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Autore: M4RT1    28/03/2016    1 recensioni
Tenry | Flashfic | Raccolta
Dieci momenti di Teddy e Henry. Dieci curiosità che l'uno conosce dell'altra.
Henry avrebbe dato qualsiasi cosa per poter assistere a uno dei suoi stessi interventi. Per uscire dal suo corpo addormentato e sedersi in galleria a guardare sua moglie urlare ordini con la foga che metteva in certi litigi, oppure muoversi avanti e indietro per tutta la sala fino a essere mandata via, magari da Cristina Yang.
Genere: Angst, Fluff, Slice of life | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Henry Burton, Teddy Altman
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Settima stagione, Ottava stagione
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Ten things I know about you

#7- Quando ha la febbre, Teddy tende a innervosirsi facilmente

Fluff| Slice of Life | 1136 words




Teddy Altman si considerava un'esperta della medicina. Tra specializzazione, servizio militare e ospedali, poteva vantarsi (seppur a malincuore) di essere entrata a contatto con una serie quantomeno vasta di problemi di ogni tipo. Principalmente cardiaci, certo, ma non di meno era in grado di identificare quasi ogni genere di disturbo e di prestare le dovute cure a chi lo accusava. Proprio per quello, per la sua straordinaria abilità nel distinguere una banale influenza da un caso grave di polmonite, quella mattina aveva scelto di andare al lavoro nonostante qualche linea di febbre.

Non aveva considerato tuttavia la sua inesperienza in un campo ben diverso dalla medicina, sebbene altrettanto importante. E la sua palese incompetenza nel gestire relazioni amorose con persone diverse dai medici la portò a un errore che pagò  quella sera stessa, di ritorno dal lavoro.

Erano quasi le otto. La dottoressa aveva finito prima e, nonostante si sentisse abbastanza bene da offrirsi di dare un'occhiata ai pazienti del postoperatorio, Owen Hunt aveva insistito nel mandarla a casa e piazzare uno Specializzando al suo posto. Così, di buon ora, aveva tirato fuori le chiavi dalla borsa e aveva aperto la porta, pronta a godersi una serata di relax a letto con un bel libro. La scena che le si era parata davanti, tuttavia, era stata ben diversa da quella che si era figurata.

Per prima cosa, le luci del soggiorno erano accese. Era strano, considerando che Henry tendeva a starsene in cucina quando era solo in casa, ma la mente di Teddy non avrebbe neppure notato quel particolare se non fosse stato solo un contorno a ciò che davvero le risultò preoccupante: Henry.

"Come ti senti?"

Henry non le era mai sembrato una persona ansiosa. Era esuberante, allegro, disgustosamente ottimista anche al risveglio da un intervento che gli aveva tolto un rene e parte del pancreas, e forse un po' chiassoso. Quando era di cattivo umore tendeva a rabbuiarsi e starsene in silenzio per qualche ora mentre, se era preoccupato, poteva trascorrere anche una giornata intera a fare domande che calmassero la sua ansia. Ma mai l'aveva visto con quell'espressione.

Per prima cosa, era pallido. Non pallido come quando si sentiva male, piuttosto sembrava reduce da uno spavento. Se ne stava immobile al centro della stanza, in piedi, le mani infilate nelle tasche della felpa e gli occhi che si spostavano da Teddy al pavimento come se temesse che la donna svenisse da un momento all'altro. E poi c'era stata quella domanda detta con un tono a metà tra l'acuto e il finto allegro.

Teddy inarcò un sopracciglio, camminando lentamente verso l'uomo. "Sto bene" rispose, pacata. "Ho finito presto, oggi" aggiunse, tanto per cambiare argomento. Henry annuì.

"Hai la febbre" disse usando il tono che Teddy riservava alle brutte notizie. Non sarebbe stato un buon medico. 

"Trentasette gradi e otto, per la precisione" confermò Teddy. "Ma mi sento bene" continuò, tranquilla. Se il problema era la sua influenza, non aveva senso continuare a parlarne. "Tu come ti senti?" aggiunse, sorridendo.

Henry alzò le spalle, liquidando la domanda con un cenno del capo. Quando Teddy fece per dirigersi in camera da letto, però, scattò e le andò dietro a velocità preoccupante. 

"Ho pensato che potresti metterti a letto" le disse, seguendola fino all'armadio.

"Davvero?" rispose Teddy, lo sguardo che vagava all'interno del mobile alla ricerca di qualcosa di comodo. "Senza cena?"

"Ho pensato che potrei portartela io" continuò lui, la schiena appoggiata all'anta. Aveva recuperato una certa parlantina, ma sembrava nervoso. 

"Gentile da parte tua" esclamò Teddy, sorridendo. Scelse una felpa ormai scolorita e si sfilò velocemente il maglione. "Ma sto bene, davvero."

Henry non parve felice. Imbastì una smorfia contrariata e respirò profondamente, poi ricominciò a parlare. "Sì, lo so, ma hai la febbre. Potrebbe essere qualunque cosa, giusto? Anche io certe volte ho la febbre, e non è mai niente di buono" le spiegò velocemente, seguendola in corridoio.

Erano arrivati al bagno quando Teddy si voltò, sospirando.

"Henry, tu hai una malattia genetica che permette al tuo corpo di produrre tumori" spiegò, paziente. "Il che vuol dire che la febbre, in soggetti come te, ha almeno il trenta per cento di possibilità di essere sintomo di qualcosa di grave."

Henry si irrigidì. "Lo so" rispose solo. 

Teddy annuì, incoraggiante. Sapeva che non gli piaceva parlare della sua malattia e non poteva biasimarlo, ma proseguì. "La febbre può indicare un'infezione, una massa, un problema di genere ancora diverso. Ma nel mio caso, posso assicurarti che è solo influenza" concluse, seria. 

Fece per entrare in bagno, ma l'uomo non accennava a muoversi, così sorrise. "Hai intenzione di seguirmi anche qui dentro?" domandò, sforzandosi di suonare allegra. Se c'era una cosa che la febbre le portava era il cattivo umore, e non voleva sfogarsi su Henry. Dopotutto, era solo preoccupato per lei.

"No, ti aspetto in cucina" rispose lui, serio. 

Teddy scelse di fare un bagno. Generalmente optava per una doccia veloce, ma quella sera aveva bisogno di un po' di pace. E poi non voleva litigare con Henry e quella sera c'erano tutti i presupposti per farlo, quindi sperò che starsene tranquilla nell'acqua la aiutasse a sbollire un po' di nervosismo prima di affrontarlo. 

Quando uscì dal bagno, in effetti, si sentiva quasi calma. Scalza, percorrendo il corridoio, respirò profondamente prima di parlare.

"Henry" chiamò, dirigendosi in cucina. Sentiva freddo e aveva solo voglia di rintanarsi sotto le coperte, ma chiarire con lui le premeva più di terminare il romanzo iniziato quasi quattro anni prima e mai terminato per mancanza di tempo. "Scusa per prima, sono stata-"

Era arrivata in cucina. Si aspettava di trovare l'uomo seduto a tavola, magari con quell'aria cupa che non sapeva mai come far andar via, invece lui sorrideva. Ma non fu quello a sorprendere Teddy. Sul tavolo, davanti a lei, c'era una specie di torta. Non una torta vera, di pasticceria, piuttosto una di quelle che si cuociono con il preparato comprato al supermarket e l'agggiunta di due uova e un bicchiere di latte.

"Avevo fatto questa" le disse Henry, avvicinandosi a lei. "Sai, so di essere servante e logorroico. E so che hai solo l'influenza, ma non volevo che ti arrabbiassi. Volevo solo" si fermò un istante, come a cercare le parole. "Prendermi cura di te. Come fai tu con me. Lo fai spesso, considerando che ho una malattia genetica che permette al mio corpo di creare tumori, come tu mi hai gentilmente ricordato" rise appena. "Io non posso prendermi cura di te, in genere. Ma adesso sì. Quindi ti siedi qui e mangi questa splendida torta."

Teddy Altman poteva considerarsi un'esperta in medicina. Nella sua carriera aveva incontrato ogni tipo di paziente e ogni tipo di malattia, eppure c'erano cose di cui era totalmente all'oscuro. Cose che nessun medico, per quanto bravo, avrebbe potuto insegnarle. Una di quelle era quanto facesse bene stare con qualcuno quando ci si sente male. Quella sera, fu Henry Burton a insegnarglielo.



  
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