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Autore: Sad_KQar    28/03/2016    1 recensioni
Dal testo:
"E lei danzò.
In tutta la sua bellezza.
Consacrando alla grazia tutto ciò che era stato distrutto."
Scagliata fuori dal proprio mondo,rinata senza ricordi tra gli uomini,sottesa alla musica di un'arpa misteriosa alla ricerca spasmodica di sè stessa e del suonatore,toccata dalla morte,lei,scrittrice di successo,ripercorre i ricordi fondamentali della sua vita quando la Porta d'Oro si apre nuovamente.
A mio padre che non potè mai leggerla.
NdA:il terrmine greco oneiros signifiva visione onirica;la concezione di maya e del velo è legata alla mistica indù.
Onde evitare ogni possibile polemica sulla scelta della protagonista sottolineo come lei non sia umana e quindi dia poca importanza alla morte del suo corpo.
Questa è una storia inventata:qualsiasi riferimento a persione,luoghi o avvenimenti è da ritenersi puramente casuale.
Ogni parere è bene accetto.
Genere: Introspettivo, Malinconico, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Anziane e fragili,le dita  si infilarono tremanti tra la crocchia:i lunghi capelli di neve si sciolsero in un mormorio,modellandosi intorno alle spalle sottili,strisce di candore sulla veste da camera nera.

In un movimento sinuoso il vecchio cane la raggiunse con un uggiolio,strofinando il muso contro la sua mano aperta,la pelle sottile di pergamena antica e fine.

La donna,poco più di uno spirito disincarnato,gli solleticò il pelo folto e ingrigito dietro alle orecchie.

La lingua scura e ruvida dell’animale le lambì il mento,un tentativo dolce e vano di allontanare il  dolore.Trattenendo un lamento affondò il volto stanco e tirato nel mantello irsuto del cane che era stato suo amico e complice per tutta una vita…

Per lunghi minuti si udì solo il suo pianto sommesso,fragile contrappunto al suo respiro spezzato.

L’husky uggiolò ancora con un fare quasi umano,cercando di spezzare la sua solitudine ma non vi riuscì:come allora,come sempre lei rimase separata da tutto e da tutti,sola e indescrivibile.

Note dolci e lente,una danza che sorgeva a poco a poco,nascendo dalla quiete e ascendendo nel battito di un cuore affrettato e palpitante,la romanza le risuonò ancora e ancora nella mente,con tutto il suo carico di ricordi.

Sin da allora,quando era poco più di una ragazzina sola ed eradicata dal mondo,aveva sempre avuto la sensazione di conoscere quelle note che le riempivano la mente,ad una ad una,lasciandole il sapore completo dell’intera romanza,i movimenti che le riunivano e le amalgamavano nel loro tutto,una musica che si delineava lentamente,un passaggio dopo l’altro in lunghe stagioni,come tocchi di colore stemperato che si univano a raffigurare un’immagine che prendeva vita ad ogni respiro:volto,occhi,capelli,bocca,sorriso..

E,alla fine,quando tutte le note si erano legate e la romanza era stata suonata,il quadro era stato dipinto e il Re aveva affermato la propria esistenza .

”Cercami!”

Così,perentorio e colmo di dolore.

Quell’istante aveva riempito la sua vita.La foschia dei suoi passi era svanita e lei si era immersa sempre più in quella musica,spingendo la sua mente lontano dalle visioni umane,lungo le correnti mistiche che sentiva vibrare dentro di sé,oltre i mondi dove la vita aveva un senso,nei recessi più profondi delle correnti del cielo ove,secondo la leggenda stava la Porta d’Oro,accesso alla leggendaria Feeria.A prezzo di sacrifici che non avevano nome,nella sua solitudine profonda ne trovò la Chiave e la usò.

La Porta si aprì e lei non fu più tra gli Uomini.

 

Il Nulla ventoso e vuoto la accolse.

Le ruggì nelle orecchie con le grida dei morti,degli assassinati,dei reietti,dei passati,degli infelici,dei dannati...Pupille di rettile che l’imprigionarono nella follia.

E in quella follia fu sul punto d’impazzire quando,lontane,quelle deboli note infransero le catene,spezzandone le maglie:gli occhi d’aspide si serrarono e lei fu libera.

Allora,in quel mondo di orrore e disperazione riuscì a dare vita al suo Sogno:lo evocò dal Mare Primordiale degli Abissi,gli diede forma e colore,gli soffiò nel petto la Vita.

Emerse dal Nulla in un getto di fuoco rosso e oro,leviatano immane che nessuno poteva contemplare senza sentirsi morire e svanire:chinò il capo fiabesco per omaggiarla.

Lei lo accettò con la grazia di una Regina:mosse un passo e si aggrappò alle alte corna d’oro.

Con una risata scintillante,il Sogno spiegò le vaste ali di pipistrello e di brandelli di notte:vi fu un getto di fiamma liquida e lui volò lontano oltre l’Abisso del Nulla e il Vento dei Dannati.

Le sue forti ali oscure cavalcarono le tempeste,la lunga coda guizzante che squarciava il cielo nero,liberando barlumi di Stelle…

Per entrambi quel volo fu lungo e duro,il trascorrere degli attimi che si mescolava al passare degli eoni.Infine,prossimo ormai  alla morte,l’immane leviatano si posò sulle rive di un vasto Mare Grigio:onde furiose a divorare la rena cadaverica,cieli plumbei a strappare la vita.La depose a terra e,per la prima volta,le parlò,la sua voce che ardeva come bronzo fuso.

-Colui che tu cerchi ti attende oltre il Mare e oltre le Nebbie.-Poi crollò,ansante,su un fianco possente,una montagna divelta dalle sue radici segrete.-E’ proibito ai Draghi varcare la Soglia dell’Essere e L’Abisso del Nulla..

Lei si strinse a quel capo cornuto e squamoso:

-Perdonami..-Bisbigliò,gli occhi colmi di lacrime,un mare più amaro di quello che aveva dinanzi.-Perdonami..

L’immenso Drago,lo sguardo pieno di morte,sorrise:

-Un tuo bacio,Amore del Mondo..Come allora,prima che fuggissi per vegliare su di te:riscalda gli Abissi del Nulla!

La pregò.

E lei,la fanciulla che si sapeva sola e triste,si tese,posando le labbra sulle squame orgogliose,là dove un filo di sangue scorreva,portando seco la vita.

Le toccò le labbra e le arse:le bruciò e le rese nuove e inumane.

-Ti ho condotto alla morte…

Gli mormorò con un filo di voce,disperata.

Il Sogno sorrise:

-Ora come allora è una mia scelta:che ne paghi il fio.

Disse soltanto.

Chiuse i micidiali occhi d’oro e non si mosse più.

Il dolore la bruciò come il sangue del Drago:rimase immota a piangerlo senza lacrime perché il suo ardore gliele aveva completamente consumate.

La Notte,una notte senza stelle e senza lune,una notte di respiri e di sussurri,la colse nel suo dolore,l’anima spezzata colma di cenere.

Le onde urlarono la loro rabbia al cielo e il loro dolore alla sabbia livida:la ragazza si alzò.

Nella disperazione le sue labbra,riarse dal fuoco del Sogno,si mossero in un canto che non sapeva di possedere,stanze che  parlavano di nascita e morte e rinascita e fuoco e dolore e lacrime ridenti.

Il corpo del Drago svaporò lentamente nella Nebbia.

Solo,un lungo corno d’avorio ed oro rimase  sulla rena.

Vi si chinò e lo lavorò,sempre immersa in quel canto che non era suo ma che,tuttavia,era parte di lei più della propria pelle,più del proprio sangue.

L’arco nacque nelle sue mani.

Una ciocca di capelli intrecciati fu la sua corda.

Incoccò una freccia di nebbie e di luce e la scagliò al di là del Mare.

Attese.

 

Il sussurro della Notte di Respiri era da poco morto e il cielo plumbeo era ripiombato ad opprimere ancora le onde quando un bagliore brillò nel mare,avvicinandosi a poco a poco.

Una nave d’argento attraccò a pochi passi da lei:alti alberi di metallo scintillarono nella mezza luce senza vita,vele di nebbia tessuta si gonfiarono al Vento dei Dolori,remi di oro purissimo si mossero nelle acque che morivano.

Vi salì:le vele si orientarono,il naviglio fu preda del Vento e navigò per il Mare Grigio le cui onde di piombo e veleno sottile davano morte anche agli Dei.

Si sporse dalle murate e ne vide il fondo con occhi che non sapevano più di umano:l’Abisso del Nulla e il suo Vento ruggente.

Il vento del Mare soffiò più forte,toccandola con le dita fredde di Morte:seppe che il Mare voleva la sua vita ma che non avrebbe potuto averla perché ora lei era come le sue onde,sottile e trasparente,di piombo e veleno,le sue chiome una rete d’oro che si stendeva lungo tutte le sue acque,gli occhi tornati ad essere stelle che quei cieli aveano scordato.

Cantava con la voce delle sirene quella lunga romanza senza parole e senza musica,contrappunto dolce e perfetto alle note che l’avevano condotta lì,tocchi di pennello che ancora dipingevano e tratteggiavano,luci ed ombre che ancora non si equilibravano sulla tela.

Passò le Isole dell’Oblio e vide i corpi di coloro che le avevano toccate in viaggi senza speranza:giacevano sulla rena bagnata,rotolando con le onde,volti pallidi e morti,volti belli e severi,volti freddi e addormentati…

I loro capelli erano sparsi come un tramaglio sull’acqua:in quello erano imprigionate navi putrescenti che emanavano pallidi lucori.

Si spaventò quando la nave d’argento s’impigliò in quelle maglie funebri ma la prora bianca e sottile le rescisse una dopo altra e i cadaveri si mossero nel loro oblio senza pace,gemendo.

E lei ne ebbe compassione e pianse per loro mentre fuggiva da quelle sponde e dai sonni di morte..

Fu solo quando la sua pena si intessé come un manto che la nave attraccò su una spiaggia biancheggiante d’osso alla luce di un sole che non aveva mai visto.

La fanciulla discese,l’arco di corno di Drago stretto tra le mani:il suo piede si posò tra i fitti grani scricchiolanti .Si volse per ormeggiare il naviglio e s’impietrì.

Il vascello perse il suo splendore e divenne un legno marcio che le onde,volta a volta,sbrindellavano.

Assistette allo scempio colma di orrore,arretrando,un passo dopo l’altro sino a quando le Nebbie basse e grigie si attorcigliarono alle sue caviglie,serpi ed aspidi sibilanti di rabbia e pazzie e lei si volse intorno senza più sapere dove andare.

Le Voci la investirono con tutta la loro potenza:sussurri arcani,grida morte e bisbigli innominati.Parole di perdita,racconti di oblio,speranze distrutte..

Si abbatterono su di lei,penetrando le sue vesti,la sua pelle,la sua carne,il suo sangue,indugiando,rosicchiando,limando.

Impazzì a poco a poco,consapevole che il suono dell’arpa non avrebbe più potuto salvarla.

Cadde in ginocchio quando un Bisbiglio le parlò di Morte che era entrato nella sua dimora con un inganno,cullandolo in un sonno ricco di sogni e poi precipitandolo nel buio orrore del vuoto.Pianse quando un Grido le portò voci di creature mai nate che anelavano il respiro sotto un cielo che avesse colore…

Una lacrima cadde sull’arco e scivolò a terra,scintillando e brillando,gemma rutilante nella follia e non poté allontanare un Sussurro straziato che vi accostò tremante cercando l‘oblio ma lo raccolse e raccolse anche la lacrima che divenne una scaglia di drago nella sua mano gelida:e fu calore che pulsava come un cuore nuovo accanto al suo stesso cuore.

E il povero Sussurro le si strinse al collo e in qualche modo la fanciulla riuscì a rialzarsi,un passo vicino all’altro,guidata da quel battito che si sommava al suo,piangendo per i Bisbigli,tormentandosi per le Grida.

Camminò sino a quando gli istanti si estesero oltre il mondo e le Grida si smorzarono in Bisbigli :i Bisbigli divennero Sussurri  che la incatenarono nella loro torpida malia.

Quando non conobbe più nulla al di là del dolore e non vide altro oltre alla morte e il Sussurro assunse forma e colore ,allora anche le Nebbie si dissolsero.

Lo vide.

Al limitare di una vasta foresta senza luce,chino su un Drago ferito.

Si volse al lieve rumore del suo respiro..

E il quadro fu completo:il pennello diede gli ultimi tocchi e la luce spezzò il colore e lo rifuse nella perfezione più totale.

Alto e gentile,reso dolce dal molto dolore,aveva occhi grigi come il Mare dell’Abisso ma tutte le stelle del cielo vi si affacciavano e nella perfezione dei suoi tratti giocava un sole nuovo.

I suoi capelli d’oro gli cadevano sulle spalle in morbidi ricci,trattenuti sulla fronte da una sottile corona di cristallo.

Le sue bianche vesti regali recavano il segno di un esilio lungo e duro e la sua arpa d’oro era posata ai suoi piedi,le corde di luce stellare che ancora vibravano di malia.

Le tese le mani senza parlare,le labbra schiuse in una gioia muta che la attirò a lui,spezzandole il cuore di un amore inumano.

Si mosse.

Il suo Sogno alzò il capo e la guardò con dolcezza:la scaglia le volò via dalla mano e le si posò sulla fronte,penetrando pelle e osso,ardendo,conficcandosi sino al cervello e piantando radici nell’anima,richiamando ricordi di danze al chiarore delle stelle,volteggi di morganatici esseri di bellezza che la adoravano e il Re che suonava contemplandola come si contempla la vita.

E ricordò l’amore per lui che la colmava di sé.

Fu tra le sue braccia in un palpito di luce,un singhiozzo sordo a morirle sulle labbra,al pensiero di un tempo intollerabile senza di lui..

Le labbra del Re le sfiorarono la fronte e gli occhi,baci nostalgici che  sapevano di eternità.

-Nostro fratello..

Bisbigliò poi,senza saziarsi di osservarla.

La fanciulla toccò il Drago con la mano intrisa di quella musica che,lenta,le si stava accumulando nelle ossa:le ferite disparvero e la creatura si rialzò,distendendo al vento le buie ali.

Il sorriso del Re parve contenere il calore del sole:

-Sei tornata-Le bisbigliò carezzandola come se lei stessa fosse arpa e luce di stelle,portando alle labbra una ciocca dei suoi capelli.-Sei tornata.

E ristette immobile ad ascoltare la musica del suo cuore,sola cosa umana di lei che rimaneva.

La ascoltò sino ad esserne ebbro e la suonò tra i suoi capelli.

Il tempo che trascorse non ebbe significato mentre il Drago sorrideva e un senso di completezza riempiva la solitudine della fanciulla e il pennello che aveva tratteggiato il tutto continuava a colorare angoli bui e dettagli delicati.

E poi il Sussurro si mosse e il pennello cessò il suo lavorio,lasciandolo incompleto.

Il Re si scostò leggermente,toccando il piccolo essere disperato con la punta di un dito:

-Esisti.

Disse soltanto.

Quel groviglio minuscolo si allentò.braccia e gambe che poterono stendersi e una testa sollevata,occhi a chinarsi stupiti,venerando il sovrano e colei che gli era accanto.

Le si aggrappò timido ai capelli,pallida creatura tornata alla vita.

Il Re sorrise,l’arpa ancora sotto la sua mano,la fanciulla stretta al suo fianco.

-Resta con colei che ti ha strappato alla pazzia,piccino.

Il Sussurro sorrise mentre il Sovrano le sfiorava ancora la fronte con le labbra,indicandole la foresta:

-Vieni:è tempo di concludere questa era del Mondo e richiamare i nostri morti alla vita,mia adorata..

E lei assentì:la mano nella sua,lo seguì.

 

Il Drago si levò in volo in un cielo che moriva,oltre la foresta e le nebbie che la cingevano e li depose all’ingresso di una Galleria che perforava un Monte Senza Nome e Senza Fine,nebbie arcane che sfuggivano dai suoi anfratti bui.

-Siamo giunti,mio Sire:oltre la Galleria sta il tuo antico Regno ed il suo Velo giace steso tra eternità ed eternità,in attesa che la sua mano lo laceri.

Disse poi.

Il Re assentì piano,un cenno leggero come il tocco freddo della neve:la fanciulla vide il Dolore sfiorargli il volto perfetto.

-Ti accompagnerei,mio Signore..-Proseguì poi il levitano,la voce incrinata  di tristezza..-Ma non mi è concesso:ai Draghi è proibito varcare questa Soglia..-Gli occhi della creatura rifletterono la sofferenza del Re,specchi immani che portavano seco il dolore delle Epoche.-Là non sarei più e per me l’Albero non tornerebbe più a rinverdire né le danze della tua Amata potrebbero richiamarmi alla vita.Debbo lasciarti andare solo,con colei che ti era compagna.

Il Re tese la mano a sfiorargli il muso:

-Lo so,Fratello.-Disse piano.-L’hai portata a me come mi giurasti allora.-La sua carezza fu lenta e gentile,un tocco che seppe togliergli eoni di dolore.-Va' Amico mio:attendi in pace.

Il Drago arretrò,sfiorando con la grossa testa il volto della fanciulla:

-Addio,Amore del Mondo:addio,Amatissima.Quando danzerai tornerò a cantare per te.

Lei gli cinse il capo con le braccia delicate,lo struggimento che tornava ad esacerbarle il cuore:

-Che tu sia benedetto.

Gli bisbigliò soltanto.

Poi il Re la trasse indietro e,in un turbinio di vento,il leviatano si levò in volo,svanendo in un cielo che si faceva scuro.

Attesero insieme sino a quando la notte senza stelle lo rese parte di sé,meteora accecante consumata in pochi,fulgidi istanti,poi la fanciulla  tese una mano a sfiorare il volto del Sovrano,la piccola creatura sempre avvinta a lei:

-Dimmi..

Lo pregò piano,le zone incomplete della tela che pulsavano dal desiderio di esplodere di colori.

Il Re le accarezzò i capelli,gli occhi di bufera colmi di lei:

-Danzavi al mio fianco,allora.Ricordi?Quando venne la Follia e ti strappò a me..-La attirò a sé,stringendola.-Il mio cuore si spezzò e desiderai solo la morte..-Lo strazio della sua voce la lacerò. -Ma la morte non mi fu concessa:troppo dolce sarebbe stato cessare di esistere..E Lui non me lo avrebbe mai permesso..E il Drago venne e in qualche modo mi salvò,giurandomi che saresti tornata a me,che il tuo spirito era vivo anche se le  sue ali erano stare tarpate..Ed io attesi così tanto che l’attesa divenne passione e la passione struggimento e suonai la tua canzone per chiamarti a me..-La baciò a lungo,le sue labbra che sapevano di sale..-E sei tornata a me,mia fata aptera…

Lei si scostò piano,piegata da una fitta che spezzava l’anima,l’angoscia un enorme vuoto che minacciava di inghiottirla.:

-Chi sono io?

-Occhi di Drago.

E il nome le piombò nell’anima,un passo di danza legato ad un altro,frammenti di volti che cercavano piano di ricomporsi senza soluzione.

-Non ricordi più.

Disse soltanto il sovrano,il dolore una cappa amara che schiacciava entrambi.

Lunghe lacrime le accarezzarono il volto bellissimo:vennero baciate e raccolte come un dono prezioso dalle labbra adoranti di lui,il silenzio che diventava una cosa viva,spezzato solo dalla sua voce ,musica tra la musica:

-Ricordo solo di averti sempre amato..

Gli bisbigliò  piano.

E un sorriso nacque sulle labbra del Re:

-Ed io ho amato te e te sola dall’inizio del tempo.

Le accarezzò il volto con la punta delle dita,sentendo la sua vita incomparabile bruciare in quel cuore,vestigio logorato di una mortalità quasi scomparsa.

-Vieni.-Le disse poi.-Quando il Velo sarà lacerato ricorderai..

La fanciulla si strinse a lui.tremando di paura e attesa.

-Non mi lasciare..

Riuscì solo a bisbigliare.

Il Re sorrise,cingendole la vita con un braccio:

-E come potrei lasciarti se tu sei l’aria che respiro?

E l’attirò nelle brume.

 

Il Grande Velo,tessitura di lacrime e sogni spezzati, era disteso tra il Nulla e un altro Nulla,,

Il corpo di lei tremò:il Re la strinse,come a proteggerla.

-Dobbiamo andare oltre il Velo.

La invitò piano,conducendola oltre le frange di pioggia e di ghiaccio,là dove i due Nulla aderivano quasi completamente e il Velo era spoglio.

-Devi lacerarlo.-Le disse il Re.-Tu sola puoi farlo.

Lei lo guardò senza capire,le danze di ricordi che si scioglievano piano nel buio della sua mente.

-Perché?

Il sovrano sorrise:nostalgia e dolore sbocciarono sulle sue labbra.

-Era tuo, un tempo.-Le spiegò piano.-il tuo velo di lutto.

-Il mio velo di lutto?-I suoi capelli frusciarono nella perplessità-In un tempo lontano?

 

Lui le sollevò il volto con una mano,le dita un tocco di petali sulla sua guancia:

-Lo indossasti quando la nostra gente iniziò a morire e tu piangesti ognuno di loro con lacrime di sangue..Te lo strappò dal capo quando spezzò le nostre difese e lo stese tra sé stesso e il nostro Regno.

Gli occhi della fanciulla si posarono sui suoi intrecci scuri,trama e ordito che lentamente le si svelarono,risa spezzate,grida di dolore,urla colme di orrore e sofferenza come mai avrebbe pensato potessero esistere,sogni infranti,cristalli schiacciati in mille frammenti baluginanti al fuoco della morte..

Senza accorgersene tese una mano a toccarne le frange,vite intrecciate che avevano cessato di esistere persino nei  suoi ricordi.

E il suo grido di dolore venne soffocato dall’urlo dei morti e dei dannati che si liberò nelle tenebre,le Frange che si chiudevano intorno al Re e lo avviluppavano,strappandolo via da lei mentre il Freddo Immane la afferrava e la scagliava giù dal nulla,facendola roteare e cadere insieme alle stelle di un cielo in rovina,l’urlo straziato del Re e il silenzio stridente del Sussurro aggrappato a lei.

Il Nulla fu nella sua anima.

Quando tornò ad esistere si ritrovò raggomitolata a terra,riversa bocconi sul cotto opaco,ancora carne sangue ossa e pelle,al collo una catena d’argento con un minuscolo arco d’avorio,un velo nero strettamente avvolto intorno al capo,

Un tocco esitante la riportò ad una realtà parziale:la piccola creatura le sfiorò la guancia,essere cristallino ed etereo che continuava ad adorarla.

Fece per toccarla,per sincerarsi della sua esistenza quando Misha le fu accanto e la creaturina le sorrise per poi arrampicarsi sul cucciolo peloso e farsi assorbire,stringendosi a lui,il cucciolo che guaiva stupito e si quietava,gli occhi di ghiaccio azzurro che mutavano,portando in sé il tocco dell’infinito,terra e mare,cielo e roccia.

Solo allora osò guardarsi intorno.

La Porta d’Oro non c’era più.

Si era portata una mano alla fronte,sentendo ancora la scaglia del drago,monito eterno di ciò che aveva perso e non avrebbe più riavuto.

La certezza improvvisa della solitudine l’aveva atterrata come una percossa in pieno volto.

Il Re non era più con lei.

Il dolore l’aveva percorsa con strisce di fuoco.

Perché?Si era chiesta tra le lacrime,le urla che non riusciva a soffocare.Perché?

Inutilmente la creatura/Misha l’aveva lambita,sforzandosi di calmarla.

Solo quando la voce le morì in gola per le troppe grida capì di essere solo una creatura morta il cui corpo non aveva ancora cessato di camminare alla luce del mondo.

Poi,in quel silenzio di piombo aveva sentito la sua voce ed il suo cuore era tornato a battere:

Occhi di Drago,attendimi:io ti ritroverò.

Una ciocca di capelli le finì sul volto:era bianca come la neve.

 

Lo sono ancora.Morta.

Pensò.

Si alzò,guardandosi allo specchio,vedendosi come era ora:una vecchia donna piccola ed esangue,dal corpo sottile stretto in una veste da camera di velluto nero,i piccoli piedi calzati in calde babbucce di pelo di volpe,i lunghi capelli bianchi e inanellati sparsi ovunque..

Un fantasma dai capelli bianchi..

Si toccò il viso,indugiando sulla pelle anziana e tesa che le evidenziava le fattezze delicate:la fronte pallida e severa,su cui un occhio allenato poteva vedere la scaglia,gli zigomi accentuati dalle guance scarne,il naso piccolo e leggermente aquilino,la bocca sensibile,il mento di cartiere.

Passò la punta delle dita intorno agli occhi grandi,castani e profondi,pagliuzze verdi e dorate ad ammorbidirne il colore,ancora umidi,occhi di cerbiatta dalle ciglia grigie e le sopracciglia pallide di neve,occhi carichi di mistero e dolore.

Il grosso cane le tirò un lembo della veste,un occhio rimasto color ghiaccio,l’altro scuro

come la terra.

Lei lo guardò angosciata.

-Mi saprà ritrovare,Misha?-Sussurrò-Mi resta così poco tempo..

Il cane,un grosso maschio ancora forte e robusto nonostante l’età impossibile,le saltò addosso:la creatura gli guizzò negli occhi, la stessa angoscia dell’husky che la pervadeva.. Le diedero piccoli colpi delicati sul viso,il tartufo nero caldo e umido.

La donna sorrise,stranamente incantevole,guardandolo con tenerezza:

-Non ti piace che io dica così,non è vero,Misha?

Gli fece cenno di lasciarla:il cane le si accucciò ai piedi,fissandola,animale e Sussurro così uniti dall’amore per lei da non potersi più scindere..La sentirono allontanarsi sempre un po’ di più..

La donna gli si inginocchiò accanto,posando la testa sul suo fianco caldo e morbido,peso lieve ed amato...Misha le diede una lunga leccata sulla tempia,facendola sorridere.

-Mi fai il solletico,briccone.

Bisbigliò poi,rialzandosi e prendendo un telecomando,consapevole dello scintillio felice dell’occhio di terra e della gioia diversa dell’occhio di cielo.

Premette un pulsante,stendendosi sul basso divano,sfinita,abbandonata tra i cuscini di velluto,ombra pallida tra le ombre scure della stanza che si riempì di musica:il Concerto in Re maggiore di Vivaldi la avvolse,gli accordi d’arpa che sollecitavano i ricordi.

Ricordare..Pensò.Il male dei vecchi..

Un male che non l’aveva  più abbandonata da quando era riemersa dalla Porta d’oro e che,pur tuttavia,era stata la nota di tutta la sua vita.

Da allora era cambiata:la ragazza che aveva varcato la soglia era morta ed,al suo posto,era sorto quella sorta di cadavere che viveva senza anima .

Si era fatta fragile e tenebrosa,ammantata di un’oscurità invisibile eppure palpabile che teneva le persone a distanza,lo sguardo acuto e onirico di chi sapeva guardare oltre l’umano.

E oltre lo Specchio:che si velava e riempiva di nebbia e diveniva accesso all’Oltre,lei che lo varcava e ritornava,carica di storie e di vite..

In quelle vite trovò un motivo per la propria morte.

Nunzia di quelle esistenze,colma della danza di quel luogo arcano,le scrisse.

E portò parte di un  mondo in un altro mondo.

Lei,Marie Paillard-Chevalier.

 

Gli sprazzi della lampada,seta gialla e nera a schermarne la luce,venarono di pallore la notte incalzante.

Le ombre si animarono di fantasmi.

Leggero e gentile,profumato come le foreste inviolate delle Terre degli Elfi,l’Elfo che si struggeva per lei si posò sul bracciolo del divano,accendendo un basso ringhio nel petto della creatura che condivideva l’esistenza di Misha.

Le sfiorò la mano con un bacio,gli occhi pieni di lacrime.

Gli spettri che servivano la donna gli si fecero intorno.

L’elfo li guardò ad uno ad uno:chinarono il capo,refoli di oscurità senza più ricordi,senza più passato.

-Vieni con me..-La supplicò con la sua voce senza suono.-La Foreste dell’Alba profuma delle resine dei pini e i giacinti sono in fiore:vieni e lascia che io sani il tuo corpo e culli il tuo spirito,Nebbia Fatata..

La donna scosse piano il capo innevato:

-La mia vita non ha senso senza di lui..-Bisbigliò con un filo di voce.-Lui possiede il mio cuore..

L’Elfo sorrise con malinconia:

-Lo sapevo..-La sua voce traboccò di lacrime.-L’ho letto nelle gocce di rugiada,la prima volta che t’ho incontrata,bella come l’aurora di un giorno assolato,che saresti stata fatale al mio cuore..-Le prese una ciocca candida,portandola al volto,respirandone il profumo.-Eppure la sua lusinga fu troppo forte,anche per me..Ti attirai e ti vidi:avresti dovuto essere mia e scordarlo ma fui io ad essere tuo..

Lo sguardo della donna si riempì di perplessità:

-Sussurro di Vento…-Mormorò con angoscia,cercando di rialzarsi,mentre un capogiro violento riempiva la stanza di piani e angoli improbabili.-Cosa..

Ma le mani dell’Elfo la sostennero per le spalle e la guidarono tra i guanciali:

-Stai giù..-Le disse piano.-E perdonami se puoi..Occhi di Drago.

-Conosci il mio nome..

Alitò,gli occhi sbarrati dallo stupore.

L’Elfo le drappeggiò sulle gambe un manto di tenebra,calda e morbida:

-E chi potrebbe scordare il tuo nome,Donatrice di Vita?

-Chi sono io?

La domanda ristette nel silenzio per innumerevoli secondi.

L’Elfo la guardò a lungo,tacito,poi si alzò con un moto fluido,posandole un bacio lieve sulla mano:

-Che l’Eterno ti appartenga a fianco del Re,mia Amata,mia Sola..-Lentamente l’oscurità lo assorbì.-Ti amerò finché l’eternità avrà vita.

E il profumo della Foresta svanì con lui.

-Addio,Sussurro di Vento..

Riuscì a mormorare prima di abbandonarsi al dolore violento del capo e al ricordo di un giorno di un passato lontano in cui lo Specchio si era dischiuso al suo volere e lei vi era penetrata,cercando l’accesso perduto a Feeria.

La Foresta dell’Alba era immersa nel crepuscolo che precede la notte:vi si era inoltrata senza paura.

Ne spirava un vento carico di profumi.

La musica,un arpeggiare lieve,simile a quello del Re,ma così diverso,l’aveva attirata.

Aveva percorso il sentiero verde e muscoso in silenzio,avvertendo le vite trascorse tra quegli alberi vecchi quasi quanto la Terra.Le avevano parlato in suoni,profumi,discromie che spezzavano ogni serenità,si erano affastellate nella sua mente,archiviate tra i suoi ricordi..

Quando aveva visto l’arpista si era sentita morire:non era il Re.

Sussurro di Vento era chino su un’arpa di schiuma di mare,intento a suonare.

Aveva alzato il capo e si era perdutamente innamorato di lei.

“Come per la mia gente.-Aveva detto,portandosi la sua mano alle labbra.-”E’ destino amare per noi.”

E a nulla era valso il suo diniego:l’Elfo non poteva né voleva cambiare il suo cuore..

Come Sergeji..

Pensò all’improvviso,una fitta a farle tremare il cuore.

Condannato al destino ad amare chi non lo avrebbe potuto ricambiare mai.

-Povero Sergio..

Mormorò,le lacrime una lenta pioggia sul suo volto,mentre pronunciava il solo nome che possedeva il legame di entrambi.

il Vento molle dei Ricordi la sfiorò con una mano.

La donna ricadde nel passato.

Di quando in quando la Scaglia di Drago e lo Specchio si velavano,concedendole l’accesso a mondi fatati dove la mente poteva solo arrendersi a meraviglie inumane.

Ai suoi occhi si erano schiusi luoghi sconosciuti:la sua anima aveva assorbito vite vissute nel bene e nel male,magie e lotte,guerre e incanti che  portavano cicatrici di solitudine e dolore…

Ma quando cercava il Drago e gli abissi,tutto diventava freddo e grigio.

Un giorno in cui il grigiore di quel vuoto l’aveva particolarmente oppressa,era uscita:passeggiando nella decadente città renana che aveva eletto a suo rifugio,Misha sempre accanto a lei,la creatura che fissava dall’occhio di terra,aveva conosciuto Sergeji.

Alto e giovanile,l’arpista dimostrava meno dei suoi quarant’anni:aveva foltissimi capelli neri,tagliati appena sopra le spalle, corporatura nervosa,occhi verdi,carnagione pallida,aristocratica,corporatura nervosa,voce gentile e profonda.

Si era recata molte volte ad ascoltarlo nel teatro della città,opulento nel suo dolce sentore di morte.

Sempre,dopo ogni sua esecuzione,si ritrovava a piangere di dolore e nostalgia.

Sergeji doveva averlo notato perché quel giorno,un giorno di autunno inoltrato con le foglie morte che scricchiolavano sotto ai piedi,mescolando il loro profumo a quello intenso della città,l’aveva attesa all’ingresso del parco vicino al teatro,scusandosi per l’audacia e pregandola di onorarlo cenando con lui.

L’aveva fissato negli occhi verdi,con quel suo sguardo inumano che sapeva scavare così a fondo nel cuore:la solitudine e la scintilla immensa di Feeria che vi aveva visto, l’avevano spinta ad accettare.

Sergeji l’aveva intrattenuta con una conversazione quieta e gentile:le alte conifere della Foresta Nera svettavano nei  suoi racconti,stormendo al vento.

Per un istante le era parso che una brezza le rinfrescasse il volto,alito nato dal battito d’ali del suo Sogno perduto:intorno al musicista aveva percepito distintamente l’effluvio dell’inumano.

Sergeji aveva camminato dove nessun altro si era mai recato.

Lei si era accesa di un sorriso malinconico e aveva raccontato di oscure Foreste e Mari inviolati,Abissi tenebrosi e cieli di morte.L’arpista l’aveva ascoltata in silenzio,affascinato dalla sua tristezza,malia lenta e danzante nata dai ricordi.

Si erano rivisti spesso,lei con le sue visioni,lui con il suo animo gentile.

“Siete sempre così triste e melanconica…-Le aveva detto un giorno,la neve un manto soffice che sfiorava il parco.-Amerei così tanto vedere un sorriso sulle vostre labbra..Ditemi,vi prego..”

E lì,in quel giorno,era cominciato tutto.

“Solo pochi giorni a Baden,per la fine dell’anno..-Le aveva proposto con il sorriso di un bambino.-”Amerei trascorrerli in vostra compagnia.”

L’affinità che sentiva per il russo l’aveva spinta ad accettare il suo invito.

Le lunghe sere passate a raccontare i sussurri del vento,la musica silente della neve,Misha acciambellato accanto al camino,la creatura quieta nel suo occhio,avevano fatto nascere il bisogno della confidenza.

Gli aveva parlato della Porta d’Oro,dell’Abisso e del Nulla,del Grande Drago,del Re e elle Nebbie,del viaggio nella Morte nel tentativo di lacerare il Velo e l’impatto con l’umano e l’essere che aveva abitato lo sguardo del suo solo amico…

Sergeji aveva ascoltato in silenzio,l’animo pieno del pianto di lei,contemplando il velo nero che la giovane portava con sé.

Si era messo a suonare piano.

“Conosco il luogo di cui voi dite..-Aveva confessato con voce così bassa da essere soffocata dal fuoco.-Non tutto ma un piccolo frammento di Musica che attraversò il mio cammino quando ero solo un bambino..-Le sue dita si muovevano sulle corde.-Passeggiavo con mio padre.il sentiero che si snodava tra gli abeti,un nastro verde e marrone che catturava i miei occhi…Mi staccai da lui per correre,come fanno i bambini,senza meta e motivo e lo sentii.Ci finii in mezzo:piccoli esseri danzanti e una gemma di fuoco che sembrava cantare:non ne ebbi paura.Tesi la mano ed entrò in me e vidi Feeria.-La fissò con una intensità spaventosa.-Da allora tutto ebbe un significato nuovo e la Musica,quella vera,mi dimorò nell’anima.

Per lunghe ore rimasero muti,solo le corde della sua arpa a raccontare una vita trascorsa suonando…

Infine l’arpa aveva taciuto.

Misha aveva socchiuso l’occhio scuro,curioso,il ghiaccio azzurro che rimaneva immobile e sereno.

“Il tuo nome..-Le aveva chiesto Sergeji in un sussurro.-Dimmi il tuo vero nome.”

“Occhi  di Drago”

Aveva alitato lei.

Il musicista l’aveva osservata ,il battito del suo cuore a scandire il tempo che non sembrava passare più, si era alzato dallo sgabello e le si era avvicinato.

“E’ un nome troppo bello per questo mondo..-Aveva mormorato senza toccarla,conscio del vero significato di quelle parole.-E tu sei troppe cose per essere solo Marie.Ti chiamerò Maya:creatrice di mondi celata  allo sguardo umano dal tuo stesso velo,.”

E da allora erano rimasti insieme.

Due esseri soli e fuori posto che trovavano conforto nella presenza reciproca..

“Non voglio mentirti..-Le aveva detto Sergeji una sera.-Io ti amo,anche se tu non lo potrai mai.”

Lei aveva assentito in silenzio,sfiorandogli il volto con una mano fredda,ricordando Sussurro di Vento..

“Sergio.”

Aveva detto soltanto in lingua italiana.

L’arpista aveva sorriso.

Anni ed anni erano trascorsi da allora,guardandoli conversare con gli occhi,Sergeji che suonava e lei che scriveva e moriva ogni giorno un po’ di più per permettere a quelle vite di vivere..

La fama di entrambi era tale da mettere il loro rapporto sulla bocca di molti,anche in quella piccola,decadente città:eppure nessuno aveva mai veramente capito.

Maya si permise un pallido sorriso.

Era come se l’essenza di lei dilatasse il senso della Musica dell’arpista e il suono di Sergeji desse respiro alle vite che parlavano nei suoi libri.

La stanchezza le invase la mente e il dolore tornò a torturarla.

Si morse le labbra,accettando la sofferenza,la morfina rifiutata ormai da tempo,il dolore del corpo che scompariva in  quello dell’anima.

Misha saltò in piedi,lambendole il mento,a portarle conforto,l’istinto dell’animale mescolato come sempre ad una intelligenza più arcana.

Sono così stanca..

Pensò portandosi la mano alla fronte.

Sono morta da così tanti anni..Ed ora,finalmente,è questione di poco..

La malattia che la stava divorando divenne una percezione piena e viva, belva che  la dilacerava lenta, tracannando il suo sangue in una follia ebbra.

Vorrei solo rivederlo,prima..Sentire ancora le sue braccia intorno a me..La sua voce…

Si alzò con fatica,circondata dai suoi fantasmi,creature perdute e dimenticate che Sussurro di Vento aveva trovato in qualche coacervo di ricordi e lacrime e le aveva messo accanto quando aveva lasciato la Foresta dell’Alba.

Guardò lo Specchio:era vuoto e grigio.

Il suo grigiore la avvolse:ogni dolore causato,ogni angoscia portata,ogni parola detta,ogni respiro tratto con troppa foga le fu sbattuto in faccia.

E lei,che aveva visto l’Abisso,spirito disincarnato e stanco,non ebbe pietà di sé stessa.

Assorbì ogni cosa,accartocciandosi con un rantolo,pergamena ormai sottile e logora,su cui troppe volte l’inchiostro aveva scritto..

Gli Spettri,i fantasmi,i folletti le volteggiarono intorno,un coro di voci senza eco,piene di paura e di pietà.

“Come stai?”

“Come  stai,Signora?”

Ma la loro pena nulla poté.

Pianse per Sussurro di Vento,ferito per sempre nel cuore ,e per Sergeji,solo nell’animo..Pianse per quella  sé stessa che non rammentava,pianse per il cielo in rovina e per i Draghi che non potevano più volteggiarvi.

Pianse per colui che amava e che non avrebbe più rivisto.

Gli spettri piansero con lei,stille di sangue che scorrevano dai loro occhi senza stelle.

Senza avvedersene,in un gesto automatico,si portò alla fronte le mani bagnate di pianto a scostarsi i lunghi capelli candidi,sentendo l’asperità della scaglia evidente come non mai.

Accecante,la luce bianca invase la stanza in un lampo senza tuono.

La Scaglia su staccò dalla sua fronte,prese vita e si allontanò da lei.

Misha ringhiò,la creatura che sibilava a sua volta,accostandosi protettivi alla donna,spingendola indietro.

La Scaglia  cominciò a crescere,avvolta nello splendore del ghiaccio su cui si spezzano i raggi del sole estivo.

Maya si riparò gli occhi con una mano,afferrando Misha per il collare argentato e trattenendolo.

Il Vento dell’Abisso la investì e la fece rabbrividire:la Morte e la Disperazione le furono addosso,schiantandola e spezzandola,fragile canna risuonante armonia che non si oppose alla furia ma la accettò,la danzò e ne riemerse,aprendo gli occhi nella staticità che ne era seguita.

Rantolò.

La Porta d’Oro era dinanzi a lei.

Ne toccò tremando i pilastri possenti,le grandi ante di roccia scolpita...Si tese a sfiorarne la chiave di volta,l’immane testa di Drago che la sovrastava,gli occhi rubini che scintillavano di una vita mistica.

La Chiave era ancora dove lei l’aveva inserita.

Spalancate dall’interno,le ante si aprirono  in un silenzio assordante.

Buffi di luce tenebrosa,volute arcane di nebbia divorarono il candido bagliore della Porta.

Maya trattenne a stento un grido.

Nella luce nera che andava svanendo apparve il Re.

Lacero,sfatto,gli abiti strappati,le mani ferite,l’arpa infranta,le corde attortigliate e spezzate.

La donna fece un passo innanzi,le mani contratte,chiamandolo senza avere più voce.

Il Sovrano sollevò il volto pallido,le palpebre serrate,le labbra inaridite.tendendole le braccia.

-Amore mio..

Le sussurrò,la voce una pioggia delicata sull’animo esacerbato di lei,un incanto che fece balzare in piedi gli spettri inginocchiati e ansare di gioia il cane e la creatura.

La donna si tese verso di lui,le loro mani che si trovavano,stringendosi,accarezzandosi,le dita gelsomini abbarbicati gli uni agli altri in un fiorire profumato di tocchi carezzevoli.

Il Re la attirò a sé,il volto affondato nella schiuma dei suoi capelli candidi.

-Amore mio..

Ripeté lei,la sua voce un contrappunto piangente a quella di lui.

Lo respirò lentamente,soffio vago di arie libere,profumo intenso di luna e stelle,musica palpitante di infinito..

Annegò quieta nella sua stretta.

-Sei qui..

Alitò piano,prendendogli il volto tra le mani,le labbra a sfiorare la pelle ferita e illividita,le dita a cercargli i capelli stellati in una lunga carezza.

Il Re tese una mano a toccarle il volto bagnato di pianto:

-La strada è stata lunga e dura..-Le cercò le mani consumate,adorandole con labbra avide.-Ma ti bo ritrovata,bella come l’aurora estiva e dolce come il tramonto d’autunno.

Lei ansimò,ebbra di quel tocco tiepido,poi un sorriso malato le contrasse il volto,le dita prigioniere che non volevano liberarsi.

-Se tu mi guardassi vedresti come il tempo degli uomini mi ha condotta con sé..

Riuscì a bisbigliare con un fil di voce,lo strazio eco pallida alle sue parole.

Ma il Re scosse il capo:

-Come lo potrebbe,Amore del Mondo,se tu canti come le Sirene e sei trasparente e leggera come l’aere danzante al vento?

Le lacrime traboccarono dagli occhi di lei,asciugate dal suo tocco bramoso.

-Guardami,ti prego..

Lo supplicò.

Il sorriso del Re si accentuò:

-Occhi di Drago.-Il suo nome gli lasciò la bocca come una certezza e aleggiò intorno alla donna che lo possedeva dall’eternità,sinfonia complessa di contrappunti.-Io già ti vedo.-Si portò agli occhi le mani consunte di lei,premendovele,lasciando che  sentisse le cicatrici nodose delle palpebre.il tocco delle  sue piccole dita che travalicava la sua perplessità e la mutava in strazio.-Con gli occhi della mia anima..Questi non vedono e non vedranno più mai.

Il gelo la investì,spezzando il suo stelo delicato,pallido fiore invernale al crepuscolo del giorno.

Il Re la sorresse.

Poi le sue palpebre si sollevarono.

Sulle labbra di Maya morì un diniego colmo di angoscia:gli spiriti inorridirono,Misha si ritrasse.l’occhio di terra pianse.

Il sole di quegli splendidi occhi di bufera  non esisteva più.

Il sovrano le toccò il volto con le mani,come se,in qualche modo arcano,potesse vederla,la sua percezione che andava oltre l’umano.

-Non rimpiangerli..-Le bisbigliò piano,un sorriso che nasceva tra le lacrime che gli scorrevano lente sulle guance.-Sono stati bene spesi…-Allontanò una mano dalla vita che scorreva sottile sotto la pelle tiepida e fragile della donna,frugandosi nella tunica ed estraendone un astuccio di ghiaccio ed argento,un lucore debole che si attardava sulle cerniere lavorate e i bordi cesellati.-La compassione per due vite in cambio di questo.-Glielo tese.-Guardalo.

Maya impallidì,riconoscendo le Rune dell’Oblio Eterno:

-Ti sei recato nei Giardini di Morte!-Alitò con un filo di voce,le mani scosse da un tremito convulso.-Quale prezzo ti sono costata!

Lui sorrise,innocente come un bambino e antico come la creazione.

La vecchia donna sentì il proprio corpo consumato rispondere a quel sorriso,una risposta che andava oltre carne sangue ed anima e che,tuttavia,li comprendeva e li concretizzava.

Come potrei farlo se avessi vissuto al suo fianco per eoni innumerevoli..

Perché non ricordo?

Si chiese con terrore.

La mano del Re scese ad accarezzarle i lunghi boccoli che le coprivano la schiena:

-Una lunga romanza nella Notte dei Tempi,Amore del Mondo.-Il suo sorriso fu un lampo intenso.-Solo questo,quando la mia musica ti chiamò a me e la tua bellezza mi avvinse con legami che mai averei voluto spezzare..Quando Morte trattenne il mio canto perché potesse goderne il suo quieto giardino immerso in penombra.-Per un  attimo lo sfinimento  e il dolore lo fecero ondeggiare:si riprese,tenendosi a lei-Anche il doppio avrei pagato per te.

Il bisbiglio melodioso degli spettri li circondò,una tra le braccia dell’altro.

“Signore!Signore!-Esclamarono alcuni,affollandoglisi intorno a baciargli l’orlo del manto sbrindellato,la sua maestà un ricordo indelebile persino nel loro oblio.-Sei tornato,Signore!Sei qui!”

“Siedi,Signore!”

Lo pregarono altri,trascinandogli accanto una poltrona.

Sul volto del Re si soffuse un’improvvisa tenerezza.

Guardò gli Spettri.

-Siate in voi.

Disse semplicemente.

Un’immensa pace cadde sulle creature scordate e perdute,una parvenza di Essere ed Esistere ancora.

Sedettero a terra,gli uni accanto agli altri,gli occhi di oblio pieni di sogni.

Il Re sedette a sua volta,un sovrano assiso su un trono troppo angusto per lui,la donna che si accoccolava ai suoi piedi,posandogli il capo sulle ginocchia,il mare di capelli nivei sparpagliati ovunque,il cane  che le si accostava,toccandola con il muso freddo.

-Perché sei giunto ai Giardini di Morte,mio Amato?

Gli chiese piano,senza sollevare il volto,la mano che accarezzava distrattamente Misha.

Il Re sorrise,tendendo la mano a toccare l’animale sul capo,le dita che si muovevano delicate sino agli occhi:

-E così sei vivo,piccolo..-La sua voce acquistò la cadenza di una musica.-Hai trovato rifugio in lui e ora siete insieme per lei..

MIsha gli lambì la mano,il Sussurro danzante nel suo occhio scuro.

Il Re si raccolse un istante poi tornò ad accarezzarle i capelli,rispondendole:

-Per pregarlo di cogliere il Fiore dell’Essere e dell’Esistere che tu racchiudevi nel tuo cuore in un passato così lontano che io solo posso ancora ricordare..-Si attorcigliò una ciocca sulla mano,sollevandola a sfiorarla con le labbra.-Le Frange del Velo non poterono sottrarmi la vita:neppure l’Incubo lo avrebbe potuto…-Raccontò dolcemente.-Mi scagliarono,privo di sensi,oltre il Mare Esterno che circonda i Regni delle Nebbie:giacqui nudo e senza esistere sulle sue rene fredde,solo rumore il ruggito eterno di quelle onde sempre nere che si riversano in cateratte senza fine giù,oltre la Mano del Reggitore.Non c’è sole in quel luogo,né  notte né stelle:solo un perpetuo crepuscolo privo di voci..Mi svegliai un giorno,alla fine,senza rammentare che fossi e perché senza vesti mi ritrovassi lì,immerso nelle sabbie viscide su cui non camminavano granchi.Sedetti sul bordo del Mare a guardare il sempiterno scorrere dei suoi flutti tenebrosi..-Si portò una mano al viso,la voce talmente intensa che le fece alzare il capo:lo vide tergersi una lacrima,goccia di pioggia invernale il un cielo estivo.Gli baciò la mano che giocava con i suoi capelli.-Non so dirti quanto tempo fosse passato così:soltanto mi alzai,sapendo che quell’acqua mi avrebbe portato l’oblio e partii,i piedi che lasciavano orme sulla sabbia..Mi volsi e le vidi:seppi che esistevo.Mi sentii rivivere,allora..Camminai senza poter misurare il tempo in giorni o in anni,consapevole solo che erano passate molte vite di molti esseri.A poco a poco la rena divenne terra rossa e umida.Vidi della nebbia e me ne feci una veste.Camminai vuoto nell’animo,il vento che risuonava in me come in una canna spezzata sino a quando giunsi sulle sponde di un piccolo lago sul quale brillavano stelle imperiture.Ne guardai il riflesso:desiderai musica e cantai...Quando terminai,poiché la mia voce si era stancata e il mio cuore era esacerbato dal dolore,una creatura sorse dal centro delle Acque,maestosa a vedersi,frammento policromo della Parola Creatrice.Mi parlò con la voce delle acque,mostrandomi un’arpa caduta dai cieli del Nulla.La  tenni tra le mani e ne tentai le corde e la riconobbi come parte di me.La creatura mi chiese di cantare ancora:mi offerse l’acqua del suo lago in una coppa pura di luce.Ne bevvi e ritrovai il mo Essere.Ricordai chi ero e cosa muovesse i miei passi.Lo dissi al Guardiano e gli parlai di te che,ignota a te stessa,vivevi nelle Terre Mortali,trascinando il tuo passo di fata tra gli uomini votati alla Morte:gli chiesi di quell’acqua per farti riavere il tuo Essere e il tuo Esistere.Ma il Guardiano scosse il capo fluido e disse:”A te il Velo nulla ha tolto perché tu sei rimasto in queste terre:solo ha velato con sé stesso il tuo cuore.Ma colei che tu cerchi è stata scagliata lontano ed il Fiore del suo Essere è stato divelto dalla sua anima sin dalla Caduta e le mie Acque non potranno offrirle nulla anche se sono le Acque del Risveglio.Ma va’ invece ai Giardini di Morte e pregalo che che ti colga il Fiore che lei recava nel cuore:un petalo per ogni ricordo e ogni vita,il profumo per il suo Essere Intero.Incubo lo svelse dalla sua anima con il suo tocco di Nulla e lo consegnò al Custode perché lo trapiantasse dove non avrebbe più potuto essere avulso,affinché colei che tu ami più non potesse tornare.Ma Morte non obbedì:per suoi disegni a me non noti lo piantò invece in un fertile terriccio,dove la sua mano avrebbe potuti svellerlo.Non so se Morte stenderà la sua mano per raccoglierlo e donartelo,racchiuso in una magica teca che ne preservi il profumo,tuttavia solo a lui potrai domandarlo e lui solo potrà coglierlo.” E mi indicò la via per giungere a lui.-Trasse un lungo respiro, la sofferenza di quel viaggio che gli risuonava nella voce.-Come posso narrarti i passi mossi lungo le sabbie del Deserto che che un tempo chiarono Desolazione senza portare le tenebre in questo mondo ancora così giovane?Vagai per molto tempo in Desolazione,senza più saper cosa fossi il sorriso..Alte mi accolsero le vette del monte che i Draghi chiamano Solo:suonai per l loro solitudine,per lenire le loro aspre pendici..Giunsi infine al Giardino di Morte:egli mi attendeva,seduto per terra,all’ombra di un larice stilante.”Benvenuto”mi disse”Signore delle Terre che Furono e forse Saranno di Nuovo:ciò che tu ricerchi è da me curato da moltissimi millenni,da quando Lui lo affidò a me.Vieni.” E si alzò e mi mostrò ciò che andavo cercando :fragile e delicato nella penombra.Un velo di nebbia gli inumidiva le foglie e i petali innumerevoli.”E’ tuo .”Mi disse”Ma a un prezzo:Lui me lo diede affinché io lo piantassi nel Giardino del Sempre ma non potei farlo..”Il suo sguardo mi mostrò le infinite profondità della sua anima.”Colei che ti era Regina danzava dolce anche ai miei occhi e coloro che coglievo con la mia mano non tremavano ma erano ammaliati da lei e il mio tocco non li spaventava...Trapiantai quel Fiore all’ombra delle felci,con la mia mano allontanai il sole troppo violento,lo irrigai con le lacrime del Velo e gli permisi di vivere,sapendo che,un giorno,tu saresti giunto a reclamarlo.”-Il sorriso del Re si accentuò,un sole ardente che non bruciava ma cullava.-Feci per chinarmi ma il Custode mi fermò:”Non  respirarne il profumo.”Mi disse”Lascialo intatto per la tua Regina.”Gli obbedii:”Come posso coglierlo senza fargli del male?”Gli chiesi.E il Custode sorrise:tu non hai mai visto il sorriso di Morte.E’ quanto di più imperscrutabile possa esistere,simile al Velo,simile al Nulla,con i riflessi perlacei del Cielo e il sapore delle Onde del Mare.MI riempì del gelo del Giardino del Sempre.”Osserva.”mi disse,mostrandomi due pallide pervinche appena sbocciate che la malattia aveva già attaccato.”Miserevoli esistenze appena deste che non conosceranno nulla della bellezza perché non avranno sguardo per poterla ammirare..Quanto sono prive della grazia e della bellezza del suo fiore..”Mi ha guardato.”Basterebbe così poco..Soltanto un ricordo di sole per entrambe..”Tese una mano a sfiorarmi gli occhi.”I tuoi occhi sono gioielli preziosi:hanno veduto il passato più antico della Creazione,quando gli Uomini erano ancora Sogni nel Cuore degli Dei..Hanno contemplato il primo sole e la prima notte,la nebbia che cingeva la tua Regina.La bellezza li ha resi perfetti e il dolore li ha fatti puri.Tu desideri il suo Fiore dell’Essere e dell’Esistere,io che questi fiori possano vivere e gioire.”-La mano di Maya si strinse alla sua in un conforto muto.-Acconsentii:Morte mi divelse gli occhi con la pallida mano.Le tenebre piombarono su di me,una dissonanza alle mie urla di dolore che cullarono a poco a poco la mia angoscia..I passi di Morte erano pallidi fruscii d’ombra:”Desideri che esso mantenga intatto il suo profumo?”Mi chiese.Ed io assentii:”Allora,Signore,suona e cedi a me il suono  della tua arpa,affinché in eterno ne godano i fiori del mio Giardino e l’incontro con Morte possa essere lieto come una risata di bimbo.”Io sedetti ,stringendomi l’arpa al petto e cantando di te,di quando il Nulla non era ancora giunto a turbare il nostro Mondo e i tuoi capelli rutilavano nella danza.Alla fine Morte parlò:”Hai cantato e suonato come solo può farlo il Re della pallida Feeria:cedi ora il suono della tua arpa.”Gliela porsi e sentii il rumore delle corde di luce spezzarsi..Il mio cuore si contrasse di angoscia quando me la rese profanata e infranta,la mia anima dissacrata..La cullai ,spezzata come il mio mondo,sapendo che non avrei più potuto chiamarti a me,mentre mi domandavo come,cieco e silente avrei mai potuto raggiungerti..Morte spezzò i miei pensieri cogliendo il tuo Fiore.Udii i suoi passi lievi,il fruscio delle sue vesti mentre si chinava a tendere la mano:ci fu un rumore d’argento, il suo profumo che si  faceva  simile a un gemito e ad un sospiro..Morte mi porse l’astuccio:sorrise..Sentii quel sorriso come un raggio di sole e il dolore si dissipò.”Ancora una cosa..”Mi disse.”Sei giunto nel mio Giardino ed ora parti:non ti lascerò partire senza offrirti il dono ospitale.Il Guardiano delle Acque ti offerse l’Acqua sula quale vegliava:io t’offrirò ciò che il tuo cuore desidera.”Pronunciò lente parole in una lingua di incanti a me sconosciuta:sentii la Porta d’Oro formarsi e le sue ante spalancarsi alla sua voce.Il mio cuore frullò,passero impazzito di gioia.””Va’,mio Signore.”Mi salutò Morte.”Che l’Eterno ti vegga accanto alla tua Regina.”Io la varcai e le Tenebre mi accolsero,conducendomi qui…-Per lunghi minuti tacque,accarezzandole il volto,esplorandolo piano con dita simili a piume di colibrì,la bautta di carne e sangue che velava la sua bellezza,tingendola di Tempo..-Eppure non rimpiango il sacrificio:lascia che questa moretta cada e s’infranga e non veli più il tuo incanto,Amor mio..-Le tracciò la fronte,gli zigomi,gli occhi,pennello cauto e adorante che ristabiliva l’esattezza di lei.-L’Eternità è inutile senza di te..

La donna sorrise tra le lacrime,persa nel suo tocco,la voce che tremava:

-Ti ho atteso così a lungo che la vita è divenuta un peso..

Il Re le asciugò le lacrime,sollevandola da terra e attirandola tra le proprie braccia,le mani che si intrecciavano ai suoi capelli di neve,guidando il suo volto contro di sé.

-Ascolta,allora,mia Amata..-Sentì il capo di lei trovare rifugio sulla sua spalla, piccola rondine sfinita dal lungo migrare.-Sin dalla Notte dei Tempi tu fosti mia,il tuo corpo una Danza sul Mare,i tuoi capelli una rete abbagliante a sfiorare le stelle..-Il corpo di Maya si tese in un tremito:lo quietò con una lenta carezza,continuando tra i suoi capelli.-Eri la mia sposa amata,la Regina del mio cuore e,innanzi a te,si inchinavano le Stagioni.Gli Umani non avevano ancora ripudiato il Sogno e non ci avevano lasciati,Occhi di Drago:ogni giorno venivano a noi per lunghi sentieri,per sognare quando danzavi  al suono della mia arpa e,al loro destarsi,portare con sé lacerti del nostro Mondo:Feeria l’Eterna.Così chiamavano il nostro Regno...E così trascorsero eoni innumerevoli mentre il Tempo cessava di esistere e le stelle nascevano e morivano nel tuo sorriso e il sole si riscaldava nei tuoi occhi e tu ed io danzavamo l’amore che ci legava da prima della Creazione..-Si interruppe un  istante a baciarle la fronte e gli occhi,tergendole un pianto che non voleva svanire,poi proseguì,la voce che si approfondiva di sofferenza antica e inesprimibile.-Un giorno,però,venne tra noi il Nulla:era forte e potente e agognava  il tuo amore.Mosse guerra contro di noi:tanto era il suo potere che gli Umani lo seguirono e lo bramarono.Incubo li convinse che li imprigionavamo in dolci legami e li persuase a lottare contro di noi.A poco a poco essi non credettero più nel Regno di Feeria e noi iniziammo a morire:ogni qual volta uno di loro cessava di credere,uno di noi cessava di esistere.-Una lacrima scivolò lungo le sue guance illividite.-Alla fine il Nulla ci vinse:stese intorno a noi il Mare,rete di morte per i rari viandanti che ancora cercavano le nostre terre  e scavò profondo intorno al regno del Sogno..Sorse l’Abisso e vennero le Nebbie e le Isole dell’Oblio..Tu ti velasti,portando il lutto per la nostra gente perduta e la tua danza cessò:il canto della mia arpa fu un lai di morte e dolore.Quando le Stelle non brillarono più nei nostri cieli,il Nulla penetrò in Feeria e ti strappò il Velo:lo scagliò sui Sogni e quelli divennero illusioni.E ci furono due Nulla,uno vero ed uno che non era che la vuota illusione dell’altro,mare di aspidi ribollenti...Uno solo di coloro che ci servivano si salvò dallo scempio:un Drago che chiamavamo “Fratello”.Mi afferrò con i suoi grandi artigli e mi sollevò nel cielo un istante prima che la Morte mi cogliesse:invano cercai di afferrarti e portarti con me...Tu non eri più nulla oltre all’aria:lo vidi tentare di sfiorati ma la tua purezza era tale che le sue mani arsero e,per la furia ti sottrasse l’Essere e l’Esistere e ti scagliò oltre il Velo,là dove erano le Sfere e dove un giorno tu saresti rinata nel mondo degli uomini.Il Drago mi posò oltre le Nebbie e mi disse di suonare e chiamarti a me,certo che la tua vita avrebbe risposto alla mia musica..Ed io suonai per secoli e per millenni..Ma il Nulla mi udì e disseminò la Nebbia di Voci e nascose l’accesso alla Porta e maledisse ogni Drago che avesse osato volare nei suoi cieli per riportarti a me..Ma nostro fratello vegliava e,quando seppe che avevi varcato la soglia ti sottrasse alla sua vendetta e ti portò a me..-Le cercò il volto,sfiorandole le labbra con le proprie,la voce che si tingeva di amarezza.-Ed io non fui in grado di proteggerti e il Velo ti catturò e ti scagliò qui,come anima spezzata e morta,il tuo spirito tarpato,i tuoi ricordi estinti,il tuo volto una maschera di carne e sangue…

Per un istante la cullò come fosse una bambina,consapevole del battito convulso del suo cuore umano,della carne e del sangue che stavano morendo.

La vecchia donna gli sfiorò lo zigomo con la punta delle dita,un fiocco di pallida neve di primavera che avvince con la sua effimera bellezza,verso di un’ode mai davvero terminata:

-Non ricordo nulla..

Bisbigliò soltanto.

I capelli del Sovrano frusciarono in muto assenso.

Le prese la mano,chiudendola intorno all’astuccio.

La sentì tremare:

-Aprilo.-La invitò piano.-E ricorda..-La supplicò.-Ricorda il mio nome e il nostro mondo,in modo che io possa ancora specchiarmi nei tuoi occhi e i nostri morti possano tornare alla vita..

Fragili e sottili,le dita di lei tremarono,tentando le cerniere dell’astuccio.

Un Fiore riposava sul velluto.

La sua bellezza magnificente le spezzò il respiro.

Miriadi di petali di nebbia argentea,venati di cristallo e screziati di sole sussurrarono,mossi da un vento che lei non poté sentire.

-E’ bellissimo..

Riuscì a sussurrare.

Il Re sorrise:

-E’ il Fiore dell’Essere e dell’Esistere:respiralo e lascia che l’Armonia sia completata.

Incantata,avvinta dalla sensazione di appartenenza che il fiore le trasmetteva,lei obbedì.

La fragranza,ignota ed esotica,stranamente pulita,fu in lei.

Per un lungo istante lei stessa fu solo fragranza.

E il pennello,finalmente carico di colore,si accostò alla tela.

 

Danzava ai piedi del grande Albero,mozzo assoluto di Feeria che si diramava da esso in vie lontane,raggi estesi oltre ogni percezione.

La romanza risuonava dolce nell’aria:un uccello dalle piume infuocate cantava piano,l’aria stillante luce d’oro.

Seduto morbidamente,l’arpa in mano,le dita a tentarne le corde,stava il Re,la schiena appoggiata al tronco,le vesti bianche mollemente pregne della linfa viale che l’Albero trasudava.

Le stelle dei suoi occhi grigi erano quiete e sorridenti,colme del suo amore per lei,i suoi capelli sparsi sulle spalle a giocare con la brezza.

Suonava piano:lei danzava e rideva,i fiori che sbocciavano ai suoi piedi,Kore primigenia che recava in sé ogni rinascita.

Una nebbia d’argento si levava dal tocco dei suoi piedi danzanti,consacrando la terra su cui lei volteggiava,farfalla policroma accarezzata dal Sole..

Volteggiò a lungo,portata dalla musica,gli occhi del Re che l’adoravano in silenzio,fiamme ardenti di passione,una nota dopo l’altra a tracciare per lei un sentiero di gioia.

Lei sorrise,avvolta da quelle fiamme ,e lo chiamò a sé,la voce musica delle sfere superne:lui rise,scroscio di acqua cristallina,tendendo le mani ad accompagnare i suoi passi,la voce del drago subentrata ai suoi arpeggi.

Composero l’amore che li aveva uniti all’inizio del mondo,le possibilità dell’eterno tempo,i sogni che  sarebbero stati sognati:mille volte le stelle sorsero e tramontarono,mille volte il sole s' infranse su di loro..Infine il Re la fermò,lasciandosi cadere ai piedi del grande Albero e attirandola a sé,le chiome mescolate in un intreccio di lune pulsanti.

Le labbra di lei cercarono le sue:

“Oneiros..”

Lo chiamò.

E lui sorrise,il Nome divenuto l’Essenza di ciò che era.

 

Il profumo la avvinse ancora,più forte,più intenso,attirandola nel profondo di sé stessa.

Lei era sempre stata:non  ricordava di non essere mai esistita e neppure il momento dell’esistenza.

Esistere non aveva significato:solo Essere.

Era un anelito di vita,frammento mai nomato della Creazione.

Danzava nel silenzio di sé stessa quando la musica la sfiorò,attardandosi sul suo volto in una carezza impalpabile,indugiando disincarnata sui suoi capelli.

Lei si lasciò attirare,permettendo che quei suoni d’arpa l' avvincessero di legami eterei, seguendoli.

Lo vide suonare al limitare della Foresta,inargentato dalle prime stelle,bellissimo come la vita che palpitava nella Creazione.

Il suo cuore fu pieno di lui.

Si mostrò ai suoi occhi,danzando  soltanto per lui in quella profonda solitudine verde,avvolta in morbide nebbie.

Avvinta lo avvinse.

Le loro mani si intrecciarono,il Re che si perdeva nel mistero del suo sguardo di nebbia,luce e terra,esplorandone gli abissi luminosi,naufrago adorante di quel Mare cangiante di vita.

“Occhi di Drago.”

Disse e la fissò nel Creato:unica ,eterna,perfetta.

Si amarono e nel luogo dove il Re l’aveva adagiata sorse un virgulto verde cupo,stillante luce e pallida nebbia.

Crebbe più alto delle montagne,centro perfetto di ciò che stava sorgendo intorno a loro.

Feeria.

L’Immortale,l’Onirica.

Tra i rami di quell’Albero trovarono riparo Uccelli di Fuoco e Fenici variopinte.

Sfingi e Chimere eressero la dimora di pilastri di luce e soffitti di nebbia e si posero alla guardia dei portali.

Sirene cantarono nelle acque del Mare,Silfi e Spiriti dell’Aria danzarono tra le nuvole:Driadi e Ninfe si svegliarono dai tronchi degli alberi,Oreadi si rincorsero tra i monti,Naiadi si sdraiarono al sole,la pelle grondante acqua.

Draghi alati si posarono nel loro Regno.

Titani ed elfi crearono la Porta d’Oro:Unicorni ne spalancarono le ante e ,attraverso essa,giunsero gli Uomini.

Per eoni si dissetarono alle sue nebbie e le portarono con loro al risveglio e i loro mondi si toccarono,bolle rilucenti di madreperla che si accostavano,fondendosi e separandosi di nuovo,un respiro e un sussurro che si incontravano piano.

E poi giunse Incubo:la sua gente moriva mentre la musica diveniva un canto di morte e la danza si spegneva.

Gli Uomini non credettero più:l’Albero avvizzì e la terra di Feeria morì,lenta e amara.

Infine Incubo ne calcò il suolo e stese la mano per colpire il Re.

E mentre il Drago lo sollevava per sottrarlo alla Morte,lei fu presa e scagliata oltre il Velo e ogni ricordo le fu sottratto.

 

Il profumo divenne avvolgente,un caldo mantello pulsante che le fece chiudere gli occhi al ritmo palpitante del suo respiro.

Nebbie pallide ,stillanti argento,sfuggirono dalle corolle delicate,avvolgendola,celandola.

La Nebbia fu parte di lei:ricostruì,modellò,ricreò.

Ossa,carne,sangue,pelle.

Tutto fu impregnato di nebbia.

Il gelo ebbe il calore della fiamma e la dolcezza del raggio di sole,l’umore molle della pioggia e della terra bagnata.Le corse sotto le vene,annidandosi nel suo vecchio cuore,musica irrefrenabile che lo invitò ad una danza folle,spezzandosi in note mai suonate,

Non vi si oppose.

Lei stessa divenne Nebbia.

Il Fiore crepitò.

I minuscoli petali cristallini s' infransero nel vento,danzandole intorno.

La Nebbia emise un lampo di luce e si abbassò,il pennello che dava l’ultimo,estenuante tocco,compiendo il miracolo.

Occhi di Drago fu.

Perfetta,fatata,inumana.

Il corpo avvolto da morbide nebbie sembrò trattenere una danza mentre i suoi capelli,rete d’incanti,le frusciavano attorno,allargandosi alle  sue caviglie sottili,cingendo un  volto che sapeva di Notte e di Giorno,di Aurora e Tramonto,gli occhi che erano tutti gli splendori del mondo,le labbra che sapevano di tutti i fiori mai sbocciati.

Fu accanto al Re,la rugiada del suo pianto scese a sfiorargli le mani ferite,risanandole.

Lei,perpetua Kore fuggita dall’Ade,si chinò a baciargli gli occhi spenti,accarezzandogli il volto.

-Guardami,mio amatissimo..

Bisbigliò poi,la voce che era danza,musica e armonia.

Le palpebre del Re si sollevarono lentamente:gioielli grigi di tempesta e crepuscolo e alba,i suoi occhi scintillanti si posarono su di lei,risanati.

E la vide,ogni vestigio di umanità svanito.

Tese la mano ad accarezzarla:

-Occhi di drago.

E lei sorrise:

-Oneiros.

Lo chiamò,il passato ristabilito,la danza completata,tutta la musica eseguita..

Si alzarono,le loro mani allacciate a cercare un contatto ancora diverso,lo stupore degli spettri che non poteva più essere contenuto:si affollarono intorno a loro,le mani giunte sul petto, a sfiorare con la fronte l’abito impalpabile di lei.

“Ritorniamo!Ancora!1”

Le voci senza suono trillarono di gioia inestinguibile.

“Vivi ancora!”

“Esistiamo!”

Le ante della Porta d’Oro si spalancarono,la luce nera venata di oro e di bianco.

L’arpa si ricompose,le corde nuovamente tese,

Il Re le sfiorò:l’eufonia si dipanò,euritmia di note che andavano costruendo fondamenta nuove,inserendosi negli angoli che sostenevano il mondo,amalgamandosi ai suoi fulcri.

Misha  uggiolò,tentando di afferrare una falda iridescente dell’abito di lei,il sussurro che si sporgeva dall’occhio di terra per supplicare.

Occhi di Drago fu in ginocchio al loro fianco,le labbra divine schiuse in un raggio di sole:

-Amico mio..

Disse,rivolta ad entrambi.

Tese le mani a sfiorarli,cingendo il grosso muso dell’animale,la guancia contro la piccola creatura che aveva portato con sé nel suo lungo vagare in Dolore.

Sollevò lo sguardo verso il Re.

Oneiros sorrise:e fu come se i soli si fossero fusi con le stelle e tutte le lune dell’Universo li avessero screziati.

-Piccolo…

Posò nuovamente la mano sul cane,un dito a sfiorare la consapevolezza  azzurra,l’altro ad accarezzare quella bruna.

Il cane piegò la testa,rotolando su un fianco,la coda nascosta tra le zampe,le orecchie abbassate,l’occhio azzurro fisso a terra.

-Vieni,Paladino della Regina.

Disse gentilmente.

Dall’occhio bruno il Sussurro trillò una grazia,le mani tese a incontrare l’occhio di ghiaccio.

I capelli del Re frusciarono in un assenso:

-Così sia.

Concesse .

Il suo dito toccò lo sguardo di terra e lo liberò.

La piccola creatura tese la mano minuta,afferrando l’essenza dell’occhio azzurro,tirando.

Qualcosa si mosse:una forma eterea che pareva raccogliersi su sé stessa.amorfa , pulsante,intimidita,lasciando dietro di sé poco meno di cenere.

Oneiros accarezzò il volto della Regina:

-Completalo,Amore del Mondo..

La Regina tese la mano,rifugio a quella larva fervente di vita che vi si rannicchiò,assorbì  il respiro aulente di lei ed esplose.

Gambe e braccia e capo.

Rutilante di gioia il piccolo Sussurro gli fu accanto:le loro mani si strinsero, la terra e il cielo si fusero, miscugli disomogenei tesi a unirsi in una lega impossibile.                           

Il tocco di Oneiros completò ogni cosa,brasatura arcana che compenetrò i metalli di quelle vite e li rese  un tutt'uno,gelo e fuoco divenuti un miracolo.

-Alzati,Paladino della Regina.-Disse piano.-E servi colei che hai tanto amato.

La nuova creatura scivolò a terra con grazia,allemanda lenta e moderata che si apre alla vita:si guardò,bourée gonfia di suono nuovo e trillò,ciaccona ascendente conflagrante nella gioia più pura.

-Adoratissima!

Dissero entrambi.

E la risata di lei fu pioggia nel deserto.

Si alzò,togliendosi la catena d’argento dal collo,il ciondolo che danzava mentre  guardava il Re:

-Sergio?

Chiese semplicemente.

Ancora una volta il Signore di Feeria assentì:

-Così sia.

Disse piano,la sua mano che toccava lo Specchio delle Vite:il cristallo che palpitava di luce nuova. -Così sia.

E l’incantevole creatura rise,trillo di campanelle d’argento,suono di cascatelle scintillanti alla luce dell' alba,infilando il gioiello sul montante della Salvi.

Poi si volse,posando la mano in quella di Oneiros:

-Eccomi.

Il Re sfiorò le corde dell’arpa:dalla Porta d’Oro la luce si dilatò e li avvolse nel biancore.

In un buffo la Porta scomparve.

Un corpo cadde a terra,immoto.

Lunghi capelli di neve si sparsero sul tappeto.

 

Sergeji si ravviò i capelli brizzolati:l’età non aveva lasciato molti segni su di lui.

Aveva quasi quarant’anni quando aveva conosciuto Marie Paillard-Chevalier e ,nei trenta successivi,non  era cambiato molto..Forse era semplicemente impossibile invecchiare troppo accanto alla regina di Feeria..

“Tu sei un elfo.”

Scherzava Maya,uno scherzo che per lei era carico di significato,come il modo in cui lo chiamava quando gli era particolarmente vicino:Sergio imbevendo quella parola italiana di affetto e amicizia..

Ma non d’amore.

Pensò,mentre il sorriso moriva.

Quello,Maya lo aveva già donato ad un altro,nella notte dei tempi,quando la Creazione non sapeva ancora di esistere,quando gli uomini non si erano ancora affacciati ai sogni del Creatore stesso..

Il Re di Feeria.

Non un uomo ma un anelito divino contro cui lui non avrebbe mai potuto competere...

Accennò il Concerto in Si B di Haendel ,gli occhi socchiusi,le dita intente,rammentando il giorno in cui si era reso conto che la donna che lo ascoltava dal palco laterale era Marie Paillard-Chevalier,le guance scintillanti di pallidi diamanti d’acqua che suggerivano solo un’immensa tristezza.

L’aveva rivista nello stesso palco al concerto successivo:sempre sola,sempre triste,malinconica..E così,un concerto dopo l’altro,per tutta quella stagione,dedicata a presentare la produzione musicale quasi sconosciuta per arpa sola,l’aveva osservata,cogliendo le sottili differenze che la separavano dall’asettica e inumana fotografia in bianco e nero che campeggiava sulla bandella dei suoi volumi:gli occhi erano chiaramente castani,dai bizzarri riflessi verdi,grandi e colmi di amara mestizia,la pelle pallida,le labbra delicate.E i capelli assolutamente candidi:non chiari o biondi..No,proprio bianchi,come se una sofferenza immane avesse dilavato da lei ogni accenno cromatico.

Se sulla bandella appariva disumana,lì,in quel palco,nella semioscurità,era simile a un quadro dell’ultimo Tiziano,dove la lezione del Martirio di San Lorenzo,personaggi abbozzati dalla luce,mossi,sgranati,incerti, le pennellate volutamente imprecise,rapide,sembrava portata all’estremo,convulsa,drammatica,toccata da una morte che non voleva o non poteva allontanarsi.

Alla fine della stagione,mentre eseguiva la Passerini,abbandonato alla perfezione che le sue dita stavano tessendo,decise di fermarla.

Tra la musica delle foglie secche che scricchiolavano sotto ai loro piedi,danzatrici vorticanti nel pungente vento autunnale,le si era presentato,invitandola a cena,un artista ad un altro,visioni a confronto,sensi di umanità diversi che si andavano mescolando..

E quell’ineffabile senso di vuoto che li colmava che esigeva spiegazioni e parole.

Erano diventati amici,sempre che due esseri come loro,così immersi nelle loro utopie,potessero dirsi amici di qualcuno che non fosse loro stessi..

In quei pochi mesi,il suo senso musicale,già spinto all’estremo,si era come messo in risonanza con qualcosa che emanava da lei,ingigantendosi:le sue interpretazioni si stavano talmente arricchendo di emozioni inesplorate e inesplorabili da portarlo sulle vette della fama,quella gemma di fuoco raccolta in un tempo tanto lontano che ardeva con più vigore.

E la certezza,disperata,di amarla.

Di amare proprio lei,Marie:e non Marie Paillard-Chevalier,la celebre scrittrice.

Solo la pallida,quieta Marie con il suo animo colmo di segreti e i suoi occhi apportatori di visioni e araldi di vite perdute.

L’autunno stava svanendo,il rosso e il marrone e il giallo annullati nel biancore accecante della neve,il suo silenzio che risuonava di sinfonie perdute,quando,finalmente,decise di parlarle sinceramente.

La invitò a Baden .

Nella sua vecchia casa nella Schlossgasse,sotto lo sguardo eterocromo ed inquietante di Misha,seppe la verità.

Occhi di Drago.

La sua verità.La sua vita..

La romanza che la chiamava,una nota dopo l’altra a gravare il suo cuore umano di angoscia e desiderio,i lunghi anni trascorsi a consumare la sua umanità,la mente e l’anima che si tendevano all’unisono verso le Sfere,sino all’estremo dell’armonia,oltre l’Empireo e oltre ancora dove ogni mondo era disposto sul monocordo e suonato dalla Mano Creatrice ben oltre il concetto umano..Il modo in cui la sua stessa anima si era logorata in quel cammino ideale sino a trovare la Chiave e la Porta d’Oro..

Il lungo viaggio in Dolore che aveva lentamente usurato il suo cuore e l’aveva spezzato..Note che si affastellavano alle note,tocchi di pennello con colori che si compenetravano..La scaglia che diventava parte di lei.

E il Re.

Che l’attendeva con la trepidazione consacrata alla vita.

Sé stessa che diveniva sinfonia e arpa di quei sentimenti cosi potenti da essere quasi inenarrabili..

E poi il Velo,il Nulla e il Risveglio.

Sprofondata in una carne ormai fredda,in un cuore immoto,in un sangue che scorreva lento e pesante come piombo..

I suoi occhi inumani nella loro capacità di guardare oltre.

E il tormento consolante dello Specchio delle Vite di cui lei era nunzia già morta alla vita stessa.

Nel suo silenzio improvviso,nella fredda morbidezza amara di quel velo nero che dichiarava a gran voce la propria esistenza,Misha si era alzato a fissarlo.

L’occhio di terra lo aveva inchiodato.

La bizzarra creatura si era tesa,la testa inclinata a valutarlo,l’occhio azzurro che si univa all’esame.Poi,lentamente,l’essere/Misha era tornato ad accostarsi a lei,accovacciandolesi accanto,Paladino dedicato alla sua Regina.

Lui si era seduto all’arpa,suonando per lunghe ore,mentre le tessere del mosaico si ricomponevano e il suo ricordo si liberava ancora vivo nella sua mente.

“Conosco il luogo di cui voi dite..”

Aveva confessato poi.

Gli occhi della giovane donna si erano fissati nei suoi,lo sguardo inumano e pieno di eoni che avrebbe potuto avere un Drago.

E,per la prima volta nella sua vita,Sergeji aveva raccontato a qualcuno il proprio segreto.

Il piccolo pezzo di Feeria che gli era entrato nel corpo come una gemma di fuoco ardente,quando,bambino ancora,era sfuggito per un istante alla vista di suo padre.

Ricordava perfettamente la musica che si era avvolta intorno a lui,le bizzarre,splendide creature che intrecciavano danze nella penombra.

E la luce.

Della gemma rossa che rutilava come un piccolo sole.

Bellissima ai suoi occhi infantili.

Che gli imponeva di stendere la mano e toccare.

E lui aveva obbedito.

Le creature si erano fermate e avevano riso mentre il fuoco penetrava nella sua mano senza dolore,strisciava nel suo corpo e si annidava piano nel suo cuore.

Dinanzi ai suoi occhi un mondo era esploso per un istante eterno,la voce preoccupata del padre congelata in un richiamo angosciato.

Feeria la Grande ,in un lampo arroventato,si era impressa nei suoi occhi:da un confine all’altro,impressioni di meraviglie inumane,certezze di favole viventi,rimpianti e ricordi.

Null'altro.

Ma quando il tempo aveva ripreso a scorrere e suo padre l’aveva nuovamente preso per mano,si era reso conto che nulla sarebbe mai più stato uguale e che,qualcosa in lui averebbe sotteso in eterno verso quel centro ideale che non avrebbe più rivisto e che,ogni fibra del suo essere,avrebbe per sempre vibrato di Musica..

Di un modo nuovo e unico di sentirla,avvertirla e realizzarla.

L’infanzia era passata e lui era divenuto un musicista di fama e successo,uno dei pochi a scegliere uno strumento così inusuale e bello e,in parte,dimenticato,come l’arpa.

Aveva lasciato che il suono morisse,osservando con una stretta al cuore quei lineamenti così umani,assaporando la luce così disumana di quegli occhi castani sino ad esserne avvinto e spaventato..

Eppure la sua voce era rimasta quieta e gentile:

“Il tuo nome”.-Le aveva chiesto.-”Il tuo vero nome.”

Occhi di Drago.”

Gli aveva risposto,quel nome un manto di eterno che si posava sulle sue spalle,la fiamma della sua anima che ardeva feroce,straziando la moretta muta della sua carne…

“E’ un nome troppo bello per questo mondo..”-Le aveva risposto piano,la voce bassa gravida di tremore,improvvisamente conscio di tutto quello che lei era.-”E tu sei troppe cose per essere solo Marie.”-Tra le mani di lei il Velo luccicava di tutte le lacrime versate dal mondo,attirando il suo sguardo,lasciandolo in balia del gelo:per un istante la sua stessa umanità era stata sul punto di dilacerarsi in brandelli sparsi di sé stesso,poi,in un atto di volontà,il suo cuore aveva cercato i propri battiti,affogando lento in quello sguardo e,libera per un attimo dalle pastoie delle carne, la sua mente aveva compreso.-”Ti chiamerò Maya:creatrice di mondi celata allo sguardo umano  dal tuo stesso velo.”

“Non voglio mentirti..”-Le aveva detto poi.-”Io ti amo anche se so che tu non lo potrai mai..”

E lei aveva sorriso piano:

“Sergio.”

Gli aveva detto.

Custode.

Del suo segreto,della sua essenza.

 

Scosse il capo con tristezza,pensando agli anni trascorsi insieme,lui a suonare,portando all’espressione massima la sua carriera musicale,lei che fissava lo Specchio,le sue dita sottili che volavano sulla tastiera,aneliti di vita riportati all’esistenza,sussurri di mondi nuovi che giungevano a celarsi negli angoli della sua quieta stanza in penombra,un volume dopo l‘altro a creare leggende…

Marie Paillard-Chevalier,hariwald di vite e sogni.”,così l’aveva definita un critico letterario,usando volutamente l’antico termine franco che designava gli araldi dell’esercito:un araldo di vite in una lotta impari con un mondo che si beava sempre più della propria entropia.

E,in un certo senso,questa sua tensione verso l’armonia creatrice che era parte di lei,di Occhi di Drago,si era estesa anche a lui:il suo senso musicale si era ulteriormente dilatato al punto che,una sera apparentemente uguale a tutte le altre,si era accorto di poter leggere la musica che emanava da lei,una sorta di danza alchemica che trascendeva ogni possibile umanità,legandosi al monocordo delle sfere superne.

La sua mano si era bloccata sulle corde.

Intorno a sé l’armonia era risultata chiara e perfetta,le melodie che vivevano senza sovrapporsi ma inseguendosi piano in un eterno gioco di canti e controcanti che originavano la vita.

“Maya.”

Aveva sussurrato con voce strozzata.

Lei lo aveva fissato,il suo sguardo inumano che lo trapassava lento e implacabile,poi aveva sorriso in una maniera così umana da stringergli il cuore:

“Scrivimi.”

Gli aveva detto semplicemente.

E lui lo aveva fatto.

Le danze della Regina.

La sua prima raccolta di composizioni per arpa sola.

Definite dalla critica “Il capolavoro più innovativo della musica per arpa degli ultimi quarant’anni.”

Così,alla sua attività di concertista,si era affiancata quella di compositore.

Alle Danze erano seguite altre opere,ma a quella raccolta era particolarmente legato…

E,ogni volta che veniva intervistato sul suo lavoro o teneva seminari ai giovani musicisti,l’ultima domanda,quella più titubante,riguardava lei,la donna che le aveva ispirate,la sua compagna,la celebre Madame Paillard-Chevalier.

E,ogni volta,lui si limitava a sorridere.

Sapendo che mai sarebbe stata sua compagna.

 

“ E se lo fosse?”

Stava rientrando in casa dopo una prolusione al piccolo conservatorio della città renana in cui vivevano,la stessa dove l’aveva incontrata pochi anni prima,quando la voce gli aveva sussurrato all’orecchio.

Le chiavi di casa erano cadute nella neve.

Il cuoio nero una ferita suppurante nel biancore intatto dell’inverno.

Si era voltato bruscamente.

Nulla.

Solo il rapido crepuscolo di dicembre,la notte che iniziava a posarsi sulla neve.

Era rientrato rabbrividendo,il salotto buio,silenzioso.

Sola,una luce pallida fioriva dalla porta aperta della stanza di Maya.

Aveva posato la cartella di pelle sulla mensola del camino,togliendosi il soprabito nero e gettandolo sul divano.

“Maya?”

Aveva chiamato piano,entrando nella sua stanza,lo sguardo attirato dalla luce morbida di un paio di candele che ardevano immote accanto allo Specchio,il Velo intrecciato alla volute della cornice dorata a far ricadere ombre sull’antico cristallo veneziano,la sua Salvi che scintillava leggera accanto alla scrivania di lei.

Aveva gettato uno sguardo sullo Specchio,la nebbia opalina che vi vorticava incessante in figure che sembravano schiudersi ai suoi occhi,poi il suono della corda di V ottava di Do lo aveva fatto volgere all’improvviso.

La nota era risuonata immediata poi si era smorzata,lasciando il silenzio ancora più profondo e inquietante.

“Sergio?”

Così terribilmente umana,la voce di Maya,(No,Marie..Era troppo umana per essere  quella di Maya,troppo gravida di sentimenti..) lo aveva fatto girare verso lo specchio.

Nel cristallo i suoi capelli bianchissimi si stavano riempiendo di colori,bronzo cupo,rame scintillante,castagno intenso.

Un tremito convulso lo aveva scosso mentre arretrava piano,improvvisamente conscio di un freddo nuovo e insieme antico che stava invadendo la stanza vuota.

“Sergio.”

Gli occhi avevano perso la luce inumana degli eoni:erano solo castani e verdi e caldi.

“No!”

L’urlo gli aveva lacerato il petto.

“Perché no?”

Nello Specchio Maya,no..Marie..Si era fermata,immobile,la luce che la sfiorava come una mano attenta.

“Perché non dovrebbe essere così?”

Il bisbiglio aveva ripreso a muoversi intorno a lui,suadente,ragionevole,ombroso.

Inutilmente aveva cercato di girare la testa per guardarsi intorno e capire da dove proveniva:le sue membra erano divenute statiche,gli occhi costretti a dissetarsi della donna/creatura di cui si era innamorato.

Liscia e vellutata,la voce gli si era avvoltolata intorno,odorosa di trapasso e decadenza.

“Ciò che lei è sta consumando la sua carne e il suo sangue:sempre così..Sempre in ricerca,tesa a lui..E tu?”

Il silenzio gli si era posato addosso,cappa calda e morbida che teneva a bada un gelo nuovo.

Lei era tornata a muoversi,una vita che era solo un sogno..

O un incubo..

Una parte di lui riusciva ancora a pensare.

“No..”-Il tocco sussurrante aveva messo a tacere quel pallido pensiero.-”Guarda come potrebbe essere..Come dovrebbe essere.”

Mille aspidi si erano messi a sibilare accanto al suo orecchio,le lunghe code ad accarezzarlo,i movimenti di lei  una danza intorno a un uomo vestito di scuro,dai capelli neri,tagliati appena sopra le spalle:si era girato,le labbra schiuse in una risata,la mano di Marie..!..che scivolava delicata tra i suoi capelli,sfiorava la pelle del collo,si perdeva in una lunga carezza che sembrava non finire mai..La musica che taceva per lasciare il posto al presente.

La stretta delle vipere si era fatta più morbida e dolce.

“Vedi?”

Incapace di parlare,le lacrime che traboccavano dai suoi occhi,aveva teso una mano a voler toccare quel mare scuro e ardente…

L’immagine era sbiadita  all’improvviso,una falda del Velo nero che scendeva morbida ad annuvolare il cristallo,gocce di acqua salmastra che iniziavano a rigargli il viso in un ricamo angosciato.

Una testa triangolare si era posata sulla sua mano flaccida,stringendola a pugno,le dita che agghiacciavano intorno all’ampolla,vetro polare di freddo e neve e gelo.

“Poche gocce di oblio a cancellare la tristezza e l’angoscia..Un presente che attende..”

La stretta si era sciolta,gli aspidi che strisciavano via,le loro scaglie cornee e dure che arrossavano la pelle,il sibilo che si spegneva,come mai sussurrato,il suo pugno che ne serrava l’attimo.

Le gambe gli erano cedute,facendolo precipitare sullo sgabello,una mano che annaspava,le dita ad aggrapparsi alle corde dell’arpa,la dissonanza immediata e violenta.

Il tremito convulso lo sveva scosso per lunghi momenti,l’orrore di quel suono a disseccargli l’animo,quelle visioni a straziargli il cuore.

Poi la porta dell’ingresso che si apriva lentamente,lo zampettio bagnato di Misha,il ticchettio degli stivaletti di Maya..La mano che celava in tasca la fialetta mentre si alzava cercando di raccogliere i pezzi sparsi di sé stesso.

Si era affrettato ad accoglierla all’ingresso,sfilandole il cappotto nero,umido di neve,le labbra di lei che si schiudevano nell’ombra di un sorriso malato e gentile mentre lo salutava,chinandosi a sciogliere la pettorina del cane,l’husky che strofinava la grossa testa contro la sua spalla,l’occhio azzurro dolce,quasi tenero,lo sguardo di terra che si sollevava a fissarlo,la creatura che si sporgeva sospettosa,quasi avesse percepito il profumo di un non-luogo intorno a sé…

Maya lo aveva guardato per lunghi battiti del cuore,quasi a valutarlo:

“ Va tutto bene,Sergio?”

Gli aveva chiesto gentilmente.

Custode.

Imbevuto di affetto.

Lui era riuscito a sorridere:

“Pensavo di trovarti già a casa..”

La donna aveva arruffato il pelo nero del cane:

“Misha voleva correre..”

Si era scusata.

Il musicista aveva ricambiato il suo sguardo inumano,osservando il castano e il verde mescolarsi e imbeversi di ere passate:

“Preparo del the.”

Le aveva detto poi,dandole  il tempo di togliersi gli stivaletti e di indossare un maglione più pesante e morbido,lasciando che le sue dita  si stringessero con più forza del necessario intorno al bordo dello yuànbao,spezzettando le delicate foglie pressate  del Pu Ehr stagionato,scostando il Nei Fei della Kunming Tea Factory,raccogliendole poi con cura,due cucchiaini rigorosi che colmavano il fondo della teiera bavarese,l’acqua appena fumante che le soffocava,facendole rinascere nel profumo di terra bagnata di pioggia dello Yunnan.

L’aroma di sottobosco,persistente e deciso,lo accarezzava piano mentre prendeva le tazze e le posava sul vassoio.la boccetta una presenza ingombrante che urlava il suo bisogno di essere tolta dalla tasca,osservata controluce,il mogano intenso del liquido che imitava così bene quello del Pu Ehr.

“Non se ne accorgerebbe neppure..”

Si era ritrovato a pensare,gli occhi della mente che indugiavano sulla mano di Marie che scivolava tra i suoi capelli in una carezza mai ricevuta e così bramata..

La boccetta era rimasta inclinata sulla tazza per un lungo momento,il fluido che sembrava spumeggiare dal desiderio di versarsi e mescolarsi al the,poi gli occhi di quella Marie si erano fissati nella sua mente:castani,sfumati di verde,umani...Privi del mistero che apparteneva loro.

Privi del mistero che lo aveva fatto innamorare di quella donna bizzarra che sembrava sorta dalla schiuma del mare.

Le lacrime gli rigavano le guance, il pugno si serrava a spezzare la fialetta sottile,il liquido che evaporava in un sibilo,i frammenti di cristallo che si conficcavano nel suo palmo mentre consegnava al Re la donna che amava,Marie per sempre un semplice nome nella complessità di Occhi di Drago.

Una goccia di sangue stava scivolando piano dalla sua mano,ipnotizzandolo con il suo lento scorrere quando il passo leggero di Maya aveva spezzato il silenzio.

La donna gli aveva preso la mano,uno dei pochi tocchi che si era permessa di rivolgergli in quegli anni,aprendola quasi a forza.

Sergio…

Aveva mormorato,poi aveva preso una pinzetta e gli aveva rimosso i minuscoli vetri,togliendoli ad uno ad uno,osservandoli annichilirsi,il sangue che fumava,rosso e ardente.

Soltanto dopo averlo medicato gli aveva sollevato il viso con le dita fredde:

“Grazie.”

Lo aveva accompagnato al tavolo,servendo lei stessa il the.

Lo avevano bevuto in silenzio,il calore che scivolava sotto la pelle,lasciando una parvenza di vita in entrambi.

“Lo sai.”

Aveva constatato piano il musicista.

“L’ho saputo quando lo hai deciso...Di lasciarmi me stessa.”-Aveva assentito,la tazza tiepida tra le sue dita.-”Quando hai spezzato la fialetta:solo allora ho visto tutto.”

Sergeji aveva chinato la testa,i lunghi capelli neri un velo intorno al viso:

“Se io avessi deciso diversamente che avresti fatto?”

Lei lo aveva guardato,imperscrutabile,inumana:

“Avrei bevuto.”

La sua voce gli aveva fatto rialzare gli occhi ad incontrare i suoi abissi:

“Perché?”

Aveva chiesto sconvolto,sapendo cosa significassero quelle parole per lei.

“Perché ti ho fatto male..-Una pausa,la sua voce che acquisiva la pienezza di un dolore senza tempo.-Te ne ho fatto nel momento in cui ho accettato il tuo affetto pur sapendo che non avrei mai potuto ricambiare il sentimento che provavi per me.-La tazza si era posata sul tavolo,le ombre che sembravano popolarsi di coloro che la servivano.-Mi dispiace.”

Si era alzata per andarsene.

Non per tornare a scrivere,no..Proprio per andarsene,lui lo aveva intuito perfettamente.

Senza potersi fermare le aveva afferrato un polso,sentendo un baratro immenso spalancarsi dentro di sé,la musica divorata,l’umanità spezzata,l’anima infranta.

“Non andartene..-L’aveva supplicata adagio.-Ti prego..Lascia che ti custodisca.”

Occhi di Drago l’aveva guardato per lunghi momenti,i suoi occhi che gli scavavano dentro a valutare ogni singolo pensiero,ogni minuscola angoscia..

Poi aveva assentito,un cenno rapido che sapeva di campanelle trillanti mentre una lacrima le scivolava sul viso,colmando la frattura dell’anima di lui,la musica che rinasceva.

“Sergio.”

Custode.

 

E suo custode era stato per quegli ultimi trent’anni,proteggendo la sua natura schiva dalla curiosità che generava il loro rapporto,i suoi concerti le sole occasioni  in cui lei si mostrava in pubblico…Le loro giornate una condivisione di musica e armonia,la sua arpa e la tastiera del suo vecchio portatile,le passeggiate con Misha quando lui insegnava in conservatorio,il suo riserbo delicato quando gli accadeva di invitare alcuni dei suoi allievi più promettenti per proseguire con le lezioni,giovani musicisti che non potevano fare a meno di fissare il suo sguardo ed esserne assorbiti mentre la loro percezione della vita cambiava per sempre,la sua affezione sincera per il suo vecchio editore,la sola persona che frequentasse abitualmente la loro casa,gli inverni trascorsi a Baden..

Gli anni erano trascorsi così,in una serenità che sapeva di tristezza..Una tristezza che,in un modo strano,riusciva a consolare entrambi.

Per sempre soli.

Poi,un anno prima,la rottura di quel silenzio trillante.

Era iniziato come una serie di dolori osteoarticolari,senso di spossatezza,dolori violenti alla testa:una leucemia mieloide acuta di tipo primario.

Maya non aveva battuto ciglio.Colmo di stupore e anche di rabbia l’oncologo aveva ripetuto la sua condanna.

“Sono morta da così tanto tempo..”

Aveva risposto semplicemente lei,alzandosi con un movimento leggero e uscendo dallo studio.

Kunz non era riuscito a spostare lo sguardo dalla porta da cui lei era uscita.

Il musicista aveva posato la busta contenete l’onorario del medico:

“Quanto tempo?”

Aveva chiesto,la voce roca che denotava,forse per la prima volta da molti anni,il suo accento moscovita.

“Senza cure sette,dieci mesi,massimo un anno..”

L’aveva seguita,quelle parole una discromia che ‘premeva contro tutto il suo essere,raggiungendola alla macchina.

Aveva messo in moto,andando a casa con calma,la mente lucida che non voleva staccarsi dalla strada trafficata,consapevole del battito folle del proprio cuore e del silenzio che li avvolgeva.

Era entrato nel box,spegnendo il motore e girandosi a guardarla per la prima volta,la bocca colma di cenere:

“Perché?”

Lei aveva sorriso:

“Sono stanca,Sergio..-Gli aveva risposto piano.-Stanca di non sapere chi sono..Stanca di portare il peso di una vita non mia.”

Non aveva detto altro.

“Giurami solo che lotterai con tutta te stessa.”

L’aveva supplicata piano,aprendole la portiera e aiutandola a scendere.

Maya si era limitata a sorridere.

Così aveva deciso di annullare i suoi concerti e prendersi un periodo di riposo per rimanerle accanto,conservando soltanto le rare lezioni con quegli allievi che erano divenuti suoi amici e la sua attività di compositore,terminando l’incisione di alcuni dischi..

Maya aveva continuato a scrivere,osservando febbrile lo Specchio delle Vite,sopportando il dolore quando questo si era fatto violento,accettandolo come qualcosa di meritato,lei che non conosceva la pietà per sé stessa,così disumana anche in quel momento in cui tutto veniva dilavato tranne l’umanità..

Fece per bussare alla sua camera quando un buffo di luce intensa intagliò la porta dinanzi  ai suoi occhi.

Sergeji si sentì raggelare,riconoscendo la presenza di un non-luogo che conosceva bene:le corde della Minerva che teneva in salotto vibrarono bruscamente,una cascata dopo l’altra di note scintillanti.

Pallido come un cadavere spalancò l’uscio..

Vaga e tenue una luce scintillava nello Specchio.

Prima ancora che potesse cercare Maya i suoi occhi furono attirati da quel tremolante lucore.

Il cristallo immoto si turbò di lievi onde di nebbia,volute esangui che lo immobilizzarono,sfuggendo nella stanza,indugiando sulle corde della Salvi che teneva in camera di lei,dita lente e melodiose che creavano suoni sottili,sangue spumeggiante sotto la sua pelle,toccando attente la catena d’argento che vi era posata…

Il Velo fu turbato.

La nebbia si schiarì.

La musica di un’arpa che nulla aveva di umano si alzò,il Re teso ad arpeggiare,la melodia che si diffondeva dalle sue mani come una benedizione.

Sergeji ne riconobbe immediatamente gli accordi:il sovrano stava suonando Lei.

E lei danzò.

Occhi di Drago.

In tutta la sua bellezza.

Consacrando alla grazia tutto ciò che era stato distrutto.

Le lacrime gli rigarono le guance,le spalle sussultanti quando il ponte si spezzò,l’Abisso fu colmato,le Acque gravide di morte si quietarono,il tramaglio delle isole dell’Oblio si sciolse,i pellegrini abbandonati alla morte rialzarono il capo…

E una speranza fulgida cantò in Dolore quando la Regina perduta tese le mani sottili e delicate ad afferrare le frange nere di pianto,e le squarciò.

Il Velo si lacerò dall’alto in basso,il nero che mutava in bianco e oro e luce.il  suo lacerarsi un urlo acuto di rabbia mentre gli aspidi divenivano cenere al vento che sferzava tutta Feeria,il velo nero drappeggiato sulla cornice veneziana che si sbrindellava in lacerti screziati di candore.

Con un brivido la Terra Onirica si destò alla vita mentre la Regina danzava sulla musica di sé stessa:mozzo di una gigantesca ruota,l’Albero svettava sulle montagne,il marrone,il giallo e l’ocra della morte che lasciavano il passo al verde dello smeraldo,delle foglie di primavera accarezzate da sole,al tocco avido dell’estate che le accendeva di toni più intensi.

-Siate.

La voce del Re risuonò potente e chiara,colma di benedizioni,pioggia di vita e di incanto struggente,carezza di un futuro che stava diventando presente…

Poi Oneiros (perché la sua voce aveva portato con sé il suo stesso nome..) si voltò.

I suoi occhi di bufera e di cieli superni cercarono il suo sguardo.

-Custode.-Disse piano,imprimendo nel suo animo la sua stessa essenza.-Ascolta.

E il suo udito non fu più umano:la sua essenza si allargò oltre l’orizzonte e,per la prima volta in tutta la sua vita,la udì totalmente.

Completa,perfetta,armonica.

L’anima di Occhi di Drago.

Preludio alla Creazione.

Il mondo trattenne un respiro

Le lacrime scivolarono sul suo volto mentre,in qualche modo,lei che gli cantava al cuore danzando,Sergeji raggiungeva la porta finestra e la spalancava.

La gola gli si chiuse.

Singolo e bellissimo,un tocco di luce penetrò nella camera,freddo e meraviglioso:si posò sul corpo immoto di Marie,riverso a terra:la inargentò.

I suoi capelli candidi rifulsero di tutte le stelle del cielo:per un istante fu giovane,bellissima,radiosa.

Divina.

Maya.

Poi si sbriciolò,divenendo polvere sottile ed impalpabile.

Il vento la raccolse,portandola con sé.

Il mondo respirò.

Contro la luna piena si spiegarono ali di drago.

Sulle sue labbra si posò un bacio che sapeva di luce.


 












 

 










 
  
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