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Autore: Kiki Daikiri    01/04/2009    2 recensioni
"Noi della crew non eravamo amici: eravamo fratelli.
Per i fratelli si darebbe qualsiasi cosa, anche il proprio sangue, la propria libertà. Anche se io un fratello di sangue lo avevo già.
Avrei dovuto capirlo prima. Avrei dovuto capire prima tante cose."
Genere: Malinconico, Azione, Erotico | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Tokio Hotel
Note: OOC | Avvertimenti: Contenuti forti
Capitoli:
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PREMESSA
Dopo diverse FF parecchio complesse e un po’ pesanti, eccone una nuova FF più ”leggera”,anche dal punto di vista formale. Spero vi piacerà, per quanto semplice possa essere o sembrare. Staremo a vedere =D
Il primo capitolo è solo introduttivo.
Questa volta protagonisti assoluti Tom e Georg, in un’ambientazione un po’ diversa dal solito.
Prima che mi vengano mosse critiche: si, ho deliberatamente apportato modifiche alla città d’origine dei gemelli.
A fine capitolo metterò la traduzione dei pochi termini in tedesco utilizzati e la traduzione di alcune parole facenti parte del gergo in slang milanese,per chi non ne conoscesse il significato!
Buona lettura n_n
I fatti narrati nelle seguenti righe sono frutto di pura fantasia.
 
 
Capitolo I
Zum geburstag viel glück
 
Mi chiamavano Uncle Tom e avevo solo sedici anni. Anzi, a partire da quel preciso giorno ne avevo diciassette. In ogni caso, nel mio clan erano tutti molto più grandi di me: molti vivevano da soli, quasi tutti già guidavano.
Ero il più coccolato, ma allo stesso tempo tra i più rispettati, forse fu per questo che cominciai a distaccarmi dalla mia famiglia biologica, da mio fratello, per dedicarmi anima e corpo a quella acquisita: la famiglia della strada, la mia.
Percepivo la netta necessità di contare solo sulle mie forze, avevo bisogno di autonomia per poter gestire in tranquillità il mio piccolo commercio di droghe leggere senza alcun intralcio, avevo bisogno di sicurezza: volevo tenere Bill lontano da quel mondo di affascinanti trasgressioni e carismatico nulla in cui stavo allegramente sguazzando, a tutti i costi.
Dovevo tenerlo lontano dalla crew per proteggerlo, proteggere lui, preservare il suo futuro. E la mia faccia.
Si, mi vergognavo di lui. Da morire.
Suona brutto ammetterlo, così, platealmente, ma non posso mentire al riguardo: lui era completamente diverso da me e dai miei ragazzi, paradossalmente, assomigliava molto di più alle donnette che frequentavamo la sera.
Certo, gli volevo un gran bene, ma volevo bene anche ai miei amici e perderli per una sciocchezza del genere sarebbe significato perdere dignità e il senso stesso della mia esistenza.
Mi riusciva molto più facile tenerlo a distanza, fingere di non necessitare della sua presenza, fingere che le sue lezioni di canto e recitazione sarebbero bastate a colmare quel vuoto che la mia assenza avrebbe potuto causargli.
 
- mi interrompo, getto la testa all’indietro sullo schienale e lancio uno sguardo all’omino in giacca e cravatta seduto tranquillamente dietro al divanetto sul quale sono sdraiato. Mi fa cenno con una mano di continuare, preciso e dettagliato come faccio ogni volta. Annuisco ed eseguo. -
 
Ogni giorno lo salutavo, dopo scuola, dopodiché mi dirigevo direttamente verso il parcheggio dei motorini dell’istituto, sul retro, dove solitamente già mi attendevano Il Joker e Mad, due capisaldi della nostra compagnia, rispettivamente di 20 e 22 anni. Avevano smesso di andare a scuola già da parecchio tempo, motivo per il quale erano costretti a spacciare per mantenere il monolocale nel centro di Loitsche, nonché motivo per il quale io, invece, non mi facevo pregare da mia madre per proseguire negli studi. Non saprei spiegare come mai, ma qualcosa mi inquietava nell’idea di lasciare per sempre quel comodo nido che era la mia infanzia, ormai rappresentata esclusivamente dall’ambiente scolastico. Avevo deciso che sarei andato a scuola fino al termine delle superiori, come già stava facendo il mio migliore amico.
Ora che ci penso, noi non utilizzavamo quel termine, nessuno avrebbe detto a nessuno di noi altri “sei il mio migliore amico”. Noi della crew non eravamo amici: eravamo fratelli.
Per i fratelli si darebbe qualsiasi cosa, anche il proprio sangue, la propria libertà. Anche se io un fratello di sangue lo avevo già.
Avrei dovuto capirlo prima. Avrei dovuto capire prima tante cose.
Quel giorno in particolare fu importante: segnò una svolta.
Mad indossava un giubbotto della SC Magdeburg, bellissima. Gli diedi il pugno e feci lo stesso con il Joker.
Senza interrompere la propria discussione, mi passarono una paglia già accesa ed io la accettai volentieri, prendendo posto sul motorino di un mio compagno di classe.
«Sabato deve andare tutto secondo i piani. Dobbiamo spaccare e mandare a fanculo quei pezzi di merda.»
Gli occhi di Mad erano vagamente arrossati, ci feci caso. Il drum che mi avevano passato presentava tracce di marijuana. Era abbastanza buono.
«Come sempre. Comunque, più che altro abbiamo questo contatto pazzesco con un tipo della GefahrGang di Berlino che vuole comprarsi tutto.»
Mad sogghignò e mi lanciò uno sguardo difficilmente interpretabile. Io finsi di nulla, anche se avevo capito benissimo che con quelli della GG non c’era da scherzare: se dicevano che volevano comprare tutto, significava un mucchio di eroina che doveva passare dalle nostre alle loro mani in una sola sera e senza intoppi. Molto rischioso, molto eccitante.
Ma le sorprese, spesso, vengono tutte insieme.
«Ovviamente non possiamo fare una figura di merda con quei cazzoni del contest, quindi dobbiamo fare come al solito: vincere.» Il Joker fece una risata estremamente allegra, capii che stavano tramando qualcosa.
Era il giorno del mio compleanno, dopotutto, non potevano esserselo scordato.
«Non lo so. Ci saranno tutti i pezzi grossi della Katz sabato.» lo interruppe Georg, avvicinandosi a noi e gettando a terra lo zaino. Era, penso, la persona più importante al mondo, per me. Vederlo significava stare bene,anche se sommersi da una valanga di guai.
Ci salutammo con una spallata, gli sorrisi e gli passai il drum. Lui ne prese un tiro e lo lasciò scendere direttamente nei polmoni. «è corretto.»osservò tossicchiando, quando il sapore dolce ed illegale gli salì alla testa. Ne prese un’altra boccata.
 
- guardo di nuovo il dottore, chiedendomi se riesca a seguire il mio discorso o se dovrei spiegargli meglio certi dettagli. So che non può interrompermi con domande, ma comprendo quanto possa essere complicato, per uno che vive in un polveroso studio pieno di libri, star dietro a così tante cose estranee . Riprendo a narrare. -
 
La Katz era, in pratica, la nostra principale crew rivale. Fondamentalmente credo che in un paesino relativamente piccolo come Loitsche non dovrebbe esserci più di un clan serio ed operante, eppure nella nostra città erano ben quattro.
Diciamo che la Katz aveva dalla propria molti rapper veramente validi, alcuni al pari dei nostri migliori, ma il vero motivo della nostra animosità nei loro confronti era uno e molto semplice: eravamo territoriali non solo dal punto di vista sociale, ma anche dal punto di vista del distorto sguardo dello spacciatore. Noi portavamo la merce in Loitsche, noi la smerciavamo, noi la consumavamo e la facevamo consumare. Non si potevano tollerare avversari in questo.
Il Joker non aveva paura di loro, non ne aveva mai avuta.
«Non mi preoccupano quelli della Katz, mi basta che ci siano i soldi, tutti i soldi che dovrebbero esserci. Per il resto, wir haben kein Problem.»
Nessun problema. Bhe, forse esagerò pronunciando quelle parole, perché ciò che avevamo per le mani non era solo un semplice contest di Hip-Hop come ne avevamo già visti molti: ci era stata lanciata una patata bollente non indifferente, un quantitativo di roba pari al normale smercio di quasi sei mesi.
Mad si calcò il cappellino sugli occhi. Forse aveva paura, non saprei, forse semplicemente un raggio del sole morente lo stava accecando, comunque io percepii una nota di tensione nel suo respiro.
Provare paura era cosa non accettabile, né per un Mastaz né per un Katz né per un membro di qualsiasi altro clan.
Eravamo riusciti a ricreare, in una cittadina piccola e tranquilla, un ambiente simile a quello che ci immaginavamo si respirasse nel Bronx NewYorkese. Era un meccanismo estremamente malsano, estremamente adrenalinico.
Mi ripassarono il drum e tornai a rilassare la mente ottenebrando i cupi pensieri con ciò che più stava entrando a fare parte del mio organismo.
«Cosa pensate potremmo presentare sabato?» domandò Georg.
Io finsi indifferenza, ma in realtà avevo spalancato bene le orecchie e seguivo con la coda dell’occhio ogni movimento della labbra di Mad, mentre lui parlava:
«Niente esibizioni, si va solo di freestyle battle questo sabato. E… penso che questa volta dovremo giocarci il jolly… che ne dici Tom? Ti ho sentito provare con Il Gordo e, scheiße, sei migliorato da far paura.»
Sogghignai: ecco dove stava la sorpresa. Era venuto finalmente il mio momento.
Il Gordo era un tizio che abitava nel mio stesso quartiere e, dopo aver in un certo senso lasciato la crew, si limitava a darci una mano con il mixer e gli arrangiamenti dei nuovi pezzi. Avevamo anche fatto un paio di featuring con lui.
Ovviamente era assolutamente impensabile lasciare del tutto il gruppo, un po’ perché esso diventava come una vera famiglia, un po’ perché si veniva a conoscenza di un po’ troppi affari di gente abbastanza losca, a furia di frequentarla, perciò, se si negava la fratellanza, si perdeva la fiducia. E, si sa, a nessuno piace gettare in piazza i propri panni sporchi.
In ogni caso, volevamo tutti bene al Gordo ed eravamo contenti che a trentacinque anni si fosse sistemato in un appartamento suo e che si fosse trovato un lavoro: nonostante non avesse più tempo per cazzate come lo spaccino o cose del genere, la passione per il rap non l’aveva mai abbandonato. Grazie a lui ero riuscito a raggiungere una tecnica e un’originalità che un MC di sedici anni normalmente non aveva e, finalmente, era giunto il momento di confrontarmi con veri freestyler di razza su un vero ring, con un vero pubblico, una vera posta in palio e vera gloria da conquistare.
Pane per i miei denti.
Immaginai di confrontarmi con Hook o con il Guercio da Berlino e un brivido di eccitazione mi percorse la spina dorsale: quella notizia era il miglior regalo di compleanno che avessi mai ricevuto.
In un impeto di entusiasmo biascicai un «Grazie, Bruder», solo vagamente sporcato dalla meravigliosa sensazione che l’erba rilasciava nel mio sistema nervoso.
Il Joker mi guardò con orgoglio e disse: «Non ringraziare un cazzo di nessuno. Sei un nuovo Boss in città, pensa solo a fare il culo a capanna a quegli stronzi, ok?»
Suonerà banale, ma allora, per un minorenne, sentirsi dire che si era un mostro del freestyle da uno come Il Joker, conosciuto e rispettato in mezza Germania, era un po’ come sentirsi dire “sei il migliore tra tutti”. È da sottolineare che io già avevo una grandissima fiducia in me, ma quella fu la miglior conferma che potessi aspettarmi.
Georg mi fece l’occhiolino e ci scambiammo un sorriso di intesa. Bisognava festeggiare.
Quella stessa sera, dopo lungo vagabondare, io e Geo giungemmo sotto casa sua.
Avevamo camminato per chilometri dal centro al quartiere periferico nord e la fame chimica cominciava a farsi sentire.
Non dovetti nemmeno chiedere di poter restare, l’invito era implicito quando si trattava di noi due.
«Dobbiamo berci su!» esclamò allegramente lui, armeggiando con il mazzo di chiavi e dandomi la millesima pacca sulla schiena di quel pomeriggio. Era maledettamente orgoglioso di me, glielo si leggeva negli occhi.
«Aspetta… non lo so… avevo promesso che sarei rientrato oggi e… Oh bhe, chissenefrega.»
Per un attimo, l’immagine di mio fratello aveva fatto capolino nella mia mente, ma fu subito sostituita dal pensiero dell’alcol, che il padre di Georg nascondeva molto poco furbescamente nella dispensa, di una serata passata a fumare in compagnia, dei toast al formaggio e dei film porno che avremmo sicuramente guardato.
Pochi minuti dopo, probabilmente aiutato dalla vodka e dal JackD, il senso di colpa svanì,il fumo spazzò via ogni ripensamento.
«Sabato Uncle Tom della Puppetmastaz Crew in freestyle contro tutti!» annunciò Geo, accennando un motivetto funky e dando un altro tiro allo spinello che stringeva pigramente tra due dita. «Una figata. Una vera figata…»
«Si, una figata.»
Fu una serata perfetta.
 
- L’uomo scribacchia incessantemente su quel suo fottuto taccuino, ma a me si stringe un nodo alla gola, non so se ho davvero voglia di fare questa cosa, di andare avanti a parlare. Mi faccio forza, notando che il dottore non accenna minimamente a smuovere la situazione. Mi sforzo di pensare a quanto potrebbe essermi utile tutto questo. -
 
Non ricordo a che ora ci fossimo addormentati lì, sul balconcino della camera da letto di Georg, fatto sta che, quando bene o male ci svegliammo, erano già le tre di notte. Mi massaggiai le tempie, imprecando e cercando a tentoni il cellulare.
«Porca puttana! Vaffanculo, cazzo!»
Georg storse il naso: uno di noi aveva vomitato sul pavimento e l’odore era disgustosamente pungente.
Cominciai a raccattare freneticamente le mie cose sparse per la stanza, raccolsi di fretta i dreadlocks in una coda e infilai la fascia beige in tinta con la felpa.
«Vecchio, tua madre non ha chiamato, quindi non è in pensiero… vai tranquillo.» bisbigliò Geo, vedendomi agitato.
«Non è mia madre a preoccuparmi, credimi.» risposi, correndo fuori dalla porta ed attraversando il corridoio in un lampo.
Le gambe mi reggevano abbastanza bene, nonostante sentissi la testa galleggiare leggerissima molti centimetri al di sopra delle spalle.
«Bella Bruder! Ci becchiamo più tardi!» mi gridò Geo dal balcone mentre io correvo verso casa, accennando al verso del gallo, quello che facevamo sempre quando si stava facendo mattina e noi ancora eravamo svegli e allegri.
Io, però, non mi sentivo molto allegro.
Le strade erano deserte, fatta eccezione per qualche barbone sdraiato a terra, tossicodipendenti e caramba. Tra tutti, paradossalmente, a preoccuparmi erano esclusivamente questi ultimi. I caramba, in gergo, erano i carabinieri, la polizia, quelli che cercavano disperatamente di mettere dentro me e i miei fratelli, in poche parole.
Quella gente sembrava avere una strana simpatia nei miei confronti, in fondo: mi fermavano sempre per “chiacchierare”.
Scavalcai con un balzo l’ultimo ostacolo e la porta di casa fu finalmente davanti a me. Frugai nelle tasche,trovai la chiave e tentai più volte di infilarla nella toppa, al buio, senza alcun successo. Cominciavo a vedere doppio.
«Scheiße!»
Maledissi il mondo intero prima di riuscire nel mio intento, dopo diversi minuti, ed entrare nell’atrio che, come sempre, era deserto e puzzava di gatto.
Accesi la luce ed andai verso la porta dell’appartamento, che era il primo a sinistra, di fianco all’ascensore.
La casa era silenziosa. Bill sembrava essere già andato a dormire e di mia madre c’era traccia, probabilmente era rimasta a dormire dal suo nuovo fidanzato.
Mi sfilai le scarpe, vagamente rincuorato, e mi diressi verso la camera che condividevo con mio fratello. Trovai la porta accostata: lui stava già dormendo,ma non russava. Non russava mai.
La sua sagoma, sdraiata sotto alle lenzuola, mi dava le spalle.
Rimasi immobile qualche istante, poi sfregai con forza le mani l’una contro l’altra per farle scaldare.
Quando ebbero raggiunto una temperatura che ritenni adeguata, mi avvicinai a Bill e gli accarezzai il volto: era così spaventosamente simile al mio, così sempre teso nel candore delle lenzuola e della vita che si stava cucendo addosso. Così aderente, troppo aderente, come gli abiti che era solito portare. Io non capivo. Non perché fossi stupido, né perché fossi cattivo.
Non capivo perché lui volesse costringersi in quel modo.
Forse non mi rendevo conto di quanto si potesse stare stretti anche indossando i miei vestiti.
«Lo so che mi odi.» bisbigliai, senza nemmeno essere convinto realmente di ciò che stavo dicendo «perdonami e… Alles Gute zum Geburtstag, Bill.»
 
Fine primo capitolo.
 
 
 
Vocaboli:
-Scheiße = merda;
-Wir haben kein Problem = non abbiamo alcun problema;
- Alles Gute zum Geburtstag = Buon compleanno;
-Bruder = fratello (in questo caso in senso figurato xD);
-MC = viene denominato MC un “compositore di rap”, ovvero un rapper;
-Contest o freestyle battle = sfida tra uno o più rappers tramite improvvisazione;
-Drum = una sigaretta fatta “a mano”;
-Paglia = sigaretta;
-Caramba = carabinieri;
Se doveste avere altri dubbi, chiedete pure n_n
Sono ben accetti commenti positivi e negativi!
   
 
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