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Autore: sissi149    29/03/2016    5 recensioni
Nel Principato di Yomiuri Land, a prima vista, tutto scorre tranquillamente, senza grossi problemi. In realtà il Principe Legittimo è partito da più di un anno per un viaggio senza meta, seguendo uno strano individuo che un giorno si era presentato al castello. Il compito di governare è affidato al fratello e al fedele Sovrintendente, ma il primo è da qualche tempo colpito da misteriosi malori.
Nella foresta, invece, si sta formando un gruppo agguerrito di Ribelli, deciso a porre fine ad alcune crudeli decisioni dell'ultimo periodo prese dalla casa reale.
Tra gli schieramenti trovano posto anche la serva del Signore del Caos e la devota alla Dea dell'Armonia. In più, un tradimento è dietro l'angolo...
[I personaggi sono più di quelli indicati nello specchietto, dove il massimo è 5]
Genere: Avventura, Fantasy | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Ed Warner/Ken Wakashimazu, Genzo Wakabayashi/Benji, Jun Misugi/Julian Ross, Kojiro Hyuga/Mark, Koshi Kanda
Note: AU | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'Poemi di Yomiuri Land'
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Mastro Takasugi impugnava saldamente le redini della coppia di cavalli che trascinava il carro con le nuove armi per la Guardia Reale, fischiettando allegramente un motivetto goliardico. Il viaggio fino a Naniwa era stato lungo e stancante per via del caldo, ma l'accoglienza e, soprattutto, la cucina della moglie del suo vecchio amico Taichi, artigiano del legno, erano stati la giusta ricompensa. Davanti ad un bell'arrosto ed un boccale traboccante di birra del sud, i chilometri percorsi erano diventati irrilevanti. Purtroppo però, quello era un viaggio ufficiale e non una vacanza: due giorni dopo era dovuto ripartire per riportare alla Cittadella il prezioso carico di spade e scudi di nuova concezione.

L'Armaiolo interruppe il suo svago quando sentì il rumore di cavalli sulla strada, facendosi attento: da quando si era svegliato per coprire l'ultima tappa del suo viaggio, aveva la strana sensazione che sarebbe successo qualcosa. Tese le orecchie: il suono degli zoccoli era ritmico e veloce, le cavalcature procedevano al galoppo e si avvicinavano, come se gli venissero incontro. Shingo fermò il carro e fece scivolare una mano sull'elsa della sua spada, riposta accanto a sé e pronta per ogni evenienza. Si trovava in una posizione svantaggiosa, era nel mezzo della salita sulla collina e non poteva vedere l'altro versante e chi percorreva il sentiero. Per giunta era contro sole.

Ogni muscolo dell'uomo era teso a fronteggiare l'eventuale nemico che sarebbe sbucato dalla sommità della collina. Due sagome apparvero e si fermarono a loro volta.

Takasugi strinse le dita attorno all'arma, pronto a levarla.

"Shingo! Finalmente ti abbiamo trovato!"

"Temevamo ti fossi fermato a Naniwa a rimpinzarti con Nakanishi!"

Nel riconoscere le voci l'Armaiolo tirò un sospiro di sollievo, sciogliendo le spalle.

"Taki! Kisugi! Dannati voi, mi avete fatto prendere un colpo!"

I due compagni lo raggiunsero e lo affiancarono, ridacchiando.

"Visto che Wakabayashi aveva ragione a mandarci incontro al carico di armi: il vecchio Shingo sta perdendo colpi se si spaventa per così poco."

Hajime scosse la testa, lanciando una mezza occhiata di rimprovero all'amico.

“Ridi pure Teppei! – ribatté Takasugi, approfittando della breve fermata per prepararsi la pipa – Vedremo se sarai ancora di buon umore quando attraverseremo la Gola.”

Il soldato perse di colpo la sua allegria.

La Gola era il punto in cui il sentiero si snodava accanto alla parete est di un piccolo sistema montuoso, che sorgeva quasi al limitare della Foresta Meiwa. Era la via più veloce per raggiungere la Cittadella per chi proveniva da Sud, in passato molto usata dalle carovane di mercanti, ma, da quando la Foresta era diventata la sede dei Ribelli, i viaggiatori preferivano un percorso più lungo, all'aperto nelle campagne. Se qualcuno avesse voluto attaccare il carico d'armi quello era il punto ideale.

Taki spostò con una mano il ciuffo dagli occhi, pensieroso, mentre riprendevano la marcia:

“Ci siamo passati da poco e sembrava tutto tranquillo. Del resto il Capitano ci ha mandato apposta per aiutarti in caso di bisogno. Ultimamente i Ribelli si sono fatti più sfrontati, e decisamente più organizzati, anche se dubito che sappiano del rifornimento di armi.”

Teppei annuì vigorosamente:

“Dovrebbero avere una spia all'interno della Guardia.”

Shingo esalò una boccata di fumo:

“Per come la vedo io quel Napoleon potrebbe benissimo fare il doppio gioco per altri suoi amichetti di Azumachi. Ingaggiare dei Sicari nella Guardia, al Reggente ha dato di volta il cervello!”

“Shingo, stai attento, potresti essere considerato un traditore per queste affermazioni!” Lo ammonì Hajime, cercando di evitare all'Armaiolo di cacciarsi nei guai. Questo si strinse nelle spalle.

“Chi vuoi mi possa sentire qui? Anzi, ti dirò di più: piuttosto che queste armi vengano usate da quella feccia arrivata da Azumachi, preferirei perderle da qualche parte.”

“Magari perché non le diamo direttamente ai Ribelli?” La voce di Kisugi aveva un accento sarcastico fortissimo.

“Teppei, tu sei ancora giovane e impulsivo, ma se ti fermassi a osservare meglio, noteresti che, per quanto siano dei fuorilegge, i Ribelli hanno un codice d'onore più elevato dei nostri nuovi compagni. Anche se non ci vuole molto per essere migliori di loro.” Aggiunse con una punta di cattiveria.

Sia Hajime che Teppei avrebbero voluto ribattere all'affermazione del più anziano Takasugi, ma l'ingresso della Gola si spalancò davanti al gruppetto, ponendo una temporanea sospensione al discorso. Alla loro sinistra si stagliava la ripida parete della montagna, di roccia nuda, mentre a destra c'erano gli alberi della foresta Meiwa.

Si inoltrarono cautamente lungo lo stretto sentiero, Hajime davanti al carro e Teppei in retroguardia.

“Sembra quasi che la foresta ci stia osservando.” Sussurrò quest'ultimo.

“Adesso chi è quello che perde i colpi?” Sentenziò Takasugi, riportandosi poi la pipa alle labbra.

Proseguirono senza intoppi fino ad un mucchio di massi caduti a lato della strada in seguito ad una frana, quando un uomo ricurvo su un bastone si fece loro incontro.

“Fermatevi! Aiutatemi!”

“Che succede?” Domandò Hajime, spostando lo sguardo a destra e a sinistra nel tentativo di scorgere qualcosa in più.

“Io e il mio compagno di viaggio, siamo stati attaccati da un paio di banditi, poco più avanti. Ci stanno derubando di tutte le nostre poche merci. Con questa siccità sono la nostra unica speranza di sopravvivenza!” Disse lo sconosciuto, tutto d'un fiato, le gambe che tremavano vistosamente.

Taki si voltò verso i compagni e decise:

“Vado io a vedere di che si tratta, voi restate qua al sicuro. Un paio di banditi non dovrebbero essere un problema anche se sarò solo. Tornerò presto.”

Partì al galoppo e dopo pochi istanti sparì dietro una curva del sentiero, anche il rumore degli zoccoli dei cavalli si affievolì a poco a poco.

“Posso... Posso sedermi un attimo sul carro?” Chiese l'uomo, sempre esitante.

Shingo era molto dubbioso, qualcosa nel suo istinto gli diceva di non fidarsi, nonostante non notasse pericoli apparenti. Annuì lentamente e si spostò per fargli spazio.

“Grazie, grazie molte. - Lo sconosciuto si accomodò – Che bella pipa avete.”

“Uh, sì, è un vecchio cimelio di famiglia, apparten..” Mastro Takasugi non riuscì a finire la frase, si trovò un corto pugnale puntato alla gola e lo sconosciuto che ora parlava con tono molto più fermo.

“Vedi di fare quello che ti diciamo noi e non ti succederà nulla!”

“Noi?”

“Shingo!” Teppei estrasse la spada dal fodero per gettarsi in soccorso dell'amico, ma una freccia lo colpì precisamente alla mano che impugnava l'arma, costringendolo a mollare la presa. Il suo cavallo si imbizzarrì e lo scaraventò a terra, fuggendo poi nella stessa direzione verso cui si era allontanato Hajime.

Improvvisamente uomini apparvero dagli alberi e da dietro le rocce, circondando i due soldati.

“Ribelli!” Esclamò Takasugi.

“Occupatevi del carico, all'uomo a terra penso io!” Disse uno dei Ribelli, alto e con dei lunghi capelli.

Kisugi cercò di raggiungere la sua spada, dopo aver estratto a fatica la freccia dalla mano in cui si era conficcata, ma l'uomo che aveva parlato la allontanò con un calcio. Il soldato si alzò e si preparò ad affrontare il nemico a mani nude: non si sarebbe arreso tanto facilmente, era pur sempre un componente della Guardia Reale.

I due uomini iniziarono a tirarsi calci e pugni, tuttavia il Ribelle sembrava avere un addestramento dello stesso livello, se non superiore rispetto al soldato, con il risultato che ben presto Teppei si ritrovò pieno di lividi.

Intanto Mastro Takasugi era costretto ad osservare i fuori legge svuotare il carro di tutto il suo preziosissimo carico. Ogni volta che cercava di reagire o di tentare di fare qualcosa divincolandosi si ritrovava il pugnale del suo aguzzino sempre più vicino alla gola, finché un rivolo di sangue cominciò a scorrergli lungo il collo.

“Hanji, ti serve aiuto con quello?”

“No, ce la faccio da solo! Dopo il suo ultimo tentativo di liberarsi credo che se ne starà buono. Pensa al tuo compito Ryo!”

Presto il carro fu vuoto e i Ribelli sparirono nella foresta con la refurtiva. Rimanevano solo quello di nome Hanji e quello che stava combattendo con Teppei.

“Urabe, credo che i nostri compagni abbiano fatto abbastanza strada, andiamocene anche noi!”

“D'accordo Ken!”

Hanji diede uno spintone all'Armaiolo e saltò velocemente giù dal carro, infilandosi tra gli alberi.

Con un moto di orgoglio Shingo si rialzò e tentò di inseguire i due uomini, ma la foresta era troppo fitta e sconosciuta per lui: dovette desistere e tornare indietro.

Si avvicinò a Kisugi, ancora accasciato a terra:

“Teppei, come stai?”

“Sono stato meglio! - Ribatté il soldato – Qualche ammaccatura, niente di più, e la ferita alla mano. Tu, piuttosto, che hai fatto alla gola?”

Shingo si portò istintivamente una mano al collo.

“Solo un taglietto superficiale. Vieni sul carro e andiamo a cercare Hajime, scommetto tutto quello che vuoi che anche lui è caduto in una trappola.”

Teppei annuì, issandosi vicino al posto di guida, preoccupato per l'amico.

Trovarono Taki poco più avanti, legato e imbavagliato, ma per il resto incolume.

“I Ribelli ci hanno proprio fregati alla grande!” Commentò quest'ultimo, una volta salito sul carro.

“Già, avevano un piano ben congegnato!” Teppei strinse nervosamente il pezzo di tessuto con cui stava cercando di tamponare la mano.

“Soprattutto sembravano essere bene informati sul carico e sui tempi di trasporto.”

“L'unica cosa che non capisco è perché non ci abbiano uccisi, ne avrebbero avuto tutte le opportunità, erano in superiorità numerica schiacciante ed erano pure riusciti a separarci.”

Shingo sospirò e si rivolse ai due compagni più giovani, spezzando il silenzio che aveva mantenuto fino a quel momento:

“È esattamente quello che intendevo dire prima a proposito del senso dell'onore: i Ribelli avrebbero benissimo potuto eliminarci o conciarci molto peggio di così, ma non era il loro obiettivo. Puntavano alle armi e noi eravamo solo un ostacolo, si sono limitati a tenerci a bada in modo che non interferissimo. Questo è un codice d'onore, non far male se non necessario! I nostri nuovi compagni invece non avrebbero esitato ad ucciderci. E ora muoviamoci.”

L'Armaiolo diede uno scossone alle redini e fece rimettere in marcia i due cavalli.

“Il Capitano non sarà per niente contento di questa faccenda, per non parlare del Reggente.” Commentò Hajime con amarezza.

“Sapete – aggiunse Teppei – non sono proprio convinto che i Ribelli ci abbiano fatto un favore a non ucciderci.”

 

 

 

 

 

 

Il Capitano della Guardia Reale serrò i pugni e li sbatté violentemente sulla scrivania circolare, in un misto di emozioni tra l'incredulità e il furioso:

“State scherzando, spero per voi!”

“Purtroppo no, signore.”

I tre soldati di fronte a lui abbassarono la testa, mentre il Vice Capitano, leggermente scostato rispetto a loro, li osservava a braccia incrociate scuotendo il capo con disappunto.

“Volete dirmi che il mio Armaiolo e due dei miei Soldati Scelti, inviati appositamente per proteggere il carico d'armi, se lo sono fatto fregare sotto il naso come una banda di reclute al primo giorno d'addestramento?”

Wakabayashi era fuori di sé dalla rabbia e i tre uomini sotto accusa si facevano ad ogni momento più piccoli, avrebbero voluto che una voragine si aprisse nel pavimento dello studio e li facesse sprofondare, lontano da quella vergogna. Teppei per un momento si ritrovò a pensare che la diserzione forse sarebbe stata un disonore minore e poteva scommettere che i pensieri di Hajime non fossero così diversi dai suoi. Nonostante ciò, fu proprio Taki a rompere il silenzio che si stava dilatando in maniera opprimente:

“È stata un'imboscata!”

“E molto ben congegnata. – Prese coraggio Mastro Takasugi – Prima ci hanno divisi senza destare sospetti e poi hanno agito prontamente.”

Mamoru sbuffò spazientito:

“Ma voi avreste dovuto sospettare qualcosa! Chi di questi tempi attraversa la Gola senza un'adeguata protezione?”

“Qualcuno disperato dalla fame! - Ribatté Hajime che cominciava ad accalorarsi – Non sai come con questa siccità molti dei villaggi stiano soffrendo? Molti raccolti sono stati persi o compromessi e non mi pare che la politica del Reggente stia aiutando a ris...”

“Adesso basta! Ho sentito a sufficienza!” Tuonò Genzo, alzandosi in piedi con impeto e zittendo la discussione. Fece alcuni passi verso il centro della stanza, fermandosi alcuni istanti davanti a ripiano dove era posizionato il suo elmo da parata e notando come la piuma rossa si stesse scolorendo e avesse bisogno di essere sostituita.

“Allora, - esordì appoggiando le mani sui fianchi – i Ribelli hanno colpito con troppa sicurezza e organizzazione per essersi trovati per caso sulla vostra strada. Se non vi conoscessi e non vi avessi addestrati personalmente, sospetterei qualcuno di voi di tradimento, soprattutto tu Taki!” Il Capitano puntò un indice accusatore contro il soldato.

“Dopo queste ultime tue affermazioni sul nostro Signore, qualcuno potrebbe avere dubbi sulla tua lealtà!”

“Ma... ma... Io...” Hajime riuscì solo a balbettare qualche parola confusa in risposta.

“Non è nostro compito giudicare l'operato del Reggente, né nel bene, né nel male.” Mentre pronunciava queste parole sentiva una morsa attanagliargli lo stomaco nel suo ormai consueto tormento interiore tra l'obbedienza e l'onore di uomo prima che di soldato.

“Io sono disposto a credervi e, per me, l'umiliazione che vi leggo in faccia è una punizione più che sufficiente, ma non sarà così per tutti. Il Reggente ha una linea di condotta molto ferrea ed intransigente, sicuramente esigerà per voi un castigo esemplare.”

Mamoru si fece avanti, quasi dimenticandosi della sua posizione di subalterno rispetto a Genzo:

“Ma Capitano, non è giusto, io...”

Wakabayashi lo zittì con un gesto risoluto della mano.

“Izawa, preferiresti che fosse il Reggente in persona ad occuparsene? Magari assistito da Soda o qualche altro membro del Gruppo Speciale?”

“Certo che no!” Abbassò la testa.

“Sto cercando di fare in modo di trattare questa punizione nella maniera più indolore possibile.”

Tutti e quattro i soldati annuirono, consapevoli che riporre la loro fiducia nelle mani del Capitano fosse la scelta migliore: per quanto potesse essere un insegnante severo durante l'addestramento, Wakabayashi non aveva mai agito contro il benessere dei suoi uomini.

“Dunque, – riprese – tutte le spade della nuova fornitura da Naniwa sono state sottratte...”

“Non proprio.” Intervenne Mastro Takasugi, ricordandosi solo ora del particolare e guadagnandosi le occhiate stupite dei presenti, in particolare di Teppei che aveva assistito impotente allo spettacolo dei Ribelli che svuotavano il carro del suo contenuto. Al solo pensiero la mano destra tornò a bruciargli, là dove si era conficcata la freccia del bandito.

Il Vice Capitano fece un passo avanti:

“Shingo, che vuoi dire?”

“Sapete tutti che Mastro Nakanishi, il famoso artigiano del legno, è un mio carissimo amico? Prima di lasciare la città e intraprendere la via del ritorno gli ho fatto apportare una modifica speciale al mio carro. - Takasugi spostò il peso da un piede all'altro prima di continuare il suo racconto. - Gli ho fatto costruire un vano segreto sotto il mio posto di guida in cui ho collocato le tre migliori spade che avevo ricevuto.”

“Sei un genio!” Esplose Teppei, quasi saltando addosso al commilitone più anziano.

“Kisugi! Frena il tuo entusiasmo, siamo sempre in caserma!” Lo redarguì Wakabayashi, che nel frattempo aveva riconquistato la sua seggiola dietro la scrivania, non senza aver ammorbidito il tono di voce. In un'altra occasione avrebbe sicuramente sorriso dell'entusiasmo del giovane sottoposto.

“Mastro Takasugi, questa è stata un'ottima idea, ma il problema del furto permane.”

Il cervello del Capitano era già in moto per capire come usare a discolpa dei suoi uomini questo piccolo fatto.

Dopo qualche minuto di silenzio, allungò una mano verso il campanello d'argento e lo agitò con forza, facendolo suonare. Subito il suo Attendente, a cui aveva dato ordine di fermarsi appena fuori dallo studio, per assicurarsi che nessuno lo disturbasse, socchiuse la porta:

“Avete chiamato Capitano?”

“Morisaki, ho bisogno che tu scenda nella cella seminterrata, recuperi una frusta e me la faccia trovare pronta all'uso tra mezz'ora, nel cortile degli addestramenti. Ecco la chiave.” Da un cassetto aveva estratto una lunga e vecchia chiave con un principio di arrugginimento.

“Sì, signore.”

Il giovane si affrettò ad eseguire il suo compito, cercando di nascondere il pallore che lo aveva colto: la cella seminterrata non veniva aperta da anni e conteneva tutti gli strumenti di tortura usati nel passato per interrogare e costringere a parlare nemici e prigionieri. Tuttavia gli ultimi Principi Ozora avevano ritenuto opportuno abolire questo tipo di pratiche e, sia il vecchio Capitano Mikami, che l'attuale non amavano quel genere di punizione per mantenere la disciplina nella Guardia. Ora, invece, Wakabayashi aveva espressamente richiesto uno degli strumenti in dotazione in quella stanza. Yuzo non poté impedire a un brivido di corrergli lungo la schiena al pensiero che quasi certamente i suoi amici Hajime e Teppei si trovavano nei guai col Capitano.

 

Mezz'ora più tardi, tutta la Guardia Reale era schierata nel polveroso cortile della Caserma, per assistere alla punizione che il Capitano Wakabayashi aveva deciso di infliggere a coloro che si erano lasciati sfuggire il prezioso rifornimento di armi nuove, indispensabili per la caccia ai Ribelli.

Genzo arrivò con passo deciso, seguito da Mamoru che scortava i tre colpevoli. Chiudeva il piccolo drappello Yuzo, reggendo tra le mani una vecchia frusta.

Giunti al centro dello spiazzo, il Capitano si fermò e si rivolse a tutti i sottoposti:

“Il Mastro Armaiolo Shingo Takasugi, il Soldato Scelto Teppei Kisugi e il Soldato Scelto Hajime Taki non hanno compiuto appieno il loro dovere e per questo verranno puniti. Ognuno di loro riceverà una frustata per ogni spada o scudo che è stato sottratto dal carico che dovevano proteggere e consegnare alla nostra caserma. La punizione avverrà qui e servirà da monito a tutti voi per impegnarvi di più.”

Tra i soldati cominciarono a correre dei mormorii di dissenso, qualcuno addirittura pensava che il Capitano avesse bevuto troppo Shutetsu per essere arrivato a prendere una decisione del genere. Solo i membri del Gruppo Speciale, soprattutto Napoleon, si prepararono ad assistere a quello che giudicavano uno spettacolo divertente.

Izawa alzò un braccio e gli astanti si ridussero al silenzio. Procedette poi a togliere le casacche ai tre compagni, sussurrando ad ognuno di loro un “mi dispiace”.

“Non dispiacetevi, – rispose di rimando Shingo – sapete anche voi che è meglio così.”

Morisaki si avvicinò esitante e porse al Capitano la frusta. Questi l'afferrò con decisione, mascherando abilmente il disgusto che provava per quello che stava per fare. Decise che avrebbe iniziato da Hajime, poi avrebbe proseguito con Teppei e per ultimo avrebbe colpito l'Armaiolo.

Quando sollevò il braccio per sferrare il primo colpo, il cortile era avvolto da un silenzio così irreale e pesante da ferirgli le orecchie più di quanto avrebbe mai fatto il crollo delle mura di cinta della Cittadella. La frusta cadde secca sulla schiena di Taki e l'impatto tra pelle e corda sgretolò quello strano incantesimo del silenzio.

Wakabayashi cercava di colpire senza usare completamente tutta la forza che aveva a disposizione, ma allo stesso tempo non poteva permettersi che qualcuno sospettasse qualcosa. E nonostante questo, percepiva ogni colpo ancora più forte sulla sua stessa schiena: avrebbe voluto ridurre a pezzi quella frusta maledetta, con cui stava colpendo tre fedeli Soldati. Sentiva di stare tradendo quei compagni per cui avrebbe dovuto essere una guida.

Genzo era talmente impegnato a dissimulare la sua battaglia interiore da non accorgersi dell'ingresso del Reggente dalla porta dell'edificio centrale.

Se Kanda rimase sorpreso nel vedere il Capitano frustrare i suoi uomini, non lo diede a vedere. Aveva interrotto un'udienza popolare quando Soda l'aveva avvisato del furto e si era recato alla Caserma col fermo proposito di farla pagare a quegli incapaci senza nemmeno cambiarsi: indossava ancora la tunica ufficiale, che arrivava fin quasi al ginocchio, con gli orli dorati e i morbidi pantaloni in pelle di camoscio, mentre sul petto era ricamato lo stemma della sua famiglia. Intorno alla fronte portava un sottile cerchio, anch'esso d'oro. Si avvicinò a Wakabayashi, ma non lo interruppe.

Fu solo quando ebbe terminato con Mastro Takasugi e riconsegnato a Yuzo la frusta che Genzo si sentì un sorvegliato speciale. Si girò di scatto e trovò il Reggente davanti a sé a braccia conserte.

“Reggente – si inchinò – perdonate lo stato in cui mi trovate, anche se immagino siate a conoscenza degli ultimi fatti e quindi comprenderete.” Con un gesto richiamò Morisaki per farsi porgere un panno con cui asciugare la fronte madida di sudore.

“Soda mi ha informato. Quindi avete già provveduto a punire i responsabili di questo sciagurato avvenimento.”

“Come potete vedere.” Indicò con un braccio.

Taki, Kisugi e Takasugi stavano raccogliendo le loro casacche, rivoli di sangue gli scorrevano sulla schiena: i segni delle frustate erano evidenti.

“Tuttavia io non credo sia sufficiente!”

Genzo se l'era aspettato e aveva serbato un piccolo asso nella manica.

“Non qui, che ne dice di incamminarsi sotto il porticato? Godremo di una leggera ombra.”

Kanda fece un cenno di assenso col capo.

“Voi tutti! - urlò Wakabayashi – Tornate alle vostre occupazioni. Izawa! Organizza i gruppi per la ronda di stanotte!”

Dopo che queste disposizioni furono date i due uomini si diressero all'estremità est, dove colonne dall'aspetto esile, ma in realtà robusto, sostenevano il portico antistante le Scuderie e l'Armeria.

“Cosa volevate dirmi?” Domandò Genzo.

“Capitano, apprezzo il fatto che abbiate subito provveduto ad una punizione per quei soldati – sull'ultima parola usò un accento sprezzante – ma ritengo opportuno usare delle misure ancora più severe.”

“Non ritenete abbastanza la punizione corporale e l'umiliazione subita davanti a tutti i commilitoni? Una ferita nell'orgoglio può fare molto più male di ferite fisiche.”

Kanda si sfiorò il cerchio d'oro alla tempia.

“Concordo, e qual è la peggior umiliazione per un membro della Guardia Reale se non quella di venire congedato con disonore?”

Wakabayashi si bloccò di colpo.

“Congedo con disonore? Mi sembra eccessivo, soprattutto in questo momento in cui ogni singolo uomo è prezioso. Oltretutto rimarremmo senza Mastro Armaiolo.”

“Senza armi da curare, non serve a molto!” Ribatté il Reggente acido.

“Abbiamo pur sempre quelle vecchie. Venite, vi mostro una cosa.”

Il Capitano aprì la porta dell'Armeria e cedette il passo a Kanda.

“Non tutte le armi sono andate perdute: Mastro Takasugi aveva uno scomparto segreto sul carro, in cui ha celato alcune spade, compresa quella appositamente forgiata per voi.”

Così dicendo sollevò una coperta dal tavolo e mostrò tre spade chiuse in altrettanti foderi. Quella centrale era la più lunga e il fodero il più riccamente decorato. L'impugnatura in bronzo svelava al posto del pomolo una mano chiusa a pugno, bagnata nell'argento.

Koshi si avvicinò e l'impugnò, sfoderandola e osservando con un ghigno compiaciuto il perfetto equilibrio e l'affilatura della lama in Nankatsu, il più resistente, letale e costoso dei metalli.

Wakabayashi capì che quello era il momento buono per tentare di ammorbidire il Reggente:

“Converrete con me che quella di Takasugi sia stata una mossa saggia e molto azzeccata.”

“Sì, sì.” Replicò Kanda, senza in realtà aver prestato troppa attenzione alle parole del Capitano, ancora estasiato dal suo nuovo giocattolo.

“Quindi è un ottimo elemento che non credo sia il caso di allontanare dalla Guardia.”

“Certamente.”

“Anche Kisugi e Taki.”

“Di sic.. Un momento Wakabayashi! - Il Reggente si riscosse improvvisamente e cercò di recuperare le redini del discorso che stava sfuggendogli – State cercando di abbindolarmi? Passi per l'Armaiolo, ma i due Soldati avrebbero dovuto comportarsi meglio!”

“Sono d'accordo, ma sapete, la giovane età...” Genzo cercò di rabbonire l'interlocutore, temendo di essersi spinto troppo oltre.

“Non è una scusa! Se proprio non volete allontanarli stabilmente, rimuoveteli quanto meno dal servizio attivo e fateli occupare di qualcosa di utile alla Cittadella.”

“Per esempio?”

“La pulizia delle latrine sarebbe un'ottima cosa! Ora, Capitano, buona giornata.”

Kanda superò un attonito Wakabayashi, uscì dall'Armeria e si avviò a lasciare la Caserma da dove era venuto, continuando a rimirare la preziosa spada.

 

 

 

 

 

Al Toho, le attività procedevano apparentemente come al solito in quella giornata di fine estate: Jun seguiva i progressi di un piccolo gruppo che si esercitava nel corpo a corpo, ormai erano sufficientemente in grado di cavarsela almeno con buona parte dei componenti della Guardia Reale, tuttavia coi i migliori di essi sarebbe stato ancora parecchio difficile.

“Sposta i piedi più velocemente! Ricorda, il gioco di gambe è importante quanto quello di braccia.” Consigliò ad uno dei ragazzi.

Dal suo posto Kojiro, impegnato a sgranocchiare gli avanzi della cena della sera precedente, sbuffò sonoramente, attirando l'attenzione del Principe.

“Siamo nervosi?”

“Tu non lo sei?”

“Un po' – ribatté Jun – ma mi tengo impegnato con loro. Qualche tiro con la spada farebbe bene anche a te.”

“E sorbirmi di nuovo un'altra delle tue lezioni sulla tremillesima posizione di difesa? No grazie!”

Il Principe scosse la testa: il tono duro e a volte sgarbato di Kojiro non sarebbe mai cambiato, ma nonostante questo era un ottimo leader per i Ribelli e un compagno fedele, una volta conquistata la sua fiducia e il suo rispetto.

Come se avesse sentito questi pensieri, il Ribelle allungò un coscia di piccione al Principe.

“Ne vuoi un pezzo?”

Jun annuì e si sedette accanto a lui, addentando la carne.

“Credi che succederà oggi?” Chiese ad un certo punto Kojiro.

“Penso di sì. Dalle informazioni raccolte da Ken alla Cittadella, Kisugi dovrebbe aver raggiunto Naniwa quattro giorni fa. Conoscendolo non si fermerà a lungo e viaggerà con regolarità. Secondo i miei calcoli potrebbe essere nella Gola in questo momento.” Con la mano sinistra distese una piega della tunica marrone.

“Sempre che non abbia deciso di cambiare strada all'ultimo.”

“Quello sarebbe veramente un problema: sono tre giorni che i nostri sorvegliano la Gola.”

Un chiacchiericcio proveniente dalla boscaglia gli fece alzare la testa all'unisono. Poco dopo comparvero Ken e gli altri, carichi di spade e scudi. Si alzarono e andarono incontro ai compagni, seguiti da chi prima si stava addestrando.

“Com'è andata?” Si informò il capo, non appena Wakashimazu ebbe appoggiato il suo fardello.

“Molto bene. È andato tutto come previsto da Jun, anche l'arrivo dei rinforzi dalla Cittadella.”

“Wakabayashi ha mandato molti uomini?”

“Un paio. - Ken agitò una mano a indicare che si era trattato di una sciocchezza. - Li abbiamo separati come avevamo stabilito, la tua trappola era perfetta. L'unica difficoltà l'abbiamo avuta nell'affrontare il Passaggio così carichi.”

Jun annuì e si allontanò solitario, sospirando.

“Hey, Principino. Che ti succede? Pensavo fossi contento dei successi raggiunti anche grazie a te!” Gli urlò dietro Kojiro, certe volte non riusciva proprio a capirlo!

“Certo che sì! Ma....” Strinse i pugni con forza, al punto che le nocche diventarono bianche.

“Avresti voluto essere con noi. - Si intromise Ken – Sai che non è possibile, è troppo pericoloso!”

Il Principe si voltò di scatto, uno strano lampo di rabbia negli occhi:

“Conosco i rischi! Li ho calcolati, ma non ce la faccio più ad aspettare. Non riesco a restarmene in disparte a guardare mentre qualcun'altro combatte quella che dovrebbe essere la mia guerra!”

Per un attimo regnò il silenzio, poi Kojiro lo raggiunse.

“Questa non è solo la tua guerra, è la guerra di tutti quelli che credono nella giustizia e nella possibilità di un regno migliore!”

Wakashimazu annuì vigorosamente, unendosi agli altri due:

“Lo sai che non è ancora il momento giusto per svelarti e nessuno di noi ti biasima, arriverà l'occasione ed allora mostrerai tutto il tuo valore.”

Jun abbassò la testa, vergognandosi di quello scatto d'impazienza nei confronti di quegli uomini che da nemici si erano trasformati in amici pronti a sostenerlo in qualsiasi momento.

“Grazie! Kojiro, toglimi una curiosità, da quando sei diventato così saggio?”

“Jun ha ragione capo, certe perle di saggezza non sono da te!”

Hyuga incrociò le braccia al petto, contrariato:

“Smettetela di fare i cretini voi due!”

Nonostante il tono burbero, scoppiarono tutti e tre a ridere, venendo però interrotti dalla voce di Ryo Ishizaki che aveva notato qualcosa di strano:

“Ma le donne dove sono? Non saranno sparite tutte?”

“Oh, no. - Rispose Kojiro, con non noncuranza – Alcune sono andate al fiume, le altre sono tutte rinchiuse nella capanna centrale: Yukari ha avuto le doglie.”

“E glielo dici così?” Jun guardò il Ribelle alzando gli occhi al cielo.

“COSA???”

Ishizaki, appena appresa la notizia, si mise a correre come un forsennato per tutta la radura, in preda al panico più totale.

“Cosa faccio? Che cosa faccio? Non sono pronto! Non sarò mai pronto! Cosa faccio?” Poco mancava che cominciasse a strapparsi i capelli.

Le risate si sparsero per un momento tra tutti i Ribelli, ma quando divenne chiaro che Ryo non aveva intenzione di calmarsi, cominciarono a comparire delle occhiate preoccupate.

“Qualcuno lo fermi, per amore della Dea!” Esclamò Ken!

Urabe non se lo fece ripetere due volte e si parò davanti a Ishizaki.

“Ryo fermati! Stai calmo! - Gli appoggiò le due mani sulle spalle – Cosa credi di fare? Così non sei utile ne a te ne a nessun altro, anzi, farai venire un esaurimento nervoso a tutti.”

L'uomo si fermò con il fiatone e guardò negli occhi l'amico:

“Hai ragione! Io... devo andare da Yukari.”

“Se fossi in te non lo farei – suggerì Kojiro – Sai come sono le donne, non vogliono uomini intorno in questi momenti. Ti cacceranno fuori non appena metterai la punta del naso in quella capanna.”

“E tu che ne sai?” Chiese Ken curioso.

“Niente, solo sentito dire.” Hyuga sollevò le spalle.

Ryo ancora si dibatteva tentando di liberarsi dalla presa di Hanji.

“E se Yukari avesse bisogno di qualcosa?”

Il Principe ridacchiò.

“Con tutte le donne che ci sono con lei sarà più servita e riverita di me quando abitavo alla Fortezza! E non dimenticare che c'è anche Yayoi.”

Annuirono e Wakashimazu aggiunse, con l'aria di chi la sa lunga:

“Non è certo il primo bambino che Yayoi fa nascere.”

Fu il turno di Kojiro di stuzzicare il compagno, tirandogli anche una gomitata non proprio leggera nello stomaco.

“Adesso chi è che ne sa più di quello che dovrebbe?”

Una risata generale accompagnò il gruppetto a sedersi, con Ryo sempre nervoso, ma per lo meno senza più la voglia di correre per la radura o addirittura per tutta la valle. Si tormentava senza sosta la corda alla vita che usava come cintura e ogni volta che credeva di sentire un rumore insolito saltava in piedi di scatto, salvo ritornare a sedere subito dopo, rendendosi conto che si era trattato solo di qualche uccello o di qualche amico che aveva rovesciato un barattolo.

“Ho la gola secca, c'è dell'acqua?” Chiese ad un certo punto.

Hyuga scosse la testa:

“Devi aspettare che le altre donne ne riportino qualche caraffa dal fiume. Maledetta siccità!”

“Io ho perso il conto dall'ultima volta che ha piovuto.” Fece notare Jun.

Ken si passò una mano nei lunghi capelli.

“È stato il giorno del tuo funerale. Una cerimonia davvero commovente.” Finse di asciugarsi le lacrime agli occhi.

“Non mi ricordare che dovrei essere un morto!”

La piccola battuta fece spuntare un sorriso anche sul volto teso di Ryo, distratto da una nuova domanda di Urabe:

“Avete deciso che nome darete al piccolo?”

“Ecco... io... non so...”

“Non avrai intenzione di chiamarlo Bambino o Bambina per tutta la vita?”

“Certo che no Hanji! Solo non mi aspettavo che sarebbe nato così presto!”

All'improvviso un urlo fortissimo squarciò l'aria, seguito da un pianto torrenziale altrettanto intenso. Tutti scattarono in piedi e corsero sotto il grande albero su cui era costruita la capanna più grande del villaggio, interpretando benissimo il segnale: il piccolo Ishizaki aveva fatto il suo ingresso nel mondo.





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E dopo due capitoli dedicati interamente ai Ribelli torniamo ad occuparci anche della Guardia Reale e del GENZODRAMA, povero il nostro Wakabayashi e per lui le prove difficili non sono ancora terminate.
  
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