricerca delle chiavi, mentre tanti ombrelli colorati ti passano vicino, i bambini strillano, i genitori gridano, uomini impegnati passano via in tutta fretta, sbiadendo velocemente ai lati del tuo campo visivo. Ma non ci sono.
Non le trovi, nemmeno nello zaino completamente gocciolante.
Ti rassegni. In casa non c’è nessuno, suonare il campanello non servirebbe. Vorrà dire che camminerai un altro po’, aspettando che la mamma o il papà tornino così poi risponderanno al citofono. Oppure puoi sederti lì e attendere qualcuno degli altri condomini, prima o poi uno di loro aprirà e allora potrai sgusciare dentro al calduccio e all’asciutto.
Il gradino di marmo bagnato è freddo, anche lo stipite della porta lo è. Gelato e scivoloso. Appoggi la testa sulle ginocchia, la mano sempre in tasca a stringere quasi convulsamente l’unica forma di vita amica che conosci.
Non ti era mai capitato prima di trovarti in una situazione simile e vorresti che non fosse mai successo. Non puoi nemmeno rifugiarti nel tuo mondo personale, perché la pioggia scrosciante che si riversa sul marciapiede sta diventando sempre più forte e tu hai paura che possa danneggiare per sempre l’unico veicolo verso quell’esistenza felice che tanto ami.
Hai un bisogno disperato di guardare lo schermo luccicante, di scorrere il dito sulle playlists, controllare i messaggi, ma non puoi farlo. Temi che possa succedere qualcosa nella tua realtà elettronica senza che tu lo sappia, però allo stesso tempo non puoi porre fine a questo incubo.
Ma essa, essa è l’unica che possa proteggerti e capirti, è il tuo habitat naturale, il tuo ambiente e come un giovane cucciolo soffri se ti si impone l’allontanamento con la forza.
Perché nessuno apre?
Cominci a sentirti un pesce fuor d’acqua, con tutta la gente che passa, chi parlottando, chi tenendosi per mano, qualcuno correndo anche. Come fanno? Come riescono a essere così? Tu non sei capace, non parli mai, non sai nemmeno se ne sei ancora in grado … A scuola non dici mai niente, gli insegnanti si sono rassegnati a ricevere solo delle brevi frasi essenziali come risposta e se proprio devi comunicare invii un messaggio.
Come si fa a fare quello che credi si chiami “essere umano”?
Per un attimo ci pensi, cercando di trovare una soluzione. Forse basta camminare come sta facendo quella signora dall’altra parte della strada, tutta impettita, o magari come il bambino lì vicino che sta saltando in una pozzanghera. Appunti queste considerazioni in un angolino della tua scheda di memoria. Al momento non ha importanza, la sola cosa che devi fare è mandare una richiesta d’aiuto a mamma e papà, perché ormai aspetti da un bel po’ e comincia a fare veramente freddo per stare seduti lì: potrebbero gelarsi i contatti e i circuiti e già non ti senti più le dita.
Ma non puoi fare nulla. Non vuoi rischiare nulla.
Meglio aspettare.
Chiudi gli occhi e provi a non pensare, ma la tua testa è un processore velocissimo e le informazioni sono ben incasellate ognuna nella sua cartella, perciò alla fin fine ci sono sempre quei due file rossi che non vogliono proprio saperne di sparire dalla circolazione e andarsene di buona lena nel cestino: la necessità di connetterti al tuo mondo personale e la paura feroce, attanagliante di distruggerlo a causa della pioggia. Il centro assistenza però, non ha alcuna soluzione per questo.
In breve, devi deciderti una volta per tutte e devi essere tu a farlo: non puoi più fare affidamento sui codici, non saranno loro a darti la risposta di cui hai bisogno.
Sei li che tenti di riflettere, la testa china e le mani aggrovigliate nella grande tasca della felpa, assieme al cellulare a cui tieni tanto, quando tutto a un tratto non senti più le gocce colpirti e colare giù dal naso. Sollevi appena lo sguardo e registri un paio di stivali fermi davanti a te.
Una ragazzina con la sciarpa avvolta fin sopra le orecchie e un ombrello gigantesco ti fissa incuriosita, come se effettivamente fossi quel qualcosa di strano e non umano che poco prima hai pensato di essere. Forse lo sei, sei solo un groviglio di cavi e fibre ottiche.
L’impulso corre alla velocità della luce nel tuo processore e di riflesso estrai il telefono dalla tasca, schiacciando il tasto di accensione con un gesto febbrile. Stai per comporre un semplice messaggio per i tuoi genitori, ma poi tutto cambia. La bambina decide che ne ha abbastanza di guardarti e con una piroetta si gira, pronta a riprendere la sua strada.
Il suo zainetto urta le tue mani, già intorpidite.
Con orrore senti il cellulare scivolarti dalle dita e cadere poco più in là sul marciapiede.
Sei immobile, mentre lei se ne va ignara del disastro appena provocato.
Resti lì, ad occhi spalancati, lo sguardo perso nel vuoto, le mani come se stessero ancora stringendo la forma rettangolare dello smartphone.
All’improvviso senti ancora più freddo.
Dentro al reticolo di circuiti comincia a colare un liquido scuro, a nulla serve l’allarme antivirus. Il panico è nella tua testa e non puoi fare niente per cacciarlo. Non riesci più a collegare i tasselli tra di loro, non sai più cosa fare: la tua mente elettronica, fatta di dati e byte, non ha nessuna chiave.
Ti stai smarrendo dentro il tuo stesso mondo, che ora sembra non aver più confini precisi.
Un punto fievole in una rete immensa.
Meccanicamente sbatti le palpebre e chiudi le dita sull’aria. Ẻ inutile, non c’è; è là sotto la pioggia.
Puoi quasi udire il suono crepitante dei contatti che vanno in corto e le scintille sprigionate dalle altre componenti elettroniche, i cristalli liquidi dello schermo che friggono, tutto come se fosse dentro il tuo cervello.
Ma lo è.
Lo senti così bene perché è il tuo processore quello che sta lentamente agonizzando e morendo.
Senza la tua realtà tecnologica non sei niente.
Il terrore è dentro di te e come un Trojan sta divorando tutti i tuoi dati, impedendoti di attivare la scansione antivirus ed eliminarlo. Come un grosso buco nero che si porta via le tue connessioni una per una, senza darti il tempo di arginare la crisi, di salvare qualsiasi cosa possa essere salvata, anche solo una stringa di codici, un megabyte, un file o un qualsiasi altro tipo di informazione con cui – nella tua assurda e folle teoria di backup – potresti tentare di replicare ciò che sta svanendo.
In questo istante dovresti perlomeno avere una reazione umana, dovresti essere nella più completa disperazione, piangere, fare qualsiasi cosa possa scollegarti dalla prigione dentro cui hai volontariamente accettato di vivere. Di sopravvivere.
Ma tu non sei più un essere umano, non ricordi cosa significhi esserlo, o forse non l’hai mai saputo.
La realtà ti schiaccia e non è la tua, non è più il mondo intricato della rete, non sono le caverne dei forum, i blog, le autostrade dei social. No, è ciò che hai sempre rifiutato, preferendo costruire una trappola dalla quale ora non sei più in grado di scappare, di cui stupidamente ti fidavi e continui a fidarti, nella speranza che ciò che sta accadendo sia solo un momentaneo bug.
Puoi aggrapparti solo a quel fragile frammento, prima che scompaia anch’esso inghiottito nella marea di dati corrosi che hanno ormai preso possesso della tua scheda madre.
- Questo è tuo? –
Automaticamente sbatti le palpebre un paio di volte: è lì, davanti ai tuoi occhi, in una mano che non conosci, che non è registrata nel tuo server confuso e impazzito. Il tuo mondo.
Questo mondo meraviglioso, ora in frantumi, che ti ha sempre confortato, amato, consolato più di quanto non abbia fatto il retroscena da tutti chiamato realtà vera, in cui ti imploravano di tornare, ma che tu hai sempre rifiutato. Hai scelto la fuga anziché il confronto, nascondendoti fino alla fine, credendo di vivere la vita perfetta che desideravi, di essere qualcuno di speciale al di là degli schemi, mentre stavi solo fingendo di esserlo, stavi interpretando una parte scritta su misura che - come risultato - non è mai stata adatta a te.
Prendi tra le dita fredde e insensibili il cellulare, la cui forma regolare sembra non adattarsi più alla tua mano, scivolando in continuazione, e guardi senza realmente vederlo lo schermo che si sta pian piano oscurando sempre di più, lasciando il posto ad un abisso senza fine.
Tocchi qualche icona pregando con tutte le tue forze che si mettano in funzione, ma hai perso e a nulla servono le impronte disperate sul vetro irrimediabilmente crepato. Chissà quante persone lo hanno calpestato prima che una di loro si accorgesse che era a terra …
La realtà che hai creato e costruito attorno a te è morta e tu morirai con essa, perché senza di lei, senza un confine sicuro, tu non puoi più esistere. Potresti rinascere, ma questo dipende solo da te.
Non senti più freddo, non senti più la pioggia. Dentro di te c’è solo un grande pozzo scuro e tu precipiti senza mai fermarti, senza poter urlare e chiedere aiuto. Ma a chi grideresti se non agli ammassi di pixel che hai chiamato per anni “famiglia” e “amici”? Cosa potrebbero fare per salvarti se non convincerti – nella loro stupida prevedibilità - che sta andando tutto bene?
Ti chiedi se riusciresti ad accettare una simile risposta ora che stai capendo quanto sbagliata fosse stata la tua esistenza fino a questo momento, quanti errori tu abbia fatto fino a ritirarti dentro un guscio che le persone comuni chiamerebbero semplicemente “droide”.
Un droide chiuso nella sua virtualità, capace di scovare il minimo errore in un programma, ma incapace di stabilire una relazione umana, un droide che non ricorda nemmeno più cosa significhi parlare faccia a faccia, ma sa solamente fornire risposte in un messaggio istantaneo.
Continui a cadere e davanti agli occhi ti scorre tutta la tua non-vita, tutto quello che avresti potuto essere, che avresti potuto fare, ma che nella tua realtà fatta di codici hai solo creduto accadesse.
Inevitabilmente, prima o poi, arriverà la fine di quel lungo tunnel che ora sembra interminabile e dovrai decidere, ma stavolta non sarà se bagnare o meno il cellulare. In un guizzo, l’ultima immagine ferita scompare. Al suo posto una scritta galleggia pigra, aspettando la tua scelta.
Continua.
Nuovo gioco.
Puoi disfarti dell’armatura da robot oppure ricostruirla, sta a te, a cosa vuoi ora dal tuo mondo.
Puoi continuare per la tua strada o puoi cambiare sentiero.
Puoi rinascere, non è un capolinea. Puoi scendere e visitare un luogo nuovo, oppure raggiungere la meta che già conosci. Puoi decidere se restare all’interno di una scatola chiusa oppure evadere.
Allunghi la mano.
Ormai hai capito e non è più questo ciò che desideri.
Apri gli occhi e sbatti le palpebre un paio di volte.
Non è come la ricordavi. Le sagome delle persone non sono più grigie e monotone, i colori ti colpiscono l’uno dopo l’altro, quasi trascinandoti in un vortice arcobaleno di cui non si intravede la fine; fa freddo, ma percepisci il bagnato sulla pelle e il sapore amaro della pioggia, le gocce che ti picchiettano la testa e i vestiti fradici incollati al corpo.
Fai un passo, poi un altro e ti allontani dal gradino di marmo freddo. Ora la senti davvero, senti veramente la vita che ti scorre addosso, dentro di te, nella gente attorno a te ed è un flusso continuo che gira, muta, non si ferma, nemmeno se costretto o confinato.
Non si può confinare la Vita.
Capisci finalmente cosa significhi non avere un ombrello e vorresti averne uno, ma non è che ti importi più così tanto adesso che hai visto quanto bello è il cielo in tempesta, quanto sia immensa la distesa di nuvole sopra di te.
Hai gli abiti completamente zuppi, ma non ti importa ora che per la prima volta senti com’è essere bagnati fino alle ossa sotto un acquazzone che non accenna a smettere.
Ed è bellissimo vivere quelle sensazioni che prima giungevano solo come fiochi segnali, appannate, confuse, un paio di secondi e poi di nuovo il buio. Viverle appieno, come se questo fosse il giorno della fine. Ma non lo è ancora, non per te almeno, che hai ancora così tanto da riscoprire …
Inizi a correre, i capelli appiccicati al viso, lo zaino che rimbalza sulla schiena e solo ora senti com’è pesante e quanto sia scomodo, ma è parte di ciò che hai deciso di vivere fino in fondo e non puoi disfartene. Non ci sono più sconti adesso, non puoi e non vuoi più fuggire lontano.
Conti le luci che vedi per la strada, i bambini, il numero di colori che riesci ad individuare, le case: i tuoi occhi non sono più delle minicam programmate per fingere di non vedere ciò che ti sta attorno, ora vogliono sapere, vogliono conoscere il mondo vero che per lungo tempo hanno ignorato deliberatamente, imprimendo e dipingendo nella tua mente tutto ciò che vedono.
Non ti basterà una vita intera a conoscerla tutta questa nuova realtà, perché ci sarà sempre qualcosa dietro l’angolo che tu devi ancora raggiungere, là dove la strada svolta, accanto a te negli occhi delle persone, nella loro voce, negli abbracci, nei litigi.
Corri, corri e non ti vuoi fermare, devi assolutamente scoprire dove sta andando il gatto che ha appena attraversato il marciapiede, dove sono diretti quei due ragazzi che passeggiano poco lontano, l’auto che ti ha sorpassato con un rombo … Devi toccare ogni punto intorno a te, vuoi impararli tutti, non puoi permetterti - adesso che hai vinto la tua libertà – di lasciare anche solo una singola cosa ignota.
Corri e ridi, sotto la pioggia incessante, e forse il sapore che senti sulle labbra non sono solo le gocce che ti scivolano addosso, ma non ha importanza … Quella vita da cui avevi volontariamente deciso di estraniarti ora è pronta ad accoglierti, pronta a rivelarti ogni suo aspetto, smisurata, stupenda, reale. Ma soprattutto infinita.
Ẻ l’infinità ciò che ti è sempre mancato.
Non volevi attraversare il limite che avevi segnato, ti sentivi al sicuro, ma allo stesso tempo ignoravi di aver decretato la tua prigionia: canoni precisi, formule che non avevi il potere di cambiare, muri invisibili, automatismi … Ẻ sempre stato tutto completamente statico, finito, chiuso in un involucro che nessuno poteva penetrare, ma ti andava bene così.
La verità è che il tuo più grande timore era l’ampiezza di ciò che ti circondava, talmente opprimente che rinchiudere il proprio mondo in uno spazio definito ti sembrava la scelta migliore; un pesce nella boccia, che non conosce il brivido dell’ignoto, ma vive pigro giorno dopo giorno, sempre allo stesso ritmo, finché l’acquario si infrange e allora ha la possibilità di arrivare al mare, di tornare in quell’oceano sconosciuto da cui proviene.
Adesso la stai provando, quella vastità che temevi così tanto, e non ti sembra più così malvagia: il sapore della libertà, avere la consapevolezza che ovunque andrai ci sarà qualcosa che non conosci ad aspettarti sono sensazioni che neppure la macchina perfetta potrebbe replicare.
Urla, grida, piangi, sorridi … ma vivi, vivi.
Vivi la tua vita, governala, prendi le tue decisioni, non fermarti finché non avrai la certezza che essa per te non ha più segreti e non rimpiangere mai una realtà fittizia, creata da una scatola che più dei suoi “bip” non avrebbe potuto darti altro, se non un grigiore perpetuo.
Questo mondo meraviglioso adesso è il tuo futuro: dipingilo e plasmalo, rendilo perfetto come hai sempre desiderato … niente potrà impedirti di realizzarlo.
Sul gradino un cellulare abbandonato vibra debolmente, sconfitto.






Angolo autrice: salve a tutti^^ ci tenevo a precisare che questa NON è una fanfic su The world ends with you, il cui titolo giapponese è proprio Subarashi kono Sekai. Mi ci sono ispirata, almeno in parte, altro è frutto della mia esperienza personale. Enjoy!
  
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