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Autore: murdershewrote    28/03/2016    2 recensioni
L'unica cosa che può far piegare all'ingiù il perenne ghigno del Joker è l'assenza della sua nemesi, quasi fosse morta anche una parte di se stesso.
Genere: Angst, Drammatico, Malinconico | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Joker
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Batman R.I.P.

Il Joker se ne stava sprofondato su una poltrona di pelle marrone, logorata dal tempo, posizionata davanti ad un piccolo televisore impolverato. Teneva un braccio in grembo a reggere l’altro e il capo inclinato da un lato, tutto intento a massaggiarlo con un paio di dita guantate.
Che la vita lo avesse preso in giro lo aveva già capito da molto tempo ormai. Ma quella era davvero la beffa più ridicola che gli stava mettendo in conto.
“Ancora nessuna traccia del Cavaliere Oscuro. Ha abbandonato i cittadini di Gotham? Gli è forse successo qualcosa? Fonti molto in alto hanno messo in circolazione voci di un possibile decesso dell’uomo che per anni si è preso cura della nostra città e che…” così stava dicendo il giornalista del notiziario locale.
Batman deceduto. Ridicolo!
Poteva esserci battuta più triste di quella?
Col suo bel mantello e tutti i suoi gingilli non aveva mai perso tempo a farsi vivo per gli stupidi abitanti di Gotham. Che poi, perché li avesse così a cuore proprio non lo capiva.
In quel momento fece il suo ingresso nella piccola stanza dove si era mestamente rifugiato il Joker un uomo stempiato dai capelli biondo cenere e la barba incolta. A seguirlo, un omaccione alto e robusto, pelato ma con un paio di folti baffi scuri.
Il primo esordì dicendo “Capo, gli uomini sono pronti per andare…” ma il Joker lo interruppe.
“Sono confuso, Bob. Che senso ha organizzare tutte queste feste se poi lui non viene?”
“Beh capo, probabilmente ormai ha paura di lei, capo!” rispose lo scagnozzo, terminando l’assunzione con una rauca risata da fumatore. Accanto a lui, Lawrence confermò annuendo vigorosamente e mettendo in mostra i due incisivi sotto i baffi.
“Paura di me? Non dire idiozie, lui non teme nulla! E poi perché dovrebbe? Noi ci divertiamo insieme, sì, ci divertiamo un mondo!” esclamò alzandosi di scatto dalla poltrona.
“Quando balliamo posso vedere i suoi occhi scintillare per l’emozione, sai Bob?” aggiunse facendo un paio di piroette su se stesso, poi si fermò e guardò il suo tirapiedi con occhi colmi di preoccupazione.
“Pensi che si sia stancato di me?” chiese con tono esageratamente affranto.
Bob non aveva idea di cosa rispondere. Cosa dire ad uno fuori di testa che avrebbe potuto tranquillamente farti saltare le cervella per una qualunque risposta negativa o che non gli andava bene?
“No, capo, no! Forse deve solo preparare un colpo particolare che attiri la sua attenzione e farlo tornare in pista!” propose in fretta, lisciandosi nervosamente la corta barba ispida, sperando di averlo convinto o quantomeno distratto dal revolver che aveva appena estratto da una tasca della giacca. Il Joker guardò l’arma, poi Bob, poi di nuovo l’arma. Infine sorrise.
“Hai ragione, Bob, proprio ragione” disse, improvvisamente eccitato “devo organizzare il più bel colpo mai visto a Gotham, una sorpresa davvero speciale per Batsy!”
La pistola che teneva in mano prese a volteggiare pericolosamente mentre l’uomo gesticolava.
“Dovrei dare un bel party e invitare qualche pezzo grosso, tipo il sindaco, il caro commissario Gordon… magari l’intero dipartimento di polizia!” prese a elencare mentre faceva avanti e indietro per la stanza di fronte ai due uomini.
“Tieniti pronto e avverti i ragazzi: abbiamo un pacco da consegnare!”
Andò verso la porta e si fermò sulla soglia dicendo “Batsy rimarrà contento...!”
Quella era un’affermazione ma chiunque, anche un ascoltatore poco attento come Bob, avrebbe colto l’insicurezza nella voce e visto lo sguardo perso a fissare malinconicamente un punto indefinito di fronte a sé. Anche il sorriso parve vacillare per un istante.
Poi si riscosse, distese il più possibile l’inquietante ghigno e lasciò la stanza, non prima però di aver fatto fuoco a casaccio col revolver.
Bob serrò gli occhi istintivamente ma non provò nulla. Accanto a lui, invece, il povero Lawrence cadde a terra con un tonfo.


*****

Il sole stava sparendo, quasi del tutto nascosto dai palazzi mentre timidamente e con incertezza i lampioni cominciavano ad accendersi lungo le strade. Una di queste, stranamente poco trafficata rispetto alle altre rumorose e congestionate, portava all’unico parco della città degno di questo appellativo. Sebbene a volte fosse il ritrovo di piccoli spacciatori e di signorine ben poco vestite, costituiva comunque una rigogliosa oasi verde contro il grigiore del degrado che affliggeva la città.
In quel momento il sindaco si trovava su un palchetto allestito proprio al centro del parco per inaugurare una fontana dedicata alla memoria di chissà quale fondatore della città, o qualcosa del genere. Insomma, era l’ennesimo evento cittadino che avrebbe dovuto suscitare l’interesse della popolazione ma che invece pareva aver attirato solo pochi curiosi e qualche ragazzino che già si trovava lì per giocare. Nonostante quel basso consenso, il sindaco non sembrava scoraggiato e continuava ad osannare la bellezza del monumento e delle piccole cose che avrebbero potuto sicuramente salvare Gotham. Una manciata di poliziotti, oltre agli uomini del sindaco, controllava la situazione supervisionati dall’onnipresente commissario Gordon. Era tutto tranquillo, fin troppo, ma agli agenti pareva non importare, continuando a spostarsi pigramente lungo il perimetro del palco e qua e là nel parco.
“E dunque, cari amici, io ritengo che finora l’arte di Gotham sia stata ampiamente sottovalutata e che è giunto il momento di riscattarla come merita...” stava dicendo il sindaco quando una voce acuta e leggermente stridula si levò dalla folla.
“Ha perfettamente ragione signor sindaco, sono pienamente d’accordo con lei!”
“Chi è? Chi ha parlato? Si faccia avanti, prego. È bello avere dei cittadini impegnati!” disse il sindaco rivolto alla folla, cercando con lo sguardo chi avesse parlato.
Allora un uomo cominciò a farsi largo tra la gente. Era alto e piuttosto smilzo, con un elegante trench viola dal colletto sollevato e un cappello dello stesso colore calato sul volto. Nessuno sembrò farci particolarmente caso e l’uomo raggiunse il palco senza difficoltà.
“Prego, prego! Si avvicini pure!” continuò il sindaco tentando di scrutare il viso dell’uomo. Riattaccò il microfono all’asta facendolo fischiare un poco e si approssimò al bordo del palco per accogliere l’uomo misterioso. Fu solo allora che si accorse di un particolare che gli fece gelare il sangue nelle vene e riconoscerlo all’istante: un enorme e inquietante sorriso. Come un lungo solco gli tagliava il volto da un orecchio all’altro, tanto era disteso. Era il suo tratto distintivo ma quando il sindaco se ne rese conto ormai era troppo tardi.
In un attimo si trovò con le mani bloccate dietro la schiena e un revolver puntato alla tempia mentre i poliziotti, colti alla sprovvista, cominciarono a brulicare come formiche impazzite andando a formare un cordone intorno al palco. Allo stesso modo, gli scagnozzi del Joker uscirono allo scoperto e presero a loro volto posto circondando gli agenti e, spaventata la folla, misero in bella vista il loro arsenale di pistole e mitra.
“Fate qualcosa, per l’amor del cielo!” urlò il sindaco con voce malferma.
Un giovane agente, evidentemente fresco di accademia, si apprestò a salire sul palco ma il Joker lo fermò dicendo “Io non lo farei se fossi in te, ragazzo” e aprì l’impermeabile mostrando un grosso telecomando, poi aggiunse “I miei ragazzi hanno disseminato il parco con tanti bei pacchettini colorati. Vogliamo fare una caccia al tesoro? O forse dovrei dire te-so-ret-to? AH! AH! AH!”
La risata stridula risuonò potente e il clown non poté trattenersi dal battersi ripetutamente una mano sulla coscia facendo trasalire tutti, compresi i suoi uomini, al pensiero di cosa sarebbe successo se avesse inavvertitamente urtato i tasti sul telecomando. O il grilletto del revolver.
“Joker! Lascialo andare!” urlò deciso un poliziotto facendosi cautamente strada tra agenti e delinquenti, che lo fecero passare senza toccarlo solo perché lo identificarono come il commissario Gordon.
“Oh, Jim!” esclamò il Joker mentre con una manica si asciugava le lacrime, ultimi strascichi della risata “Aspettavo proprio te!”
“Cosa vuoi Joker?”
“Andiamo Jim, così mi deludi...” disse a mo’ di rimprovero scuotendo il capo.
“Cosa? Parla chiaro e forse troveremo un accordo” disse Gordon mentre il sindaco annuiva spasmodicamente.
“Sai bene cosa voglio. Io voglio danzare e per farlo ho bisogno di lui!” rispose sognante.
Il commissario parve iniziare a capire ma chiese nuovamente “Chi? Chi vuoi?”
“Per diamine Jim... voglio Batman! Batman, mi hai capito?”
“Ma... è impossibile, non c’è più!”
“Sì, sì... ho sentito la notizia alla tv ma secondo me questi giornalisti raccontano solo frottole!” disse stringendo la presa sul sindaco.
La voce era stata calma e precisa ma Gordon colse l’ombra del dubbio nascosta in quell’affermazione, quasi stesse chiedendo conferma direttamente a lui.
“No, ascolta, è tutto vero. Ho dato io stesso l’informazione alla stampa!”
“Non sei affatto divertente... forse dovrei insegnarti qualche battuta simpatica!”
“Davvero, ascoltami ti prego...” insistette il commissario.
“NO!” sbottò improvvisamente il Joker “Questo non posso accettarlo!”
Di colpo incollerito, colpì il sindaco alla nuca con il calcio della pistola facendolo stramazzare privo di sensi sul palco. Poi sparò un colpo in aria e iniziò a chiamare la sua nemesi.
“Dove ti sei nascosto, Batman? Su, esci fuori!” urlò in un misto di rabbia e implorazione.
Tutti i poliziotti puntarono le armi contro di lui, ora che non c’era più pericolo di colpire il sindaco, ma Gordon fece segno di non muoversi e disse ancora, ormai esasperato “Tu non capisci, non vuoi capire: è morto, non verrà più!”
Il Joker smise di guardarsi intorno. Fissò il commissario in silenzio.
Le cose stavano così, eh?
Allora forse era il caso di iniziare i festeggiamenti senza di lui. Magari avrebbe cambiato idea e sarebbe giunto all’improvviso, ricambiando la sorpresa! Sì, sarebbe andata così. Dopotutto Batsy non aveva mai mancato un appuntamento.
Vivevano l’uno per l’altro.
Il clown sorrise.
Prese il detonatore dall’interno del trench, sollevò il braccio e prima che qualcuno potesse intervenire premette il grosso bottone rosso al centro del telecomando, aprendo così le danze. Una serie di esplosioni si susseguirono a distanza di qualche secondo l’una dall’altra scatenando il panico tra i pochi civili rimasti e i poliziotti.
Agli occhi del clown, però, quello era il più bello degli spettacoli: l’aria si riempì di gas esilarante dalle tinte viola e verdi, colori che Gotham negli anni aveva imparato a temere, cosicché le persone non ferite direttamente dagli scoppi e dalle schegge che schizzavano da tutte le parti scappavano mescolando urla di terrore a risate incontrollabili.
Mentre infuriavano gli scontri, il Joker scese dal palco e prese a camminare lentamente. C’era troppa confusione perché qualcuno si concentrasse su di lui così, seppur spintonato qua e là, raggiunse il centro della piazza e vi si fermò. Allora sentì un forte pizzicore al petto, poi un altro. Guardò di fronte a sé per incontrare lo sguardo spalancato del giovane poliziotto che poco prima lo voleva ingaggiare e che ora gli stava puntando contro la pistola con mani tremanti per l’adrenalina – o la paura – che gli scorreva in corpo. Abbassò gli occhi sul suo petto, dove una chiazza scura si stava velocemente espandendo macchiandogli il gilet di seta verde bottiglia. Scosse il capo e disse “Diamine ragazzo... hai idea di quanto sia difficile levare questo tipo di macchie dai tessuti senza stracciarli? È un lavoraccio...!”
Fece qualche passo incerto verso il giovane il quale, deciso a fermarlo, rispose sparando un terzo colpo, riuscendo nel suo intento. Il Joker si piegò in avanti e scosse una mano in segno di resa.
“Ok, ok... Ho capito. Chiaramente non ne hai idea... ma devo ammettere che sei coraggioso, ragazzino...” aggiunse quasi senza fiato.
Detto ciò, l’ennesima esplosione separò i due scaraventandoli da parti opposte. Il Joker perse la presa sia sul telecomando che sul revolver e, ritrovandosi sdraiato sulla schiena, stette a fissare il cielo ormai tendente al viola scuro con brillanti striature arancioni. Erano proprio dei bei colori e lui, modestamente parlando, aveva sempre avuto buon gusto.
Sentì un familiare sapore ferruginoso risalirgli in bocca e nel naso mentre un fastidioso bruciore gli tormentava il capo. Un rivolo di sangue gli percorse un sopracciglio per poi appannargli l’occhio, velandolo di una calda patina rossastra. Si era ferito alla testa.
Ma in realtà era come se stesse piangendo.
Così come il suo cuore, che stava sanguinando, non faceva altro che urlare tutto il proprio dolore.
“Preparati Batsy, sto arrivando...” disse sorridendo.
Un sussurro, poco più che un bisbiglio nel frastuono intorno a lui.
La risata, resa roca dal groppo che aveva in gola, lo fece sobbalzare leggermente. Poi si quietò, ormai libero.
Ed ecco che il Clown, il Principe del crimine, sentì la vita scorrergli via mentre il suo sorriso vermiglio, più vivido che mai, sarebbe rimasto lì dispiegato per sempre.
Per lui.







Credits: Joker e Gordon appartengono a Bob Kane e alla DC, mentre Bob e Lawrence sono liberamente presi dal film di Burton - credo appartengano, quindi, a lui - 
Note dell'Autrice: Questo è il mio tributo al Joker, uno dei miei personaggi preferiti in generale, nonchè villain preferito in assoluto. Ho voluto descrivere quello che secondo me è il suo conflittuale rapporto con Batman, questa sorta di amore-odio tra i due, tema che nella graphic novel "Arkham asylum: una folle dimora in un folle mondo" è ampiamente affrontato da un punto di vista sia psicologico che sessuale. Qui mi sono concentrata sulla psicologia del personaggio ma mi piace l'idea di un bisogno quasi fisico che hanno l'uno dell'altro (qui solo il Joker). Piccola precisazione: quando Joker viene colpito al petto (ben tre volte, come sono crudele!) è chiaro che soffra molto ma ho parlato solo di 'pizzicore' perché in quel momento è troppo preso dal tormento interiore per accorgersi della gravità delle ferite (come è comunque probabile che faccia uso di medicinali e/o droghe). E... basta. Spero di aver saputo esprimere al meglio la sua meravigliosa psiche contorta!
   
 
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