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Autore: LawrenceTwosomeTime    02/04/2009    1 recensioni
Quanto c'è da dire su questa storia è contenuto nelle sue pagine: in parte parabola metafisica, in parte racconto dell'orrore, ma soprattutto commedia degli equivoci – per quanto questa definizione possa rivelarsi ampiamente contestabile – è un racconto ambientato "dentro" un uomo. Il protagonista si risveglia da un torpore simile a quello che stese la Bella Addormentata, ritrovandosi in un contesto familiare eppure inquietante. Non è un bacio a svegliarlo, ma un cardellino. Da quel momento in poi, inizia un'avventura dove principalmente "non succede niente", in cui si mescolano nostalgia e rimpianti, autoironia, libidine, frustrazione ed il mai troppo abusato "piacere della scoperta", che in questo caso è una riscoperta di sé. Con il timore sempiterno di essere già morti e di stare vivendo un ipotetico "ritorno all'ovile".
Le fonti di ispirazione, anche cinematografiche, sono tante: un "falso inizio" alla Old Boy, punte di Silent Hill, The Cell, Four Rooms, Inland Empire, Matrix…una mescolanza letteraria inaudita di Borges e Casares, Svevo e Kafka. E poi Burroughs, Chesterton, Gombrowicz e Lovecraft. Tutto questo per ipotizzare che se davvero esiste del buono nell'essere umano, è nascosto molto, ma molto in fondo. Riproposto in versione riveduta e corretta dopo aver tentato di propinarlo al "Progetto SoSiTe" di Padova ed aver clamorosamente fallito. Sono graditi i vostri pareri.
Genere: Thriller, Suspence, Introspettivo | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato
Note: nessuna | Avvertimenti: Contenuti forti
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Pigiai il bottone argentato, una spia rossa si accese. Le porte si aprirono subito dopo. La cabina era alta e stretta, sgraziata, disagevole, si sarebbe detto che l'avesse illuminata un architetto egiziano sadico.
Uno sguardo alla pulsantiera mi confermò che non ero pazzo: cinque piani, grazie al cielo la matematica esisteva ancora.
Premetti il pulsante del piano terra.
L'ascensore non si mosse.
"Non sono pazzo", considerai, "è questo posto che non funziona secondo le regole".
Premetti in successione gli altri pulsanti, ancora e ancora, finché non successe quello che avevo sospettato: il mio dito si ritrovò solo soletto a fronteggiare il numero quattro. Che naturalmente fece partire l'ascensore. Scesi (scendemmo).

"Perché un piano alla volta? Che cos'è, un maledetto gioco a premi? Un videogame? (gioco a che? videocosa?)"

Un tling debilitato mi annunciò che il viaggio era finito. Le porte scivolarono nei loro alvei e… Rimasi accecato dalla luce del sole. Non era una giornata del tutto serena, qualche nube intralciava il chiarore e una leggera foschia appesantiva l'erba. Erba bagnata e brillante, le cui radici spuntavano fin sotto la tromba dell'ascensore.
Strisce bianche di pittura si estendevano fino all'infinito, disegnando semicerchi, mezzelune, parabole. Due gabbie di ferro spiccavano nella pianura, lontanissime.

Un campo da calcio, molto molto grande.
C'era della gente che giocava. Passato lo sbigottimento iniziale, misi a fuoco una figurina che correva verso di me. Non una figurina del calcio, che diamine: un essere umano.
Quando mi raggiunse lo riconobbi: Giovanni Pozzobon, mio amico dai tempi dell'asilo. Era un po' più pelato rispetto a come me lo ricordavo, ma non aveva perso un centimetro in altezza.

"Vieni a giocare in difesa?", mi chiese. Aveva la voce rude, amichevole ma schietta, del tipo "sei il benvenuto tra noi ma non tirarla per le lunghe".
Mi azzardai a chiedere, con la voce un po' arrochita: "Siamo in paradiso? Qu…quell'ascensore era il mio tramite per uscire dal purgatorio?"
Giovanni fece una smorfia: "Paradiso, inferno, giudizio divino…", sputò a terra, "…La sai una cosa, Dave? Non mi è mai piaciuto andare a messa: troppi panegirici, troppa poca azione"
Mi guardò come in trance.
"Allora, stai in difesa?"
"N-no, mi dispiace, io…", "Lascia stare", mi interruppe alzando una mano, "lo so che il calcio non ti interessa…Ma siamo tra amici, perciò…casomai ti andasse, noi siamo qui"
"Grazie, Giovi. In difesa faccio comunque schifo". Esitando: "Ci si becca in giro, allora"
"Certo, certo…", disse lui, più a sé stesso che a me, "dovresti farti vivo più spesso. Sono anni che non mi chiami", e ripiegò in direzione della piccola folla che si contendeva il pallone.

Mentre ritornavo frastornato al mio ascensore, meditai: "Sto correggendo gli errori che ho commesso in vita? No, non è possibile…mi rifiuto di credere che questa sia la morte".
Mi infilai nella cabina.
Un sorrisetto fece capolino assieme ad una lacrima.
"Giovanni…ti ho lasciato indietro perché eri un sempliciotto. Ma vai a trovarne, di sempliciotti come te…".
Avevo superato il quarto piano senza incappare in mani divine o punizioni fisiche – più che altro, un vago senso di nostalgia – ma chi avrebbe scommesso (scommettere?) che il terzo si sarebbe profilato allo stesso modo?



  
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