Guardo il tuo viso sereno ed esangue, e non posso far a meno di restare paralizzato. Le tue guance, colorate dal sangue, sono lisciate da un dolce sorriso, mentre il tuo sguardo vuoto fissa il mio. Il rumore non mi urta: le urla, i colpi non appartengono allo stesso mondo in cui mi trovo io in questo momento.
La guerra è brutale, con crudeltà ti strappa ciò che hai di importante. Senza riserbo, non prova pietà per nessuno. Vedendoti privato dei tuoi affetti, provi odio verso chi te li ha sottratti, e animato dalla forza che solo la rabbia mista all’odio può dare, cerchi vendetta portando dolore ad altre persone. E’ un circolo vizioso che non conduce da nessuna parte.
Un paesaggio di morte ricopre qualsiasi posto infuriato dalla guerra. Ma gli ordini sono ordini. Se ti dicono di lottare, tu lotti. Per la sopravvivenza, per difendere ciò che ti è rimasto. Per l’onore di non darla vinta a chi ti ha provocato la sofferenza.
Nonostante tutto, i tuoi capelli sono in perfetto ordine. Il corpo è comodamente adagiato al suolo, come se di tua volontà ti fossi accucciata per riposare. Le ciglia sono bagnate di lacrime.
Vorrei non fossi morta in questo modo.
Per quanto morire in guerra, difendendo i propri ideali e il proprio credo sia onorevole, avrei voluto vederti felice nei tuoi ultimi attimi di vita. Non circondata da crudeltà che stona con il tuo temperamento pacifico ed etereo. Circondata da tristezza.
Mi chino, mentre l’occhio senza sharingan si inumidisce. Continui a guardarmi, sorridente. Con la mano tolgo il sangue che ti ricopre il viso, scosso dai singulti che il pianto mi provoca. Ti voglio vedere ancora una volta senza i segni della brutalità della guerra. Tolgo anche le macchie dal tuo coprifronte: eri fiera di appartenere al nostro villaggio, è giusto che il simbolo della foglia sia visibile. Quando finisco allontano la mano, osservandoti.
Ripenso ai tuoi ultimi attimi di vita. Abbiamo visto la vittoria, ma non sei riuscita ad andare oltre. Hai guardato verso di me, pronta a congratularti. Con la tua solita gentilezza. Con il tuo candore, che neanche in tempi di guerra ti ha abbandonato. Hai pronunciato il mio nome, con la voce tremante e indebolita, richiamando la mia attenzione. E poi ti sei accasciata; il sangue ti sporcava i vestiti, sporcava la tua pelle. Le ferite inflitte ti avevano provocato dolore durante la battaglia; finalmente non soffri più.
Se saresti vissuta qualche attimo in più, avrei evitato di farti penare. Saresti guarita, saresti stata bene. Avremo gioito silenziosamente e insieme ci saremo preparati alla prossima missione. Saremo andati avanti così, sorreggendoci a vicenda. Come avevamo fatto fino ad adesso.
Ma il conflitto ha deciso di separarci immediatamente. E mentre l’infelicità mi fa venire rimorsi per non essere riuscito a proteggerti come avresti meritato, chino il capo piangendo lacrime amare. Con una mano stringo la tua, fredda e irrigidita. Ricordo i tuoi sorrisi, i nostri momenti. Ricordo la sofferenza che da piccoli ci ha attanagliato, la morte del mio più caro amico, il nostro compagno Obito. Lo stai per raggiungere.
A tal pensiero, sorrido. Dall’altra parte ci sarà qualcuno ad accoglierti, a consolarti. A tenere la tua mano. E insieme mi guarderete, mi osserverete mentre porterò avanti la mia vita anche per voi due. Vivrò io per tutti, tre essenze in un solo corpo. Saremo insieme per sempre, perché il vostro ricordo e il mio affetto per voi non mi abbandonerà mai.
Tra le lacrime lascio la tua mano, e ti sfioro il viso. Ti guardo un’ultima volta negli occhi, infine chiudo le tue palpebre. Il sorriso non ha la forza di rimanere.
Addio, Rin.
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