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Autore: ciabysan    31/03/2009    1 recensioni
Giappone. Urumi ha 17 anni e si è appena trasferita con la sua famiglia in una nuova casa. Quasi per caso, trova in soffitta una fotografia che ritrae una donna, sul cui retro c'è scritto che lo scatto risale a dieci anni prima. Con l'amica Yumi, Urumi tenterà di scoprire l'identità della donna, che si rivela essere la vittima di un assassinio, di cui non si è ancora trovato il colpevole. Le due ragazze sospettano dei due precedenti padroni di casa, ma la verità è un'altra
Genere: Horror | Stato: in corso
Tipo di coppia: non specificato
Note: nessuna | Avvertimenti: Contenuti forti
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Ancora bagnata fradicia, cercai di raggiungere la stazione più velocemente che potessi

Ancora bagnata fradicia, cercai di raggiungere la stazione più velocemente che potessi.
Volevo raggiungere Yumi. Correndo, agguantai il cellulare nella borsa e digitai il suo numero.

“Pronto?” dissi, facendo il biglietto per il treno

“Pronto…” mi rispose Yumi controvoglia, annoiata dal probabile studio di biologia

“Yumi…devo raccontarti una cosa” sospirai affannosamente

“Cos’è successo?”
“L’ex ragazzo di Kayako è come impazzito”
“Impazzito?”

“Ha tentato di violentarmi…sono terrorizzata. Ho bisogno di vederti”
“Calmati, Okay, spiegami tutto ciò che è successo

“Aspetta…non preoccuparti. Sto per prendere il treno, ho troppe cose da raccontare, e i soldi nel mio cellulare scarseggiano. Ti raggiuno.”
“Va bene, ti aspetto”

Interruppi la telefonata, mentre la macchina dei biglietti sputò con un rumore sordo il pezzo di carta della libertà. Lo presi, quasi di colpo, inserendolo velocemente nella macchinetta convalidatrice. Un sibilo agghiacciante da una macchina senza cuore.

Il treno sarebbe arrivato entro due minuti. Uscii ad aspettarlo sulla banchina, con il cuore in gola. Ancora non ero riuscita a riprendermi dopo lo spavento precedente.

Mi sedetti su una panchina a me poco distante e accavallai le gambe, cominciando a leggere qualche riga del diario che presi senza permesso. Pensavo fosse stato Taeko Fuji ad uccidere Kayako, ne ero tremendamente certa. Altrimenti perché quella sua strana aggressione?



Quattordicesima pagina.

“Quella donna mi guarda con disprezzo. Vuole uccidermi. Mi scruta in modo ambiguo. Mi sussurra parole di morte. Mi vuole morta”

 

Di chi stava parlando? Cercai di tornare indietro alle pagine precedenti, ma ogni volta quella strana figura nominata da Kayako veniva semplicemente nominata con “quella donna”.

E pensare che il nome di quella presenza avrebbe potuto essere un valido indizio per risolvere questa insopportabile faccenda. In breve tempo il mio treno arrivò.

Risistemai il diario nella borsetta, e salii le scalette che mi si presentarono di fronte una volta che il mezzo pubblico mi si presentò di fronte. Nell’aria si respirava una strana atmosfera soffocante. Le porte si chiusero dietro di me. Avanzai a passi lenti e davanti a me solo un vagone vuoto, deserto.

Nonostante fosse pomeriggio, nessuno era su quel treno.

Proseguii un poco terrorizzata. Avevo paura di essere sola. Avevo paura di me stessa. Continuai attraverso un soffocante corridoio oscuro e giunsi nel vagone successivo: ancora deserto, se non fosse per una sola donna seduta in uno dei sedili.

Non riuscivo a vederla in volto: era di spalle.

Riuscivo a vedere solo i suoi capelli neri e lisci. Mi sedetti nel sedile dietro il suo. Il mio cuore batteva all’impazzata, come se volesse distruggere il mio corpo per fuggire da solo. strinsi il tessuto del sedile con le unghie, attaccandomi terrorizzata.

La paura non mi abbandonava. Sussurrai parole per calmarmi, ma quella sesanzione nefasta non mi abbandonava. Sentivo come se qualcuno fosse dietro di me, pronto ad uccidermi, a tagliarmi la gola. Chiusi gli occhi, cercando di calmarmi. Altre tre fermate e sarei stata salva.

Una fermata passò. Un’altra. Ne mancarono due, ma la paura aumentava sempre più con gli attimi. E in un momento percepii in modo tangibile l’inquietante presenza reale e tangibile di qualcuno o qualcosa che mi toccava il collo. La donna del vagone era scomparsa. Ero sola, su quel sedile malandato e sporco a pregare. Non sapevo dove fosse finita quell’altra ragazza che condivideva il mio terrore. Ma in quel momento non me ne importava, pregavo solo Dio di velocizzare il tempo e portarmi alla stazione della vita.

Quella presenza mi ritoccò il collo.

Sussultai, spaventata. Scattai in piedi e cominciai a percepire un ripetuto e inquietante sibilo, come un sussurro di morte. Mi voltai e vidi il volto di una donna dai capelli lunghi  che mi guardava con disprezzo. Era Kayako Fukamoto. Caddi a terra e urlai. In quel momento dalla sua tempia cominciò a sgorgare un rivolo di sangue, che andò a cadere a gocce sul pavimento.

Emoglobina colpì anche la mia caviglia nuda.

Sospirando e annaspando mi trascinai all’indietro, cercando di raggiungere la porta che portava all’altro vagone. Pochi attimi e pensavo di dover morire.

Svenni e davanti a me ci furono solo immagini confuse.

Una ragazza allo specchio intenta a pettinarsi.

Lo specchio che va a pezzi.

Il sangue che schizza sui muri.

Un piede mozzato.

Dita mozzate.

Una mano che sanguina a fiotti, macchiando le lenzuola di un letto.

Un coltello che perfora la carne della povera donna.

Un’altra donna legata al muro che urla. Non può chiudere gli occhi: sotto le sue palpebre le sono stati incollati degli stuzzicadenti. Se sbatte le palpebre diventerà cieca. È obbligata a guardare il feroce delitto che le si presenta davanti agli occhi.

 

FINE CAPITOLO

 

Molti amanti dell’horror avranno intuito che la scelta degli stuzzicadenti sotto gli occhi è rubacchiata da “Opera” di Dario Argento. Il mio non vuole essere un furto, ma un omaggio. Quella scena mi è rimasta davvero impressa.

  
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