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Autore: _Sarah_Hemmings_    27/03/2016    0 recensioni
Whatever: Letteralmente "qualunque cosa". Whatever era Luke Hemmings. Qualunque cosa può essere buona o cattiva. Lui era la seconda.
"Te ne stai andando ancora! Fanculo Hemmings, ti odio" urlai con tutta la rabbia che avevo. A passo svelto mi raggiunse, mi prese per le spalle e mi spinse violentemente contro il muro freddo e scrostato facendo aderire il suo corpo al mio. La mascella serrata, il fiato corto, negli occhi la tempesta nera e buia; le sue mani premevano energicamente sulle mie spalle. Emanava rabbia e odio. Era pronto ad esplodere, come un ordigno distruggendo tutto ciò che avesse attorno. Me.
"Ora mia ammazza" pensai.
Genere: Drammatico, Romantico, Triste | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Altri, Ashton Irwin, Calum Hood, Luke Hemmings, Michael Clifford
Note: Missing Moments, OOC | Avvertimenti: nessuno
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Perché parlarne ancora, io già lo sapevo che qualcuno aveva preso a botte Ashton. Il perché o il chi, ancora, mi sfuggiva. É terribilmente fastidioso non sapere le cose.

Forse lo ero solo perché Ashton sarebbe dovuto essere al lavoro, e non rientrare in piena notte. Forse perché non ci parlammo più fino al mattino seguente, fino a quando varcammo i cancelli della Borton. 

Forse lo ero perché mio cugino mi aveva sempre raccontato ogni cosa.

«Ci vediamo a pranzo» disse solo, accennandomi un sorriso e girandosi per andare nella parte opposta alla  mia

Quella mattina aleggiava un'aria strana, anzi, io sentivo un'aria strana, nessun'altro, a parte me, sembrava percepirla. Nemmeno Calum che mi aspettava già al posto del giorno prima e «Non mi scappi» sorrise. Mi chiesi come facesse quel ragazzo a sorridere sempre, a dare fiori anche quando qualcuno gli dava spade.

Continuavo a pensare allo sguardo pietrificato di Ashton, ed io che non distoglievo gli occhi un secondo, come due animali in attesa della prima mossa dell'altro. Solo che in quel caso mio cugino era quello indifeso che aspettava l'attacco di quello feroce, io.

Non era una caratteristica che si addiceva ad Ashton, l'essere indifeso, impaurito.

E poi quel livido viola e rosso alla base del collo. Mi mandava fuori di testa pensare che qualcuno gliele avesse date in quel modo. La motivazione, ecco cosa volevo. Ashton aveva sempre fatto a botte, la cosa non mi stupiva. Ma il punto in cui aveva l'ematoma era da brividi, esattamente tra il collo e la spalla, un punto preciso.

 

«Guarda che se non ti alzi a pranzo mangi col culo sul pavimento» 

Alzai lo sguardo dal quaderno che avevo davanti osservando come Luke Hemmings fosse in piedi davanti a me e mi guardasse serio, nessuna emozione, nessun sorrisetto, niente.

Mi guardava e basta, non capivo che cosa si aspettasse, se una risposta o il silenzio.

Per tutta la mattinata avevo ignorato la sua presenza davanti a me, anche quando veniva interpellato dai professori. Era seccante come sapesse ogni cosa, non sembrava nemmeno prestare troppa attenzione alle lezioni, eppure aveva sempre la risposta giusta.

«Grazie del consiglio» dissi cercando di stare il più calma possibile. Guardai Calum che, vicino alla porta, parlava con il professore di fisica ed ogni tanto mi lanciava uno sguardo. Stava aspettando che mi alzassi e teneva sotto controllo la situazione. Si aspettava che sbottassi contro Luke, probabilmente. 

Luke era ancora lì in piedi davanti a me. Mi stava aspettando, lo capii quando si riposizionò meglio la borsa sulla spalla e spostò il peso da una gamba all'altra. Luke aspettava che mi alzassi per andare a pranzo con loro.

L'espressione sul mio viso cambiò all'istante. Da neutra si trasformò in qualcosa di confuso, quasi diffidente.

«Allora?» incalzò ancora lui. Adesso aveva di nuovo quel mezzo sorrisetto stampato sulle labbra. Quello fastidioso, che ti fa prudere le mani, perché sai che ti sta prendendo in giro.

Mi alzai in fretta e girai gli occhi al cielo. Una risata soffocata uscì dalle sue labbra, seguendomi poi verso Calum e dirigendoci tutti e tre in mensa. Non riuscivo a stare zitta, sentivo lo sguardo di Luke addosso, che mi graffiava la pelle e rideva, mentre lo faceva. Quella sensazione di qualcuno che vuole darti fastidio e sa di starci riuscendo.

«Ma tu sei sempre così fastidioso?» gli chiesi con tutta calma di cui ero capace. Volevo staccare le unghie che sentivo graffiarmi lo stomaco e far si che ferissero lui.

Calum quasi sussultò per quella mia domanda, colto alla sprovvista. 

«Quasi sempre» rispose il biondo stringendo un po' gli occhi, dai quali comunque l'azzurro non scompariva. Rimaneva lì, a ricordarti quanto facessero schifo gli altri colori se confrontati con quello. Non colsi la provocazione, non quella volta.

Al tavolo mi sedetti vicino ad Ashton che aveva preso un vassoio anche per me. «Com'è andata oggi?» chiese allegro, come fosse tutto normale

Avrei voluto chiedergli come diavolo facesse a far finta che la notte prima fosse tornato in camera con un livido enorme e la faccia di uno che sta più di là che di qua. Avrei voluto chiedergli anche chi fosse stato e perché. Ma ogni cosa ha il suo momento, e quello non era adatto così «Niente di che» risposi facendo spallucce. 

Involontariamente il mio sguardo corse fino a Luke, che stava parlando con Michael.

«Non vi sarete stuzzicati ancora» chiese

«No, sono stati bravi, Shine soprattutto» si intromise Calum facendomi l'occhiolino e allentando la tensione che si stava creando tra me ed Ashton

Ci conoscevamo troppo bene per sapere che la questione della notte precedente non fosse chiusa, prima o poi lo avrei fatto parlare, a costo di prenderlo a pugni io stessa. Anche Calum avvertì la situazione e per questo iniziò a parlare dell'uscita con la classe che avremmo dovuto fare all'inizio della settimana successiva.

Io, che quella mattina non avevo prestato la minima attenzione, presa a pensare a quel coglione di mio cugino, quella parte non l'avevo sentita. A quanto pare saremmo dovuti andare una giornata a vedere una mostra in un museo, anche se non avevo sentito né il tipo di mostra né il nome del museo.

Finendo di mangiare non potei fare a meno di guardare il biondo, seduto a debita distanza da me, che si lanciava chicchi d'uva con Michael cercando di fare centro l'uno nella bocca dell'altro. Una situazione quasi normale. Non se l'unica parte che avevo conosciuto di Luke era quella acida ma, dal canto mio, lo ero di più.

Per il secondo giorno consecutivo mi cibai dei dettagli di quel ragazzo così strano, indecifrabile. Volevo trovare una falla, nel comportamento, qualcosa che lo facesse crollare. Una crepa attraverso cui mi sarei infilata solo per dargli fastidio per poi scappare e guardarlo sanguinare.

Mi colpiva un pugno allo stomaco per la presunzione con cui si poneva al mondo e, al tempo stesso, un pugno alla testa per la confusione che mi trasmetteva. Il miscuglio tra queste due sensazioni dava come risultato un nervoso perenne che mi faceva tremare le gambe sotto al tavolo. 

Ho sempre pensato che io ed Ashton potessimo essere una persona sola e nulla sarebbe cambiato, eravamo uno la copia dell'altro, una simbiosi perfetta e letale. Senza nemmeno guardare nella mia direzione, preso a guardare Luke e Michael lanciarsi l'uva, mi mise una mano sul ginocchio, facendolo smettere di muoversi. Lo strinse per un attimo, facendomi sentire il calore della sua mano sul ginocchio scoperto dai miei jeans strappati. Lo strinse per assicurarsi che andasse tutto bene perché, se c'era lui con me, andava tutto bene.

 

Quella sera l'idea migliore che ci venne in mente fu quella di uscire dopo cena, andare a prendere qualche bottiglia di alcolici al supermercato più vicino e sperare di non stare troppo male.

«Era un po' che non lo facevamo!» disse Ashton ancora con il fiatone a causa delle scale, cercando di aprirle la porta con la spalla. Rideva come un matto ed era impossibile non andargli dietro. La sua risata era pura. limpida, sincera. Quando Ashton rideva tutto sembrava fermarsi ed ogni cosa acquistava colore.

«Hai ragione» risi a mia volta posando alcune bottiglie sulle scrivanie

Io lo sapevo, che bere troppo era rischioso. Quando l'alcol ti circola in corpo non ti rendi conto né di quello che fai né di quello che dici. Ogni cosa sembra bianca o nera: O ridi per ogni singola cosa o piangi per ogni singola cosa, non c'è una via di mezzo.

Seduti su quel pavimento freddo e probabilmente sporco, avevamo perso il contro dei bicchieri che avevamo buttato giù. Ashton mi raccontava della gente strana con cui andava in classe, Michael compreso. Diceva che era un folle, che un giorno era arrivato a scuola con i capelli fuxia lamentandosi del fatto che la tinta sarebbe dovuta essere rossa, che la cosa divertente era che quel rosa non andava più via e gli avevano affibbiato i nomi più improponibili.

Mi raccontava che Calum sapeva suonare il basso ed ogni tanto stava a suonare tutta la notte mentre lui e Michael intonavano canzoni che non esistevano. Oppure che appena arrivato qui, dopo una settimana di scuola, era finito in presidenza perché aveva fatto a botte con un ragazzo, e nemmeno si ricordava il motivo.

Erano pezzi della sua vita che io mi ero persa, non c'ero stata e volevo a tutti i costi ricomporre il puzzle. Volevo sapere come avesse fatto senza di me per due anni, perché io, senza di lui, ero solo peggiorata.

E' proprio come quando perdi qualcosa, continui a pensarci fino al mal di testa. Poi, un giorno, lo ritrovi e sembra che tutto il tempo passato senza quel qualcosa non sia mai esistito, concentri tutte le tue energie per recuperare il tempo perso. Per me era così con Ashton. Quando aveva decido di andarsene era come se mi avessero strappato un pezzo di carne dal fianco e continuasse a sanguinare, facendo ogni giorno sempre più male.

Io lo sapevo, che nella nuova città si era fatto una vita, che rideva, scherzava, faceva casini anche senza di me, ma sapevo che anche la sua ferita sanguinava e gli faceva male. Ci pensavo sempre, a come stesse qua, a cosa stesse facendo in un determinato momento. Un po' mi dava fastidio, che andasse avanti senza di me.

Eravamo così legati che quasi faceva male, sentivi le corde che stringevano e, quando ci allontanavamo, facevano male, perché non si spezzavano mai, tiravano e laceravano, e basta.

«Quindi hai davvero rigato la macchina a Jake?» quasi strillò mio cugino masticando una caramella gommosa

«Aveva così rotto il cazzo, con la storia che senza di te ero persa che dopo quell'episodio ha iniziato a cambiare strada quando mi vedeva. Sapeva che fossi stata io ma non ha mai detto niente a nessuno» feci spallucce «Te l'ho detto, senza te a starmi dietro ho fatto solo casini»

«Anche io» disse, quasi lasciando la frase in sospeso. Voleva aggiungere qualcosa, ancora con la bocca aperta, incerto. Respirò e diventò subito serio. Parlava già piano per l'alcol, aveva gli occhi lucidi e la punta del naso rosso. Era decisamente ubriaco ma ancora capiva quel che diceva perché «Ma ho imparato a controllarlo, il casino che c'è dentro di me, tu no. » si tirò a sedere meglio, si passò una mano sul volto diventato improvvisamente stanco. Lo vedevi, quanto facesse fatica a spiccicare una frase di senso compiuto, ma era la più semplice verità, quello che diceva

Iniziai a conficcare le unghie nei palmi delle mani. Ashton era così tagliente, come un coltello che ti si conficca tra le costole e inizia a girare, andando sempre più in profondità, fino a farti sanguinare, a farti urlare basta per farlo smettere. «Lo so» fui solo in grado di rispondere, il cuore mi martellava nel petto, fino alle orecchie, il fiato corto

«Puoi andare dappertutto, ma non ti allontani da quello che hai dentro»

«Smettila» mi alzai di scatto per allontanarmi e andare sul balcone a respirare un po' di aria fredda, in quella camera non si respirava più. La testa prese a girarmi vorticosamente e dovette scuotere la testa per qualche secondo prima di riprendermi. Avevo decisamente bevuto troppo.

«Tutto bene?» chiese mio cugino alzandosi a sua volta 

«Sì, prendo una boccata d'aria». Fuori, in maniche corte, sentivo la pelle bruciarmi e il calore avvampare fino alla testa. Era sempre stato bravo ad entrare nelle persone, era anche divertente, quando faceva crollare gli altri, non quando lo faceva con me.

Mi ci potevo arrabbiare, con lui, ma non sarebbe durata molto. Era l'unica parte di me stessa che non riuscivo ad odiare. Certi legami non li spieghi, sono così e basta.

Mentre respiravo quell'aria gelida e iniziavo a calmarmi sentii bussare alla porta e «Chi cazzo rompe le palle» imprecò mio cugino uscendo dalla cucina e andando a vedere chi fosse

«Fate festa e non ci invitate?» la voce di Michael

«Abbiamo portato le patatine e altre schifezze!» esclamò Calum sventolando le buste di patatine che facevano rumore

Rientrai in fretta e mi ritrovai davanti il moro che tentava di aprire una busta, Michael che usciva dalla cucina con una birra in mano, Ashton che mi guardava facendo spallucce.

E Luke. Luke seduto sul mio letto con in mano una birra e stretta tra le dita una sigaretta spenta.

Si girarono tutti a guardarmi e «Come foste a casa vostra» esclamai, ricevendo un sorriso da Calum con la bocca già piena di patatine e il rosso che alzava la bottiglia di birra come per brindare.

Avevo ancora la pelle delle braccia che pizzicava dal freddo della sera e il naso che iniziava a colare a causa dello sbalzo termico con la stanza calda.

Guardai ancora una volta Luke, sempre seduto sul mio letto, come se niente fosse. Parlava con Ashton, mostrava le fossette ai lati della bocca, mordeva il piercing che aveva al labbro. Gesti normali.

Presi un bicchiere e ci versai il contenuto della prima bottiglia che mi ritrovai tra le mani e «Vacci piano Shine, hai bevuto abbastanza» Ashton che si preoccupava sempre per me. Era fratello, mamma, amico e papà, tutti insieme. La sua sbornia era passata in un istante per essere sicuro di poter controllare me.

Mi sedetti sul letto di mio cugino iniziando a trangugiare quel liquore amarognolo, guardando Luke

«Ti dispiace?» sbuffai irritata, facendogli cenno di spostarsi dal letto su cui era seduto

Non avevo dubbi che bere così tanto fosse una pessima idea, soprattutto se intorno c'era una persona che mi dava sui nervi come il biondo.

Si girò a guardarmi interrompendo la conversazione con mio cugino. Che cosa avesse da guardare sempre le persone in quel modo, non lo sapevo. I suoi occhi diventarono più scuri, passando dal mare calmo al mare in tempesta nell'arco di pochi secondi. Socchiuse leggermente gli occhi, creando delle rughette ai lati di essi. Sembrava che con quello sguardo, in realtà, mi stesse uccidendo con le sue mani.

«Sì mi dispiace, Shine» e fece scivolare il mio nome tra i denti, pronunciandolo lentamente, come per assaporarlo prima di ingoiare il veleno che portava con sé

Infastidita ancora di più dalle sue parole finii in fretta il contenuto del mio bicchiere e «Se odioso». Biascicai un po' quelle parole, con un tono di voce un po' troppo alto. L'alcol mi bruciava nello stomaco e sentivo le parole in gola come un fiume in piena «Te ne stai lì con quel tuo sorrisetto sarcastico a prendere in giro tutti, ma chi credi di essere? Chi sei, Luke Hemmings?» buttando a terra il bicchiere di plastica che avevo accartocciato tra le mani

«E tu? Che invece stai lì a sputare odio su chiunque, Shine?» ripeteva il mio nome per rimarcare il concetto. Aveva capito che mi dava fastidio sentire il mio nome pronunciato da lui.

Non mi resi nemmeno conto dello scatto che feci in avanti per spintonarlo dalle spalle fino a che non sentii due mani che conoscevo molto bene prendermi da sotto le ascelle e tirarmi su dal pavimento su cui ero finita con le ginocchia. Luke non si era mosso di un millimetro, era ancora fermo sul mio letto con le spalle dritte e mi guardava, serio. Avevo sentito per un secondo la sua muscolatura al di sotto della felpa. Era molto più forte di quanto pensassi, ma quel contatto - non contatto mi fece rabbrividire

«Hai bevuto troppo, Shine». Lo sapevo, che avevo bevuto troppo, ma sapevo anche che ciò che avevo detto lo pensavo veramente. Ero un turbine di emozioni in quel momento e l'unica cosa in grado di calmarmi furono le braccia di Ashton che mi cinsero le spalle e mi strinsero a sé, con il viso sul suo petto.

Calum e Michael guardavano la scena in totale silenzio, probabilmente consapevoli che la cugina del loro amico fosse una matta da legare. Una dannata senza speranza, perché l'inferno era vuoto ed tutti i diavoli erano lì. Io ero lì.

Luke si alzò dal letto ed entrò in cucina, mentre Ashton mi mise sotto le coperte del suo letto. Il biondo uscì poco dopo dallo stanzino con in mano una bottiglia d'acqua fredda e un bicchiere di succo d'arancia e «Dalle questi, falle bere tanta acqua, domani mattina sentirà meno i postumi della sbornia» disse a mio cugino consegnandoglieli

Avrei voluto chiedergli, che cazzo gli prendesse a Luke, che prima era fuoco pronto a bruciarmi e poi si preoccupava di come potessi stare il giorno dopo. Si riaccomodò con tutta tranquillità sul mio letto e iniziò a parlare a bassa voce con Michael.

Il riccio mi porse la bottiglia d'acqua che svuotai per metà. Non mi ero resa nemmeno conto di quanto avessi la gola secca. Dopo l'alcol, l'acqua ti sembra la cosa più buona che possa esistere. Presi un sorso di succo mentre sentivo le palpebre pesanti.

Ashton mi diede un bacio sulla fronte e «Ora dormi, Shine»

   
 
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