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Autore: Writer96    23/03/2016    4 recensioni
"Sotto la luce pulsante di un lampione, con gli occhi pieni della bellezza che qualche minuto prima mi aveva resa impotente di fronte alla maestà dell’Arte, immersa in una città che, per la prima volta nella vita, sentivo veramente mia, io ho percepito con estrema chiarezza la vita passarmi addosso e scivolare, nello stesso istante, anche attraverso i corpi di ogni essere che si trovava accanto a me.
Io ero viva, io ero vita, Fred.
E ti volevo con me.
Ti volevo così disperatamente che ti ho trovato negli occhi stanchi di un musicista giovane, nel sorriso dell’uomo dietro di me che, con un paio di occhiali da sole da donna stretti nella mano, faceva ondeggiare la testa a ritmo di musica, nella carezza affettuosa lasciata da un uomo sulla guancia della moglie.
Ti volevo perché se tu fossi stato con me io avrei potuto raccontarti di quella mia strabiliante meraviglia, di quel mio sentirmi eterna, vitale, incantata da un mondo di cui stavo iniziando finalmente ad afferrare l’essenza"
Storia vera di un momento vero.
Genere: Angst, Introspettivo, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Contesto generale/vago
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Il giorno giusto per sentirsi vivi
Una storia di Writer96



Caro Fred,
Oggi sono viva. Per la prima volta, dopo mesi e forse anni, oggi sono viva. E’ una sensazione strabiliante, di quelle che sanno di caramella frizzante, di quelle che ti scivolano sottopelle e ti vanno ad incendiare le punte dei piedi.
Oggi io sono viva.

Tu mi conosci e sai chi sono, conosci le cicatrici che mi porto attaccate ad un pezzo di cuore e sai anche perché stanno lì, linee bianche rimarginate che fanno da cerniere a piccoli buchi neri, e proprio perché sai e conosci tutte queste cose so che saprai comprendere tutta l’emozione che questo mio essere viva si porta dietro.

Ho cambiato città. Un giorno ho fatto i bagagli, ho ripiegato i ricordi in mezzo ai maglioni da mezza stagione e con un sorriso amaro sono andata via, i passi che lasciavano impronte destinate a sparire e forse anche a non essere impresse mai più. Ho fatto i bagagli, dicevo, e ho chiuso gli occhi, mentre la macchina scivolava lungo la strada e la mia testa crollava, addormentata, su un cumulo di scatoloni e borse strapiene e quando mi sono svegliata ho trovato davanti a me un mondo nuovo, una vita diversa, un palazzo scrostato e, sullo sfondo, la sagoma maestosa di una città antica.

Roma ti piacerebbe da morire, mio caro Fred. E’ così grande, viva, pulsante, un casino perpetuo che sembra urlare “Dio, ma non ti senti pieno di vita?!” e io mi ci perdo, in questi meandri fatti di strade immense che portano ovunque, in questi stralci di storia appesi accanto alle vetrine dei negozi. Roma ha un’anima grande, antica, vigila con i suoi occhi storici su un cambiamento perenne che la rende immortale e perfetta.
Miliardi di occhi l’hanno guardata eppure ogni giorno qualcuno ne scopre un centimetro nuovo, emozionandosi per un niente cosmico. Roma è grande e piccola allo stesso tempo, una galassia piena di piccole stelle che la rendono luminescente, sfaccettata, piena di tutto lo splendore che hanno le cose antiche e consumate, Roma respira milioni di respiri, Roma si increspa sotto un vento di anime variegate.

Ieri sono uscita e ho scelto di perdermi, di confondermi con tutte le persone che mi camminavano accanto e di lasciarmi trascinare, gli occhi spalancati nel tentativo di non perdermi neanche un dettaglio di tutto quel viaggio casuale. Sono arrivata a San Pietro e, Dio, Fred, non potrei dirti, neanche con un milione di parole, cosa fosse in quel momento. Il sole scivolava, piano, immerso nel suo torpore autunnale, e lasciava carezze violacee sulle pietre dei monumenti, contrastando con il candore perfetto di una delle creazioni più magiche dell’umanità. E io ero lì, ieri, in mezzo alla piazza, con le braccia lungo i fianchi e le labbra spalancate, incapace di proferir parola, ubriaca di tutta quell’arte, di tutta quella bellezza che all’improvviso, come un colpo di vento, mi aveva investito, impedendomi di pensare razionalmente o anche solo di andarmene, di scivolare via.

Ero lì e pensavo, con gli occhi fissi su quelle immagini, a cosa rendesse davvero l'arte Arte. Cosa portasse il mio cuore e la mia testa, all'improvviso, a provare quel senso di assoluta, paralizzante e totalizzante meraviglia che mi costringeva a stare lì in piedi con nessun altro scopo se non quello di riempirmi ancor più gli occhi di immagini meravigliose.
Non sapevo staccarmi, non potevo staccarmi, del resto, da ciò che in quel momento mi rendeva viva, viva e reale, un cuore pulsante di meraviglia e sgomento.
Mai come in quel momento mi sono sentita piccola e particellare, sostanza estranea e allo stesso tempo integrante di una realtà che andava oltre il reale. Più guardavo, più sognavo di avere occhi per guardare, guardare e guardare ancora, fino a quando nella mia retina non fossero rimaste impresse a fuoco quelle immagini.
Ero lì e mi chiedevo cosa rendesse davvero l'arte Arte e non riuscivo a trovare risposte che non comprendessero una sorta di vaga magia, come quella di cui ero vittima nel momento in cui mi sentivo minuscola, eppure anche, sì, mi sentivo infinita.

Il sole è scivolato piano oltre le statue e il colonnato di marmo, baciando lascivo l’eterno testamento di Bernini, ed io mi sono trovata, improvvisamente, avvolta da una luce artificiale che stonava leggermente con il primo buio azzurrognolo dell’anno. Solo quando anche l’ultimo raggio di sole è sparito, solo quando, finalmente, i miei occhi sono riusciti a staccarsi da quelle immagini io sono tornata a respirare sul serio, improvvisamente consapevole di ogni centimetro della mia pelle, di ogni singolo battito del mio cuore.

Ho ripreso a camminare in direzione contraria a quella dalla quale ero venuta e sono scivolata tra le persone che, ignare di tutto, continuavano a fare ciò che stavano facendo senza accorgersi del piccolo miracolo appena avvenuto.
Una musica dolce mi è arrivata alle orecchie, accompagnata dalla voce un po’ graffiante di uno dei tanti artisti di strada che danno una voce a Roma e io mi sono seduta davanti a lui, ascoltandolo cantare con il Tevere alle mie spalle. Aveva le spalle curve e le mani veloci, un cappello a tesa larga che gli copriva i lineamenti e le gambe affusolate avvolte in un paio di jeans sdruciti, eppure, quando ha sollevato la testa per ringraziare il suo piccolo pubblico io, nei suoi occhi, ci ho visto te.

Ricordo di essermi irrigidita non appena ho compreso questa cosa, ricordo di essermi ritratta terrorizzata di fronte ad un gioco crudele della mia mente stanca – e viva, perché lo sai, perché è una vita che lo sai che ogni volta che si parla di vita io penso a te – e ricordo anche di aver sentito le prime, dolorose, lacrime iniziare a pungermi gli occhi mentre lui, ignaro di tutto, annunciava che avrebbe cantato “A song of hope”.
L’ha cantata con un tono diverso, quella canzone, e io ho distolto gli occhi, ascoltando il sottofondo di voci disimpegnate di persone troppo concentrate su loro stesse per rendersi davvero conto di ciò che accadeva loro intorno. Ho distolto gli occhi ed ho iniziato a provare quell’esaltante, mirabolante e terribile senso di vita che mi pervadeva le ossa, le vene, la pelle, ogni centimetro di me, senza lasciarmi scampo.
Ero seduta su un marciapiede e le persone passavano, non avevo idea di come tornare a casa, avevo qualche soldo e nulla più e il vento ottobrino iniziava ad infiltrarmisi sotto la giacca, eppure, Fred, eppure io ero viva, in quel momento.

Sotto la luce pulsante di un lampione, con gli occhi pieni della bellezza che qualche minuto prima mi aveva resa impotente di fronte alla maestà dell’Arte, immersa in una città che, per la prima volta nella vita, sentivo veramente mia, io ho percepito con estrema chiarezza la vita passarmi addosso e scivolare, nello stesso istante, anche attraverso i corpi di ogni essere che si trovava accanto a me.
Io ero viva, io ero vita, Fred.

E ti volevo con me.

Ti volevo così disperatamente che ti ho trovato negli occhi stanchi di un musicista giovane, nel sorriso dell’uomo dietro di me che, con un paio di occhiali da sole da donna stretti nella mano, faceva ondeggiare la testa a ritmo di musica, nella carezza affettuosa lasciata da un uomo sulla guancia della moglie.
Ti volevo perché se tu fossi stato con me io avrei potuto raccontarti di quella mia strabiliante meraviglia, di quel mio sentirmi eterna, vitale, incantata da un mondo di cui stavo iniziando finalmente ad afferrare l’essenza. So che avresti capito, Fred, i miei sussurri, il mio “Mi sento viva” commosso e bisbigliato all’aria, il sorriso che non riusciva a staccarsi dalle mie labbra neanche ore dopo quando, su un pullman puzzolente, mi apprestavo a far ritorno a casa.
Ti volevo perché avresti capito il mio sgomento nel rendermi conto che nulla finisce in eterno, che c’è una speranza di rinascita per chiunque; ti volevo perché mi avresti guardata sorridente e, posandomi una mano sul braccio, avresti detto “Tu guardi questo posto con gli occhi con cui io guardo te”; ti volevo perché forse sarei riuscita a spiegarti, una volta trovate le parole, che un Dio deve esistere per forza, perché altrimenti, in un mondo di orrori e di polveri patinanti, non saremmo in grado di spiegare l’Arte.
Ti volevo accanto a me e allora ti scrivo oggi, oggi che ancora la sento, la vita, oggi che vorrei solo trovare una vera bellezza da condividere anche con te.

E non so dove tu sia, se tu abbia ancora parole per me, se anche tu, di fronte alla bellezza, ti giri a cercarmi come un tempo.
Io sono viva, oggi, Fred, e vorrei che lo fossi anche tu qui con me.

Con tutto il mio amore, la mia vita e la speranza, un giorno, di poterti inviare questa lettera per chiederti di venire a scoprire tutta questa
bellezza con me

Tua,
Mads








Writ's Corner

Torno a pubblicare dopo tanto tempo una storia. Vecchia - è nata il 1 Novembre, me la ricordo ancora, quella domenica passata accoccolata sul divano con il computer in equilibrio sulle ginocchia. E' nata nel momento in cui la meraviglia, un giorno, si è impossessata di me e mi ha portata via senza lasciarmi scampo, incidendo nella mia anima le immagini di una Roma maestosa e magica e delicata e impossibile da dimenticare.

Nella realtà, io ero con la mia migliore amica ed è stato a lei che ho raccontato tutto ciò che soffrivo. Vi uso come diario segreto e vi confesso: ho pianto. E mentre tornavo a casa, rimuginavo sul fatto che questa sarebbe dovuta diventare la storia di qualcuno che sapesse renderla speciale.
E l'ho prestata a Fred e a Mads. L'ho prestata a loro di Cerchiamo Sempre Qualcuno Tra La Folla, l'ho prestata a loro che mi hanno permesso di scrivere un pezzo del mio cuore anni e anni fa.
Un giorno arriveremo alla conclusione del loro viaggio, forse. Forse si ritroveranno. Forse andrà bene.

Vi lascio un pezzo del cuore che non sono riuscita a riporre all'interno del mio mediastino. Vi lascio la mia Roma, i miei vaneggiamenti romantici che forse un giorno troveranno una concretezza.
Vi mando un bacio.

 
   
 
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