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Autore: Strega_Mogana    01/04/2009    3 recensioni
Le porte di tessuto bianco si aprirono.
Sgranò gli occhi. Il cuore sussultò dolorosamente
Era dolorosamente bella.
- Scritta per la sfida sangue sul MagieSinisterForum -
Genere: Triste, Malinconico, Drammatico | Stato: completa
Tipo di coppia: Shoujo-ai | Personaggi: Albus Silente, Lily Evans, Lucius Malfoy, Severus Piton
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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- Testimone -

Quella notte era afosa, come ogni notte di piena estate.
Il quartiere di Londra, ormai abbandonato a se stesso dopo che la grande fabbrica aveva chiuso, dormiva tranquillo all’ombra della ciminiera che, un tempo ormai troppo lontano per essere ricordato, aveva dato un lavoro a più della metà degli uomini e donne che vivevano nelle casupole che sorgevano ai suoi piedi.
Il fiumiciattolo inquinato scorreva placido e silenzioso; la superficie rifletteva come uno specchio il cielo punteggiato di luminose stelle. La luna era nascosta dalle poche nuvole presenti nel cielo scuro. Un gatto dal pelo ispido, di una strana sfumatura di grigio, si stava leccando le ferite riportate da una recente battaglia.
Un crack ruppe il silenzio e la quiete.
L’animale sollevò il muso dal taglio che si stava leccando mostrando l’unico occhio sano rimastogli.
Una figura ammantata di nero si guardò attorno. Malgrado il cappuccio che gli celava il volto si poteva benissimo intuire l’espressione di disgusto per il degrado e il sudiciume della zona.
Si incamminò verso la stradina di terra battuta che si addentrava nel quartiere.
Le case erano pressoché identiche. Tutte abbandonate a loro stesse, la maggior parte con finestre e porte sprangate da assi che stavano velocemente marcendo sotto l’umidità e gli atti di vandalismo dei ragazzi dei quartieri vicini. Svoltò l’angolo un paio di volte, costeggiando le abitazioni vuote. I passi echeggiavano per le vie deserte mentre procedeva a passo rapido.
Prese la bacchetta da una delle tasche interne del lungo mantello nero, come la notte che lo circondava, e mosse il polso con un gesto deciso. La luce dorata illuminò una targa affissa al muro scrostato. Sotto lo strato di polvere stantia c’erano incise solo due parole: Spinner’s End.
Il mago annullò l’incantesimo e rimise la bacchetta nella tasca.
La lunga via procedeva a zig zag tra le case; la presenza incombente della ciminiera della vecchia fabbrica rendeva il buio più intenso, opprimente negli angoli più nascosti. Alcuni lampioni erano rotti, altri andavano ad intermittenza. Se fosse stato un comune, inutile ed insignificante Babbano avrebbe immediatamente paragonato l’atmosfera ad un film dell’orrore della peggior specie. Proseguì tranquillo, ignorando gli occhi gialli degli animali che, nascosti dentro le case, lo scrutavano con attenzione attraverso le fessure tra le assi cercando di capire se fosse una minaccia. Camminò spedito fino all’ultima casa; l’unica che presentava qualche segno di vita umana al suo interno.
La luce filtrava da dietro le tende bianche del piano terra. Un vaso di terracotta era rovesciato accanto alla porta; la terra aveva sporcato tutto il primo gradino di pietra.
L’uomo sollevò il bastone da passeggio con l’impugnatura cesellata a forma di serpente e colpì l’uscio tre volte.
Non rimase molto in attesa, la porta si aprì mostrando il salottino arredato in modo spartano.
Senza aspettarsi un invito entrò e richiuse la porta alle spalle.
Ai suoi occhi, non abituati ad un simile squallore, la casa sembrò minuscola. Decine di libri aperti, apparentemente a caso, erano sparsi sul pavimento, sul divano liso e sulla poltrona davanti al camino spento. Fece qualche passo all’interno del soggiorno guardandosi attorno. Dei rumori provenienti dal piano sovrastante gli fecero alzare il capo. Il cappuccio scivolò liberando la chioma bionda; gli occhi glaciali indugiarono su una macchia gialla d’umidità. Osservò il soffitto per qualche istante come se potesse vederci attraverso poi si avviò alle scale che conducevano al piano superiore; sorvolò sui piatti sporchi che vide riposti in una pila storta nel lavello della cucina e salì le scale con eleganza, senza fretta e senza preoccuparsi di non fare rumore. In fin dei conti l’altro lo stava aspettando.
I suoni provenivano dalla porta in fondo al lungo corridoio dove si affacciavano altre tre porte chiuse. Uno spiraglio di luce si intravedeva da sotto l’uscio. Man a mano che si avvicinava un odore pungente gli arrivò alle narici costringendolo a reprimere una smorfia disgustata.
La mano guantata afferrò il pomello annerito, dall’interno arrivavano rumori confusi: passi frettolosi, vetro che cadeva a terra e un borbottio sommesso che non presagiva nulla di buono.
Il mago girò il pomello e aprì la porta.
L’aria era appesantita dall’odore di chiuso e dai fumi delle pozioni. L’uomo estrasse un fazzoletto di seta bianca e lo mise davanti al naso.
Severus Piton stava lavorando freneticamente ad una pozione. Sembrava che non si fosse accorto della sua presenza.
Chino su un calderone mescolava il liquido con attenzione e maestria borbottando quella che, alle sue orecchie, gli parve una leggera litania.
O, forse, era del tutto uscito di senno.
Il consueto mantello nero e la casacca erano abbandonati sul piccolo letto a singola piazza posto dall’altra parte della stanza; sul comodino vi erano i restii un fugace pasto molto probabilmente risalente al giorno prima. La scrivania era piena di boccette, coltelli sporchi, bilance e polveri di cui non conosceva le proprietà. Il pavimento era tappezzato di vecchi tomi rilegati in pelle marrone, frammenti di vetro e pergamene con calcoli e stralci di appunti. In un paio di punti c’erano macchie di una sostanza verdognola non meglio definita.
- Santo Salazar, Severus! – sbottò il mago osservando il disordine, la voce ovattata dal fazzoletto premuto sulle labbra – Da quanto tempo non esci da questa stanza?
- Non sono affari tuoi, Lucius. – rispose con tono atono l’altro continuando a mescolare – Hai portato quello che ti ho chiesto?
Lucius Malfoy non era mai stato incline ad eseguire gli ordini, ma per Severus poteva anche fare un’eccezione. Aveva visto all’opera il suo compagno in più di un’occasione ed era giunto alla conclusione che era meglio avercelo come amico che come nemico. Entrò nell’angusta stanza stando attento a dove metteva i piedi; quando arrivò alla scrivania estrasse un astuccio rosso da una delle tasche e lo appoggiò nell’unico posto dove non c’erano cianfrusaglie sporche e potenzialmente pericolose. Non era saggio sottovalutare le pozioni di Severus.
- Mi è costato più di cento galeoni. – spiegò, riponendo il fazzoletto al suo posto, ormai abituato all’odore pungente – Spero che ne farai buon uso.
- Nel primo cassetto c’è un sacchetto con delle monete, - replicò l’altro continuando nel suo lavoro – dovrebbero bastare. Nel caso non siano sufficienti tra un paio di giorni ti darò la cifra restante.
Lucius aprì il primo cassetto e prese il sacchetto di velluto verde indicatogli. Soppesò il contenuto: le monete tintinnarono al suo interno producendo un suono melodioso. Valutò che dovevano esserci ben più di cento galeoni.
Infilò tutto nella tasca interna senza controllare.
- Se avevi i soldi perché hai chiesto a me di recuperare questo ingrediente?
- Hai abbastanza potere per incutere un certo timore. – Lucius fece un ghigno compiaciuto – Ero certo che le tue conoscenze mi avrebbero fatto avere quell’ultimo ingrediente in poco tempo e senza troppe domande.
- Bastava nominare il Padrone e avresti avuto cento fiale di sangue di Testro.
- Preferisco usare il buon senso e la prudenza. Sei hai finito puoi andare, mi dispiace non essere un buon padrone di casa, ma ho molto da fare prima che la pozione sia pronta.
- Cosa stai preparando? – domandò Malfoy fingendo interesse allungando appena il collo per vedere meglio l’intruglio color palude che bolliva nel calderone di peltro annerito dal troppo utilizzo.
- Questi non sono affari tuoi. Non hai una giovane moglie che ti sta aspettando nel talamo nuziale?
Un fine sopracciglio biondo si inclinò leggermente verso l’alto, un angolo della bocca si mosse formando un lieve ghigno.
- Sei geloso?
Per la prima volta da quando era arrivato Severus alzò lo sguardo dalla pozione. Se non avesse avuto la scrivania dietro la schiena, Lucius Malfoy avrebbe indietreggiato di un passo, intimorito dall’occhiata dell’amico.
Ripensando all’accaduto mentre tornava a casa, nel suo perfetto mondo luccicante, si ritenne fortunato se l’Anatema che Uccide non poteva esser scagliato senza bacchetta altrimenti, oltre a tutte le schifezze sparse per il pavimento, ci sarebbe stato anche il suo corpo privo di vita.

***

Severus osservò Lucius uscire dalla sua vecchia stanza, poi tornò a concentrare la sua attenzione al calderone. Quando udì la porta d’entrata richiudersi con un tonfo sordo sbuffò infastidito.
- Idiota. – mormorò scuotendo il capo mestamente – Non ti sei neppure accorto che quelle erano monete dei Lepricani.
Sollevò lentamente il mestolo di legno e osservò la consistenza della pozione.
Non era pronta.
Ormai ci stava lavorando da giorni; ininterrottamente.
Se i suoi calcoli erano corretti, e lo erano sempre, doveva essere pronta in un paio di giorni; dandogli così il tempo necessario per organizzare il tutto, anche nei più insignificanti particolari.
Mescolò a velocità constante il composto per altri quaranta minuti osservando le impercettibili variazioni di colore del liquido che solo un occhio esperto e attento avrebbe notato, assaporandone l’odore pungente e cercando di trovare il momento più adatto per aggiungere l’ultimo ingrediente. Il più importante di tutti. Quello fondamentale.
La pozione che stava preparando era estremamente complicata, ci stava lavorando da mesi, modificando la formula originale, cercando soluzioni ad ogni genere di problema che poteva insorgere.
Tutto questo per poterla usare una sola volta per qualche ora.
La formula l’aveva trovata per caso in un vecchio libro di pozioni appartenuto al nonno e che sua madre aveva recuperato dalla casa natia prima che scappasse con un Babbano.
Tobias Piton. Suo padre.
Ma ormai era solo questo ai suoi occhi: uno stupido Babbano.
Quel libro fu un’ottima fonte di informazioni e utili consigli. Aveva trascritto molti degli appunti sul libro di testo di scuola, molti altri accorgimenti li aveva inventati lui lavorando e studiando sodo.
Ma quella pozione era un capolavoro di maestria.
Mescolò ancora un paio di volte poi si fermò soddisfatto.
Con il braccio indolenzito si asciugò il sudore dalla fronte; i capelli neri si attaccavano al volto sudato e accaldato dalla presenza così vicina del fuoco. Poggiò il mestolo sul tavolo che aveva trasportato dalla cucina e si avvicinò alla scrivania senza curarsi del liquido che gocciolava sul pavimento.
Prese il cofanetto e osservò la pelle rossa che lo rivestiva, assaporando il profumo e la morbidezza sotto i polpastrelli. Fece scattare la piccola serratura e l’aprì.
La fialetta era posta nel centro, protetta da un’imbottitura rivestita di velluto nero. Il liquido al suo interno sembrava argento fuso. Con delicatezza ed estrema attenzione sollevò la fiala con due dita, si avvicinò al fuoco e mosse leggermente il liquido con un gesto del polso.
- Ti conviene che sia veramente sangue di Testro, Lucius. – borbottò togliendo il tappo di sughero che chiudeva il recipiente.
Lentamente e con movimenti circolari versò l’ultimo ingrediente. Il liquido argentato creò grandi spirali mescolandosi appena con l’altro composto.
Sembrava che non stesse funzionando.
Severus stava già per smaterializzarsi da Malfoy quando la pozione divenne di un intenso azzurro.
Il mago sorrise compiaciuto. Chiuse il calderone con un coperchio e abbassò le fiamme del fuoco fino a lasciare delle braci che bruciavano appena.
Sembravano pulsare come un cuore. Le iridi nere fiammeggiavano riflettendo la luce rossastra del fuoco morente.
Mentre la pozione finiva di bollire, il mago si avvicinò alla finestra di quella che era stata la sua camera. Lanciò una veloce occhiata all’angolo sulla destra; tra il letto e l’armadio, che conteneva solo vestiti di seconda mano sempre troppo grandi, si nascondeva quando le urla del padre lo svegliavano nel cuore della notte. O quando sentiva sua madre piangere nella camera accanto. Si rannicchiava in quell’angolo tappandosi le orecchie quando era piccolo; uccidendo le mosche quando era più grande.
Il vetro rifletté la sua immagine, ma non vi fece caso.
Non amava guardarsi allo specchio.
Osservò il paesaggio desolato ai suoi piedi.
Odiava quella casa.
Avrebbe voluto farla in mille pezzi, distruggere tutto quello che lo rendeva indegno, sporco e privo di significato.
Gli occhi neri percorsero le stradine deserte ricordando quando correva alla ricerca di un luogo lontano, dove le urla di suo padre non gli giungevano orecchie. O dove il pianto della madre non pesava sulla sua anima già dilaniata dal dolore che sentiva nella voce di quella donna.
Quando neppure il suo rifugio tra l’armadio e il letto bastava. Quando le grida erano talmente forti da far vibrare le assi di legno del pavimento facendolo rabbrividire dalla paura. Scosse il capo, ricacciando negli angoli della sua mente l’immagine di sua madre seduta sul letto, un occhi nero e un fazzoletto sporco di sangue tra le mani.
Percorse il profilo di una piccola collinetta non molto distante. Una collinetta solitaria dove, in cima, vi era un’altalena. Un luogo magico. Dove una bambina dai lunghi capelli rossi e dagli occhi di smeraldo si dondolava fino a voler toccar le stelle.
Appoggiò la mano al vetro nascondendola dalla vista.
- Devo andarmene da qui. – mormorò chiudendo gli occhi e appoggiando la fronte sul vetro freddo della finestra – Troppi ricordi dolorosi… troppi…
La mano scivolò sul fianco, Severus guardò di nuovo la collina. Quel piccolo luogo dove risiedeva il suo cuore. Il suo posto speciale.
Dove non vi erano urla. O macchie di sangue da lavare via con le lacrime.
- Troppi ricordi… - mormorò prima di voltarsi per ripulire la stanza.

***

Il mago osservò la pozione nel calderone. Ne era rimasta poca. Riempiva appena un bicchiere. Funzionava, l’aveva sperimentata su un cane randagio del quartiere e, per essere più sicuro, anche su gatto pelle e ossa che cercava del cibo attorno alla casa.
La parte che restava era per lui. Osservò l’orologio appeso alla parete: aveva ancora tempo.
Ripassò a mente il piano ed ogni mossa da eseguire, compresa quella di fuga in caso fosse stato scoperto. Si preparò lentamente, senza frenesia, indossando il suo abito migliore, quello che la madre gli aveva comparto per il diploma. L’ultimo suo regalo.
L’ultimo gesto d’amore ricevuto.
Aveva sistemato la taglia con un incantesimo e aveva smacchiato il mantello nero utilizzando un detergente magico trovato in fondo ad uno degli armadietti del bagno.
Chiuse le fibbie d’argento sulle spalle e versò con un mestolo d’acciaio la pozione in un bicchiere. Nelle ultime ore di lavorazione il colore della pozione aveva assunto diverse tonalità di celeste, fino a quando il colore era sparito del tutto, lasciando solo un liquido trasparente. Cristallino come l’acqua.
Guardò di nuovo l’orologio: era arrivato il momento.
Osservò la pozione attraverso il vetro del bicchiere e la bevve tutto in un solo lungo sorso.
Fece una smorfia disgustata mentre riponeva il bicchiere sul tavolo. Era fermamente convinto che ogni pozione dovesse avere un sapore sgradevole per poter funzionare meglio.
Si appoggiò allo schienale della sedia che aveva accanto e aspettò.
I primi fastidi non arrivarono subito. Iniziò a anche a pensare che la pozione non avesse effetto sugli umani.
Dopo svariati minuti, in cui aveva iniziato a ripassare a mente ogni passaggio cercando l’errore, iniziò a sentire un leggero prurito ai piedi. Un fastidio sopportabile, come se qualcuno gli stesse solleticando la pianta dei piedi con una piuma. Quando il prurito si fece più intenso abbassò lo sguardo in tempo per vedere le sue scarpe sparire. Si osservò le mani mentre diventavano trasparenti, intravedendo i mobili attraverso il corpo traslucido. Quando si tastò il volto era già svanito.
Corse verso lo specchio nella camera dei suoi genitori. Il suono dei passi ruppe il silenzio che regnava tra quelle mura da troppo tempo. Spalancò la porta della stanza e arrivò al mobile da toilette, lo specchio era coperto da un lenzuolo ingrigito.
Lo tolse con un colpo deciso. Se qualcuno fosse stato nella stanza avrebbe potuto pensare ad uno scherzo del vento.
O ad un fantasma.
La sua immagine non si rifletteva nello specchio.
La pozione aveva funzionato non solo sul suo corpo ma anche su ciò che indossava al momento. Era completamente invisibile e impossibile da scoprire dagli altri maghi.
Nulla e nessuno poteva accorgersi di lui.
Un sorriso invisibile si dipinse sul volto. Scese le scale e diede un’ultima occhiata all’orologio appeso, aveva ancora molto tempo a disposizione. Poteva fare tutto con assoluta calma, in fondo la sua meta non era poi così lontana.
Si concentrò sul posto che doveva raggiungere. Sapeva che avrebbe dovuto fare un pezzo a piedi ma non se ne preoccupava. Conosceva fin troppo bene il percorso che doveva fare.
Visualizzò la meta. Si concentrò e fece un mezzo giro su se stesso Smaterializzandosi.
Il viaggio duro pochi attimi, quando il mondo attorno a lui smise di vorticare riconobbe una visione famigliare che gli strinse lo stomaco per qualche secondo.
Hogsmeade non era poi così diversa dall’ultima volta che vi aveva messo piede.
Alcuni negozi erano chiusi ma, la maggior parte del villaggio, era proprio come ricordava.
Il borgo era pressoché deserto. Non c’erano gli studenti ad affollare le strade e gli abitanti della zona preferivano uscire verso sera quando il calore era cessato, lasciando posto alle fresche serate inglesi.
Severus si incamminò per le stradine note, incontrando solo qualche passante che non si accorse della sua presenza.
Cercava di camminare senza troppa fretta per non alzare della polvere che avrebbe potuto incuriosire qualcuno ma, dall’altra parte, voleva arrivare il prima possibile.
Mentre si avvicinava all’obbiettivo, il cuore aveva iniziato a battere più forte. Iniziò a sentire della leggera musica e, poco a poco, iniziò ad incrociare molta più gente. Tutti vestiti in modo elegante e con gradi pacchi che fluttuavano sopra le loro teste.
Hogwarts iniziò a sorgere solo dopo qualche minuto. Maestosa ed imponente si ergeva in tutta la sua bellezza.
Severus si fermò. Il castello gli aveva sempre messo una certa soggezione. Quel luogo aveva rappresentato per lui gli anni più belli della sua vita ma anche i più brutti, quelli che avevano creato l’uomo che era ora.
Non più Mocciuosus, non più lo studente da prendere in giro.
Ma un mago temuto.
Un mago portatore di morte. Dispensatore di dolore.
Si grattò distrattamente l’avambraccio sinistro poi continuò per la sua strada.
Giunto ai cancelli si fermò di nuovo.
Non era un giorno qualunque ed era certo che Silente avesse messo degli incantesimi di protezione attorno al castello. Esaminò il grande cancello di ferro brunito cercando una trappola o solo un incantesimo di riconoscimento. Restò parecchi minuti, analizzando ogni particolare, ma senza trovare nulla di significativo. Fece un profondo respiro e oltrepassò la soglia; pronto a scappare se l’effetto della pozione fosse svanito all’improvviso.
Non accadde nulla.
La pozione era veramente perfetta.
O forse Silente non si sarebbe mai aspettato un attacco diretto.
Invisibile e con passo svelto, attento a non calpestare l’erba troppo alta e premurandosi di seguire le strade che altri maghi avevano percorso, si avvicinò alle serre dove un tempo aveva passato i suoi pomeriggi chino nel fango e nel concime intento a curare le erbe per le sue pozioni.
Il parco era stato abbellito con gazebi bianchi, sotto ogni gazebo c’erano dei tavoli rotondi. Bouquet di lilium bianchi e rose dorate, incantate sicuramente dalla professoressa Sprite, adornavano le tavole; archi degli stessi fiori formavano un lungo corridoio tra numerose sedie fino ad arrivare all’altare dove un cerimoniere stava parlando con Silente.
Severus si avvicinò ancora di qualche passo. Non voleva correre rischi inutili così si fermò sotto un albero lì vicino e si appoggiò al tronco.
Il sole faceva brillare, in modo quasi fastidioso, ogni oggetto o tendaggio dorato.
Aveva sempre odiato la luminosità dell’oro.
Non seppe mai per quanto tempo rimase inattesa. Osservò ogni mago e strega entrare nel parco del castello, riporre un grande pacco nell’unico gazebo privo di tavoli rotondi, ma con solo un grande tavolo rettangolare simile a quello in Sala Grande, per poi salutare Silente e sedersi sulle sedie traballanti nel parco.
Conosceva quasi tutti i presenti, volti che aveva visto nella Gazzetta dal Profeta, altri che ricordava dai tempi della scuola.
Quando la maggior parte delle sedie fu occupata, il portone principale della scuola si aprì.
Severus socchiuse gli occhi nel ritrovare un vecchio nemico mentre sorrideva con quel suo ghigno strafottente. Accanto a lui gli amici di sempre.
La mano destra scattò verso la bacchetta riposta sotto il mantello nero, ma si trattenne restando fermo sotto l’albero.
Immobile. Quasi senza respirare.
James Potter camminava lungo il corridoio sotto gli archi di fiori, salutando tutti quelli che conosceva. I capelli spettinati, gli occhiali sempre con quelle odiose lenti rotonde e quello sguardo da vincitore che aveva sempre trovato detestabile.
Dovette fare un altro sforzo per fermare la mano che stava accarezzando il legno di mogano della bacchetta.
Il suo corpo si muoveva di’istinto, ricordando la loro prepotenza.
Le umiliazioni subite. L’orgoglio ferito.
Ferite che non si sarebbero mai rimarginate.
Dietro di lui Black e Lupin camminavano più lentamente indossando completi blu scuro, all’occhiello delle giacche una rosa dorata.
Minus, come al solito, chiudeva le file, indossava un vestito di un orribile marrone scuro e si guardava attorno con una strana espressione, come se fosse spaventato da qualcosa o solo infastidito dalla presenza di tanta gente.
Potter, tronfio di orgoglio e arroganza, arrivò da Silente che lo abbracciò con calore.
Il mago nascosto sotto le fronde dell’albero fece una smorfia disgustata che nessuno poté vedere.
Ci fu un brusio di impazienza. Silente andò a sedersi in prima fila. I musicisti smisero di suonare quella straziante musica di accompagnamento e si misero in attesa.
Severus si staccò dal tronco dell’albero e allungò il collo verso l’unica tenda chiusa agli invitati.
Ci volle poco.
Le porte di tessuto bianco si aprirono.
Sgranò gli occhi. Il cuore sussultò dolorosamente.
Lily uscì dalla tenda indossando un semplice vestito color avorio. I capelli erano raccolti in un’elaborata acconciatura, catturavano la luce del sole, brillanti fili di rubini che splendevano.
Era dolorosamente bella.
La marcia nuziale risuonò nel parco, mentre le donne iniziavano a prendere i fazzolettini dalle piccole borse coordinate col vestito.
Gli occhi di Severus, neri e profondi come l’oblio, fissarono la donna, mentre camminava lentamente verso il suo sposo.
Ogni passo che faceva verso di lui, verso l’odioso Potter, era un passo lontano dal suo cuore e dalla sua anima.
Seguì con lo sguardo ogni suo movimento. Ogni leggero gesto all’apparenza insignificante.
Era come un assetato nel deserto. E Lily era la sua acqua.
Inutile fingere di non amarla. Di non desiderarla.
Lui sapeva benissimo quello che provava.
Peccato aver rovinato tutto con una parola.
Black diede una pacca sulla spalla all’amico. Felice per lui. Per tutti loro. Per qualche ora era accantonata la guerra imminente. La paura e i pericoli nascosti dietro una tenda color oro.
Lily si avvicinò a James. Gli prese la mano.
Severus voleva urlare dalla disperazione. Sentiva il cuore battere in petto. Forte come un tamburo.
Il cerimoniere iniziò a parlare, discorsi frivoli sull’amore e sull’unione.
Lui non ascoltava. Nelle orecchie solo il battere incessante del cuore straziato dal dolore. Fissava la donna che amava più di qualsiasi altra cosa, rimpiangendo ogni scelta fatta. Maledicendo il giorno che aveva iniziato ad amarla. E benedicendolo nello stesso istante perché aveva capito cosa significava vivere.
Strinse i pugni. Le unghie conficcate nei palmi pallidi.
I due sposi si presero le mani.
Severus strinse il labbro inferiore tra i denti impedendo a qualsiasi suono di uscire dalle labbra.
Lasciando che il dolore restasse dentro di lui.
Il mago fece oscillare la bacchetta. Un filo di luce avvolse i polsi dei due giovani sposi.
Un filo spinato avvolse, invece, il suo cuore.
Quando le loro labbra si unirono in un dolce bacio d’amore, Severus avrebbe voluto chiudere gli occhi, eliminare quella scena da suoi ricordi. Ma si impose di guardare. Di fissare cosa aveva perso per la sua stupidità. Ricordare ogni minuto di dolore per non dimenticarla.
Voleva vedere il suo sorriso.
Anche se rivolto ad un altro.
Voleva vedere la luce dei suoi occhi.
Anche lontano da lui.
Voleva vederla felice.
Anche se non era con lui.
Avrebbe voluto piangere. Disperarsi. Invece restò fermo a guardare. Le gambe ormai indolenzite e il labbro inferiore tagliato. In bocca l’amaro sapore del sangue e della sconfitta.
L’aveva persa. Per sempre perduta.
Per sempre di un altro.

***

Il tramonto stava calando alle spalle del maniero.
Le ombre si allungavano sul prato con l’erba tagliata di fresco.
Gli invitati stavano lasciando il castello. Lasciavano quel luogo di felicità per scontrarsi con la dura realtà. Con la guerra che macchiava di sangue la terra ogni giorno.
Severus era ancora sotto l’albero. Le labbra rosse, il viso pallido, anima e cuore dilaniate dal dolore. Il suo tempo stava per scadere, ma non poteva lasciarla. Non poteva andarsene di nuovo.
Lily stava parlando con delle ex compagne. Rideva.
La sua risata cristallina arrivava fino a quell’albero solitario.
Severus sospirò. Sopraffatto dal dolore.
Avvertì una presenza alle spalle, ma non si voltò. Non voleva abbandonarla.
- Non dovresti essere qui. – fece Silente pacato fissando, apparentemente, il vuoto.
Non rispose.
Lily rise più forte.
Il suo cuore si strinse in petto versando altre lacrime.
Lacrime che nessuno poteva vedere.
- Sei sempre in tempo, Severus. – continuò il vecchio mago facendo un passo un avanti – Non tutto è perduto.
Lily e James avevano ripreso a ballare. Il loro sguardo era traboccante d’amore.
Abbassò gli occhi verso le sue mani.
Anche se invisibili poteva vedere benissimo il sangue che aveva iniziato a macchiarle. Perle rosse che lambivano la sua carne.
Indegno. Sporco.
Marchiato per sempre dal sangue delle sue vittime.
Giovane eppure già colpevole.
Alzò di nuovo lo sguardo.
Lily ere bella nella sua innocenza. Nel suo candore.
Lui non aveva neppure il diritto di sfiorarla.
L’avrebbe macchiata con lo stesso sangue che macchiava lui.
- Sì, invece. – pensò tristemente, il groppo in gola era troppo doloroso, sentì le unghie graffiare i palmi – Io non potrò più renderla felice.
Osservò ancora la strega. Un ultimo sguardo. Un ultimo ricordo.
Un ultimo attimo in cui sperare di cambiare tutto. Cancellare il passato con un colpo di bacchetta. Pulire anche le sue mani tinte di rosso.
Diede le spalle al castello e si incamminò verso l’uscita. Sorpassò Silente senza dire nulla. Lasciandolo solo con le sue stupide convinzioni sull’amore.
Per lui non c’era amore. Non c’era speranza.
Non c’era niente.
Solo sangue.
Camminò per le stradine di Hogsmeade fino al negozio di Zonko poi si Smaterializzò.
Quando entrò nella sua casa l’effetto della pozione era finito.
Salì le scale fino alla sua camera. Ogni passo era pesante. Ogni instante senza di lei insopportabile.
Entrò nella piccola cameretta. Tutto era tornato come prima.
Osservò il suo riflesso sul vetro.
L’espressione dura. Risoluta. Priva di emozioni.
Me dentro il suo cuore urlava disperato. Sanguinava, ferito da quell’amore che aveva gelosamente custodito. Un amore che si era trasformato nella lama affilata di un pugnale. Un pugnale per sempre conficcato nell’anima.
Era questo e nulla portava più cambiarlo.
Allungò lo sguardo verso la collina.
Il sole era del tutto calato. In cielo si vedevano gli ultimi residui di luce che formavano scie viola e rosa.
Severus appoggiò la fronte sulla fredda superficie.
Fredda come il suo cuore senza Lily.
Fredda come la lama sporca del suo pugnale.
Chiuse gli occhi e rimase ad ascoltare il pianto del suo cuore spezzato.

FINE


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