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Autore: kleines licht    01/04/2016    1 recensioni
Dal testo: " [...]sinceramente non avevo idea di come cambiare le cose.
E avevo sicuramente paura di quel che eravamo, avevo paura di tutto quanto, sapevo che le cose continuando così sarebbero andate solamente i male in peggio ma non riuscivo a offrirle ancora quel che volevo. Mi sconvolgeva l’idea di volerle offrire davvero qualcosa ma forse dovevo imparare a conviverci."
DeanxJo
Written by: kleines licht & lastbreath
Genere: Drammatico, Romantico, Sovrannaturale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Dean Winchester, Impala, Jo, Sam Winchester
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Nessuna stagione
Capitoli:
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Titolo: I may I look I'm crazy, I should know right from wrong.
Fandom: Supernatural
Rating: Giallo
Avvertenze: Probabili modifiche alla cronologia della trama
Beta: lastbreath.
Trama: Dal testo: " [...]sinceramente non avevo idea di come cambiare le cose.
E avevo sicuramente paura di quel che eravamo, avevo paura di tutto quanto, sapevo che le cose continuando così sarebbero andate solamente i male in peggio ma non riuscivo a offrirle ancora quel che volevo. Mi sconvolgeva l’idea di volerle offrire davvero qualcosa ma forse dovevo imparare a conviverci."
DeanxJo
Note:

@Image credits: tumblr; I personaggi rappresentati non ci appartengono. Questa fanfiction non ha alcun scopro di lucro.


Pov Jo
Non mi aspettavo di trovare dall'altra parte un Dean così...teso. Sapevo sicuramente di averlo fatto preoccupare, telefonandolo, ma era la prima volta che lo sentivo così teso nei miei confronti. Ormai, sentendolo ogni sera, ero abituata a cogliere qualsiasi sfumatura nella sua voce e avevo avuto quasi timore di averlo troppo spaventato. E di averlo fatto arrabbiare.
Il nostro legame era labile, e poteva essere spezzato in ogni momento: per quanto cercassimo di far finta che non fosse importante, era diventato un rapporto in ogni caso continuativo. Per lo meno, sapevamo che ci potevamo fidare l'uno dell'altro e che, in ogni momento, sapevamo di poterci tirare un pochino su di morale con la sola voce dell'altro. Per quanto mi riguardava, già solo il fatto di averlo sentito preoccupato, e ansante al telefono..beh, mi aveva fatta sentire meglio. Così come anche l'obbligo di raggiungerlo. Non volevo impietosirlo, no, ma l'unico con cui avrei potuto parlare di quello che era successo, era proprio lui.
Il sollievo che provai non appena mi strinse a sé fu enorme: capii di aver sentito la sua mancanza fisica, di averla desiderata, e mi sentivo dall'altro lato una sciocca a volere proprio lui. Sapevo perfettamente quanto Dean Winchester fosse inconcludente sotto quel punto di vista. E che mi sarei fatta male, prima o poi. Per lo meno, avrei potuto dire che ero stata per lui qualcosa di più che una storia di una notte.
-Se vuoi posso prendere una stanza...- gli dissi semplicemente, appoggiandomi appena a lui e respirando un po' del suo profumo. Mentre mi stringeva, sapevo che non poteva davvero succedermi più nulla.
-Non c'è bisogno, la mia baby è piuttosto comoda- sorrise appena lui, e mi staccai dalle sue braccia solo per entrare nell'Impala e sedermi sui sedili morbidi. Ancora una volta, le sue braccia mi accolsero..e fu ancora più confortevole di prima. Socchiusi gli occhi, trovandomi ancora in corrispondenza del suo cuore, e mi feci cullare dal battito cauto di quella macchina strana, che ci teneva in qualche modo legati.
-Allora, ti va di parlarne, ragazzina? O mi hai telefonato solamente per togliermi da un letto?- domandò lui, e colsi l'ironia nella sua voce, che quella volta non mi fece ridere. Feci solo un sospiro, e in tutta risposta Dean prese ad accarezzarmi i capelli, con quel suo tocco leggero e sinuoso che mi mancava da tanto.
-Te l'ho detto. Mi sono divertita a fare l'allegro chirurgo con una persona che non c'entrava niente, per il semplice gusto di farlo- sussurrai. E potei giurare di averlo sentito rabbrividire. Per cosa non sapevo, se per la mia descrizione -ma ne dubitavo fortemente- o perché era successo anche a lui. 
-La vendetta porta a questo, purtroppo. Ecco perché ti avevo detto di non lasciarti trascinare da questa storia. Ci sono passato anche io e...non è andata bene. O meglio, mio padre ci è passato. E guarda che fine abbiamo fatto io e Sam- mi disse lui. Ed io sospirai, passandogli un braccio attorno ai fianchi, quasi per abbracciarlo. Come stava facendo lui con me, in pratica. 
-Lo so. Ma sai anche tu quanto io sono cocciuta..- provai a sorridere..ma senza successo, e mi specchiai nei suoi occhi verdissimi. Ogni volta che li incrociavo, un tuffo al cuore e..quella volta non ci fu eccezione. 
-Purtroppo lo so bene... Forse anche troppo- sospirò, fingendosi in qualche modo scocciato dalla mia presenza, per poi rivolgermi un altro piccolo sorriso. Sapevo che quello era uno di quei piccoli tentavi fatti da lui per provare a farmi stare meglio. Ne avevo bisogno. Ma ogni volta che provavo a sorridere mi veniva in mente un nuovo urlo di dolore di quell'uomo, che nella mia battaglia personale non c'entrava niente.
Rimanemmo in silenzio per un po' di tempo, semplicemente a guardarci negli occhi, fino a quando non ce la feci più a sostenere il suo sguardo e abbassai il mio. Mi sembrava che ogni volta volesse in qualche modo scannerizzarmi, e cercare di scivolare sempre dentro di me, psicologicamente parlando. E non potevo permetterglielo così facilmente. Non ero così debole come potevo sembrare a primo impatto, e non volevo neanche che se ne potesse approfittare in qualche modo. Ci stavamo avvicinando sempre di più, pericolosamente, ma questo non voleva dire che dovessi lasciargli carta bianca con facilità.
-Come va la ferita?- domandò poco dopo per cambiare discorso, ed io alzai le spalle. 
-Ho tolto i punti qualche giorno fa, per stare sicura. Va tutto bene per fortuna- dissi semplicemente, appoggiandomi contro di lui, e sentii la sua mano leggera alzarmi un lembo della maglietta per controllare.
Mi accarezzò piano, dolcemente, sulla linea rosea all'altezza del fianco e sorrise, probabilmente perché mi sentì sussultare. Mano calda, pelle fredda: combo perfetta.
-Sei sempre ghiacciata, Harvelle. Un pinguino è più caldo di te- ridacchiò, continuando ad accarezzarmi lentamente.
-Non mi pare che tu ti sia mai lamentato della temperatura della mia pelle- borbottai, facendomi piccola piccola tra le sue braccia. Dean recepì il messaggio e col braccio libero, mi strinse a lui, portandomi in pratica addosso al suo corpo. In pratica, mi nascosi nella sua giacca.
-Quasi quasi ti preferisco per telefono...- mormorò lui, prendendomi in giro. Forse non aveva capito che quasi nulla avrebbe potuto tirarmi su di morale in quel momento, e se in altri avrei potuto ridere a quelle parole, quella volta no. -Almeno borbotti di meno..- aggiunse poco dopo. 
A quelle parole riaprii gli occhi, fissandolo. -Se ti do così fastidio, evitavi di dirmi di raggiungerti- mormorai. E poi mi chiusi di nuovo a riccio, sospirando e, in ogni caso, continuai a rimanere appoggiata a lui.
-L'ho fatto perché pensavo di riuscire a calmarti. Ma vedo che non è così.- ribatté lui, facendo un sospiro e smettendo di accarezzarmi.
Sapevo di non dovermela prendere con Dean, ma purtroppo quando ero giù di corta tendevo a voler dare addosso a chiunque. Come se non volessi permettere agli altri di entrare nel mio mondo e conoscere le mie sofferenze.
-Non è colpa tua. È che sono troppo...arrabbiata con me stessa. Per quello che ho fatto, perché vorrei non farmi prendere dalle situazioni, perché vorrei essere più forte... E non lo sono- sospirai. Avevo volutamente parlato in generale, anche se ero sicura che Dean non cogliesse completamente ciò che volevo dire. C'era questa cosa di mio padre, con le mani che ancora vibravano di rabbia; ma anche Dean rientrava in quel contesto. Non riuscivo a gestirlo, un po' perché era come me, un po' perché i miei sentimenti nei suoi confronti sembravano solamente capsci di crescere.
-Adesso puoi sapere con certezza che non ricapiterà più. Lo so che non è bello sentire ancora il sangue di un innocente addosso.. Ma questo ti renderà più forte. Ci farai l'abitudine. Molto spesso succederà che finirai a colpire qualcuno che non c'entra niente, o che non riuscirai a salvare. Sono i rischi del mestiere. Ti chiedo solo di non farti prendere dalla vendetta, perché quella ti distruggerà- mi disse lui, inchiodando i miei occhi ai suoi. Ed io lo guardai a lungo, sospirando nuovamente. -Se penso che aveva i ricordi di mio padre... E che mi ha riconosciuta perché mi aveva vista da bambina....- mi fermai appena in tempo per evitare di piangere davanti a lui. La storia di mio padre era sempre stata una ferita aperta dentro di me. Mia madre, per evitare che tornasse come spirito aveva gettato tutto ciò che gli riguardava e non avevo più neanche una sua foto. A stento ricordavo qualcosa del suo viso, ma la sua voce, il suo odore..non mi appartenevano più. E sapevo che Dean mi poteva capire, perché.. Probabilmente neanche lui ricordava tutto di sua madre. Anzi, lui era anche più piccolo di me quando accadde. Sospirai, provando a calmarmi e giocherellando con le dita della sua mano. -Mi fa male pensare che io non ho più ricordi di lui, e invece quel demone sì. E la rabbia ha preso il sopravvento- mormorai, mentre sentivo gli occhi di Dean addosso in maniera persistente, provando a cogliere ogni mia piccola emozione.
Sentii poco dopo le sue labbra sulla fronte, e a quel punto i miei occhi si inumidirono appena. Sapevo che tra le sue braccia avrei ritrovato conforto..ma non così. Era come se con quel bacio leggero, protettivo, mi stesse dicendo "anche io mi sento come te". Mi sentii molto meglio, perché ero lì con lui. Inaspettatamente, cercai la sua mano e con lentezza, intrecciai le dita con le sue. Anche Dean ricambiò la stretta, più vigorosa della mia.
-Stai parlando con la persona giusta..anche io ho poco o niente di mia madre. Non mi ricordo più la sua voce, ma ho qualcosa che ogni tanto mi fa capire che una madre l'ho avuta anche io. E ti capisco. Ma devi farti forza. I ricordi sono ricordi e...adesso sei adulta. Hai il presente con cui fare i conti- mormorò lui, e con la mano libera, mi sfiorò il viso. 
Già, aveva ragione. Avevo il presente. E avevo lui, con cui fare i conti.
Annuii, sfiorandogli piano la mano. Rimasi in silenzio a guardarlo, con dolcezza. Solo lui poteva capirmi, perché condividevamo un passato più o meno simile, per certi versi. E quindi tornavamo sempre allo stesso punto: potevo fare affidamento solo su di lui. 
E non importava che potesse spezzarmi il cuore, non importava che ci potessimo vedere poco e sentire solo per telefono, non importava che mi tenesse nascosta a Sam: sapevo che lui poteva fidarsi di me, ed io di lui. Se così non fosse stato, avrebbe evitato di parlarmi di sua madre.  Nessuno poteva darmi la certezza di questa mia teoria, ma ormai lo conoscevo abbastanza da capirlo. Eravamo molto simili, e questo non era un segreto: come io parlavo poco di mio padre e della mia storia, la stessa cosa faceva lui. E mi sentii..onorata di questo.
Poco dopo sorrisi, finalmente libera -o quasi- dei pensieri negativi che avevo, appoggiando il viso contro la sua mano. Mi sentivo molto meglio, proprio perché ero ben consapevole che ormai, non ero più sola: non lo ero più, da quando ero in sua compagnia. E mi resi conto di essere fin troppo vicina alla serenità, ancora una volta, al suo fianco. Le parole non servivano più. Non per quel tasto, dolente per entrambi.  Gli sorrisi e basta, provando a confortarlo almeno un po', così come lui aveva fatto con me. E sapevo che proprio quel sorriso, che cercava di farmi sbocciare da un bel po', era la giusta ricompensa.
-Non mi hai ancora dato un bacio di arrivo..- sussurrai, felice di aver trovato finalmente qualcuno con cui non dovessi fingere. O almeno, non totalmente. Non gli avrei mai e poi mai confessato completamente tutti i miei sentimenti nei suoi confronti ma..sapevo che si stavano facendo più intensi e più difficili da nascondere. In quel momento, però, me ne fregai. Avevo..bisogno di quel bacio. E non tardò ad arrivare. 
Dean mi strinse con forza al suo corpo, e il bacio che mi diede fu carico di sentimento, di passione ma..anche di mancanza. Per quanto cercassimo di non farlo vedere, era così e lo capimmo entrambi: dal modo impetuoso di Dean di baciarmi, e dalle mie mani che correvano dappertutto sul suo corpo. Fu difficile non perdere il controllo, specialmente perché ancora una volta le sue mani mi strinsero convulsamente. Ansimai sulle sue labbra, ancora una volta, travolta da quegli strumenti di tortura di quel cacciatore che, in qualche modo, si stava prendendo tutto di me. Poi presi a baciargli il collo, perdendomi nel suo profumo. E lo sentii ansimare a sua volta.
All'improvviso, un brivido lungo la schiena, che mi fece sussultare. Maledette le sue labbra.
-Dean...- 
 
Pov Dean
L’essere nella mia macchina, per me, era davvero qualcosa di strano. Non avevo mai permesso a nessuno di fare cose così tanto intime nella mia macchina, anche se di fatto in quel preciso momento io e Jo non stavamo facendo proprio niente. Mi faceva strano in effetti, ma non riuscivo nemmeno a pensare a qualcosa di migliore.
Potevo capire come si sentiva Jo, potevo immaginare cosa le stesse passando per la testa: era successo anche a me, più di una volta, e avevo capito che quello era il destino di qualunque cacciatore. Per chiunque davvero perseguisse quella vita c’era qualche scheletro nell’armadio, per quel che mi riguardava ne avevo parecchi. Era ovvio che nessun cacciatore intraprendesse quella vita per puro caso, nessuno avrebbe mai comunque potuto fare qualcosa del genere senza alcuna ragione sotto.
Il fatto che quella fosse una parte i me mi importava ben poco. Al contrario invece se quella cosa toccava anche Jo mi sembrava tremendamente sbagliato. Non capivo che cosa stesse succedendo a quella ragazzina, e detestavo tutto quello che poteva toccarla in quel modo. Mi dispiaceva stesse passando qualcosa di così orribile: sentirsi sempre più simile alle creature che si cacciano sicuramente non era qualcosa di positivo o appagante.
Potevo immaginare quanta paura e odio avesse verso sé stessa, e non riuscivo a pensare a come poterla aiutare. Non ero troppo bravo a consolare gli altri e probabilmente era dato anche dal fatto che non ero troppo abituato a farlo. Mi dispiaceva sul serio che stesse passando tutto quello e avrei pagato oro per tirarla fuori da quello schifo.
Non meritava tutto quello, e forse una parte di me lo aveva già capito: nel momento in cui avevo cominciato ad allenarla forse avevo in qualche modo sperato che decidesse semplicemente di andarsene, di smetterla e di lasciare quella vita per sempre. Non si trattava solamente del fatto che fosse una donna, quello era solo un dettaglio: pensavo che quella vita non avrebbe dovuto sfiorarla, che quello non avrebbe potuto mai aiutarla o farla sentire meglio.
Sapevo perché lo avesse fatto, capivo le sue ragioni ma sapevo anche fin troppo bene dove sarebbe andata a finire: mi spaventava il fatto che potesse, per tutta la sua vita, farsi guidare solamente dalla vendetta e dalla voglia di uccidere. Non era una vita che meritava, e fosse stato per me, se non avessi capito fin troppo bene cosa l’aveva portata fino a lì, l’avrei obbligata sicuramente a smettere.
Sapevo di non essere nessuno, sapevo di non avere poi così tanto potere su di lei e di non poter semplicemente decidere per lei. Sapevo che lo stava facendo per suo padre, così come sapevo per esperienza che quella vita non l’avrebbe portata più vicina a lui. Io ci avevo provato per tutta la vita, lo avevo fatto soprattutto per mia madre e per il fatto che infondo lei era morta per colpo di quel mondo … avrei tanto voluto che lei lo sapesse, che semplicemente lasciasse perdere dal momento che io per primo capivo quanto fosse inutile, dopotutto.
Faceva male pensare che si stesse distruggendo in quel modo, forse semplicemente perché io per primo sapevo dove sarebbe andata a finire e avevo semplicemente paura di quel che poteva succederle. Avevo paura di perderla, di nuovo, e ancora una volta non feci altro che darmi dello stupido. Quella era una paura infondata, non avrei dovuto probabilmente tenerci così tanto: avrei semplicemente dovuto pensare a me stesso, e anche solo tenerla in quel modo a me, lasciarla entrare nella mia auto. Avrei dovuto lasciarla a sé stessa ma il solo pensiero mi portò a stringerla ancora di più a me.
Era fin troppo chiaro ed evidente quanto poco fossi portato ad aiutare le persone: se si trattava di usare la mia normale forza fisica era un conto, ma nel momento in cui dovevo usare le parole tutto crollava e diventava un vero fallimento. Non riuscii a comportarmi come avrei voluto, né tanto meno ad aiutarla come mi sarebbe piaciuto: avrei voluto sollevarla, e mi ritrovai a pensare che in quel momento sarebbe stato meglio per lei scegliere Sam.
Sam era sempre la scelta migliore, lo avevo imparato col tempo ma mi sembrava fin troppo evidente. Era lui il fratello intelligente e sensibile, quello che sapeva fermarsi e mollare tutto per qualcun altro. Io per primo temevo davvero di non saper abbandonare la mia vita e la mia carriera per aiutare qualcuno, per crearmi una vita tutta mia. Sapevo che la caccia era l’unico ambito nel quale riuscivo a fare qualcosa di concreto e utile per gli altri, e che in tutto il resto avrei sempre fallito.
Non ero fatto per avere una famiglia,  una fidanzata, un lavoro come un altro o qualunque altra cosa potesse anche solamente essere definita “normale”. Non ero fatto per non rischiare la vita tutti i giorni, avevo imparato a vivere senza radici e senza mete e trovarmi improvvisamente con un tetto fisso sopra la testa probabilmente mi avrebbe spiazzato. Avevo paura delle cose definite e durature più che di una qualunque creatura mitologica: sapevo che le cose definite richiedevano sforzo e impegno e io ero praticamente certo di non essere tagliato per quel genere di cose.
La mia vita mi piaceva. Nonostante la precarietà e la solitudine sapevo che quello era il mondo, era Sam quello che invece nutriva dubbi a riguardo e che sicuramente era più tagliato per una vita più monotona e tranquilla. Se per me andare a caccia era uno sfogo personale, un modo per sentirmi realizzato, per lui era un peso. Lo era sempre stato. E forse, per la vita che per me Jo meritava, Sam sarebbe stato la scelta azzeccata. Alla fine della fiera risultava sempre così.
Eppure, seppur sapessi più che bene di essere una frana con le parole, sapevo di sapermi esprimere più che bene attraverso il mio corpo. E sapevo che tra me e Jo quello sarebbe stato il gesto più significativo. Lei come me probabilmente apprezzava molto di più un atto profondo e sentito che un monologo lungo e privo di qualunque senso pratico.
E io non volevo ridurre tutto quello in quattro stupide parole, volevo che capisse che volevo esserci con tutto me stesso e che nonostante tutto, nonostante la mia incapacità ad esprimermi io capivo più che bene quel che stava passando. E volevo affiancarla, per quanto possibile.
Quel bacio e quella vicinanza ritrovata furono la conferma di quanto lei volesse ciò che volevo io e forse non avevo bisogno di altro. Per quanto mio costasse ammetterlo, infatti, avevo sentito la mancanza del suo corpo in un modo quasi viscerale, che capii solamente quando me lo trovai nuovamente vicino. Con gli anni ero diventato bravo a nascondere, anche a me stesso, qualunque tipo di sentimento e non mi sorprendeva più di tanto di averlo scoperto solo allora. Mi sorprendeva però provare nostalgia per il corpo di qualcuno, soffrire della lontananza con un’altra persona. Non era mai successo e temevo che tutto quello potesse essere irreparabile.
Le mie mani non impiegarono molto a riacquistare famigliarità con il suo corpo e mi ritrovai ad esplorarlo con sicurezza e bisogno. Vagai sulla sua pelle accarezzando, stringendo e graffiando senza nemmeno bisogno di pensarci, per poi aggiungere alla danza delle mie mani anche le mie labbra. Assaggiai qualunque lembo di pelle disponibile, spogliandola con urgenza e desiderio e mi persi completamente in quella ricerca continua dell’estasi. Un’estasi quasi paradisiaca che in quel momento poteva essere portata solamente da lei e da nessun’altra.
A differenza di quel che succedeva di solito, fu come avere la certezza matematica che al posto suo nessun’altra sarebbe stata all'altezza, che non sarebbe stata la stessa cosa con un’altra persona. Il grande Dean Winchester forse aveva appena guadagnato l’ennesimo punto debole.
La feci mia nella mia macchina, con un urgenza e una dolcezza che non mi erano mai appartenuti ma che lasciai mostrarsi senza essere in grado di filtrarli. Per una volta fui me stesso e basta, senza essere capace di trattenermi o fingere. Fingere con Jo, di fatto, stava diventando praticamente impossibile: era così fragile, così umana, che non vedevo come potesse ferirmi o perché mentire se lei per prima si stava esponendo in maniera così evidente. Non era senso del dovere, non si trattava di mostrarmi fragile per solidarietà: semplicemente mi sembrava la soluzione migliore, se non l’unica strada possibile.
Mi svegliai come sempre piuttosto presto, appena i raggi caldi del sole, filtrati dai finestrini, cominciarono a solleticarmi la pelle. Aprii gli occhi, trovando il corpo di Jo ingabbiato tra le mie braccia. Non ricordavo di essermi addormentato in quel modo, ma era una posizione estremamente comoda, tanto quanto nuova, almeno per me. Persi un tempo indefinito ad ascoltare il suo respiro cauto e cadenzato guidato dal sonno, e rimasi semplicemente immobile probabilmente mosso dal timore di svegliarla e farmi scoprire così, sveglio e piacevolmente coinvolto in qualcosa di così tenero.
Collegare quel termine assurdo a me faceva uno strano effetto, ma se mi faceva sentire così bene forse non era propriamente un male. Rimasi quindi in quella strana posizione per un tempo indefinito, fino a che non sentii una vibrazione famigliare dentro la macchina: ero quasi sicuro fosse il mio telefono, per  quanto potesse essere strano ricevere un messaggio o una chiamata a quell’ora.
Mi allungai nel modo più delicato possibile, alla ricerca di quell’affare infernale, fino a che non riuscii a trovarlo nella tasca dei miei jeans, appallottolati sotto al sedile. Con fare scocciato lo sbloccai per visualizzare il messaggio e mi raggelai: non si trattava di qualche caso o di una chiamata di emergenza. Si trattava di Sam.
Rilessi le stesse righe almeno una ventina di volte, indeciso di arrabbiarmi o scoppiare a ridere.
Il messaggio recitava qualcosa di molto simile a un “ io e te dobbiamo parlare della biondina nella tua macchina”, e anche se non c’era niente di divertente in quella premessa mi sembrava assurdo che proprio lui volesse farmi un “discorsetto”. Scossi il capo, immaginandomi Sam che cominciava a spiegarmi l’uso dei preservativi e l’utilità della pillola, ma infondo mi infastidiva che mi avesse scoperto. Non avevo idea di come avesse fatto, ma non ero pronto a presentare Jo a Sam. Non volevo che la vedesse perché sapevo che in quel momento tutto sarebbe diventato ancora più strano, e infondo mi piaceva quel che stavamo condividendo, perché avrei dovuto rovinarlo con delle stupide etichette?
Sospirai profondamente e cominciai ad accarezzare lentamente la pelle di Jo, ispirandone profondamente il profumo, quasi per imprimermelo nella mente. – Piccola abbiamo un’emergenza- sussurrai al suo orecchio e la sentii scattare appena, segno che ora era sveglia o quantomeno vigile.
-Il fratellino rompipalle ci ha scoperti…è meglio che tu adesso vada- mi costrinsi a sussurrare, con un vago sorriso sulle labbra, continuando a vagare imperterrito con i polpastrelli sulla sua pelle ancora nuda. Mi rendevo conto io stesso della contraddittorietà dei messaggi che stavo mandando: volevo lasciarla andare ma non accennavo ad allontanarmi.
La sentii sbuffare, ma decise saggiamente di non andare contro la mia decisione: forse come me non voleva rovinare quel che si era creato la notte precedente. –Se mi lasci andare, Winchester, forse riesco a seguire i tuoi ordini- bofonchiò ancora assonnata, e mi scoprii piacevolmente felice di non sentire odio o sconforto nella sua voce. Era addirittura ironica, e non sembrava essersela presa per tutta quella storia.
Temporeggiai ancora un po’, con la sua collaborazione, prima di decidermi a lasciarla andare. Mi rivestii il più velocemente possibile, per quel che poteva concedere un abitacolo piuttosto stretto per uno della mia stazza, e alla fine mi ritrovai a salutarla. Fu qualcosa di frettoloso, guidato forse dalla “paura” di essere scoperti di nuovo. Le promisi di farmi sentire, mi concessi anche di abbracciarla ma non fu sicuramente il saluto che avevo in mente.
***
Tornai piuttosto scocciato in camera, preparandomi all’interrogatorio ma per quanto potessi averlo previsto mi aspettavo almeno che Sam stesse scherzando. Okay, poteva anche avermi visto con una donna ma non ci vedevo niente di male.
Beh…forse escluso il fatto che fossimo nella mia auto. Abbracciati. E escludendo anche le chiamate sospette delle ultime settimane. E il fatto che non gli avessi mai raccontato che cosa avessi fatto durante la nostra separazione. A parte quello era tutto regolare, no?!
Sbuffai e alzai gli occhi al cielo nel momento in cui i miei occhi superarono la porta e trovarono Sam seduto in maniera composta sul letto, le braccia conserte, in attesa. Non aveva evidentemente intenzione di lasciarmi andare in tempi brevi.
-Fratellino…devi dirmi qualcosa?- domandò, con quel tono, piuttosto buffo per uno con la sua faccia, da poliziotto cattivo che prova a fare il magnanimo. Pur conoscendomi da una vita mi stava dando la possibilità di parlare e di spiegarmi, quando sapeva che non lo avrei mai fatto.
Feci spallucce, con la mia solita faccia tosta, e ridacchiai. –Sì… ho piuttosto fame e a pochi chilometri da qui fanno una torta paradisiaca- dissi semplicemente, con non chalance. Infondo se voleva giocare al gatto e al topo tanto valeva partecipare no?
Lo vidi sbuffare, cosa che mi portò a ridacchiare sommessamente mentre camminavo verso il mio borsone, in cerca di qualcosa di pulito da mettermi per ripartire e raggiungere sul serio la mia colazione. –Sai benissimo che non mi stavo riferendo a quello. Chi era la ragazza che dormiva abbracciata a te nella tua macchina?- domandò diretto. Mi sorprese parecchio, pensavo che ci avrebbe girato intorno per più tempo prima di arrivare al sodo.
Lo guardai con fare da gnorri, come se non avessi alcuna idea di quello che stava dicendo –Una persona, suppongo- gli feci notare con superiorità, anche se sapevo più che bene che continuare per quella stada lo avrebbe solamente aiutato ad appurare la sua teoria: se lo conoscevo abbastanza bene era già più che sicuro che Jo per me fosse importante, e quell’atteggiamento glielo avrebbe solamente confermato. Ma ammetterlo  era fuori discussione.
-Da quanto state insieme?- rincarò la dose, ignorando la mia risposta. 1-0 per Sammy, questa volta aveva davvero intenzione di andarci giù pesante, anche se non mi spiegavo perché. Quando mi aveva parlato di Amelia non avevo fatto molte storie, malgrado la reputassi una donnetta senza molta spina dorsale, ma infondo era la sua vita, non la mia! Lui per primo non si era mai interessato di chi portassi a letto e non spiegavo questo rinnovato interesse per la mia vita privata.
- Non stiamo insieme- gli feci notare perentorio, diventando improvvisamente serio e conciso, fulminandolo con lo sguardo. Non avevo idea di dove volesse andare a parare ma per quel che mi riguardava si stava intromettendo troppo: Jo era mia e non vedevo perché fosse così tanto interessato a lei.
-Bene. Lo voglio sperare. Perché … sai come vanno a finire queste cose. Finiresti per stare male, lei ne soffrirebbe e considerato la portata di nemici che ci stanno alle calcagna probabilmente finirebbe anche con una pallottola in fronte. Avere una famiglia, una ragazza non fa per noi Dean. Lasciala andare- specificò semplicemente. L’idea che lui stesse parlando di Jo come di una che non sapeva difendersi mi costrinse a stringere i pugni: poteva di quel che voleva, ma io per primo l’avrei difesa anche a costo della mia vita, non sarebbe mai finita vittima di qualcosa per colpa mia.
- Grazie per il consiglio non richiesto.- ringhiai, con in volto tutto tranne che un’espressione accondiscendente. Infondo, anche se nel modo sbagliato, aveva appena messo in chiaro le mie stesse identiche paure.
   
 
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