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Autore: Luxanne A Blackheart    27/03/2016    3 recensioni
Costantinopoli, 1518, Sublime Stato Ottomano.
Ibrahim Pargali Pascià, il Gran Visir, giunge a Palazzo Topkapi con un regalo speciale per il suo sultano. Si tratta di Roxelana, una schiava dai lunghi capelli rossi e la pelle bianca come il latte. Roxelana è stata venduta ad Ibrahim in cambio di soldi. Verrà condotta nell'harem di concubine di Süleyman il Magnifico. Nonostante l'amore incondizionato e puro che il suo padrone le dimostra, la rossa non si sente a casa, poiché non vuole essere una semplice schiava del piacere. Ella non vuole essere la favorita del sultano, vuole la libertà. Il suo animo ribelle e combattivo non si fermerà davanti a nulla pur di raggiungere il suo scopo: il potere. Non si fermerà neanche davanti all'omicidio e alla morte. A tutto ciò si aggiunge l'odio viscerale e l'amore proibito che le accecano la vista, emozioni che non sono destinate a Süleyman . Sentimenti contrastanti che la faranno impazzire.
Cosa rimarrà della schiava dai capelli rossi quando il destino chiederà il conto?
STORIA IN REVISIONE.
Genere: Drammatico, Storico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: Lemon | Avvertimenti: Contenuti forti | Contesto: Medioevo
Capitoli:
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I









Ci avrebbero impiegato circa un mese per raggiungere Palazzo Topkapi, sede reale del sultano e della sua corte. Avrebbero avanzato velocemente lungo tutto il territorio russo, evitando eccessive pause, per arrivare al porto di Sochi, dove avrebbero preso una nave che li avrebbe portati a Costantinopoli. Lì, le schiave, avrebbero dovuto sottoporsi al Controllo, impiegato dalla Valide Sultana, madre del sultano, e dal capo degli Eunuchi Neri, così chiamati poiché sottoposti all’evirazione completa.




Ibrahim era deciso a giungere il giorno prima del compleanno del sultano Süleyman, suo grande amico e padrone, per renderli il suo speciale presente. Per questo motivo aveva intenzione di razionare le pause, anche se questo significava doversi torturare per tutto lo scomodo viaggio.


Infatti viaggiavano da due giorni e le gabbie sulle quali le ragazze erano state ammassate, più la lussuosa carrozza di Ibrahim si erano fermati solamente una volta, per consentire a quest'ultimo di fare i suoi bisogni.




Le strade erano pietrose e piene di buche, dentro le quali le ruote in legno delle carrozze faticavano ad uscire. Ogni villaggio di contadini che sorpassavano era più malfamato del precedente e la puzza di sterco di mucca, feci umane e Allah sapeva cos’altro, diventata sempre più insopportabile. Odiava profondamente la Russia e tutta la sua ignorante popolazione di contadini e zoticoni.




Ibrahim Pascià sentiva la testa pesante a causa dei continui e bruschi movimenti della carrozza. Questo era uno dei motivi per cui preferiva viaggiare con il suo fedele destriero nero, Xantos, poiché niente poteva essere comparato al sentimento di libertà del quale il suo corpo veniva pervaso, quando il cavallo si muoveva sulla terra, galoppando veloce come il vento. Poteva sentirsi un dio, padrone del mondo, con l’aria fresca che gli soffiava in volto scompigliandogli i folti capelli neri.


Non ce la faceva più; doveva cambiare aria e far fermare anche le ragazze, che di certo non potevano avere un aspetto malfamato, stanco e puzzolente durante la vendita a Costantinopoli e soprattutto davanti alla madre del sultano.


Diede l’ordine di fermare la carrozza e il cocchiere fece come gli fu ordinato, quando giunsero in prossimità di una locanda costruita in legno.




Il Gran Visir non sprecò la sua attenzione nel leggere il nome che l’insegna riportava, era sicuramente impronunciabile. Conosceva molte lingue, tuttavia il russo non era tra le sue preferite. Il greco era la sua lingua madre a cui era molto legato e affezionato; conosceva perfettamente anche l’albanese, l’italiano e lo slavo oltre al turco e l’arabo.
Era il Gran Visir, doveva essere istruito e saper parlare tutte le lingue per svolgere al meglio il suo lavoro.




Ibrahim si passò una mano fra i capelli neri, spettinandoli dalla loro piega perfetta; scese dalla carrozza e si diresse verso la gabbia arrugginita che conteneva le schiave.
Erano ammucchiate una vicino all’altra mentre cercavano di riscaldarsi mani e piedi. Indossavano semplici vesti leggere, quindi pativano più il freddo di quanto lo sentisse Ibrahim o i due mercenari. Si trovavano d'estate, ma la notte le temperature scendevano incredibilmente.




Si concentrò su Roxelana, che tremante e rannicchiata in se stessa, aveva poggiato il capo sulle ginocchia. Del suo viso poteva solamente ammirare gli occhi azzurri, che la guardavano con la stessa scintilla di odio e vendetta. Per lei, era lui l'unico fautore di tutte le sue disgrazie, colui che le aveva fatto perdere tutto, che l'aveva denazionalizzata. Ibrahim era l'erba cattiva che si vorrebbe estirpare. Non ebbe paura del suo sguardo, ne fu semplicemente divertito, poiché era da troppo tempo che nessuna creatura si azzardava a mostrare i suoi reali sentimenti davanti a lui. Avevano paura, meno di quanto ne avessero del sultano, ma avevano paura del suo potere.




Murat, che portava i segni del suo morso sulla mano, si prendeva gioco di lei schernendola anche con epiteti pesanti. Umut, il più serio fra i due, si limitava a masticare del tabacco vicino ai cavalli neri.




Hadha yakfi, Murat. Tahrir aleabid. — Ordinò con aria grave, allacciandosi i bottoni della giacca porpora e coprendosi il capo con il turbante nero.




Il mercenario fece come gli fu ordinato, aprendo il lucchetto con cui la gabbia era stata serrata. Le schiave, una per volta, scesero dalla loro prigione su ruote. Erano scalze con mani e piedi imprigionati in catene arrugginite e fin troppo strette, che al contatto con la pelle, aveva marchiato i loro polsi a sangue. Erano sporche di polvere e puzzavano di urina e inoltre ci impiegarono un po’ di tempo per riacquistare la posizione eretta, avendo passato fin troppo tempo accovacciate, in un ambiente angusto e nella stessa posizione.
L’ultima a scendere fu la schiava dai capelli rossi, Roxelana.




Ibrahim la osservò. Aveva due profonde e brutte occhiaie che rendevano il suo aspetto stanco, quasi invecchiato nell'arco di due giorni. La treccia si era disfatta e i capelli le scendevano sulla schiena in una cascata di onde color del fuoco. La osservò rabbrividire, quando i suoi piedi neri toccarono il suolo freddo e fangoso, ma alzò comunque le spalle orgogliosa.




—Ascoltatemi bene, schiave. — Comincio Ibrahim, rivolgendosi alle ragazze che si girarono verso di lui, mantenendo lo sguardo basso. Tutte tranne una. — Avete due ore per riposarvi e sistemarvi come meglio potete e credete. Dopodiché passerò nelle vostre camere per scegliere colei la quale sarà il regalo di compleanno di Sultan Süleyman. Sono stato abbastanza chiaro? Non esigo un singolo attimo di ritardo o insubordinazione, altrimenti vi farò fare il resto del tragitto a piedi. —




Le schiave annuirono, sorridenti e grate della bontà del Gran Visir. L’unica che rimase seria e con lo sguardo freddo fu proprio Roxelana.
Ibrahim alzò il sopracciglio, guardandola, ma non le parlò, ci sarebbero state altre occasioni per poter conversare e poterla capire.
La locanda era un posto piccolo e illuminato da candele messe in un lampadario sul soffitto. Non c’era nessuno. I tavoli in legno grigio erano vuoti.
Il locandiere, un uomo sulla cinquantina dalla pancia gonfia come un cocomero, gli venne incontro.




—Buonasera, buon uomo. In cosa posso esservi utile?


—Ho bisogno di tre camere da letto molto grandi in grado di contenere venti schiave. Siete in grado di provvedere alle nostre necessità?—




—Certamente, mio signore. Per noi sarà un onore. —L’uomo si inchinò al suo cospetto, chiamando poi la moglie e la graziosa figlia. — Aneesa, scorta il signore nelle camere che ha richiesto. —




La ragazza, sulla ventina, aveva lunghi capelli biondi e occhi azzurri. La sua veste era fin troppo scollata per una ragazza della sua età. Aneesa sorrise ad Ibrahim, scortandolo al piano di sopra nelle camere.




—Ecco a voi, bell’uomo. Se aveste bisogno di compagnia, non esitate a chiedere. —
Ibrahim la guardò serio. Odiava quando le donne si comportavano da poche di buono.


—I miei uomini sarebbero lieti di potersi svagare con le sue più che accoglienti grazie femminili. Ve li farò mandare senz’altro. —




Ibrahim le diede le spalle, scendendo lentamente le scale. Sorrise, gustando la sua espressione offesa.


*** ***




Le seguenti due ore passarono molto lentamente. Roxelana, assieme a dieci delle sue compagne sventurate, avevano avuto modo di potersi fare un bagno con dell’acqua tiepida. Si erano aiutate a vicenda, massaggiandosi i capelli sporchi e il corpo polveroso. Era stata la prima doccia dopo tanto tempo. Essendo povere, non avevano l'opportunità di sprecare dell'acqua, soprattutto d'inverno.




Ibrahim aveva fatto aver loro dei pasti freddi, patate e un osso con della carne di vitello, per poter riprendere le forze e riempire i loro stomaci. Per lo stesso motivo divorarono tutto in pochi secondi; avevano mai avuto l'opportunità di mangiare della carne? Era raro trovare un pasto così sostanzioso al loro piccolo villaggio.
Se non ci fosse stato il Gran Visir, quei due maiali di Murat e Umut non avrebbero dato loro neanche un goccio d’acqua.




Come se non potesse andare peggio di così, Roxelana apprese che tra le schiave catturate, c’era anche la sua unica amica, Feride.
Le due ragazze erano cresciute insieme, avevano fatto tutto insieme sin da quando ne aveva memoria e Feride avrebbe dovuto sposarsi con il cugino di Roxelana. Si amavano molto e per questo era quella che soffriva di più la prigionia. Murat e Umut l’avevano picchiata selvaggiamente, peggio di quanto avessero fatto con Roxelana. Infatti, mentre la rossa aveva solamente il labbro spaccato, Feride aveva tutta la faccia gonfia e viola. Era quasi irriconoscibile.




Della graziosa ragazza dai corti capelli neri e gli occhi di ghiaccio, non era rimasto nulla. Era solamente un vecchio e sbiadito ricordo nella sua giovane mente.
Le schiave erano sedute in cerchio. Erano pettinate, sazie e ripulite dalla sporcizia. La più grande di esse stava parlando, si chiamava Resmie. Raccontava una favola alle sue compagnie, ed era molto brava e talentuosa; Roxelana e Feride potevano ascoltarla per ore.
Le due ragazze erano sedute una vicina all’altra. Il capo della mora era poggiato sulla spalla della sua amica, che con movimenti lenti e rassicuranti le accarezzava i lucidi capelli neri.
Stavano aspettando l’arrivo di Ibrahim e colei che sarebbe stata scelta, avrebbe continuato il viaggio sulla lussuosa carrozza del Gran Visir.




La porta si spalancò all’improvviso e lui vi fece irruzione, bellissimo nel suo nuovo completo nero. Le schiave si alzarono, mettendosi l’una accanto all’altra con lo sguardo basso e le mani dietro la schiena. Tutte tranne Roxelana, ovviamente. Voleva fargliela vedere, non essere una delle solite pecore che obbedivano agli ordini del padrone; sarebbe stato meglio morire libera che essere rinchiusa in quel maledetto palazzo come schiava.
Lo guardava negli occhi con quella luce seria e pericolosa. Egli la ignorò, squadrando tutte le prigioniere senza tralasciare il minimo particolare.




—Mi auguro che siate tutte illibate. —Disse serio, con la sua voce possente e seducente. — Il grande e magnifico sultano possiede già molte concubine nel suo Harem. Tutte quante sono state scelte per un loro particolare talento, oltre alla loro bellezza particolare. Voi siete qui per il vostro bell’aspetto, ma ditemi, chi di voi è capace di suonare uno strumento? Fatevi avanti. —




Cinque schiave, tra cui Resmie e Feride, si mossero.




—Mh. — Mugugnò, osservandola una per una. — Qualcuna di voi ha qualche altro tipo di talento particolare? —




Nessuna si fece avanti.




—Mio signore… — si intromise Feride. La voce ridotta quasi ad un sussurro. Con il dito tremante dall'emozione e dall'imbarazzo indicò la rossa. — La mia amica sa cantare come un angelo. Io l’ho sentita innumerevoli volte. —




—Roxelana? – Ibrahim sorrise, quasi impercettibilmente. – Perché non ti fai avanti?




—Perché la mia voce non servirà al vostro sultano. Non aspiro ad essere una puttana. – Nella voce di Roxelana regnava il gelo assoluto.




Ibrahim abbassò lo sguardo, sorridendo. Tuttavia in esso non c’era niente di divertito o gioioso.




—Bene, mi dispiace infrangere le tue aspirazioni, ma sarai proprio tu con la tua voce angelica a diventare la prossima puttana del sultano. —


In uno scatto l’afferrò per il braccio, trascinandola giù per le scale, incurante delle sue vane proteste e urla. Quando arrivò in prossimità della carrozza, aprì lo sportello e la spinse dentro, facendola cadere con il sedere per aria.




—Resta qui. Tra due minuti partiremo, rossa. — E così dicendo, sbatté lo sportello andando a prendere le altre prigioniere.




Roxelana urlò, imprecando e insultandolo pesantemente; le sue grida sfioravano l’isteria.
Decisa a non arrendersi così facilmente, aprì lo sportello e quando fu certa di non essere vista da nessuno, cominciò a correre nella direzione verso la quale erano giunti.
Sarebbe ritornata a piedi a casa sua, dalla sua famiglia. Non le importava.
Ogni passo che compiva era un sassolino che si infilava dolorosamente nella nuda carne dei piedi.



Nonostante fosse abbastanza veloce, non riuscì ad andare molto lontano, poiché Ibrahim le si parò davanti, bloccandole la fuga.




—Avevi bisogno di un po’ d’aria, rossa? — Il Gran Visir, in barba a tutte le buone maniere insegnatogli, si buttò su una spalla Roxelana, che cominciò a divincolarsi graffiandogli la nuca e urlando come una forsennata di aiutarla e di salvarla.
Nessuno le diede ascolto, anzi tutti si girarono dall’altra parte.




Ibrahim la buttò di nuovo all’interno della carrozza e si chiuse lo sportello alle spalle. Ordinò al cocchiere di partire e così si rimisero in viaggio.




—Perché proprio a me? Cosa vi ho fatto di male? — Sbottò Roxelana dopo un’ora di viaggio circa. Puntò i suoi occhi azzurri in quelli particolari del suo rapitore, esigendo una risposta.




—E’ per via dei tuoi capelli, Roxelana. I tuoi capelli rossi sono rari. —
Sedevano uno di fronte all’altra, guardandosi con sufficienza.




—Mia madre l’aveva detto che mi avrebbero portato solo problemi ,questi capelli. Gli abitanti del villaggio dicevano che fossi stata maledetta dal Creatore. —




—Dovresti solamente essermi grata, Roxelana. Il mio sultano tratta con dignità le sue concubine. —




—Smettetela! Non è quello il mio nome! Io mi chiamo Aleksandra, come mia nonna prima di me. Questo è il mio nome, non Roxelana. —




—Tu non hai origini. Non hai un nome, se non quello che io ti ho dato. D’ora in poi sarai un oggetto. Sei una proprietà, non un essere umano. Se il sultano ti dirà di saltare, tu lo farai. Se ti dirà di dargli un figlio, tu lo farai e gli darai il suo nome. Se ti dirà di correre nuda per Costantinopoli, tu lo farai e con il sorriso stampato sulle labbra. —




—Siete un uomo spregevole e senza sentimenti. Io vi odio con ogni fibra del mio essere e vi odierò fino al giorno della mia morte! —




—Stupida ragazza, io ho salvato te e la tua famiglia dalla povertà. Vivrai nel lusso adesso! —




—Mi toglierò la vita una volta giunta al palazzo. Non voglio vivere così. —Gli urlò contro con le vene del collo ingrossate dalla rabbia. Diventata tutta a chiazze quando si arrabbiava, pensò Ibrahim. Se prima quel comportamento da ribelle gli piaceva, anzi lo faceva sorridere, adesso stava cominciando a dargli enormemente fastidio. - Non c'è niente di peggio che togliere la libertà ad un essere umano. -




—Non sai quello che dici. — Ibrahim sospirò, scuotendo il capo. Roxelana lo guardò con odio, portandosi le gambe al petto. — Sei ancora così giovane. Avrai modo di capire. —




—Il mio odio nei vostri confronti è reale e non frutto della mia giovane età, Gran Visir, su questo potete starne certo. —
   
 
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