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Autore: smile_tears    26/03/2016    1 recensioni
Annuii alle sue parole e mi allontanai un po’ da lui, per poi cercare di asciugare i residui di lacrime presenti sulle mie guance.
«Comunque –riprese lui dopo un po’- su Tony non so dirti nulla. Sai che è un ragazzo riservato, non parla con nessuno di queste cose, neanche con me. L’ultima volta che sono riuscito a togliergli qualcosa di bocca, tipo verso gennaio, ha detto di non voler avere nessuna relazione. Ma sono passati molti mesi, può anche aver cambiato idea. Bisogna solo aspettare»
A quelle parole sospirai, da uno come Tony c’era da immaginarsi una cosa simile.
Aspettare. Ormai era quella la parola chiave di tutta la mia vita. Dovevo sempre aspettare io qualcosa o qualcuno, mai il contrario. Avrei voluto dire basta, che ero stanca di aspettare le persone senza ricavarci mai niente, ma sapevo che con Tony sarebbe stato impossibile.
Per lui avrei aspettato anche tutta la vita.
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Genere: Introspettivo, Romantico, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Contesto generale/vago
- Questa storia fa parte della serie 'Red cheeks'
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Un amore che non ti aspetti
 
20 gennaio 2015
 
Quel freddo giorno di gennaio la pioggia si abbatteva violentemente sulla piccola città in cui vivevo.
Era appena finito il corso di catechismo e io e Tony eravamo corsi fuori per parlare, sfidando il tempo e fregandocene dell'essere bagnati come due pulcini.
Sembrava la tipica scena da film, quella dove i protagonisti, dopo mille peripezie, si dichiaravano l'uno all'altro e si baciavano sotto la pioggia battente. Ma non era così, per niente.
Tony era in piedi di fronte a me. I corti capelli castano scuro gli ricadevano lisci sulla fronte; i suoi occhi, marroni e grandi, mi scrutavano curiosi. «Allora, cos'è successo?»
Strinsi leggermente i pugni, cercando di ignorare il groppo che mi si era formato in gola e di prendere coraggio. «Ho- ho bisogno di parlarti di Fabio»
Fabio: un nome, mille problemi.
Tony, sentendo nominare il fratello gemello, aggrottò le sopracciglia confuso. «Cosa c'entra Fabio adesso?»
Sospirai, per poi scostarmi una ciocca di capelli bagnati dal viso. «Lo sai che ho una cotta per lui dalle medie, Tony. Sono stanca di stare ad aspettarlo, di credere che un giorno si accorgerà di me»
«Scusa se te lo dico, ma ancora non capisco cosa vuoi da me»
Boccheggiai, perché la domanda che stavo per fargli mi risultava  infinitamente stupida, ma poi mi decisi a parlare. «Voglio un tuo parere. Secondo te dovrei continuare a sperare in qualcosa o, semplicemente, dovrei darmi per vinta? Rispondi sinceramente, non dire "resisti" solo per farmi contenta»
Tony sbarrò lievemente gli occhi, colpito da quella strana domanda. Iniziò a torturarsi il braccio sinistro con la mano, evidenziando il suo imbarazzo nel non sapere cosa rispondermi.
Mi dispiaceva averlo messo in difficoltà, ma se volevo dimenticarmi di Fabio dovevo sentirmelo dire da qualcun altro e lui era l'unica persona di cui mi fidavo. «Io non- non voglio che tu stia male. Ma conosco Fabio e, davvero, non vale la pena continuare a sperare in lui, finirai solo con il soffrire ancora di più»
Per quanto immaginassi questa risposta non potei fare a meno di sentire il cuore distruggersi in mille pezzi. Abbassai lo sguardo per un attimo, sorridendo amaramente, e quando lo rialzai su Tony rimasi sconvolta: aveva gli occhi gonfi di lacrime. Non stava propriamente piangendo, ma ci mancava poco.
Stavo per avvicinarmi  e dirgli di stare tranquillo e non preoccuparsi per me, quando l'oggetto della nostra discussione arrivò da noi urlando: «Ma siete pazzi tutti e due? Vi prenderete la bronchite, siete bagnati fradici!»
«Lo so, scusaci» gli dissi «è stata colpa mia»
Fabio sorrise lievemente scuotendo la testa, poi si avvicinò a me e Tony con l'ombrello. «Sei sempre la solita idiota»
E dopo averlo detto mi diede due pugni sulla fronte, come se stesse bussando alla porta di casa sua per vedere se c'era qualcuno.
Spostai bruscamente la sua mano e lo guardai in cagnesco. Lui scoppiò a ridere e, senza volerlo, mi unii a lui. Mi voltai verso Tony e mi accorsi che stava guardando suo fratello con uno sguardo a metà tra il dispiaciuto e l'irritato. Sembrava dire "perché non ti accorgi di lei?" e "perché la tratti così?", ma per fortuna Fabio non lo notò.
Quando Tony si accorse di me gli sorrisi, scuotendo leggermente la testa. E lui capì.
Quello era il mio modo per dire "basta".
 
 
18 febbraio 2015
 
Era passato ormai un mese da quando avevo avuto quella discussione con Tony e tutto sembrava essere tornato alla normalità. Mi stavo impegnando per dimenticare Fabio e, poco alla volta, ci stavo riuscendo. La cosa certa era che da quando avevo accettato la verità ero più felice, più tranquilla.
Quella mattina ci fecero uscire prima da scuola a causa dell'improvvisa nevicata, ma dato che né io, né Tony, né Kimberly potevamo tornare a casa andammo nella villa comunale per fare un giro. A noi si unì anche Antonio, che voleva approfittare della situazione per stare un po' con la sua ragazza. Proprio per questo, mentre camminavamo e i due piccioncini erano distratti, presi Tony per un polso e lo bloccai. All'inizio mi guardò confuso, ma poi parve capire la mia idea e si fermò. Aspettammo che i due si allontanassero un po' da noi, poi riprendemmo a camminare mantenendo le distanze. Non parlammo, restammo semplicemente in silenzio. Io avevo gli occhi a cuoricino guardando i miei amici camminare mano nella mano, erano troppo carini. «Sai» iniziò Tony «Spero che quei due non si lascino mai»
Mi voltai verso di lui e vidi che stava sorridendo, cosa che feci anch'io. «Lo spero anch'io. Stanno insieme da due anni e si amano così tanto, soffrirebbero entrambi se si lasciassero»
Il ragazzo annuì alle mie parole. «Già. E poi loro sono il ritratto dell'amore, se si lasciassero vorrebbe dire che l'amore non esiste e che per due come noi non ci sarebbe alcuna speranza»
Le sue parole mi sorpresero, al punto di lasciarmi letteralmente a bocca aperta. «Sono costretta a darti ragione»
Dopo queste mie parole tornò il silenzio, eravamo entrambi persi nei nostri pensieri. Ad un certo punto sentimmo un rumore, come una moneta che cade a terra. Mi guardai intorno ma non vidi nulla, finché Tony non si accovacciò accanto a me e raccolse quello che sembrava un bottone . «È tuo?»
«Pare di si, ma non so da dove cavolo sia caduto»
Iniziai ad ispezionare il mio cappotto, ma non riuscivo a trovare nulla. «Scusa» disse «Posso dare un'occhiata io?»
Le sue guance erano rosse dalla vergogna e le mani gli tremavano. «Certo»
Timidamente si avvicinò a me, mettendo le mani ai bordi del mio cappotto. Lentamente iniziò ad ispezionarmi, prima sul ventre, poi sul petto, poi sulle spalle. Io intanto lo fissavo con il fiato bloccato in gola. Non c'erano secondi fini, ma sotto il cappotto stava comunque toccando me. Facendo questi pensieri arrossii anch'io e una strana sensazione partì dal mio stomaco fino a raggiungere il cuore, che iniziò a battere furiosamente.
Ritornai alla realtà solo quando il mio sguardo si incrociò con quello di Tony. Era la prima volta che ci guardavamo negli occhi così da vicino e questo mi aveva provocato non pochi scompensi. Il cuore stava per uscirmi dal petto, speravo che lui non riuscisse a sentirlo perché sarebbe stato troppo imbarazzante. Da quella distanza riuscivo quasi a contare il numero delle sue ciglia e per la prima volta mi accorsi di quanto belli e grandi fossero i suoi occhi.
Chissà lui a cosa stava pensando, se provava quello che provavo io.
Quel bellissimo idillio fu interrotto da Tony, che fece un passo indietro allontanandosi, per poi tossire imbarazzato. «Il bottone ti è caduto da-dalla spalla destra»
All'inizio non capii a cosa si riferisse, ma poi mi ricordai cosa ci aveva portati in quella situazione. «Oh- oh si, grazie»
Sorrise imbarazzato, poi si voltò e riprese a camminare. In quel momento mi parve finalmente di tornare a respirare, dopo vari minuti in cui avevo trattenuto il respiro.
Che mi fossi innamorata di Tony?
A quel pensiero scossi la testa, era troppo presto per innamorarmi di nuovo. Probabilmente i miei erano sentimenti derivati da quella strana situazione.
Sorrisi e corsi dietro Tony, che si era allontanato da me e riprendemmo a parlare come se nulla fosse.
Si, doveva essere proprio così.
 
 
15 aprile 2015
 
Eravamo amici da un po', noi due. Ci eravamo conosciuti alle elementari e in quarto superiore potevamo dire di essere ancora amici. All'inizio era un rapporto strano, litigavamo in continuazione anche per le cose più stupide. Poi, dalla terza media, tutto era cambiato. Le battute c'erano ancora, però non erano più offensive, erano solo per ridere un po' delle stranezze dell'altro. C'erano più sorrisi, più "ti voglio bene". Ma mai, e dico mai, c'erano stati abbracci, e questa cosa mi logorava dentro.
A volte avevo solo bisogno di stringermi tra le sue braccia, di sentirmi piccola piccola accanto a lui. Ma, puntualmente, rimaneva tutto una mia fantasia. Lui era troppo timido per prendere iniziativa, se anche avesse voluto, e io avevo troppa paura di dargli fastidio, di causargli imbarazzo.
In realtà, c'era stata una volta in cui aveva provato a prendere l'iniziativa. Ma aveva scelto il momento sbagliato.
 
«Micaela? Ci sei?»
Scossi la testa per tornare alla realtà e mi voltai verso Tony, che reclamava la mia attenzione. Kimberly e Antonio volevano uscire insieme, ma quest' ultimo era dispiaciuto di dover lasciare Tony da solo, per questo mi ero offerta io di restare con lui.
Ecco perché eravamo soli da qualcosa come mezz'ora, alternando silenzi quasi imbarazzanti a chiacchiere su qualunque argomento ci venisse in mente. «Si, ci sono. Scusami, ero assorta nei miei pensieri»
Il castano sorrise leggermente, arrossendo. Era fottutamente adorabile: i capelli disordinati a furia di infilarci dentro le mani; le guance rosse; la mano destra che passava continuamente dietro il collo, evidenziando il suo imbarazzo; i denti a torturare le labbra. Tutto di lui era attraente. «Me ne sono accorto. A cosa stavi pensando?»
Sorrisi leggermente, le mani immerse nel cappotto per ripararmi dal vento freddo e lo sguardo basso, per mascherare la mia confusione. Non sapevo se dirgli o meno quali pensieri mi avessero rapita così tanto da ignorarlo, ma sapevo che se avessi continuato a rimuginarci sopra non avrei concluso nulla. Meglio agire d'istinto. «Stavo pensando a me e a te»
A quella risposta Tony rimase di sasso, al punto di bloccarsi nel bel mezzo del viale in cui stavamo passeggiando. Mi fermai anch'io e mi voltai verso di lui. Aveva gli occhi sbarrati e le guance arrossate, sembrava allo stesso tempo sorpreso e confuso. «In- in che senso a me e a te?»
Sorrisi tristemente e mi avvicinai a lui. «Ti ricordi il periodo in cui ci siamo allontanati, in primo superiore? Quando stavo con Michele?»
Tony si rattristò e annuì, poi continuai. «Bene, perché mi sento ancora in colpa per come ti ho trattato in quel periodo, per come ho dovuto rifiutare il tuo unico tentativo di affetto. E penso che sia ora di dirti il perché»
Il suo sguardo divenne nuovamente confuso, e nel frattempo mi implorava di spiegargli cosa stavo dicendo. «Te la ricordi quella sera? Quella in cui sono venuta a vedere le prove del vostro spettacolo teatrale e tu hai cercato di abbracciarmi e io ti ho detto "no"? Io volevo davvero abbracciarti, con tutto il cuore. Sapevo che il tuo era stato un gesto più unico che raro, ma sono stata costretta a dirti no»
«Costretta?» mi interruppe.
«Si. Quella mattina avevo litigato con Michele, mi aveva detto di non sopportare il nostro rapporto, era geloso di te. Per questo ti ho detto no, quella sera. Solo perché non volevo che lui stesse male. Ma ora ho capito di aver fatto una cavolata. Mi dispiace da morire se ti ho fatto soffrire»
Tony aveva lo sguardo perso nel vuoto, la bocca aperta dalla sorpresa, come se gli avessi rivelato chissà quale segreto. «Io non- non credevo che fosse geloso di me. Mi dispiace se avete litigato a causa mia»
Gli sorrisi dolcemente, cercando di tirarlo su. «Non è stata colpa tua, e poi non aveva il diritto di decidere lui i miei amici. Mi dispiace solo che a causa sua ci siamo allontanati»
«Non importa, è passato»
Improvvisamente intorno a noi calò il silenzio. Tony si grattò la nuca imbarazzato, guardando gli alberi intorno a noi come se fossero la cosa più interessante del mondo. Io invece stavo lì immobile, lo sguardo puntato sui miei piedi, lanciando qualche sguardo fugace a Tony di tanto in tanto, finché ad un certo punto richiamai la sua attenzione. «Posso abbracciarti?»
Il castano mi guardò esitante, ma poi si sciolse in un tenero sorriso e annuì allargando leggermente le braccia. A quel punto sorrisi anch'io e mi buttai letteralmente su di lui. Avvolsi le braccia intorno al suo collo, stringendomi a lui il più possibile. Il suo dolce profumo mi invase le narici, mentre il calore proveniente dal suo collo, lasciato scoperto dal cappotto, a contatto con la mia guancia mi provocò mille brividi lungo la spina dorsale. Le sue braccia erano salde alla base della mia schiena, facendomi finalmente sentire protetta. Sembrava volesse dirmi "Non ti lascerò mai" e "Ti voglio bene, sono qui" e questo mi rendeva piena di gioia.
Avevo finalmente trovato il mio piccolo angolo di mondo, quel posto che potevo chiamare "casa" e mai, per nulla al mondo, avrei rischiato di perderlo di nuovo.
 
 
13 agosto 2015
 
I mesi erano passati velocemente e il freddo primaverile aveva finalmente lasciato spazio al caldo estivo. Le vacanze erano finalmente arrivate, anzi, erano quasi finite.
Nel mese di agosto nel nostro paese c’erano varie feste, era l’unico periodo dell’anno in cui si riempiva di gente. C’erano bancarelle, musica, spettacoli teatrali: c’era davvero di tutto.
Quel giorno, invece, c’erano due eventi davvero importanti: il pomeriggio c’era il corteo storico, la sera il palio.
Durante il corteo storico chiunque si poteva vestire secondo gli usi dei tempi antichi e insieme al resto della gente si procedeva dall’ingresso della villa comunale fino alla piazza del paese. Lì si assisteva a varie rappresentazioni, tra cui lotte tra cavalieri e spettacoli musicali.
Durante il palio, invece, alcuni rappresentanti di vari quartieri si riunivano formando delle squadre, sfidandosi in giochi dell’antichità ed eleggendo il quartiere vincitore.
Quel pomeriggio incontrai i miei amici all’ingresso della villa comunale. Il corteo doveva iniziare alle cinque e mezza ma, tanto per cambiare, erano in ritardo. A quel punto il nostro gruppo si divise: alcuni preferirono andare a ripararsi dal sole sotto una vecchia quercia, mentre io ed altri decidemmo di restare lì per vedere.
Finalmente, qualche minuto dopo le sei, il corteo riuscì a partire. Procedeva lentamente, fermandosi di tanto in tanto per permettere a tutti di osservare i vari ceti in cui era divisa la società. Quando furono passati tutti bisognava proseguire, ma noi decidemmo di restare a fare un giro in villa. Mentre camminavamo ripensai che tra i vari partecipanti non avevo visto Fabio e Tony, che di solito erano sempre presenti. «Antonio, ma Fabio e Tony che fine hanno fatto?»
Il ragazzo si voltò verso di me e dopo aver chiesto un attimo scusa a Kimberly mi si avvicinò. «Non lo sai? Quest’anno invece del corteo hanno deciso di partecipare al palio. Sono nella squadra del vostro quartiere insieme ad altri ragazzi della vostra parrocchia»
Lo fissai sorpresa, non avevo idea che avessero preso questa decisione. «Beh, ora ho un motivo in più per tifare per il nostro quartiere»
 
Verso le sette, dato che stavamo morendo di fame, decidemmo di andare in gelateria, dove Antonio offrì il gelato sia a me che a Kimberly. Ci sedemmo sulle scale di un appartamento accanto alla gelateria e ci fermammo a mangiare, per poi perderci in chiacchiere.
Parlottando tra di noi non ci accorgemmo del tempo che passava velocemente, poi verso le otto chiamò Nico, il mio migliore amico, che ci fece capire che eravamo in ritardo. Iniziammo a correre come i pazzi e dopo cinque minuti arrivammo all’ingresso della villa, dove c’erano gli altri che ci aspettavano. Ci scusammo per il ritardo e dopo i vari saluti ci dirigemmo tutti al campo da calcio, dove si sarebbe svolto il palio. Nonostante il ritardo riuscimmo a trovare dei buoni posti, ottenendo una perfetta visuale dell’intero campo. Iniziai a guardarmi attentamente intorno alla ricerca di Fabio e Tony, ma non riuscii a trovarli da nessuna parte.
Delusa misi il broncio, neanche fossi stata una bambina di due anni, e mi sedetti tra Kimberly e Marta, aspettando impazientemente che iniziassero a giocare. Dopo una ventina di minuti le mie preghiere furono esaurite e l’irritante presentatore iniziò ad annunciare le squadre che si sarebbero sfidate nel primo turno. Fu a quel punto che lo vidi. Tony era appoggiato ad un muretto e fissava con disinteresse le altre squadre intorno a lui. Aveva dei pantaloni aderenti bianchi e blu, colori rappresentanti del nostro quartiere, che gli fasciavano le gambe sode; sopra indossava una casacca, sempre degli stessi colori, che lasciava scoperte le braccia forti e abbronzate. Non riuscivo a capire come facesse ad essere così bello anche conciato in quel modo, ma lo era. Rimasi incantata a fissarlo finché Marta non mi riportò alla realtà. «Mica, hai sentito?»
Mi voltai di scatto verso di lei, non sapendo di cosa parlasse. «Che cosa?»
La ragazza mi fissò sconsolata, ormai era abituata al mio essere completamente con la testa tra le nuvole. «Come fai ad essere così distratta? Comunque il presentatore ha detto che sarete la terza squadra a giocare»
Ero così intenta a fissare Tony che non mi ero accorta di tutto il resto, ero messa male. «Oh, ok. Grazie»
Marta  mi fissò con un sopracciglio inarcato, probabilmente chiedendosi a cosa stessi pensando di così importante da isolarmi completamente, ma poi parve rinunciarci e si voltò nuovamente verso il campo, dove le prime due squadre –che quartieri erano, poi?- stavano per affrontarsi.
A quel punto imitai la mia amica e mi voltai verso il campo, osservando passivamente le prime squadre che si affrontavano.
Non appena le prime due partite terminarono vidi Tony e tutti gli altri avvicinarsi al campo, così iniziai a prestare attenzione alla sfida. Due membri del gruppo si misero in posizione e al via iniziarono a far rotolare un barile facendo lo slalom tra vari ostacoli; successivamente si unirono al resto della squadra e iniziarono a spostare la carriola con sopra tre palline, cercando di non farle cadere, perché altrimenti sarebbero dovuti tornare indietro e ripetere tutto d’accapo. Dopo questo si infilarono tutti nei sacchi e iniziarono a saltare come dei pazzi, fino a raggiungere il palo dove si trovava Tony che li aspettava. Eravamo leggermente indietro rispetto all’altra squadra, per questo iniziai a gridare: «Vai Tony, vai!»
Tony iniziò a correre velocemente, al punto che quasi cadde a terra, e raggiunse il palo dove c’era la nostra bandiera. La afferrò al volo e, sempre correndo, tornò indietro fino al palo da cui era partito. Porse la bandiera a Fabio che, agile come una scimmia, si arrampicò sul palo e issò la bandiera alla sua sommità, mentre il membro dell’altra squadra cercava ancora di salire. A quel punto mi alzai in piedi e urlai con tutta la forza che avevo, ero davvero felice e lo erano anche Fabio e Tony, che nel campo si abbracciavano soddisfatti.
A quel punto mi voltai verso Kimberly e vidi che mi fissava come se fossi stata un alieno, a quel punto capii di essermi gasata troppo e mi voltai timidamente, arrossendo violentemente e suscitando l’ilarità della mia amica.
Mentre cercavo di fondermi con gli spalti a causa della vergogna vidi Antonio scendere le scale e andare verso la rete metallica che divideva il pubblico dal campo, dove si trovava Tony. Li vidi parlottare e ridere come due scemi, finché Tony non fu richiamato dagli altri e se ne andò.
Quando tornò Antonio mi guardò malissimo e non riuscii a capire perché. «Perché non sei venuta anche tu? Sei una scema!»
Lo guardai come se fosse impazzito, non capivo cosa volesse da me. «Perché sarei dovuta venire, scusa?»
«Per salutare Tony, no? Sei un’idiota! La prossima volta vieni con me»
Continuai a guardarlo stranita, non capendo comunque cosa volesse, quindi mi limitai ad annuire.
Ci concentrammo di nuovo sulle partite, esultando di tanto in tanto, finché il mio quartiere non vinse un’altra partita. A quel punto Antonio si alzò di scatto e prendendomi per un braccio cominciò a correre per le scale. «Aspetta, non correre! Rischi di farmi cadere!»
Ma quell’imbecille se ne fregò e si fermò solo quando arrivammo davanti alla rete. Fabio e Tony erano entrambi lì, così li salutai e io Tony ci stringemmo le dita attraverso i quadrati della rete, neanche fossimo dietro alle sbarre di una prigione.
Non feci in tempo a dire nulla, neanche un semplice “bravi”, che giunse accanto a me Michele, il mio ex. A quel punto volevo sotterrarmi, se non era sfiga quella non sapevo cos’altro lo fosse. Lo sguardo dei gemelli e di Antonio si puntò su di me, come a dire “mi dispiace per te”. Michele si limitò a salutarmi, poi si dedicò a Fabio e Tony, come se il suo intento fosse solo quello di tenermi alla larga da loro, come se la sua gelosia fosse ancora presente. Poco dopo i gemelli tornarono dalla squadra e Michele sugli spalti, mentre io tornai dagli altri con Antonio, sbuffando più che mai. Io non ero incazzata, di più. Se avessi potuto avrei preso a schiaffi quell’imbecille di Michele fino a che non mi avessero fatto male le mani.
Quando mi sedetti Kimberly e Marta mi rivolsero uno sguardo dispiaciuto. «Mi dispiace Michi – disse Kimberly accarezzandomi un braccio- quando l’ho visto scendere volevo prenderlo a pugni, ma non mi sembrava una cosa molto carina. Comunque non è possibile che stia sempre in mezzo alle scatole. Non dovrebbe essere all’università?»
Scrollai le spalle, non avendo nemmeno la forza di rispondere. Si che doveva essere all’università, invece me lo trovavo sempre tra i piedi. Sembrava che gli piacesse continuare a rovinarmi la vita.
Decisi di non pensarci e mi concentrai sulle gare. I quartieri dei miei amici persero tutti, poco alla volta, mentre il mio arrivò ai quarti di finale. Feci un tifo sfegatato e urlai di paura quando alla fine, dopo la corsa, vidi Tony cadere a terra. Per fortuna si rialzò subito, facendomi tranquillizzare. Per pensare a lui però mi ero distratta, non accorgendomi che Fabio non aveva fatto in tempo a salire e che quindi avevamo perso. Ci restai un po’ male, perché era la prima volta che arrivavamo così in alto, ma poi lasciai perdere, l’importante era che Tony cadendo non si fosse fatto niente.
Mentre ero assorta nei miei pensieri vidi Antonio alzarsi, per poi piazzarsi davanti a me. «Vieni?»
«Dove dovrei venire scusa?»
Lui alzò gli occhi al cielo, annoiato dal dovermi dare sempre delle spiegazioni. «Devo portare una cosa a Tony, mi puoi accompagnare?»
Mi voltai e guardai Kimberly, come per chiederle “perché non vai tu?”, al che lei rispose con una scrollata di spalle, così io mi limitai ad annuire.
Scendemmo le scale e appena arrivati davanti alla rete ci buttammo nella calca che si era venuta a creare. A quel punto Antonio mi prese per un polso e io mi ritrovai a fissarlo sbigottita. Il ragazzo alzò nuovamente gli occhi al cielo, cosa che mi fece irritare. «Voglio solo evitare di perderti nella folla, non farti strane idee»
Scossi la testa e decisi di non rispondergli, altrimenti lo avrei preso a schiaffi. Continuammo a camminare finché non raggiungemmo la porta che collegava campo e spalti e lì vicino trovammo Tony. «Tony!»
Il ragazzo sentendosi chiamare si voltò nella nostra direzione e quando ci vide sorrise e si avvicinò. «Come stai? –gli chiesi- Mi sono presa uno spavento quando sei caduto»
Il ragazzo si grattò la nuca imbarazzato, le guance rosse un po’ per aver corso e un po’ per l’imbarazzo. «Sto bene, solo che da quando mi sono operato l’appendicite ho perso l’allenamento e non riesco più a fare sforzi simili»
A quel punto sbarrai gli occhi, come colta da chissà quale grande verità. «L’appendicite, giusto! Razza di imbecille, perché hai deciso di partecipare allora? Hai rischiato di peggiorare la situazione»
Dovevo sembrare una pazza ai loro occhi, ma non me ne importai. Loro scoppiarono a ridere, come se avessi detto davvero una scemenza. «Tranquilla Michi –disse Tony- sto bene, altrimenti non avrei gareggiato. Ma grazie del pensiero»
Gli sorrisi dolcemente, dopo di che tutti e tre raggiungemmo gli altri che ci stavano aspettando e insieme andammo all’ingresso della villa, per concludere la serata con dei bellissimi fuochi d’artificio.
Ormai era l’una di notte, quindi la maggior parte delle persone finito il palio erano salite in macchina per tornare a casa. Però non avevano tenuto conto delle persone che volevano vedere i fuochi e che quindi avevano affollato la strada principale, bloccando così il traffico. Quando uscimmo, infatti, trovammo una coda di macchine lunghissima e dato che noi eravamo in ritardo iniziammo a correre facendo lo slalom tra di esse, ridendo come dei pazzi per ciò che stavamo facendo. Arrivammo in villa stanchi e con il fiatone, ma ne valse la pena. Appena alzammo lo sguardo vedemmo il cielo illuminarsi di tantissimi colori, era uno spettacolo mozzafiato. «Wow, sono stupendi»
Mi voltai verso Tony e lo vidi annuire alle mie parole, lo sguardo ancora rivolto verso il cielo. Era bellissimo illuminato dalla luce una volta azzurra, una volta viola dei fuochi, e il suo sorriso estasiato lo rendeva ancora più adorabile.
In quel momento pensai che forse ero davvero innamorata di lui, che quello che avevo provato mesi prima non fosse stato soltanto un caso. E probabilmente Antonio lo aveva capito prima di me, per questo si era comportato in quel modo strano per tutta la sera.
Ad un certo punto, probabilmente sentendosi osservato, Tony si voltò verso di me e mi rivolse un grande sorriso. Il mio cuore fece mille giravolte e iniziò a battermi fortissimo nel petto, sembrava un cavallo imbizzarrito. A quel punto non avevo dubbi: mi ero innamorata di Tony.
 
8 settembre 2015
 
Le settimane erano passate velocemente e le vacanze erano ormai finite. Mancava una settimana all’inizio della scuola e alla mia cresima e quel giorno c’era l’ultimo incontro di catechismo.
Ero parecchio triste quel giorno e lo si poteva notare dal fatto che quella sera non avevo spiccicato parola. Non che di solito parlassi, ma almeno ogni tanto emettevo qualche sbuffo o comunque facevo notare la mia presenza, mentre quel giorno niente, a stento mi si sentiva respirare.
La tristezza non era data dal catechismo in se, per quanto mi piacesse andarci, ma dalle persone che facevano parte del gruppo insieme a me. Precisiamo, non mi sarebbe mancato tutto il gruppo, anzi. Con la maggior parte di loro litigavo sempre per qualunque motivo possibile. Non che fosse colpa mia, ma la loro invidia li spingeva a criticarmi per ogni minima cosa. Non che ci fosse chissà cosa da invidiarmi, ma il fatto che la nostra catechista mi adorasse perché ero l’unica a non dare fastidio aveva generato non poche polemiche. Quelli che mi sarebbero mancati da morire sarebbero stati Fabio e Tony, perché senza catechismo sarebbe stato difficile vederci. Scuole diverse, diverso gruppo di amici. L’unica nostra certezza era l’incontro del martedì sera, senza quello cosa ci sarebbe rimasto?
Persa nei miei pensieri non mi accorsi di nulla e quell’ora passò velocissima, tra le chiacchiere e le urla degli altri. Poco alla volta se ne andarono tutti, lasciando me, Fabio, Tony e Lina la catechista da soli. Quest’ultima si offrì gentilmente di accompagnarci a casa e noi accettammo volentieri. Dato che prima di andare dovevamo pulire, Fabio e Tony andarono al piano di sopra a giocare al biliardino, lasciando me e Lina da sole. Per me Lina era come una seconda madre, sapeva più cose lei di me che i miei amici, e poi mi conosceva troppo bene. Infatti si fermò dal fare le pulizie e mi si avvicinò con fare premuroso. «Micaela che hai? Sei stata strana per tutta la sera»
Posai lo strofinaccio con cui stavo pulendo il tavolo e sospirai voltandomi verso di lei. «Niente di preoccupante, davvero. Ho solo paura di perdere Fabio e Tony»
Man mano che parlavo la mia voce si affievoliva, un po’ per vergogna, un po’ perché avevo paura di essere sentita anche dai diretti interessati. «Perché dovresti perderli? Non capisco»
«Perché il catechismo è finito, Lina. Con la cresima finirà tutto. Non avrò più scuse per vederli una volta alla settimana; non avrò scuse per mandargli messaggi idioti; non avrò più scuse per accompagnarli io a casa alla fine di ogni incontro. Con oggi niente sarà più come prima»
Lina mi guardò con sguardo dolce, come farebbe una madre preoccupata per la propria bambina. E in quel momento era così che mi sentivo: una bambina che ha paura di restare sola. «Non devi preoccuparti, Micaela. La fine del catechismo non segnerà la fine della vostra amicizia. Certo, vi vedrete un po’ meno, ma non è la fine del mondo. E poi se proprio vi volete così bene vedrai che resterete in contatto comunque, non importa del resto. E ora fammi un bel sorriso, non mi piace vederti così triste»
Sorrisi alle sue parole e la ringraziai con tutto il cuore, per poi abbracciarla il più forte possibile. «Grazie Lina, ti voglio bene»
Lei ricambiò l’abbraccio stringendomi forte a se. «Ti voglio bene anch’io»
Continuammo a pulire, comportandoci come se nulla fosse successo, e appena finito Lina mi mandò a chiamare i gemelli. Salii le scale due a due, con un sorrisone ad incresparmi le labbra. Arrivata nella mansarda spalancai la porta, facendo spaventare quei due. «Se non volete restare a piedi vi consiglio di muovervi, ritardatari!»
«A piedi ci resterai tu, sottospecie di nano»
«Fabio meglio se sparisci, altrimenti oggi fai brutta fine»
Entrambi scoppiarono a ridere, per nulla spaventati dalle mie minacce, così io me ne tornai giù, indignata come non mai.
Quando Lina mi vide scendere da sola aggrottò le sopracciglia, stranita. «E i gemelli?»
«I gemelli restano a piedi perché si sono permessi di prendermi in giro»
La mia catechista scoppiò a ridere, trascinandosi dietro anche me. «A parte gli scherzi –dissi- stanno finendo di mettere a posto e spegnere le luci»
Neanche il tempo di dirlo che comparvero entrambi alle mie spalle, annunciando di essere pronti ad andare.
Mentre Lina finiva di spegnere le luci e chiudere la porta io uscii fuori per chiamare i miei e dire loro di venirmi a prendere a casa dei gemelli. Composi il numero di mia madre, ma la chiamata non partì e una voce meccanica mi annunciò che avevo completamente esaurito il credito. Sbuffai infastidita e riagganciai. Rientrai dentro e, timidamente, picchiettai sulla spalla di Tony. Si voltò verso di me leggermente stranito e io presi un gran respiro per cercare di parlare in maniera decente. «Tony, scusami. Potresti prestarmi il cellulare? Io sono rimasta senza soldi e devo dire a mamma di venire a prendermi»
Tony mi sorrise e annuì leggermente con la testa, mentre infilò una mano nella tasca dei jeans per recuperare il cellulare. Aprì la tastiera e me lo porse. Nel prendere il cellulare le nostre mani si sfiorarono e io, come una povera imbecille, arrossii e iniziai a tremare, come se fosse successo chissà che. Afferrai l’oggetto e gli rivolsi un sorriso imbarazzato, per poi uscire fuori e telefonare mia madre.
Una volta chiusa la telefonata tirai un sospiro di sollievo, come se fossi stata in apnea per tutto quel tempo. Tony mi faceva un brutto effetto. Neanche a dirlo mi arrivò alle spalle, facendomi prendere un colpo. «Tieni –dissi porgendogli il cellulare- e grazie mille»
Il ragazzo mi sorrise e subito dopo andammo entrambi ad aiutare Lina con delle buste, che successivamente sistemammo nel bagagliaio. Subito dopo andammo a prendere posto in macchina e Fabio, da buon approfittatore quale era, si sedette sul sedile anteriore, lasciando me e Tony dietro. «Ci entrate dietro? –chiese Lina- Oppure devo spostarvi qualcosa?»
Guardai alcune scatole che riempivano metà dei sedili e sorridendo mi voltai verso Lina, per dirle che andava bene così, ma non feci in tempo perché Tony rispose al mio posto. «Tranquilla Lina ci entriamo. In fondo Micaela è piccolina»
A quelle parole arrossii all’inverosimile, mentre il mio cuore sembrò impazzire, aumentando i battiti ad una velocità inaudita. Feci finta di niente e mi sedetti accanto a Tony, o meglio, mi spiaccicai contro di lui. Lo spazio a disposizione era piccolissimo, quindi eravamo praticamente attaccati. Il mio cuore non poteva reggere a cose simili, sentivo che sarei svenuta di li a poco. Il viaggio durò pochi minuti, ma a me parvero un’eternità. Una volta arrivata vidi che mio padre era già lì, quindi salutai tutti e scesi dalla macchina. «Micaela –mi richiamò Tony, mentre stavo per allontanarmi- mi raccomando, domani mattina non fare tardi, altrimenti ti lasciamo a piedi»
Tutti in auto scoppiarono a ridere, mentre io fissai Tony con sguardo indignato. «Tranquillo, piuttosto preoccupatevi voi due, che siete sempre gli ultimi ad arrivare»
Il ragazzo mi rivolse un simpatico ed educato dito medio, che mi fece scuotere la testa contrariata. «Buonanotte, imbecille»
Poi salii in macchina e iniziai a fissare il paesaggio fuori dal finestrino con aria sognante. Ero davvero fottuta.
 
9 settembre 2015
 
La mattina seguente la mia sveglia suonò alle sette in punto. Sbadigliai pesantemente, con la grazia di un elefante, per poi scendere dal letto e andare a vestirmi. Stavo morendo di sonno, ma quel giorno avevamo il ritiro spirituale con il gruppo della cresima, quindi non potevo dormire. Non avevo idea di dove dovessimo andare, sapevo solo che era in montagna e che avrebbe fatto un freddo cane. E io non sopportavo per niente il freddo.
Sospirai pesantemente aprendo l’armadio alla ricerca di qualcosa mettermi, poi decisi di seguire il consiglio di mia madre e vestirmi a strati. Mi misi una maglietta a mezze maniche grigia e sopra una felpa dello stesso colore, poi uscendo avrei messo anche il giubbino.
L’incontro era previsto per le otto e mezza, ma dato che mia madre doveva andare a lavoro mi ritrovai al luogo di ritrovo alle otto, restando sola come un cane.
Sospirai sconsolata, per poi sedermi su un muretto lì vicino, in attesa che arrivassero anche gli altri. Non potevo neanche giocare con il cellulare ,altrimenti si sarebbe scaricato. Mi misi l’anima in pace e mi limitai a fissare le macchine e i passanti di fronte a me, cercando di capire dove andassero, a seconda di come erano vestiti o di quanto veloci andassero con la macchina. Era abbastanza noiosa come cosa, ma meglio di niente.
Il tempo passò lentamente e io mi annoiai a morte, per questo quando vidi Fabio e Tony venirmi incontro quasi urlai dalla gioia. Mi alzai dal muretto e mi avvicinai a loro sorridendo il più possibile, per quanto la stanchezza me lo permettesse. «Buongiorno. Quale miracolo è avvenuto dato che siete già arrivati?»
I due ruotarono gli occhi al cielo, sorridendo leggermente. «Nessun miracolo, siamo solo ragazzi responsabili»
Cercai di trattenere una risata a quelle parole e mi limitai ad annuire. Presto arrivarono anche tutti gli altri e iniziammo a salire sul pullman. Tutti si buttarono dietro, tranne me e la mia amica Francesca, perché io soffrivo di mal d’auto. Ci sedemmo più o meno nella fila di mezzo e iniziammo a parlare del più e del meno.
 
Eravamo in viaggio da un’ora e mezza e più il tempo passava più io mi sentivo male. La strada era tutta curve, salite e discese, non proprio l’ideale per una che soffriva di mal d’auto come la sottoscritta.
Francesca accanto a me era preoccupata vedendo il mio viso pallido come un lenzuolo e cercava in tutti i modi di convincermi a chiedere all’autista di fermarsi per farmi scendere, ma io continuavo a ripetere che non ce ne fosse alcun bisogno. «Siamo quasi arrivati, Fra, posso resistere altri dieci minuti»
In realtà non ero convinta di poter resistere ancora così tanto, ma non volevo causare rallentamenti.
Sospirai per poi legarmi i capelli con un elastico che portavo sempre al polso e appoggiai la testa al sedile, cercando di rilassarmi. Stavo morendo di caldo, mi girava la testa e mi veniva da vomitare e odiavo la sensazione di stanchezza che questo orrendo mix comportava.
Ad un certo punto sentii una presenza accanto a me e una mano grande e calda spostare dalla fronte i miei capelli leggermente sudati, perciò mi sforzai di aprire gli occhi. Ad occhi socchiusi riuscii a riconoscere Tony, un sorriso preoccupato ad increspargli le labbra. «Micaela come stai? Sei più pallida di un fantasma»
Vedendo Tony e sentendo le sue mani tra i miei capelli mi sentii arrossire e il cuore iniziò a battere ferocemente. Solo quello ci voleva per farmi peggiorare, il mal d’auto in se non bastava. «Non è che di solito la mia carnagione sia così scura, Tony»
Il ragazzo rise leggermente, continuando a passarmi le mani nei capelli. «Se fai battute devi essere messa proprio male, eh? Comunque sta' tranquilla, mancano giusto cinque minuti, siamo arrivati»
Annuii alle sue parole e tornai a chiudere gli occhi, dovevo resistere ancora un po’. Ero convinta che una volta visto in che condizioni ero Tony sarebbe tornato al suo posto, invece rimase in piedi accanto a me, tenendomi la mano di tanto in tanto.
A volte sentii qualche commento del tipo “se sapeva di stare male cosa è venuta a fare?” e mi arrabbiai a morte, ma cercai di calmarmi stringendo più forte la mano Tony. Le avrei prese a schiaffi se ne avessi avuto la forza ma, beh, non ero in condizioni di alzare nemmeno un dito. Il castano percepì la mia arrabbiatura, infatti si abbassò leggermente, fino a raggiungere il mio orecchio. «Lasciali perdere, ok? Fa finta che non esistano»
Annuii leggermente con la testa, non avevo neanche la forza di parlare ormai.
Finalmente, dopo un paio di minuti, sentii il pullman fermarsi e Lina dirci di scendere. Sospirai, finalmente ce l’avevamo fatta. Mi alzai lentamente, ma Tony fu costretto a sorreggermi perché ero stata colpita da un improvviso capogiro. Una volta riacquistato l’equilibrio gli sorrisi e gli dissi di andare a prendere le sue cose e scendere, perché potevo farcela da sola.
A quel punto presi la mia borsa e insieme a Francesca scesi dal pullman. Una volta a terra presi un grande respiro, sentendo l’aria fredda entrarmi nei polmoni, facendomi sentire molto meglio. «Ora si che si ragiona!»
 
La mattinata era passata velocemente, tra catechesi, film e pranzo. Dopo aver mangiato i nostri panini ci dividemmo in piccoli gruppi e andammo a fare un giro del piccolo paese, senza però addentrarci troppo. Per quelle zone non c’era niente di che, infatti alla fine ci limitammo a girare per i vicoli senza alcun motivo, solo per camminare un po’. Verso le quattro tornammo nella sede della parrocchia dove avevamo trascorso tutta la mattina e il parroco di lì ci disse che sarebbe venuto con noi in pullman, perché voleva farci vedere un bosco bellissimo che si trovava all’ingresso del paese e che io, per ovvi motivi, non avevo minimamente notato. Salimmo tutti sul pullman e partimmo, per fortuna ci vollero solo dieci minuti per arrivare. Una volta scesi rimasi ad occhi aperti, quel posto era stupendo. Era una montagna di alberi e viali, era tutto così puro e… verde.
Il parroco ci invitò a salire con lui per un po’ e subito io, Francesca e Tony annuimmo entusiasti. I più pigri –ovvero più di metà gruppo- rimasero seduti all’ingresso, vicino al cancello da cui eravamo entrati, mentre noi ci lanciammo all’avventura. Camminammo per un po’, poi il prete ci disse di fare attenzione perché dovevamo scavalcare una recinzione. Lentamente cercammo di passare tutti, poi vidi Tony saltarla con facilità e rimasi sconvolta, al che lui scoppiò a ridere. Continuammo a camminare per altri dieci minuti buoni, salendo sempre più in alto, poi decidemmo di fermarci, altrimenti non saremmo riusciti a tornare indietro in tempo per tornare a casa. Il paesaggio era bellissimo, la natura era incontaminata e tra quegli alberi altissimi mi sentivo una formica. Si sentiva il cinguettio degli uccellini e il muggire di alcune mucche, era davvero stupendo.
Mentre contemplavo la natura intorno a me, mi fermai a contemplare qualcos’altro –o meglio qualcun altro. Quel giorno Tony era di una bellezza disarmante. Indossava quello che era diventato il mio capo d’abbigliamento preferito, ovvero un maglione color rosso carminio, che faceva risaltare la sua pelle abbronzata e anche i suoi occhi castani. I capelli erano acconciati in un ciuffo che andava verso destra, lasciando scoperto l’altro lato. Era qualcosa di sensazionale.
Timidamente mi avvicinai a lui, sotto lo sguardo sempre vigile di Francesca, e con una scusa iniziai a parlargli. Ad un certo punto presi un respiro profondo e, timidamente, con voce bassa e tremolante, gli chiesi: «È troppo chiederti di fare una foto?»
Lui mi guardò stranito, aggrottando le sopracciglia. «Intendi che devo scattare una foto a te o che dobbiamo farcene una insieme?»
A quella domanda avvampai, già non sapevo dove avessi trovato il coraggio di chiederglielo una prima volta, figuriamoci se adesso avevo la forza di ripeterlo. Ignorai il groppo che mi si era formato in gola e aspettai che il mio battito cardiaco tornasse alla normalità. «E-ecco io, intendevo s-se tu volessi farla con me»
Se avessi potuto mi sarei data uno schiaffo potentissimo. Avevo balbettato come un’imbecille e non era una cosa buona, per niente. Dio che imbarazzo.
Tony non era messo meglio di me. Le sue guance, per quanto si notasse data la sua carnagione scura, erano diventate rosse e iniziò a passarsi una mano dietro la nuca. «Certo, nessun problema. Ci vorrebbe solo qualcuno che-»
«Ve la faccio io!»
Non fece in tempo a finire la frase che Francesca si offrì subito volontaria, lasciando Tony leggermente sconvolto. Io le rivolsi un grande sorriso, per poi mimarle un grazie con le labbra.
Ci mettemmo entrambi vicini, lui con una mano sul mio fianco sinistro e io con la mano destra aggrappata alla sua schiena. Sentivo di non riuscire più a respirare, era come se tutto si fosse bloccato. Tutto tranne il mio cuore, che continuava a battere furiosamente. Cercai di mostrare uno dei miei migliori sorrisi, ma la mano di Tony bruciava sul mio fianco, facendomi perdere la concentrazione. Strinsi più forte la presa sulla sua maglia, come se fosse la mia unica ancora di salvezza per non svenire, poi presi un grande respiro e mi calmai.
Francesca fece due scatti per poi sorridere soddisfatta e ridare il cellulare a Tony, che le sorrise imbarazzato. Avevo appena fatto una foto con Tony ed eravamo stati vicinissimi, ancora tremavo a pensarci.
Subito dopo Lina ci richiamò e tutti insieme cominciammo a scendere. Io e Tony stavamo continuando a parlare delle più grandi cretinate, ma per me andava benissimo così. Se la salita era stata abbastanza tranquilla, non si poteva dire lo stesso della discesa. Inciampai nei rami caduti a terra, misi i piedi nel fago, combinai un disastro dopo l’altro. Per fortuna c’era Tony, che stava prestando attenzione più a dove camminassi io che lui. Stavo per inciampare in un ramo e cadere rovinosamente a terra, ma lui fu più veloce e riuscì a prendermi giusto in tempo. Poi inciampai in un altro ramo, ma per fortuna riuscii a reggermi al suo braccio e anche lui mi aiutò a non perdere l’equilibrio.
Distratta com’ero non mi accorsi di aver perso di vista Francesca, per questo mi voltai e la vidi abbastanza in difficoltà mentre cercava di evitare i rami. «Fra, scusami! Hai bisogno di una mano?»
La ragazza alzò un attimo lo sguardo, giusto il tempo di sorridermi. «No tranquilla, me la sto cavando»
Sorrisi e ritornai a camminare tranquilla, dato che eravamo praticamente arrivati al punto di partenza.
Appena arrivammo al cancello vidi Tony parlottare con Francesca e lei, un po’ stranita ma sorridente, si limitava ad annuire con la testa. Al momento di entrare nel pullman c’era la fila, ovviamente. Accanto a me avevo Tony e Francesca, che sbuffavano infastiditi dall’ingorgo che quei deficienti avevano creato. Non appena gli altri furono saliti, Tony si rivolse verso di me e con la mano mi fece segno di salire. «Prima le ragazze»
Le guance si colorarono di rosso a quella galanteria e gli sorrisi riconoscente, per poi accarezzargli leggermente una guancia.
Salii e andai al mio posto, sedendomi però al posto dove all’andata c’era Francesca, ovvero accanto al finestrino. Poi, però, vidi la mia amica non sedersi accanto a me, ma accanto ad una nostra compagna e rimasi di stucco. Però poi capii il perché, infatti Tony mi rivolse un sorriso e si venne a sedere accanto a me. Arrossi all’inverosimile, ma cercai di far finta di niente, ricambiando il sorriso. Lui si sedette, dopo di che si batté due pacche sulla spalla sinistra. «Appoggiati e cerca di riposare, il viaggio ti peserà di meno così»
Arrossii ancora di più, ma poi timorosamente feci come mi aveva detto e mi appoggiai su di lui. Iniziò a passarmi le mani nei capelli, come aveva fatto all’andata, e piano piano sentii le palpebre farsi più pesanti. Prima di addormentarmi completamente trovai la forza di stringere la sua mano e accoccolarmi di più contro di lui. «Grazie Tony, ti voglio bene»
Lui sorrise a quelle parole, le guance tinte di rosso, poi posò il viso tra i miei capelli. «Ti voglio bene anch’io»
 
13 settembre 2015
 
Ansia.
Ansia, ansia, ansia. Era quella la parola chiave di tutta la giornata.
Il giorno della cresima era finalmente arrivato e se da una parte ero felice, dall’altra ero terribilmente preoccupata. Avevo il terrore di fare qualche figuraccia, come cadere, inciampare, balbettare, dimenticare cosa dire. Ma, soprattutto, avevo paura di arrivare in ritardo. E poi quell’imbecille di Nico, che era il mio padrino, non aiutava. La messa era alle 11:30, noi ci eravamo accordati per vederci alle 10:45. E lui mi portava ansia perché: “non fare tardi” o “muoviti, domani non voglio restare solo ad aspettarti”.
In quel momento erano 08:30 e io era ancora in pigiama, seduta su una sedia messa in maniera improvvisata nel bagno di casa mia, ad aspettare la parrucchiera. Mi misi le mani davanti alla faccia, preoccupata a livelli sovrumani. «Strega»
Sbuffai non appena sentii il dolce soprannome affibbiatomi da mia madre, poi con le mani ancora davanti al viso mugugnai: «Sono in bagno»
Due secondi dopo sentii i suoi passi nel corridoio e dopo altri due me la ritrovai accanto. «Cos’è questa faccia da funerale? Dovrei essere contenta»
«Ma io sono contenta –protestai- è solo che sono preoccupata di fare tardi»
«Micaela sono ancora le otto e mezza, ti voglio bene non andare in panico»
Non feci neanche in tempo a controbattere che sentii il campanello suonare, segno che era arrivata la parrucchiera. Uno dei miei fratellini corse ad aprire, mentre io rivolsi un innocente sorriso a mia madre. «Forse stavo andando in panico, scusa»
Lei incrociò le braccia al petto, sorridendomi come per dire “Ma dai? Non lo avevo capito!”, per poi scoppiare a ridere insieme a me. Menomale che c’era lei.
 
Due ore dopo ero davanti allo specchio a guardarmi. Avevo i capelli a boccoli, sistemati tutti a destra, come se fossero una coda; gli occhi, un misto tra verde e grigio, erano messi in risalto dalla matita verde e dal leggero strato di ombretto rosa; le labbra rosee, screpolate come sempre a furia di morderle, erano ricoperte da un leggero strato di rossetto, rosa anche quello. Avevo un vestito rosa chiaro e fucsia a fantasia floreale, che mi arrivava fino al ginocchio. La sua forma svasata faceva si che si notasse poco la pancia, facendomi sentire più a mio agio. Infine ai piedi calzavo un paio di scarpe rosa, con un tacco a spillo alto più di dieci centimetri, ed era per quello che ero preoccupata, speravo di non cadere.
Mi fissai un’ultima volta allo specchio e sospirai, ce la potevo fare. Raggiunsi gli altri nel salotto e tutti insieme andammo in macchina. Neanche il tempo di salire che il mio telefono iniziò a suonare: era Nico. Risposi ruotando gli occhi al cielo, quel ragazzo mi stava facendo impazzire. «Nì sono ancora in anticipo, tranquillo che sto arrivando»
Il ragazzo scoppiò a ridere al mio tono annoiato, per poi cercare di ricomporsi. «Tranquilla, non ho chiamato per quello. Volevo solo dirti che ti aspetto dentro, sono con Antonio»
«Ok, a tra poco»
Spensi il telefono e lo posai nella borsa –rosa ovviamente- e cercai di prepararmi mentalmente. No, non alla celebrazione, quello lo avevo fatto con Nico la sera prima, dovevo prepararmi a vedere Tony vestito elegante, non sapevo cosa aspettarmi.
 
Un quarto d’ora dopo ero arrivata e stavo entrando in chiesa. Mi voltai verso sinistra e vidi Nico, che era di spalle, parlare con Antonio. Non appena quest’ultimo mi vide mi sorrise, per poi fare cenno a Nico di voltarsi. Mi avvicinai a loro sorridente e più avanzavo più il mio migliore amico mi squadrava dalla testa ai piedi. «Sei bellissima oggi, davvero»
Arrossii di fronte alla sua schiettezza e lo ringraziai con tutto il cuore, poi salutai anche Antonio e insieme ci dirigemmo avanti, dove c’erano tutti gli altri.
Mi guardai intorno alla ricerca di Tony, ma non vedendolo decisi di chiedere ad Antonio, dato che era il suo padrino. Lui non mi rispose, si limitò ad indicare un punto imprecisato davanti a noi. Seguii la traiettoria e, wow. Tony era appoggiato contro uno dei banchi, mentre parlava con la madre e il fratello. I capelli erano acconciati come sempre, con il ciuffo rivolto verso destra, lasciando il lato sinistro scoperto. Indossava una camicia di un colore strano che non riuscii ad identificare e sopra una giacca, sempre di un colore non identificato. A completare il tutto un adorabile papillon rosso, colore che gli risaltava il viso. Io odiavo i papillon, ma su di lui stava benissimo, lo adoravo.
Dire che lasciai gli occhi sulla sua figura è dire poco, infatti Antonio fu costretto a darmi una gomitata per farmi riprendere. Scossi la testa e, lentamente, mi avvicinai a loro. Non feci in tempo a dire “A”, che Tony si voltò comunque nella mia direzione, probabilmente sentendo il rumore dei tacchi. Quando mi vide sbarrò gli occhi e smise di parlare, mentre io mi avvicinai arrossendo e sorridendo leggermente, compiaciuta da quella reazione. La madre dei gemelli fu la prima ad avvicinarsi a me per salutarmi, baciandomi le guance. «Micaela, tesoro, sei bellissima»
Sorrisi imbarazzata a quelle parole e la ringraziai gentilmente, poi andai a salutare Fabio e Tony. Quando arrivai di fronte a quest’ultimo lo fissai stranita, perché eravamo praticamente alla stessa altezza. «Oddio –esclamai- con i tacchi sono alta quanto te!»
Il ragazzo sorrise divertito, poi, con aria solenne, mi strinse un braccio con la mano e disse: «Non abituarti, questa sarà la prima e ultima volta»
Lo fissai indignata, per poi dargli uno schiaffo sul braccio. «Sei un essere malvagio, sappilo!»
Lui scoppiò a ridere e insieme a lui iniziai anche io. Mentre ridevamo sentimmo Antonio e Nico parlottare tra loro, per cui ci avvicinammo.
«Ti dico che la più bella di tutti è Micaela» disse Nico.
«E io dico che il più bello invece è Tony» replicò Antonio.
«Ti dico di no»
«E io di si»
«Facciamo così –disse Nico- diciamo che i più belli di tutti i cresimandi sono loro due, così siamo entrambi felici e contenti»
«Mi sembra un’ottima soluzione»
Io e Tony ci guardammo sbigottiti, quei due dovevano essere impazziti. «Meglio andare a fare le foto» consigliai.
«Si, credo sia meglio»
 
Appena la messa finì saltai addosso a Nico, allacciandogli le braccia intorno al collo. Ero felicissima e si vedeva, stavo saltellando da una parte all’altra della chiesa senza alcun motivo.
Andai a salutare tutti i miei amici e parenti e a fare gli auguri agli altri cresimandi, finché Don Raffele non ci richiamò per la foto di gruppo. «I più bassi avanti, mi raccomando. Micaela tu in prima linea, veloce»
Ruotai gli occhi al cielo, mentre tutti gli altri scoppiarono a ridere. Salii sul gradino più basso e mi posizionai davanti a Tony, che subito mi sorrise, per poi mettermi le mani sulle spalle e tirarmi indietro, facendomi finire contro il suo petto. Lasciò la presa, soddisfatto del risultato, e si mise in posa per la foto. Una volta finito iniziammo tutti a disperderci e io stavo per tornare dai miei, in modo da andare a casa, quando mi sentii bloccare per un polso. Mi voltai e vidi Tony, un sorriso dolce e imbarazzato dipinto sulle labbra. «Sto andando via, volevo solo salutarti e farti di nuovo tanti auguri»
Sorrisi di fronte alla dolcezza di quelle parole e mi avvicinai a lui. «Grazie Tony, tanti auguri anche a te»
Il castano mi baciò una guancia, poi avvicinandosi al mio orecchio sinistro sussurrò: «Dimenticavo, oggi sei più bella del solito»
A quelle parole avvampai all’istante, sentendo il cuore battere fortissimo contro il mio petto, ma non feci in tempo a dirgli nulla, perché scappò via, probabilmente imbarazzato da quell’improvviso attimo di coraggio. Mi posai una mano sul cuore, mentre lo vedevo correre dai suoi genitori che lo aspettavano impazienti e pensai: «Anche tu sei bellissimo, non sai quanto»
Nico, che doveva aver assistito a tutta la scena, mi si avvicinò, posandomi un braccio intorno alle spalle. «Sei proprio cotta a puntino»
Io annuii alle sue parole, lo sguardo ancora perso nel punto in cui Tony era sparito. «Si, sono proprio cotta»
 
20 settembre 2015
 
Quel giorno era andato tutto male.
Appena sveglia mio padre aveva iniziato ad urlare perché era tardi; a scuola avevo due di matematica e durante la spiegazione non avevo capito niente. Avevo iniziato a litigare con alcuni compagni di classe e mentre ero nei corridoi avevo iniziato a battibeccare anche con il vicepreside. Tutto questo al sesto giorno di scuola, davvero stupendo.
All’uscita sperai che le cose migliorassero, altrimenti mi sarei chiusa in camera per i successivi due giorni, giusto per accertarmi che le cose non peggiorassero.
Quando mamma passò a prendermi le raccontai della mia giornataccia e lei cercò di farmi riprendere. Per un po’ ci riuscì, ma nessuna delle due sapeva che l’evento che più mi avrebbe demoralizzata doveva ancora avvenire.
Stavo parlando animatamente con i miei fratelli, quando passando per la piazza del paese vidi Tony. Non ci sarebbe stato niente di strano, se non fosse stato per una ragazza avvinghiata al suo collo. L’avevo già vista altre volte con lui, perché era la cugina di un compagno di classe dei gemelli, ma mai in situazioni così ambigue. Era una ragazzina due anni più piccola di noi e veniva nel mio stesso liceo. Avevo capito che lei aveva una cotta per Tony un sacco di tempo fa, una delle prime volte che li vidi insieme, ma non credevo che lui ricambiasse. Non che ne fossi sicura, ma il fatto che io avessi aspettato anni e anni per avere un minimo di contatto con lui mentre quella ragazzina aveva impiegato meno di due mesi mi faceva pensare, oltre che provocarmi un’immensa sensazione di tristezza.
Ero abituata a vedere i miei amici con altre ragazze, ad essere gelosa e fare comunque finta di niente, ma ogni volta che succedeva stavo sempre peggio. Era una cosa stupida, lo so, ma non riuscivo a fermare quell’odiosa sensazione di solitudine che mi divorava, era snervante.
Quel pomeriggio non feci assolutamente nulla, per fortuna il giorno dopo a scuola c’era assemblea di istituto e avremmo fatto solo un’ora di lezione. Dopo aver pranzato e aver tirato a lucido tutta la casa, andai in camera mia e mi buttai sul letto, dove passai le successive tre ore. Non feci niente di che, se non pensare, deprimermi e leggere storie d’amore sdolcinate.
Alle sei però presi una decisione e dopo aver recuperato il cellulare mandai un messaggio a Kimberly, chiedendole se poteva uscire. Dovetti aspettare una ventina di minuti prima che rispondesse, come sempre del resto. Aprii il messaggio ed incrociai le dita, sperando in una risposta affermativa. E così fu.
“Certo Miky. Facciamo in villa alle sette e trenta?”
Sorrisi e dopo averle risposto andai a fare una doccia, ne avevo proprio bisogno.
 
Alle sette e trenta, dopo aver urlato per un’ora con mio padre per farmi accompagnare, ero in macchina per andare in villa. Ero in ritardo, ovviamente, per questo tamburellavo a terra il piede, impaziente, giusto per mantenere la calma. Io odiavo arrivare in ritardo e mio padre lo sapeva, ma nonostante ciò continuava a fregarsene dei miei orari e mi accompagnava sempre con dieci- quindici minuti di ritardo.
Sospirai il più piano possibile per non farmi sentire da mio padre, poi portai lo sguardo fuori dal finestrino e mi persi a fissare il mondo accanto a me. Il paese era di nuovo deserto, in giro non c’era un’anima viva, se non qualche signora anziana che tornava dal fare la spesa e qualche gatto randagio. Salvo agosto quel paese era una noia mortale. Dopo un po’ arrivammo nella piazza e mentre vedevo le case scorrere davanti ai miei occhi riconobbi una figura familiare. Spalancai gli occhi e continuai a fissarlo, finché non sparì dalla mia visuale. Quella figura era Tony e stava passeggiando con i suoi genitori. Non rimasi sconvolta dal vederlo con i suoi, era una cosa che succedeva spesso. Fu il mio povero cuore a rimanere sconvolto da quello che stava facendo. Stava ridendo, aveva gli occhi socchiusi, facendo formare così delle piccole rughette di espressione intorno ad essi, ed era leggermente incurvato in avanti. Io adoravo quando rideva così, sembrava un bambino felice e spensierato. Era semplicemente meraviglioso.
Tornai a sedermi in maniera composta sul sedile, dato che per vedere Tony mi ero praticamente girata all’indietro, poi guardai di nuovo fuori dal finestrino. Mi portai una mano all’altezza del cuore e lo sentii battere fortissimo, mentre nella mia testa si ripeteva una litania di “mamma quanto è bello!”.
Sospirai, sorridendo leggermente. Povera Kimberly, avrebbe dovuto sopportare me e le mie descrizioni di Tony per tutta la sera.
 
21 settembre 2015
 
Era ferma al bar di fronte alla villa comunale da dieci minuti. Il vento tirava abbastanza forte, scompigliandomi tutti i capelli, e fui costretta a mettere le mani nelle tasche del cappotto, stavo iniziando non sentirle più per il troppo freddo.
Non so da dove mi fosse venuta quella brillante idea, ma il giorno prima dopo essere uscita con Kimberly scrissi un messaggio ad Antonio, chiedendogli se potessimo incontrarci anche solo per una ventina minuti.
Per quello ero lì, stavo aspettando il ritardatario. Dovetti aspettare altri dieci minuti, poi mentre guardavo a terra per ripararmi il viso dal freddo, un paio di scarpe nere si fece largo nella mia visuale. Alzai lo sguardo e lo vidi. Sorrideva leggermente, ma aveva lo sguardo preoccupato. Ricambiai il sorriso e insieme ci avviamo nella villa. Per un po’ restammo in silenzio, non sapendo cosa dire, poi io mi decisi a romperlo. «È da un po’ che non stavamo soli, eh?»
Il ragazzo sorrise leggermente e annuì. «Già, da quando mi sono fidanzato con Kimberly»
Sorrisi anch’io ripensando a quel periodo in cui avevo fatto da intermediaria tra i due, cercando di farli mettere insieme. Erano stati due anni lunghissimi. «Già… Tra di voi le cose come vanno? Tutto bene?»
«Si, grazie. Tutto tranquillo»
Annuii alle sue parole e tra di noi tornò il silenzio. Sapevo di essere stata io a chiedergli di vederci, ma non riuscivo a trovare il coraggio di iniziare il discorso. Lui parve capirlo, infatti decise di prendere lui l’iniziativa. «Allora, di cosa dovevi parlarmi?»
Aprii la bocca per parlare, ma non ne venne fuori alcun suono. Quello che volevo chiedergli mi sembrava così infinitamente stupido in quel momento. «Dai –mi spronò- sai che puoi dirmi qualunque cosa»
«Lo so, ma ora mi sento così stupida a volerti chiedere una cosa del genere che non riesco neanche a parlare»
«Micaela, lo sai che io non ti giudicherei mai e sono sempre disposto ad aiutarti, parlami»
Sbuffai sconfortata e mi fermai nel bel mezzo del viale senza un motivo preciso. «Si tratta di Tony. Io non- non ci capisco più nulla! Un giorno è carino e mi tratta bene e poi due secondi dopo lo trovo abbracciato ad una ragazza che non ho mai visto. Io- io non so più cosa pensare!»
In quel momento dovevo avere un aspetto orribile. Tremavo come una foglia, i capelli erano sparati in aria e sentivo gli occhi riempirsi di lacrime, infatti poco dopo iniziai a singhiozzare. Mi portai una mano davanti alla bocca cercando di contenermi, ma non ci riuscivo, le lacrime sembravano scendere da sole. Antonio mi guardò preoccupato, probabilmente non aspettandosi una reazione del genere, poi mi corse incontro e mi strinse dolcemente tra le sue braccia, cercando di calmarmi. «I- io scusa» borbottai dopo un po’, quando i singhiozzi si furono calmati.
«Sta’ tranquilla»
«No che non sto tranquilla. Mi odio quando mi comporto così, mi sento una bambina di due anni che piange per qualunque cosa»
«Non sei una bambina, sei solo troppo emotiva. È come se provassi qualunque emozione in maniera amplificata»
Annuii alle sue parole e mi allontanai un po’ da lui, per poi cercare di asciugare i residui di lacrime presenti sulle mie guance.
«Comunque –riprese lui dopo un po’- su Tony non so dirti nulla. Sai che è un ragazzo riservato, non parla con nessuno di queste cose, neanche con me. L’ultima volta che sono riuscito a togliergli qualcosa di bocca, tipo verso gennaio, ha detto di non voler avere nessuna relazione. Ma sono passati molti mesi, può anche aver cambiato idea. Bisogna solo aspettare»
A quelle parole sospirai, da uno come Tony c’era da immaginarsi una cosa simile.
Aspettare. Ormai era quella la parola chiave di tutta la mia vita. Dovevo sempre aspettare io qualcosa o qualcuno, mai il contrario. Avrei voluto dire basta, che ero stanca di aspettare le persone senza ricavarci mai niente, ma sapevo che con Tony sarebbe stato impossibile.
Per lui avrei aspettato anche tutta la vita.
 
1 ottobre 2015
 
Non avevo idea di chi fosse stata quella brillante idea, ma sicuramente doveva essere di un idiota.
Perché nessuna persona con un minimo di sale in zucca avrebbe deciso di organizzare la rimpatriata del catechismo tre settimane dopo la cresima e, soprattutto, di giovedì.
Ero nel panico più totale da una settimana, perché non avevo idea di come fare ad anticiparmi i compiti, specialmente matematica.
Alla fine ci rinunciai e quel pomeriggio feci solo matematica, tralasciando inglese e tecnica, che speravo vivamente non decidessero di interrogare o cose simili.
Finii alle sette, giusto il tempo di buttarmi sotto la doccia, vestirmi e correre in pizzeria.
Ero in ansia, non vedevo e non sentivo nessuno dal giorno della cresima, non sapevo neanche se si sarebbero presentati tutti. E poi ero in ansia per Tony. Da quel giorno in chiesa non si era fatto più vivo e mi stavo davvero preoccupando.
Scossi la testa, cercando di non perdermi in pensieri simili, altrimenti sarei arrivata in ritardo e no grazie.
 
Alle otto e trenta esatte ero davanti alla pizzeria e, come avevo immaginato, eravamo ancora in tre persone. Non erano puntuali agli incontri di catechismo e non erano puntuali neanche in situazioni simili, c’era da aspettarselo. Parlai un po’ con Elvira, poi quando fummo arrivati tutti, compresi catechisti e parroco, entrammo a prendere posto. Capitai seduta tra Francesca ed Elvira e accanto a quest’ultima c’era Tony. Mi piaceva questa sistemazione, almeno finché di fronte a me non si venne a sedere Fabio. «Oddio –esclamò lui- ora me ne vado di nuovo!»
Io lo guardai scettica, alzando un sopracciglio e incrociando le braccia sotto al seno. «Sono d’accordo. Se resti qui battibeccheremo tutta la sera!»
Ci guardammo negli occhi con aria seria, mentre gli altri intorno a noi avevano un’aria tesa, convinti che facessimo sul serio. A quel punto scoppiammo a ridere, mentre gli altri ci guardarono sconvolti, non capendo che diavolo fosse successo. L’unico a non aver fatto una piega di fronte a tutto questo fu Tony, ormai abituato a questi nostri teatrini. «Siete sempre i soliti»
Io e Fabio ci sorridemmo con aria furba, poi battemmo il cinque ridendo come due matti. «Lo sappiamo»
 
La serata stava procedendo tranquilla. Mangiammo e scherzammo tranquillamente, senza né litigi né altri problemi. Ogni tanto io e Fabio continuavamo a stuzzicarci, tirandoci a calci sotto al tavolo, giusto per far fare due risate. Una volta finito di mangiare alcuni uscirono fuori per fumare, mentre gli altri si divisero in gruppi e si misero a parlare dei più vari argomenti.
Io, Francesca, Elvira e Tony stavamo parlando dei più svariati argomenti, fin quando Tony non iniziò a prendermi in giro scherzosamente. Io feci finta di borbottare e arrabbiarmi, per poi scoppiare a ridere insieme agli altri. Ad un certo punto mi alzai ed andai alle sue spalle, dandogli uno schiaffo per niente forte sulla testa. «Sei proprio un imbecille!»
Scoppiammo nuovamente a ridere, per poi passare a parlare di cellulari. Non volendo tornare a posto rimasi dietro Tony, appoggiandogli poi le mani sulle spalle. Restai così per un po’, finché lui non prese le mie mani con le sue e si mise a giocherellare come se niente fosse. Io arrossii all’istante, non aspettandomi una cosa del genere ed ammutolii improvvisamente. Dopo un po’, mentre continuava a stringermi le mani, lasciò cadere la sinistra per prendere il cellulare nella tasca dei jeans, e quella finì sul suo petto, proprio dove si trovava il cuore. Facendo finta di nulla aprii il palmo della mano e rimasi sconvolta nel sentire il battito assurdamente accelerato del suo cuore. Sentendolo anche il mio iniziò ad aumentare i battiti e il respiro mi si mozzò in gola. Perché aveva il battito così accelerato? Che fosse colpa mia? Mille domande iniziarono a ronzarmi per la testa, ma rimasero tutte senza risposta. In ogni caso, quella serata mi rese davvero, davvero felice.
 
Era ora di tornare a casa. Stavo salutando tutti prima che se andassero, dato che avevano trovato tutti posto nelle macchine dei due catechisti e del prete. Mentre finivo di salutare Francesca, Lina si avvicinò a me. «Vuoi un passaggio anche tu?»
Le sorrisi per ringraziarla, ma negai con la testa. «Tranquilla, mi faccio venire a prendere dai miei. Hai già la macchina piena visto che c’è anche tuo marito»
Lei mi fissò severa, anche se sapevo che non era davvero arrabbiata. «Ma muoviti, basta che vi stringete. Tanto è solo fino a casa di Francesca che state stretti, poi ci entrerete tranquillamente»
Sospirai, sapendo di non poter rifiutare, poi annuii e tutte insieme ci avviammo alla macchina, mentre chiamai i miei per farmi venire a prendere a casa dei gemelli. Per prima salì Francesca, che si spiaccicò contro lo sportello, poi Tony, poi io ed infine Fabio. La situazione era abbastanza imbarazzante per me che ero schiacciata tra entrambi i gemelli, ma cercai di fare finta di niente, anche se il mio cuore batteva fortissimo per la vicinanza con Tony. Da una parte pregai di arrivare subito a casa di Francesca, in modo da poterci sedere normalmente, dall’altra sperai di non arrivare mai, in modo da avere una scusa per stare così vicina a Tony.
Ma alla fine il viaggio finì e dopo aver salutato Francesca ci sedemmo ognuno sul proprio sedile. I cinque minuti seguenti li passammo a ridere e scherzare come dei pazzi, coinvolgendo anche Lina e suo marito, finché non ci lasciarono davanti al cancello della casa dei gemelli. Fabio si guardò intorno, non vedendo nessuna macchina. «Tuo padre ancora non è arrivato?»
Scossi la testa in cenno di dissenso. «No, ha detto che avrebbe fatto un po’ tardi. Voi entrate, altrimenti morirete di freddo»
«Vieni anche tu dentro, no?»
«Scordatelo, è tardissimo. Non mi piace dare fastidio a casa delle persone»
Tony guardò il fratello e scosse la testa, per dirgli di lasciar perdere. «Tu vai dentro, resto io qui con lei»
Fabio annuì e dopo avermi dato un bacio sulla guancia entrò in casa.
Una volta soli rivolsi uno sguardo dispiaciuto e preoccupato a Tony. «Vai anche tu, ti congelerai qui fuori»
«Non m’importa –disse deciso- io qui da sola non ti lascio»
Arrossii a quelle parole e per non farlo notare seppellii maggiormente la faccia nel cappotto, con la scusa di volermi riparare dal freddo.
Restammo in silenzio e dopo un po’, sentendomi osservata, alzai lo sguardo e vidi che Tony mi stava fissando. «Cosa c’è?»
Tony arrossì essendo stato colto in flagrante e scosse la testa. «Niente, niente»
Stavolta non avrei lasciato correre, per cui mi avvicinai a lui, lasciando pochissimo spazio tra i nostri corpi. «Tony, cosa c’è? Rispondimi»
Lo vidi boccheggiare, in evidente difficoltà, ma poi parve rinunciare e sospirò. «Niente è- è solo che sei bellissima»
A quelle parole avvampai e spalancai la bocca, sorpresa. «I-io…»
Ci fissammo intensamente negli occhi, facendo sì che il mio cuore facesse mille capriole. Volevo dirgli qualcosa, qualunque cosa, ma la voce sembrava essere sparita improvvisamente.
Non ricevendo alcuna risposta Tony fece uno, due, tre passi, arrivandomi così vicino che i nostri nasi si sfiorarono. Eravamo così vicini che riuscivo a contargli le ciglia, come quella volta che cercò di aiutarmi con il bottone. Solo che stavolta non si allontanò imbarazzato, al contrario continuò ad avvicinarsi, finché le nostre labbra non si toccarono. Il nostro primo bacio non fu come l’avevo immaginato io, fu molto meglio. Tony sembrava non avere pretese, sembrava gli bastasse avere le mie labbra il più vicino possibile alle sue. Si limitò a posarle sulle mie e muoverle piano, dolcemente, senza fretta. Il bacio più bello che avessi mai ricevuto, sperai non finisse mai.
Ma fummo costretti a separarci, per riprendere fiato. Aprii gli occhi riluttante, temendo che fosse tutto un sogno, ma una volta aperti mi ritrovai di fronte ad un Tony sorridente a pochi centimetri dal mio viso. Continuò ad accarezzarmi la guancia con estrema dolcezza, facendomi vibrare l’intero corpo sotto il suo tocco. Ricambiai il suo sorriso per poi mordermi il labbro inferiore con i denti, per evitare di scoppiare a ridere –o piangere- dalla gioia. Ma lui, fissandomi intensamente le labbra, mi passò un pollice su quello inferiore, per evitare che lo mordessi.
Non ci fu bisogno di parlare, entrambi avevamo capito i sentimenti che provavamo l’uno per l’altro, per questo ci limitammo a baciarci, finché non arrivò mio padre suonando il clacson. Ci separammo imbarazzati e scoppiammo a ridere, le guance rosse dalla vergogna. «Un ottimo modo per cominciare una relazione»
«Che importa – esclamai ridendo- il nostro rapporto non ha mai avuto niente di normale»
Lo baciai un’ultima volta, poi corsi via ridendo, mentre lui mi fissava sorridente.
Eravamo davvero una coppia assurda. 




Hola! 
Buonasera a tutti! Dopo un anno sono tornata ad intasare questa sezione di Efp con un'altra smielata storia della mia raccolta "Red Cheeks" . Questa volta la coppia principale è la Tonyela, ovvero Tony/Micaela. 
Che dire, la storia è stata un po' un suicidio. Non solo per la sua lunghezza, ma anche perché essendo quasi tutte cose successe realmente è stato abbastanza doloroso scriverne. 
Non ho altro da aggiungere, se non che spero vi piaccia e, se vi va, lasciatemi una recensione. 
Che altro dire, sono le 23:50 e anche se in anticipo vi faccio i miei più sentiti auguri di una buona Pasqua. 
A presto!
Miky. 

 
  
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